Veglia di preghiera per la pace a Lamezia Terme

Lamezia Terme. Domenica 6 marzo la comunità lametina dei Focolari ha animato nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo affollata di fedeli, tra cui anche membri di vari movimenti e associazioni, una commossa veglia di preghiera per impetrare la pace tra Russia e Ucraina.

Insieme al vescovo mons. Giuseppe Schillaci e al sindaco, l’avv. Paolo Mascaro, erano presenti anche due prelati della locale Chiesa ortodossa ucraina.

Filo conduttore della manifestazione il tema della pace e della fraternità, sviluppato attraverso testi di papa Francesco e di Chiara Lubich e sottolineato da brani musicali e canori.

Molto coinvolgenti le testimonianze che si sono alternate: quella telefonica (in diretta) di Donatella, una focolarina italiana della comunità del focolare in Ucraina, quella (letta) di Giovanni Guaita, monaco ortodosso italiano residente a Mosca da 36 anni, e quelle (in presenza) di Monica e Cristina, due giovani ucraine residenti a Lamezia.

Prima della benedizione finale del vescovo alcuni giovani del Movimento hanno lanciato ai partecipanti la proposta di un momento di silenzio e di preghiera quotidiano per la pace: il time-out.

Nel suo intervento conclusivo mons. Schillaci, appellandosi al «Quando sono debole è allora che sono forte» di san Paolo, ha ricordato che «la debolezza della preghiera in unità va dritta al cuore di Dio».

 




Puglia: candidati in dialogo

La Puglia è alla vigilia della consultazione per la elezione del proprio Consiglio.
Sono davvero tanti i temi nell’agenda del nuovo Governo regionale; tutti esigono un approccio nuovo e responsabile che riteniamo non possa più limitarsi alla sterile politica degli schieramenti contrapposti.
In tale contesto il Movimento Politico per l’Unità ha proposto un confronto sulle sfide che attendono la nostra Regione, alla vigilia della prossima consultazione amministrativa, con specifico riferimento ad alcune tematiche più sensibili per cittadini del territorio della provincia di Foggia. L’intento è quello di offrire un’occasione di “dialogo aperto” tra cittadini e candidati sui temi in agenda. Non un’occasione di propaganda, ma un cantiere di lavoro e uno spazio di confronto e condivisione nel quale, ciascuno nel proprio partito o movimento, si sforza di concorrere nel disegnare la Regione che vogliamo.
Riteniamo che occorra un “patto” tra le parti in campo, che metta alla base i principi fondativi della nostra costituzione; che nell’ottica di quella “circolarità” che la Costituzione stessa mette a fondamento della nostra convivenza, tracci nuovi percorsi di impegno politico e di partecipazione dei cittadini alla costruzione del bene comune.
Venerdì 4 settembre a San Severo abbiamo invitato nove candidati del territorio a misurarsi in un esercizio di dialogo su mafia, legalità e caporalato; piano di sviluppo rurale; sanità, migrazioni ed emigrazione giovanile; federalismo fiscale e questione meridionale; gioco d’azzardo lecito; terzo settore e partecipazione. I temi erano scaturiti da una fase predente di raccolta di domande tra i cittadini, in modo da coinvolgerli pienamente al confronto.
L’incontro si è articolato dando voce agli schieramenti a sostegno dei candidati Presidenti, in maniera che i partiti in coalizione organizzassero i propri interventi come gruppo e non come singole formazioni. Questo perché, mai come oggi, è necessario che le coalizioni dimostrino una reale capacità di sintesi e di riuscire a fare squadra, abbandonando il criterio stantio dei contrappesi elettorali, per lasciare spazio a competenze e impegno comune.
Va dato atto ai cinque candidati presenti (Dal Maso M5S, De Rossi del PD, Gaeta del nuovo PSI UdC, Lacci del movimento M5S , e Rosito di Italia In Comune), di aver vinto pienamente la sfida del dialogo. L’incontro si è infatti distinto per la misura degli interventi e la continua ricerca di un contributo alle problematiche sollevate, preferiti a qualsiasi tipo di sterile polemica.
Non ultimo è opportuno rilevare che gli stessi hanno sostenuto in solido le spese organizzative, dando un raro esempio di cooperazione tra partiti di differenti coalizioni.
Sui temi, al di là di qualche legittima diversità di prospettiva e di approfondimento, la lettura delle problematiche ha complessivamente fatto emergere una sostanziale convergenza circa l’urgenza di intervenire.
Ci auguriamo che questo incontro preluda ad una sempre maggiore attenzione condivisa, da parte dei rappresentanti politici regionali, alle tematiche che investono il bene di tutti i cittadini. Stamattina giungono alcuni commenti:
– da uno dei candidati partecipanti, “serata cordiale e costruttiva. Il confronto si è sempre mantenuto in un clima familiare e ispirato alla massima correttezza”.
– un altro candidato: “un confronto leale”.
– una cittadina: “Desidero esprimere il mio grazie per il confronto che ieri sera c’è stato fra politici di diversi schieramenti, a dimostrazione che è possibile esporre serenamente i diversi punti di vista senza trascurare il rispetto, dovuto a tutti i cittadini, per la propria libertà di scelta democratica”.

05/09/2020 La segreteria regionale MPPU




A scuola: videogioco con le mascherine

Ero appena entrato in quell’aula quando la collega, vicaria del dirigente, mi anticipò con un passo sostenuto e con un’aria pesante:“… ora mi dovete dire chi è stato!”, mostrandogli uno sguardo terrificante e minaccioso.

Questa volta i ragazzi della 2B l’avevano combinata proprio grossa; tanto da non capire ancora oggi cosa fosse successo in quel giorno di novembre. Forse per effetto della mia presenza, le acque subito si calmarono e la collega continuò dicendo: “Quest’anno come vedete vi ho mandato un docente molto bravo!”. Capì subito che si riferiva a me, e non dissi nulla.

Aveva perfettamente ragione, perché quella classe non era affatto tranquilla. Ma nonostante questo, riuscimmo a concludere il primo quadrimestre in serenità, senza che nessuno di loro ebbe da recuperare qualche argomento della mia disciplina.

Sono un docente di elettronica, e quest’anno ho insegnato Tecnologie per l’Informazione e la Comunicazione nelle due seconde dell’istituto professionale della città dove vivo. Avevo subito notato la capacità di questi ragazzi nella pratica e nella manualità, tanto che l’esperienza di assemblare un computer si trasformò ben presto un una vera e propria manutenzione all’intero parco dei computer, presenti nell’aula di informatica. Erano diventati ormai professionisti in tutto questo.

