Dammi tutti i soli

Ultimamente ricordo spesso la meditazione di Chiara Lubich: “Signore, dammi tutti i soli”.

Questa mattina, dopo la Messa in centro a Genova, sotto i portici di Via XX Settembre, davanti a me vedo un signore cadere. Subito si fanno attorno delle persone che lo aiutano ad alzarsi; gli offrono una sedia, ma lui rifiuta dicendo che sta bene. Riprende a camminare ma con un passo incerto.

Mi affianco e chiedo dove deve andare, se vuole che lo accompagni; mi dice che deve andare alla stazione. Mi offro di andare con lui, visto che devo andare da quella parte. “Qualche giorno fa mi è successa la stessa cosa – continua – sono solo, le assistenti sociali mi vogliono far ricoverare…sono senza mangiare da due giorni”.

“Forse è per questo che si è sentito male – gli dico – vuole prendere qualcosa?”
Si schernisce: “No grazie”. Insisto, pensando che è senza forze perché digiuno. “Prendiamo un caffè insieme?” Accetta! Prende un cappuccino e un dolce, io il caffè.

“Grazie, quanta gentilezza…ma oggi non c’è più amore da nessuna parte”.
Gli dico che un’amica mi ha insegnato che: ‘Dove non c’è amore metti amore e troverai amore’. “E lei ci crede? – mi dice. “Sì rispondo, perché è l’unica cosa che rimane nella vita”.

Mi guarda e mi dice: “E’ vero! Grazie – continua – grazie per quello che ha fatto per me”.
Per toglierlo dall’imbarazzo gli dico: “Lei l’avrebbe fatto per me?” “Certo! – risponde con un sorriso – un giorno spero di poter ricambiare questo momento”.Lo saluto mentre sta ancora sorseggiando il cappuccino. In me è forte la sensazione di avergli riscaldato un po’ il cuore.

Natalina




Presentazione a Genova del libro: “Le Ragioni del Dialogo”

Sabato 24/09/2022 presso la “ Sala parrocchiale”  della Chiesa di S. Francesco  a Genova Pegli è stato presentato il  nuovo volume:

 “ LE RAGIONI DEL DIALOGO”   ( Possiamo dirci cristiani se escludiamo dal nostro orizzonte chi non lo è)

  di Armando Siciliano editore, Messina- Civitanova Marche, 2022

Questo lavoro realizzato in maniera condivisa da Renato Algeri, Roberto Catalano, padre Andrea Mandonico, che è stato presentato a Genova- Pegli, e che ha registrato una numerosa partecipazione di pubblico (più di settanta persone), nonostante si svolgesse in una piovosa  giornata , è il frutto di un’idea scaturita due anni e mezzo fa, quando si manifestarono in Italia, come nel resto del mondo, i primi segni della pandemia da Coronavirus ( Covid). L’idea che mi venne in quel momento riguardava il fatto che questo nuovo, inaspettato, evento pur nella sua drammaticità, come si è avuto modo di constatare nei due anni successivi, potesse favorire la comprensione che era veramente giunto il momento di porre le basi per un tipo di convivenza nuova, in cui si capisse e si facesse propria una consapevolezza diversa. La consapevolezza di come molte sicurezze, sulle quali è stata costruita la nostra civiltà, non fossero poi tali e di come  il nuovo evento facesse emergere un generale senso di fragilità. E, a partire da questa presa d’atto, di come fosse importante cercare di costruire, anche attraverso la maggiore conoscenza e accettazione delle diversità presenti nel nostro mondo, rapporti più amichevoli e fraterni.  Dunque, partendo da queste considerazioni concludevo, credo insieme con non pochi altri, che la pandemia fosse, non solo, come di fatto era, un evento drammatico a livello mondiale, ma anche  “ un’occasione”  per sviluppare una nuova visione dei rapporti umani.

Questa idea è stata condivisa da Roberto Catalano, che si occupa da molti anni, sia a livello di approfondimento teorico che di costruzione  di relazioni concrete, di dialogo interreligioso; come, anche, da padre Andrea Mandonico, religioso dello SMA ( Società delle Missioni Africane), che da anni si è occupato della figura e dell’opera di Charles de Foucauld, sul quale ha realizzato uno scritto pubblicato alcuni mesi fa, e della cui causa di canonizzazione è stato il vice-postulatore (la canonizzazione è avvenuta  per mano di papa Francesco nel maggio scorso in P.zza S. Pietro).

La presentazione è stata organizzata dal CUP ( Centro Universitario del Ponente – genovese) e dal Serra Club, con il sostegno attivo del Movimento dei Focolari di Genova.