Ma improvvisamente poi, la pandemia ci fece ritrovare tutti davanti allo schermo di un computer, solo per chi lo possedeva in casa, o di uno smartphone.
In quel momento sentì dentro di me che la cosa più importante per loro era il contatto con il docente; spesso capitava di commentare cosa stesse accadendo intorno a noi, in quanto le notizie che arrivavano dai social e dai mass media non erano certamente confortanti: tanta gente stava soffrendo per colpa del Coronavirus.

Durante una videolezione, ci chiedemmo cosa potevamo fare per loro, ma non trovammo una risposta. Ci sentivamo impotenti davanti a questa nuova situazione, cosicché un giorno vi venne in mente d’ideare, insieme all’altra classe seconda, un videogioco che avesse come tema il Coronavirus.

Lo proposi ai miei ragazzi i quali furono contenti, seppure inizialmente non si riusciva a decidere quale software di programmazione utilizzare, e tantomeno la trama del videogioco stesso. Durante un confronto pensammo subito che l’oggetto principale del nostro videogioco doveva essere la mascherina, in quanto in quei giorni si parlava della scarsa disponibilità di queste, specie negli ospedali della Lombardia, e che si doveva inventare un qualcosa per trasportarle virtualmente a chi ne avesse particolarmente bisogno.

Pensammo allora, di implementare su uno schermo un automezzo da muovere lungo una strada, quella che collega la nostra città di Monopoli fino a Bergamo, e che all’interno di questo ci dovevano essere cinquanta mascherine per trasportarle fino a destinazione.

Nel videogioco realizzato, durante il percorso l’automezzo viene bombardato dai Coronavirus. Con i tasti della tastiera o con i pulsanti predisposti nella versione per smartphone, si cerca di riuscire ad evitare l’impatto con i Coronavirus; inoltre si hanno a disposizione dieci siringhe di antivirus con le quali durante il gioco colpire il nemico. E alla fine vince chi riesce a portare più mascherine a destinazione.

Ricordo che durante le lezioni, mi divertivo a cancellare di volta in volta i codici di programmazione scritti insieme durante la lezione precedente. Così che ogni volta che si riprendeva il progetto si rifaceva il codice perso volutamente, andando a stimolare la loro memoria e la loro logica, sperando di apportare nuove modifiche al videogioco.

L’ultimo giorno mentre stavamo rivedendo e collaudando il programma, chiesi loro alcune impressioni su quello che avevamo realizzato e su cosa si sarebbe potuto fare di più. Ma ecco che durante la discussione, una sottile voce mi interrompe e mi dice: “prof il videogioco è bello così, ma non sarà tanto più bello e importate del messaggio che vogliamo dare”.
Il tutorial del videogioco è a disposizione su questo link: pic.twitter.com/4UGa7czMbK
Per giocarci invece si deve accedere al seguente link: scratch.mit.edu/projects/399700864

Filippo Lopedote




Rimanere focalizzati sul positivo

In questi giorni particolari in cui ci sono un po’ di restrizioni nei movimenti cerco di rimanere focalizzato sul positivo. Devo ammettere che il primo giorno, senza programmi o altro, mi sono perso molto in cose frivole e non mi sono trovato felice alla sera, per niente. E mi sono detto: no, no, no, non posso andare avanti così, mi devo dare una regolata, so che posso farlo e dipende da me prima di tutto.

Mi sono aiutato provando a fare un programma, che poteva rimanere flessibile, ma almeno che fosse un programma di donazione concreta. E allora tra le varie cose ho visto che sono riuscito a stirare delle camice mie, poi anche quelle di un altro e ho fatto una spesa imprevista che serviva per la casa; ho approfittato per fare la pulizia dei bagni, igienizzando anche le maniglie delle porte; mi sono offerto per cucinare i pasti; ho cercato di farmi vivo con varie persone, più piccoli, della mia età, più grandi, con lettere, email, messaggi vocali, video, messaggini: a chi una parola di conforto, a chi un incoraggiamento, a chi semplicemente un chiedere come stava.

Ho cercato anche di dare più spazio e concentrazione alla preghiera personale e soprattutto ho cominciato a cercare di ricordare in modo particolare ciascuno di quelli che mi hanno confidato, affidato situazioni di sospensione, di dolore, di incertezza, di pesi vari, così da portarli insieme; ho cercato, quelle volte che dovevo uscire per strada e incontravo qualcuno, di mantenere le dovute distanze, di diffondere dei sorrisi perché si vedono le persone anche tese; quando sono entrato nei negozi ho cercato di rimanere anche a lato e lasciando che magari la persona nel corridoio stretto avesse tutto il tempo che desiderava per sostarvi senza nessun timore.

I risultati non hanno tardato ad arrivare: una signora ha lasciato sulla porta dei viveri con del limoncello fatto in casa ed altre cose deliziose; l’umorismo e la gioia crescono  e contagiano chi sta intorno. E arrivano anche messaggi da persone che non si aspettava, veramente tante cose belle, così non potevo tenerle solo per me perché credo nella condivisione dove il dolore si alleggerisce, le gioie e la diffusione dell’antivirus della fraternità crescono.

Domenico Martelletto
instagram: divinelife23

 




Barletta, presentazione del libro “Siria, una guerra contro i civili”

Cos’è e cosa è stata la guerra in Siria? Come si sopravvive e come si prova a ricostruire? Come scorre la vita quotidiana di chi è rimasto tra macerie, servizi in affanno e difficoltà economiche?

Giovedì 23 maggio 2019 un folto pubblico ha affollato la Sala Emeroteca del Castello di Barletta. Al “Maggio dei Libri”, promosso dalla Biblioteca Comunale Sabino Loffredo di Barletta, interviene il giornalista Michele Zanzucchi con il suo ultimo libro, “Siria: una guerra contro i civili”, un diario di viaggio scritto a quattro mani con Massimo Toschi. In questi ultimi anni, mentre la TV ci mostrava solo città distrutte e tragedie e i quotidiani ci indicavano i nemici da combattere, da punire con un embargo totale, a noi arrivavano anche notizie di speranza, desiderio di pace, condivisione dei dolori, fraternità di unità di tutto il popolo siriano. Pochissime riviste hanno raccontato dei civili,  della secolare storia di unità del variegato popolo siriano. Abbiamo voluto far parlare queste voci e il libro ha offerto la possibilità di aprire uno squarcio sulla vicenda (non ancora conclusa).  “Una testimonianza – ha scritto Romano Prodi nella prefazione – su quanto accade in Siria, su quello che possono fare i civili in questo tempo attraversato da mille contraddizioni”.

L’iniziativa, promossa dalle Associazioni Igino Giordani e Home & Homme Onlus, è diventata la giusta occasione per riflettere e dialogare sulla complessa e articolata vicenda siriana. La platea è attenta ed emotivamente colpita dai racconti di Michele Zanzucchi, dalla solidarietà portata in quei luoghi da Francesco Tortorella, responsabile dei progetti AMU, Azione per un Mondo Unito,  e dalle personalissime esperienze di Badr Fakhouri, siriano, eroe dei diritti umani nel 2016, residente da anni a Barletta e coordinatore della Home & Homme. Il libro accompagna i lettori nei luoghi dove la guerra ha lasciato il suo segno, laddove le scelte politiche e il clamore mediatico appaiono distanti e indifferenti alla vita quotidiana di famiglia, donne, uomini e bambini che ogni giorno portano avanti la ricostruzione in uno scenario di emergenza. “Mi sono trovato sotto i cieli siriani – scrive Michele Zanzucchi – in mezzo alla gente comune, ai poveri, agli impauriti, ai mutilati, portato in giro per il Paese da uno sgangheratissimo tassì guidato da un gentilissimo tassista, da Damasco, a Homs, ad Aleppo, passando da un posto di blocco all’altro, osservando la presenza di una quantità impressionante di uomini in divisa, quasi tutti disarmati e affaticati a dire il vero. Mentre tutto ciò accadeva, senza che si avvertissero particolari fremiti in una popolazione che da 7 anni scruta il cielo e aguzza l’udito per capire quanto il pericolo sia vicino, ho potuto ammirare l’eroismo di cristiani, alawiti e musulmani sciiti e sunniti”. In Siria “la Resistenza è un fatto quotidiano” e il libro narra, dunque, le sofferenze, la speranza, le storie di una vita che non si lascia piegare e dove l’intelligenza, la solidarietà e la generosità tra persone diventano atti eroici. Il terrore è negli occhi della gente. La descrizione di Aleppo, del Suq distrutto, scarnificato, disanimato, disinnescato nella sua capacità di coabitazione e di composizione delle differenze, suscita non poche emozioni in Badr Fakhouri, complice l’ottima interpretazione di Dolores Rotunno voce narrante di alcuni brani del libro.

     Il libro sostiene un Progetto di solidarietà dell’AMU, coordinato dal Movimento dei Focolari. “Le tensioni continue hanno martoriato il paese – sottolinea Francesco Tortorella, rientrato qualche giorno fa dalla Siria. Tante famiglie hanno perso il lavoro o sono sfollate in zone lontane dal centro città ritrovandosi isolate e senza nessun aiuto umanitario. Si vive sotto la soglia della povertà con forte carenza nell’assistenza medica e sanitaria a causa dell’immigrazione dei medici all’estero. Numerose le persone con disabilità fisiche. Tanti gli interventi e le attività dell’AMU inseriti nel Programma Emergenza Siria: assistenza socio-sanitaria, sostegno al reddito delle famiglie, educazione e formazione per ragazzi e bambini sordomuti”.  Il forte impegno di solidarietà dell’AMU e le testimonianze di Zanzucchi e Toschi sono elogiati da Emanuele Romallo, responsabile della Biblioteca e Antonio Matera dell’Associazione Igino Giordani, entrambi promotori dell’incontro.

     All’organizzazione dell’evento hanno collaborato anche il FIOF, l’Associazione La Breccia, Life Brain, Buon Campo e La Cantina Sociale di Barletta sempre in prima linea nei confronti della cultura della condivisione, della fratellanza e della pace.

 

Anna Russo Angelo Torre




A Manfredonia, un Natale per…

“Sono passati quasi 30 anni e a Manfredonia, ad ogni Natale, si ripete una serata speciale, con l’obiettivo di sostenere tante situazioni di povertà, in Africa, Terra Santa, Egitto, ma anche sostegno a distanza, aiuto a persone che vivono in povertà proprio a due passi da noi. Negli ultimi anni soprattutto migranti in difficoltà.

Caratteristica dell’appuntamento è il coinvolgimento intergenerazionale, attraverso uno spettacolo, di bambini, giovani, adulti e oltre.

Lo spettacolo 2018, la sera del 28 dicembre, ha raccontato la vita di Chiara Luce Badano, e ha visto alternarsi sul palco una decina di bambini e una decina di giovani, presenti circa duecento persone. La cosa che ci ha sorpreso è stata la serietà con cui le bambine hanno realizzato alcuni flash della vita di Chiara Luce. Sembrava che venissero attratte da questa figura.

Oltre allo spettacolo, una lotteria e una tombolata aiutano a far cassa, per sostenere l’impegno con le situazioni di povertà. “E se ogni tanto qualcuno di noi, un po’ stanco, dice di saltare almeno per un anno tale impegno c’è sempre un coro di sì, perché è uno dei momenti più importanti della comunità”.

E intanto, la comunità della cittadina pugliese si prepara a un altro evento: il 23 marzo si svolgerà la 10° edizione del Premio Chiara Lubich: Manfredonia città per la fratellanza universale”.

La comunità dei Focolari di Manfredonia




Io credo nel noi – Meeting giovani al Centro la Pace di Benevento

Benevento  – Centro la Pace – Incontro dei giovani del Movimento Parrocchiale                                                                                                                                  21 – 22 aprile 2018

Ripartendo da Gennaio, dove abbiamo ancorato il nostro amore a Dio Padre, unico timone della nostra vita, eccoci a raccontarci una nuova esperienza di condivisione con i nostri giovani della CAMPANIA, LAZIO e PUGLIA. Eravamo più di 110 pronti a metterci in gioco, scoprirci e viverci come ormai  è nello stile beneventino! Non manca la gioia, fatta di abbracci, nel ritrovarsi e finalmente guardarsi negli occhi e dirsi ancora una volta CI SIAMO! E poi le “nuove strette di mano” e i benvenuti a chi per la prima volta varca la soglia della struttura che, come sempre, non ci fa mai sentire estranei, ma parte di una famiglia!