Erano presenti due degli autori, Padre Andrea Mandonico e Renato Algeri, mentre il terzo, Roberto Catalano, ha realizzato un collegamento online. Ha moderato l’avvocato Paolo Aiachini, del Serra Club di Ge-Pegli, affiancato dalla prof.ssa Angela Delfino, responsabile della commissione cultura del CUP, e Laura Della Casa, presidente del circolo Serra Club di Ge-Pegli. Era presente il parroco di S. Francesco, don Pietro Cattaneo, che ha aperto il convegno con un contributo personale ricco di spunti desunti dalla lettura del nuovo libro

Al termine degli interventi degli autori, si sono avuti altri contributi, portati da esponenti di altre fedi: Salah Husein per l’Islam, Maria Valeggi ( Savitri, nome induista) per l’Induismo, Mauro Anastasi, per la comunità buddista del Sokka Gokai. Ognuno di loro ha colto degli spunti positivi dal ns. libro, ed ha confermato l’attenzione e l’importanza del dialogo, come un momento che possa davvero contribuire a una migliore e costruttiva convivenza, anche nel contatto quotidiano – nel lavoro, nel vicinato, o anche nel tempo libero –  con chi vive una spiritualità ed ha un retroterra culturale diversi dai nostri. In ogni intervento è stato  sottolineato come sia importante conoscere meglio ciò che sta alla base delle diverse fedi, quindi come questo libro possa offrire un contributo di conoscenza e approfondimento in questo senso.  Hanno, poi, portato un contributo una esponente del movimento dei Focolari, Daniele Bignone, ed una della Comunità di S. Egidio, presentando esperienze in cui si è mostrato come sia stato e sia possibile portare avanti un incontro amichevole e costruttivo con persone di fedi differenti.

Per quanto riguarda la presentazione, padre Andrea Mandonico, Roberto Catalano ed io abbiamo sintetizzato, ognuno per la propria parte del lavoro realizzato,  alcuni aspetti di fondo.

Personalmente,  ho fatto riferimento allo storico incontro delle religioni, per la pace nel mondo, ad Assisi, voluto dal papa S. Giovanni Paolo II nell’ottobre 1986, al quale- ho ricordato- ebbi la fortuna di partecipare.  UN incontro che rimarcava come , dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica avesse scelto la via del dialogo, dell’accettazione e comprensione delle diversità. Ho sottolineato come mi sono soffermato sulla Dottrina Sociale della Chiesa, dedicando un approfondimento ad alcune encicliche sociali (Populorum progressio – Centesimus annus) successive al Concilio; ultima delle quali, ma non certo per importanza la “Fratelli tutti” ( 2020) di papa Francesco. Ho, quindi, richiamato le pagine in cui presento sinteticamente il “Personalismo”, espressione rilevante del pensiero filosofico cristiano del ‘900 e quelle sulle testimonianze di dialogo da parte del mondo cattolico: una con non credenti l’altra con la cultura

Roberto Catalano ha evidenziato, nel suo intervento, come  ha curato, l’ esposizione di fonti e principi delle due principali fedi presenti nel continente asiatico, Induismo e Buddismo.  Anche nella sua esposizione grande rilievo è stato dato al Concilio Vaticano II. Ha, infatti, chiarito come con il documento “Notra Aetate”   sui rapporti con le altre religioni, le assise conciliari  hanno avviato una stagione, di cui ora possiamo sempre più cogliere i frutti, in cui si è passati,  dalla concezione “ extra ecclesia nulla salus” (al di fuori della Chiesa non c’è alcuna salvezza), ad una in cui  si riconosce – pur senza negare l’autenticità del patrimonio della fede cristiana – che, in ogni altra fede religiosa, vi sono “semi di verità” e che Dio è un Padre misericordioso per ogni uomo, a qualunque fede, cultura, etnia, sesso, appartenga.

Ha, poi, documentato come si sia realizzato, a partire dal secolo XX, un mutamento che ha  definito “ assiale”; il passaggio da una tendenza “ centrifuga”, in cui ognuna delle grandi fedi aveva sviluppato la propria identità differenziandosi dalle altre, ad una epoca nuova in cui è emersa una tendenza opposta “ centripeta”, di avvicinamento, in cui si rimarcassero più gli aspetti che avvicinano di quelli che distinguono le fedi presenti al mondo, pur senza “ rinnegare” la propria tradizione ed il proprio patrimonio

Nel suo intervento p. Andrea Mandonico, ha posto in rilievo la figura  e l’opera di San Charles de Foucauld, cui è stato dedicato l’ultimo capitolo del volume, proprio come esempio di una “ fraternità universale” ( riprendendo una definizione che del nuovo santo aveva già dato papa Paolo VI, nella “Populorum progressio” – 1967-  e che è stata riproposta da papa Francesco nella “Fratelli tutti” ). Dall’esempio di “fratel Charles”, che operò, all’inizio del ‘900, nel deserto algerino tra il popolo dei Tuareg di fede musulmana, ponendosi come amico senza pretese di proselitismo, ha ricordato come sono nate nel mondo numerose fraternità che si ispirano al suo carisma. Ha, inoltre, posto in evidenza quale fu il “ metodo” da lui adottato. Un metodo che si basava  sul dialogo fondato sul presupposto della conoscenza, condizione essenziale per  creare amicizia e dell’ essere buoni, soprattutto con i più poveri.