Il tema di questo week end è l’amore al fratello. Believe in us, infatti, è una sfida a scoprire la bellezza, la fortezza e la gioia del credere nel noi. L’obiettivo previsto è quello di diventare giovani costruttori di comunità attraverso l’ascolto, la cooperazione e il dono di sé per l’altro. Tema importante e obiettivi arditi non fermano il programma che inizia la sua corsa…

Nell’accoglienza ciascuno riceve un cartellino dove scrivere il proprio nome, associato ad una nota musicale che servirà a formare i diversi gruppi. Iniziano le prime attività con i giochi di conoscenza per sciogliere quell’imbarazzo tra persone che per la prima volta s’incontrano e nulla sanno l’un l’altro. Sorrisi e risate confermano che i giochi mettono d’accordo tutti quanti nonostante la differenza di età. I gruppi iniziano a cucire i lori timidi rapporti, facendo tesoro di questa prima esperienza.

Si pranza fuori, al sole, con chi capita ed anche qui non si perde occasione per fare nuove conoscenze e condividere tutto: un panino, i taralli, una piccola esperienza di lavoro, e intanto qualcuno riceve un piatto di riso, un pezzo di dolce e una forte esperienza di perdono in famiglia! È proprio vero quello che dicono: donarsi per l’altro ti apre e rigenera il cuore!

Ritornando al programma, i gruppi si riuniscono per fare altri giochi! Si resta in cerchio con il sorriso stampato sul viso per il divertimento e così, mano nella mano, l’empatia inizia a circolare! Tra questi giochi c’è quello dell’ANGELO CUSTODE. Lo scopo è prendersi cura, come un angelo custode, di un componente del gruppo, il cui nome viene pescato e non rivelato fino alla fine del week end. Immaginate come ci si può prendere cura di una persona che abbiamo incontrato per la prima volta e non si conosce, in così poco tempo? Eppure tutti accettano la sfida!

In sala Rosalba e Andrea ci spiegano, con le loro piccole esperienze di vita ordinaria, come il prossimo sia stato sempre un’opportunità  per dare il meglio di se stessi, anche quando questo si è rivelato difficile da amare. In particolare Rosalba raccontava della sua timidezza e della difficoltà di fare il primo passo, soprattutto nei confronti di un’amica che non perdeva occasione per metterla in imbarazzo. Come affrontarla? Un aneddoto: prima di andare a dormire, provare a cancellare come con il cancellino alla lavagna, tutto ciò che è avvenuto durante la giornata, nel bene e nel male, compresi i nostri limiti, le nostre paure e le nostre barriere, per essere pronti a ricominciare e avere occhi nuovi per amare, accettare e vivere quell’amico….così difficile.

Nel pomeriggio vengono presentati 5 forum o, come alcuni hanno chiamati, momenti di dialogo, divisi per tematiche: POLITICA, AMBIENTE, SOCIALE, ARTE E SPORT. L’intento è quello di scoprire che quel noi (in piccolo) fatto di amici, famiglia, scuola, comunità parrocchiale, possa realmente diventare un NOI (in grande) come una nuova realtà o un nuovo progetto. Moderatori, esperti e la condivisione di alcune esperienze parrocchiali sono i protagonisti di ciascun forum dove all’interno i partecipanti interagiscono con la vita di qualcuno, “esperto” e comunità ecclesiale, che ha creduto nella possibilità di spendersi per l’altro, relativamente al proprio ambito, tanto da sposare un grande obiettivo, cambiare la propria vita quasi radicalmente, andare controcorrente, modificare una vecchia abitudine dannosa per sé e per l’altro.

Tutti questi forum celano un’impronta di speranza, quella che ti spinge a credere fino in fondo che nulla è impossibile se condiviso e pensato per e con l’altro, a vivere pensando che vale davvero la pena spendersi, fino ad andare fuori da sé stessi, per gli altri, a trovare il senso di tutto. Alla conclusione di ogni forum, si raccolgono i primi commenti a caldo: ci si ritrova in un “credevo di annoiarmi e invece ho avuto delle grandi risposte”, oppure “ignoravo la possibilità di essere nel mio piccolo un potenziale cambiamento” e ancora “ma perché queste storie così belle e cariche di gioia, non fanno rumore in tv come le cattive notizie?”….

La sera, dopo cena, i vari gruppi si ritrovano sul prato per giocare nuovamente insieme. Stavolta però i giochi verranno eseguiti assieme ad altri gruppi. Si prova così a mettere in pratica ciò che si è appreso nel pomeriggio con i forum. Il clima è diventato più famigliare e accogliente, ciascuno di noi si sente parte importante del suo gruppo, ormai ci si conosce tutti e quell’io iniziale e timido che in mattinata era “ma che ci faccio qui?”, “non conosco nessuno” oppure “chi sono queste persone?” ora è diventato un “cosa faremo ora?”, “proviamoci”, e ancora “dai che ce la facciamo insieme”!! e così tra occhi bendati e fiduciosi solo di una pacca sulle spalle, tra abbracci in equilibrio, ancorati solo da un foglio di carta come una piccola zattera, tra poche note ascoltate e riconosciute e tanti altri giochi, si scopre concretamente che insieme è davvero più bello! Quel noi fatto in piccolo può diventare un grande NOI. Alla fine dei giochi i capigruppo ricevono delle note musicali che devono portare su un gigante pentagramma a significare l’importanza che ciascuno nel suo piccolo gruppo e con la sua nota, messa assieme ad altre note di altri gruppi, compone una melodia armoniosa. Infatti qualcuno prova a suonarla ed ecco:

“…non sono un supereroe, IO CREDO NEL NOI se io ci sono per te e tu per me possiamo vincere

questo brano ha nella sue parole il senso di tutto ciò che fino ad ora si è fatto e siamo certi che sarà la colonna sonora che ci accompagnerà in questa esperienza.

Eccoci a domenica! La colazione è fatta di latte e risate: si ripensa ai giochi della sera e si commentano tutti gli episodi nei vari gruppi, le tavolate si mescolano sempre di più e anche il servizio diventa un’occasione per continuare a costruire un rapporto con quel fratello appena conosciuto o a consolidare uno già esistente…. tutto viaggia su un’unica armonia, quelle note nella loro splendida melodia, si stanno facendo sentire.

In sala incontriamo mons. Lucio Lemmo, il vescovo del sorriso! La sua gioia nel vederci ed incontrarci è davvero contagiosa. I ragazzi gli chiedono come amare il fratello sempre e soprattutto quando è difficile, quanto ci costa. Le sue parole in risposta a queste domande sono semplici e arrivano al cuore di tutti. Ci consiglia a buttarci ad amare gratuitamente senza aspettarsi nulla in cambio, a prenderci cura degli ultimi semplicemente senza etichettare o giudicare nessuno, a non aver paura di mescolare la propria vita con l’altro, a far sentire unico chiunque incontri il nostro cammino come se amassimo solo quel fratello in quel momento e poi quel fratello in quell’altro momento, affinché quell’amore non cessi mai di circolare. Don Lucio ci mostra il lato più umano e dolce della Chiesa, quel luogo in cui poter credere che si può essere piccoli costruttori di comunità perché la Chiesa è dei giovani!…lui crede nel NOI!

È il momento di donare: i gruppi sono chiamati a costruire e poi portare qualcosa che rappresenti il NOI nato e cresciuto in questi giorni ed è inevitabile il confronto e la condivisione. Ognuno porta la sua personale esperienza di vita che vuole condividere con tutti: c’è chi si promette di continuare ad essere vicini l’uno con l’altro nonostante le distanza geografiche perché contano sulla presenza di Dio che ha permesso questi incontri nuovi; c’è chi dona coraggio e forza a chi è nella prova; c’è chi ringrazia tutti per aver avuto in questi giorni una rinascita di sé; c’è chi “credendo nel noi” ha ritrovato la fiducia in se stesso; c’è anche chi venendo solo e non conoscendo nessuno ringrazia per aver trovato nuovi amici e il vero significato di amore gratuito.

Questo torrente di amore reciproco arriva in sala con i simboli che ciascun gruppo ha pensato, realizzato e motivato in gruppo. Tante sono le sfaccettature che si colgono tra i gruppi: amicizia innanzitutto, poi serenità, speranza, tanta fiducia, gioia piena e sincera, affiatamento, dono per l’altro, aiuto reciproco, presenza!

C’è una strofa del brano, colonna sonora del nostro week end, che dice: “… Apro il mio cuore e scopro che se io penso al bene degli altri do il meglio di me….”, credere nel noi non è utopia ma verità, possibile realtà. Dare importanza al noi richiede una forte dose di fiducia nell’IO, aldilà delle mie paure e dei miei limiti, e nel TU portatore di nuovi rapporti e di nuove scoperte INSIEME!

La chiave di violino è il simbolo che ci viene donato per ricordarci che per iniziare a scrivere una bella canzone sul pentagramma della vita, dobbiamo partire da quella chiave che è Dio, per far sì che ciascuna nota, nel suo posto e assieme ad altre note, possa far sentire quella melodia che apre il cuore e dona il meglio sé per gli altri!

Grazie a tutti ed alla prossima!




Comunità di Corato: andare incontro ai tanti volti della povertà

Per la comunità locale di Corato (BA) l’invito del Papa a compiere gesti concreti, e andare incontro ai tanti volti della povertà durante la settimana che precedeva la prima giornata mondiale dei Poveri, è stata una bella occasione per guardare alle tante necessità che sono presenti nella nostra città.

Insieme ci siamo chiesti in che modo agire. L’aspetto importante da cui siamo partiti è stato quello di ricordarci che dare può presentare delle insidie che dovevamo tenere in considerazione prima di scegliere cosa fare. Abbiamo ripensato ad alcuni aspetti importanti della cultura del dare di cui parla Chiara Lubich soprattutto che essa non può essere ridotta a dare qualcosa di materiale, ma significa amare, riconoscere che l’altro mio fratello, che è in condizione di ricevere, è anche capace di dare, un sorriso, un abbraccio, tempo, la sua allegria…

Abbiamo anche ricordato che se non viviamo il dono in questa rapporto di reciprocità rischiamo di dare per metterci a posto la coscienza oppure il nostro dare può umiliare il fratello o anche che potremmo dare per metterci in mostra o per avere un giorno qualcosa in cambio.

Per questo abbiamo deciso che la cosa più bella che potevamo fare era partire dai rapporti. Pensare a famiglie o persone con le quali avevamo già un rapporto personale e che, nell’amore reciproco e gratuito, si erano sentite libere, in altre circostanze, di donarci i loro bisogni materiali, di confidarci le loro necessità e difficoltà. Impegnarci ad andarle a trovare, dedicando loro tempo e cercando di capire se in questo momento vivono difficoltà e se fossero state contente di ricevere un dono.

Ci siamo accordati così per entrare nella vita del fratello in punta di piedi, con discrezione, per ascoltare con amore e poi accogliere le esigenze manifestate, provvedendo tutti insieme all’acquisto di quanto necessario. Abbiamo deciso anche di recapitare i doni facendo dei pacchetti belli, con carte colorate e nastri, per dire al fratello che ne rispettiamo la dignità di persona.

Per le possibili richieste di indumenti ci siamo coordinati con l’associazione “Condividiamo”, nata nella nostra città qualche anno fa grazie ai rapporti tra alcune famiglie che vivono l’ideale e mettono in circolazione tra di loro, e con chi vuole vivere la sobrietà, indumenti e beni per la casa.

E così ci siamo messi in azione ed è stato molto bello scoprire la ricchezza della nostra comunità locale: infatti per la prima volta abbiamo condiviso come un bene prezioso i tanti rapporti che ciascuno di noi coltiva nella città con famiglie e persone: un gruppo di famiglie georgiane, una famiglia rumena, vicini di casa soli, parenti e amici ammalati, mamme di compagni di scuola dei nostri figli, persone che frequentano le nostre parrocchie. Qualcuno tiene i rapporti con la casa famiglia e il centro diurno per minori della vicina città di Ruvo.

Abbiamo pensato che questa fosse una bella occasione per conoscere come è organizzata l’accoglienza degli immigrati nella nostra città e abbiamo avviato un dialogo con il centro per i minori di Corato.

Sabato 18 novembre ci siamo ritrovati e abbiamo messo insieme tutti i beni di cui era arrivata richiesta: materiale scolastico, prodotti per l’igiene della persona, indumenti per bambini di 6, 10 e 12 anni, pigiamini, ciabattine, indumenti per neonati, merendine, zaini per la scuola, coperte, lenzuola. Abbiamo raccolto una piccola somma di denaro per un ragazzo ammalto.

C’era tra noi un’aria festosissima e di famiglia. Abbiamo impacchettato ogni cosa con cura, avendo attenzione a coordinare bene il colore di carta e nastrini, pensando a chi avrebbe ricevuto quel pacchetto e vedendo in lui il volto di Gesù povero, di Gesù solo, di Gesù straniero, di Gesù nudo, di Gesù affamato, di Gesù ammalato.

Insieme a tutte queste cose sono arrivate anche delle esperienze di quanti non sono riusciti ad unirsi al gruppo e hanno risposto all’incontro con Gesù lì dove erano. La condivisione del tempo ci ha permesso di conoscerci meglio e di capire come insieme possiamo arrivare con più gioia a tanti e che è bello continuare a coltivare questi rapporti per farli crescere, consapevoli del fatto che da ciascuno di questi nostri fratelli noi riceviamo il centuplo in beni che non si toccano ma che sono il segreto per far crescere e moltiplicare la vita.

La coordinatrice del CAS che accoglie a Corato una trentina di migranti minori di età, ci ha chiamati riferendoci la gioia dei ragazzi nel ricevere materiale scolastico, prodotti per l’igiene e confezioni personalizzate di crema idratante, impacchettate come singoli pacchetti dono.

La stessa coordinatrice ci ha fatto presente anche la Sua grande gioia nel riscontrare il nostro interesse alla realtà nella quale profonde tante energie e per la possibilità di poter continuare a collaborare nell’interesse dei ragazzi.




Work in progress…. abbiamo un sogno da realizzare!

Questo è il titolo che i giovani delle realtà parrocchiali della Campania e della Puglia hanno voluto dare al cantiere che si è svolto nel weekend 25/26 marzo 2017 scorso presso il Centro “La Pace” di Benevento

Trasmettere ai giovani la bellezza di una Parrocchia che vive e si muove in unità, questo il desiderio che ha spinto un gruppo di loro a lanciarsi in questa iniziativa.

Lavorando insieme gomito a gomito, o ancor meglio “cuore a cuore”, hanno contattato personalmente i sacerdoti e presentato alle loro comunità questo progetto, trasmettendo il loro entusiasmo e la loro fiducia.

Questi rapporti hanno portato al coinvolgimento di più di 150 giovani provenienti da 37 parrocchie diverse delle due Regioni, molti al loro primo contatto con l’Ideale, la spiritualità  del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich.

L’accoglienza, il gioco hanno preparato il terreno e una speciale caccia al tesoro ha portato tutti ad iniziare con una promessa, quella di provare ad amare “puramente”, cominciando da questi due giorni.

Le domande dei giovani trovano risposte nel confronto con due sacerdoti del Movimento dei focolari, don Virgilio e don Sergio, che consigliano e suggeriscono con la loro esperienza concreta come contribuire alla costruzione e alla rivitalizzazione delle realtà parrocchiali.

Tutto è approfondito negli incontri di gruppo in cui si ha la possibilità di condividere la propria esperienza, la propria anima.

A sorpresa arriva il vescovo di Benevento, Mons. Felice Accrocca, che si trattiene coi giovani accettando anche l’invito a cena.

Dopo cena tutti vivono con grande intensità l’adorazione eucaristica e il gesto simbolico di “bruciare l’uomo vecchio” per iniziare una vita nuova.

La domenica inizia con la presentazione di Marco, Sameiro e don Mariano della Segreteria Centrale del Movimento Parrocchiale, che guidano una mattinata ricca di esperienze concrete provenienti da diverse realtà parrocchiali a cui fa seguito un momento gioioso e di festa dei ragazzi riuniti per zone territoriali.

Prima di ripartire, in sala ci si ritrova per un ultimo momento di condivisone dove si avverte da tutti i partecipa
nti la gioia dello stare insieme, ma anche la volontà di darsi da fare e di continuare in questa nuova rete di rapporti.

Ognuno sente di avere la giusta ricarica per andare e portare frutti nei propri territori.

Tanti gli echi
positivi dalle comunità parrocchiali, molte delle quali hanno chiesto di continuare insieme questo percorso.

 




Concretezza evangelica: un sacerdote racconta

Una cosa in me è chiara: non mi sono fatto prete solo per risolvere semplicemente tutti i problemi economici e sociali dei poveri, ma per riconoscere Gesù sofferente in ogni persona che incontro lungo la giornata e vivere in modo tale che possa farsi strada lo Spirito del Risorto, capace di offrire luce e concretezza evangelica anche di fronte alle problematiche sociali e culturali.

È stato, infatti, l’amore a Gesù sfgurato dalla povertà e dal bisogno a darmi la forza di gettarmi a capofitto ad aiutare chiunque me lo chiedesse.

Con questo atteggiamento in cuore, sono diventato anche amico dei frequentatori di un bar nei pressi della parrocchia. In tanti momenti mi fermo a prendere con loro un caffè o mi presento con pacchi di viveri avuti in dono dalla Caritas o procuro qualche giornata lavorativa a chi ha maggiormente bisogno.

Alcuni di loro, appassionati di musica e dotati di “talento”, si sono offerti a collaborare per la festa patronale. Ne è nata una serata organizzata da loro, dalla gente del quartiere, in un clima di famiglia. I musicisti sono stati i veri protagonisti, tutti ne hanno approvate le qualità e loro si sono sentiti orgogliosi di poter servire il quartiere.

Non di rado il bene fatto viene ripagato con l’indifferenza e la povertà porta qualcuno a sfruttare la parrocchia, come è successo con un uomo caduto in chiesa che mi ha chiesto una forte somma quale risarcimento per un braccio rotto e, visto che l’assicurazione non voleva pagare, mi ha citato in tribunale.

Per tutta risposta io continuo a ospitarlo in parrocchia . . . Le persone della parrocchia hanno saputo di questa mia reazione ed hanno commentato: «Noi avremmo reagito in modo diverso, ma tu sei cristiano e questo ci piace». Penso che questa esperienza sul perdono valga più di molte prediche.

Gerardo Ippolito

Leggi l’esperienza completa sulla rivista Gen’s – 4/2016 pp.170-172




L’uomo dei miracoli – Una nuova raccolta di brani per la liturgia

Una raccolta di 12 brani che nasce, come sempre, dalla volontà di rendere, in maniera artistica, un servizio alla Chiesa Cattolica.

Scrivendo ciascuno brano ho pensato principalmente alla liturgia pasquale, ma tutti i canti del disco possono essere utilizzati in qualsiasi celebrazione del tempo ordinario. I testi, di facile comprensione e mai banali, traggono tutti ispirazione dalle omelie di Don Vincenzo Di Pilato, Rettore del Santuario Madonna delle Grazie di Corato (BA) e docente di Teologia Fondamentale nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Trani, durante le celebrazioni delle messe domenicali, alla cui animazione collaboro personalmente.

Una particolare attenzione è posta alle linee melodiche: orecchiabili e sviluppate entro un range limitato, facilmente cantabili dall’assemblea, ma mai scontate. Sono state musicate le principali parti fisse. L’alleluia, ad esempio, si sviluppa attraverso tre salti di tonalità (Do, Re e Mi maggiore) e, come molte delle mie composizioni, nonostante tali cambi, rimane facile da suonare anche con la sola chitarra, mentre il “Gloria” è cantato tutto di seguito, in un’unica tonalità e con il ritornello che si ripete solo alla fine, così come indicato da alcune norme liturgiche. “L’hai scritta in me”, può non sembrare un brano prettamente pasquale ma l’ho pensato come una seconda possibilità di scelta del canto di ingresso, immaginando che Gesù stesso, rivolto al Padre dica “Io sono la tua Parola” si compia in me la tua volontà. Infine, ricorre in ogni brano, quale unico filo conduttore, l’ispirazione che il Signore è vivo, e quindi risorto in mezzo a noi, quando noi ci amiamo come Egli ci ama, infatti Gesù stesso dice “dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,15-20).

Chi c’è dietro al progetto

francesco-cioffi

Francesco Cioffi, musicista, cantautore, compone anche canzoni per la liturgia e per incontri giovanili. Voce solista e autore della band e compagnia teatrale pugliese “Medison” con la quale ha all’attivo numerosi concerti e spettacoli in varie regioni d’Italia, ultimo fra i quali “INdiVISIBILI”, tratto dalla storia di 3 ragazzi migranti, ospiti di un centro di accoglienza nella sua città.

 




Tra i ciliegi: fiori e . . . frutti

Dall’ “invasione” alla condivisione. Succede in Puglia.

Al turista che desidera visitare la Puglia in aprile, alcune agenzie turistiche propongono un particolare percorso nella famosa terra dei trulli, delle  grotte di Castellana, nelle campagne di Conversano e Turi, per assistere ad un meraviglioso spettacolo: una distesa di candidi ciliegi in fiore, inframmezzati da verdi macchie di ulivi, che lascia rapito l’ignaro osservatore. A metà maggio, poi, lo scenario viene affrescato di nuovi colori, il bianco cede il posto al verde delle foglie che, al soffio del vento, lasciano occhieggiare rosse e gustose ciliegie, le più premiate d’Italia.

ciliegioE’ questa generosa campagna la terra della ciliegia ‘’ferrovia’’, il cosiddetto ‘oro rosso’ che ha dato una svolta determinante all’economia di gran parte del territorio, di cui Turi è parte rilevante.

Nel periodo della raccolta di questo prezioso frutto, a metà maggio, questa cittadina è ‘’invasa’’ da un gran numero di lavoratori stranieri, immigrati. Per gli agricoltori è un’invasione benedetta, indispensabile per l’insufficiente mano d’opera locale e per un raccolto che occupa un numero limitato di giorni ad un ritmo incalzante.

Il tam tam  di questa richiesta raggiunge l’interland barese e perfino i campi di accoglienza della Calabria. Gli immigrati ormai sanno di poter contare su alcuni giorni di lavoro sicuro e spesso retribuito a norma sindacale, riducendo sensibilmente le situazioni di sfruttamento e lavoro in nero.

Per mancanza di strutture d’accoglienza, i lavoratori sono costretti a ricoveri di fortuna, dalle auto alle panchine dei giardini pubblici, sotto gli archi o nei pressi delle stazioni di servizio, con le comprensibili conseguenze di degrado a livello igienico e dell’immagine stessa di un paese civile. Quest’anno, finalmente nuovi e giovani amministratori hanno accolto le voci di protesta levatesi in particolare dal mondo del volontariato e si sono adoperati in tempo per cancellare questo obbrobrio, offesa alla dignità della persona umana e al decoro di un popolo che nel passato ha vissuto, come emigrato, situazioni di emarginazione e rifiuto.

Collocata a breve distanza dall’abitato, con l’intervento della Prefettura di Bari, con la collaborazione della Protezione civile ed alcune associazioni, una tendopoli, con servizi igienici, ha accolto circa cento lavoratori marocchini, in numero inferiore agli anni scorsi, per la ridotta produzione dovuta all’inclemenza del clima. Un’attenzione particolare è stata rivolta al rispetto delle norme stabilite: ordine del campo, orari, documenti di soggiorno ed un controllo continuo dell’assessore ai servizi sociali, dei carabinieri e vigili urbani.

Alcuni momenti di questo ‘’soggiorno’’, sono stati particolarmente significativi.

Alle 20,30 circa, dopo la preghiera dei musulmani, spesso la vita del campo si è animata ed arricchita di nuovi volti e idiomi. Odori e sorrisi hanno dato uno slancio, un guizzo di ‘’felicità’’ a volti stanchi che hanno visto e subito chissà quante angherie e soprusi. Scouts, giovani di organizzazioni e di partiti, adulti di associazioni di solidarietà come Umanità Solidale Glocal e un gruppo del Movimento dei Focolari, ciascuno con il proprio stile, in men che non si dica, hanno allestito una cena al campo. Se non è mancata talvolta la pasta al forno, più spesso sono arrivate minestre di verdure e legumi, nell’osservanza della fede dei musulmani, sollievo alle membra stanche di lavoro, ma soprattutto espressione d’ interesse umano per la condizione di persone che fame e guerra hanno costretto ad abbandonare la propria terra. Momenti di condivisione e fratellanza in cui vengono espressi anche altri bisogni: le scarpe numero 43 e 44, indumenti per i bimbi o le mogli, medicinali o la cura di una ferita, un frigo,  una lavatrice….A tutte le richieste si è cercato di dare risposta; anche un amico medico di Acquaviva è venuto più volte e il loro ‘’grazie Italia’’, comunicato con gli occhi oltre che con le parole, esprimeva un vissuto di dolore ma anche di speranza.

Era iniziato da due giorni il Ramadan, quando il prof, Daneo di ‘’Religions for Peace Italia’’, invia la lettera di saluto ed augurio del vescovo mons. Spreafico, Presidente della Commissione per il dialogo interreligioso della CEI a tutti i musulmani per la sacra ricorrenza.

Un’attenzione importante per costruire rapporti di conoscenza più profonda, anche sotto l’aspetto religioso, aspetto a cui a Turi Ausg  è particolarmente attenta con incontri di conoscenza delle altre fedi, per vincere l’ignoranza, causa spesso di paure e rifiuti.

Con gli assessori comunali Orlando e Caldararo, delegati alla Cultura e al Welfare,  si preparano fotocopie per ciascuno, aggiungendo anche gli auguri personali e della cittadinanza. Si va al campo dove si legge il contenuto. Un giovane si offre per la traduzione in arabo ed è prezioso il suo intervento per la presenza di giovani che non conoscono affatto l’italiano.

Perchè non scriviamo anche noi al Vescovo per ringraziarlo? È la proposta di alcuni giovani, accolta da tutti e, accanto ad una foto che ricorda il momento di particolare condivisione, una lettera ci viene recapitata qualche giorno dopo che inviamo con premura.

E’ la testimonianza visibile che, coniugando economia, solidarietà, accoglienza, con l’impegno delle Istituzioni e la collaborazione di cittadini attivi, anche in un momento storico di particolari tensioni, è possibile promuovere una nuova vitalità della città e costruire nuovi percorsi di civiltà. La vittoria sulla paura e la diffidenza, per passare dal timore alla fiducia reciproca.

 




Ho visto la morte sul treno . . .

“Ho visto la morte sul treno del disastro in Puglia, ma quell’incidente mi ha insegnato cos’è la vita”

Un mese fa, la mattina del 12 luglio, 23 persone hanno perso la vita nello scontro fra treni sul binario unico della Ferrotramviaria tra Andria e Corato. Valentina Dell’Olio, 23 anni, di Triggiano, era a bordo di una di quelle vetture. Viaggiava verso Barletta, dove frequenta un corso da costumista. Ora è a Imola, dove è ricoverata per un percorso di riabilitazione e ha raccolto il nostro invito a raccontarci questi giorni.

di VALENTINA DELL’OLIO

Dell’incidente ricordo tutto, non ho mai smesso di essere lucida. Ricordo un fortissimo schianto in seguito al quale mi sono ritrovata catapultata e poi incastrata chissà dove, forse sulla carrozza del treno o addirittura sui binari, non avevo la visuale per potermene rendere completamente conto. lizzato cosa era successo e, nonostante ciò, paradossalmente ho mantenuto una totale calma e autocontrollo: non si poteva cambiare nulla, sapevo che l’unica cosa che dovevo fare era aspettare pazientemente i soccorsi che certamente, sapevo, sarebbero arrivati.

Ho subito fatto un’analisi della situazione guardandomi intorno. Vedevo macerie ovunque, pezzi di vetro e chissà che altro. Ricordo di aver riconosciuto una mia gamba dalla scarpa al piede. Era completamente girata. In quel momento ho preso seriamente in considerazione l’ipotesi che potessi aver perso un arto. Però ancora sentivo questa forza e questo grande autocontrollo e la prima cosa che ho pensato è stata: “Ok, un pensiero alla volta. Nella peggiore delle ipotesi potrei mettermi in contatto con Giusy Versace e lei forse saprà come aiutarmi. Intanto sono viva: è un dato di fatto”

Intorno a me sentivo urla di disperazione, in particolare di un bambino che era incastrato alla mia sinistra: Samuele. Era molto spaventato e per quanto possibile ho cercato di calmarlo, ripetendo tante e tante volte che doveva stare tranquillo perché i soccorsi stavano arrivando. Ma era inutile perché era in evidente stato di shock. Fortunatamente siamo stati fra i primi a essere liberati. Sono arrivata all’ospedale di Barletta. E prima di farmi la tac ho chiesto ai medici: “Ho tutti gli arti?”. Loro mi hanno risposto di sì e io ho tirato un sospiro di sollievo. Poi ho chiesto: “Vi prego, non amputatemi niente!”. E i medici, sorridendo, mi hanno detto: “No, no, stai tranquilla”.

In quel momento ero più serena. L’incidente mi ha resa molto più forte. E mi ha fatto scoprire un infinito affetto da parte di tantissime persone, da ogni parte del mondo. Dal risveglio mi sono sentita costantemente e fortemente avvolta da questa grande e inspiegabile carica energetica. Mi sento davvero connessa a tutti ed è una scoperta mistica, inspiegabile. Indubbiamente l’incidente non è stata una bella cosa, ma sto riuscendo a cogliere tutto il bello che mi sta portando (ed è davvero tanto). Nonostante tutto mi ritengo fortunata per tanti piccoli grandi eventi: per esempio aver incontrato lungo il mio percorso medici eccezionali, infermieri affettuosissimi e simpaticissimi (e colgo l’occasione per smentire ciò che si dice sulla malasanità in Italia).

Al momento il mio unico obiettivo è recuperare le mie funzioni al 100 per cento. Sono focalizzata davvero intensamente in questo e ci credo molto e voglio farcela per me stessa, ma soprattutto per tutti coloro che credono in me. Sono concentrata soprattutto sul presente, ma il mio futuro lo immagino roseo e spero tanto di poter diventare un esempio, una speranza vivente per tutte le persone che si trovano ad affrontare situazioni simili. Sicuramente l’incidente mi ha dato una forte spinta a vivere la vita pienamente, a fare tutte quelle cose che, per paura o per timidezza, spesso si rinuncia a fare. Assecondare di più il proprio istinto e i propri sogni, senza alcuna sorta di timore. Lanciarsi nella vita.

Non vedo l’ora di riprendere il mio percorso di studio, tutte le mie attività artistiche, sperimentarne di nuove e rendermi utile agli altri. Affronto tutto con fiducia, ottimismo e col sorriso. Sento dentro di me che ce la devo fare anche per tutti quelli che, purtroppo, non ce l’hanno fatta. Mi immagino, quando tutto sarà finito, di organizzare una megafesta alla quale vorrò invitare tutti coloro che, in tanti modi, stanno vivendo con me questa esperienza.

Fonte: http://bari.repubblica.it/cronaca/2016

 




Summer School di Economia Civile

http://www.amectaranto.it/bando-summer-school-di-economia-civile-2016-17/

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