Il convegno si è concluso con alcune domande poste dal pubblico presente.

  A cura di Renato  Algeri 

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Video 1a Parte: dai Saluti e Presentazioni sino agli interventi degli autori del Libro:

Video 2a Parte: interventi dei Rappresentanti delle Religioni e dei Movimenti Ecclesiali + dialogo finale:

Fonte: https://focolareliguria.altervista.org/presentato-a-genova-pegli-il-libro-le-ragioni-del-dialogo/




Ricordando la Beata Chiara Badano

Vedi anche:  http://www.chiarabadano.org/2020/09/24/news-2010-2020-25-settembre-10-anni-beata/




Presentazione dei libri: “Liberamente Veronica” e “Dialogo dunque sono” – Imperia 31 luglio

Festival della Cultura Mediterranea di Imperia Venerdì 31 luglio 2020 

L’evento è promosso dal Centro Socio culturale Igino Giordani del Ponente Ligure che aderisce al progetto Italia generosa del Movimento dei Focolari – Italia

Info: http://www.fieradellibroimperia.it/presentazione-2020/

RIVEDI LA DIRETTA STREAMING:




Tempo del NOI – Fraternità. Genova ricorda la sua cittadina onoraria Chiara Lubich

Il 14 dicembre 2001 Chiara Lubich riceveva la cittadinanza onoraria di Genova. Quasi dieci anni dopo il capoluogo ligure ha ricordato il centenario della nascita della sua concittadina con un convegno dal titolo un po’ ambizioso: “Il tempo del NOI – Fraternità”. Un’occasione per guardare la Genova di oggi con gli occhi che avrebbe utilizzato la Lubich dalla sua particolare prospettiva.

Uno sguardo capace innanzitutto di fare tesoro della storia della, tratteggiata da Davide Penna ed Emanuele Pili, entrambi filosofi dell’Università di Genova, da cui è emersa la naturale propensione del capoluogo ligure all’accoglienza e alla solidarietà. E che grazie a questa sua concittadina può aprire strade e piste ad una nuova frontiera da raggiungere: quella della fraternità.

Occhi poi concreti sull’oggi, di chi guarda ai numeri che mostrano, crudi, le ferite delle zone d’ombra del capoluogo ligure: i problemi abitativi di tante famiglie, la realtà dell’immigrazione, quella delle persone senza dimora sono solo alcuni dei temi scottanti del tessuto sociale della città messi sotto la lente di ingrandimento dai dati di Caritas e Auxilium.

Ma anche occhi capaci di offrire una nuova prospettiva: la fraternità, appunto. Così ricordare questa concittadina è l’occasione di guardare a quella Genova “illuminata” dalle reti di solidarietà che si sono formate negli anni e che permeano questa lunga città nel tentativo di dare risposte concrete a bisogni ben specifici.

Quello dei senza dimora, per esempio, dove un filo lega il lavoro che viene fatto su più livelli: dal primo incontro per strada, passando per l’ingresso in comunità, fino alla possibilità di autosufficienza. Mani che tendono un thé caldo in stazione, che aprono porte, che trovano soluzioni fino, in alcuni casi, a restituire l’autosufficienza.

C’è poi la rete di “Ricibo”, un gruppo di associazioni che in maniera coordinata recupera le eccedenze di cibo e le ridistribuisce. E la “Rete scuole migranti”, dieci scuole che operano in particolare nel centro storico e offrono la possibilità a chi arriva da altri paesi di imparare l’italiano, snodo fondamentale per una vera integrazione.

O ancora quei volontari impegnati nelle missioni all’estero per portare quanto raccolgono dall’inusuale “biglietto” sotto forma di viveri e medicine che viene richiesto per partecipare agli eventi e festival artistici e musicali che la loro associazione organizza ed ospita.

Una mappatura che non può essere esaustiva, che avrebbe legittimamente potuto ospitare tante altre voci, ma che racconta bene una dimensione di Genova che non fa rumore ma c’è, un NOI che parla di una fraternità e solidarietà già viva. “Funziona perché è una rete” è lo slogan che emerge da questa carrellata di esperienze. Nessuna sigla, nessun logo, solo le reti. Una scelta precisa fatta dalle 18 associazioni (AGESCI, ARCI, Arena Petri, Banco Alimentare, Caritas genovese, CIF, CNGEI, Comitato Umanità Nuova, Comunità Papa Giovanni XXXIII, Comunità San Benedetto al Porto, Il Cesto, Libera, MASCI, Music for Peace, San Marcellino, Sant’Egidio, Sole Luna e SUQ) che si sono fatte promotrici, insieme al Movimento dei Focolari, alla realizzazione del convegno.

Genova del NOI

Abbiamo pensato di UNIRE, altra sua (di Chiara, ndr) parola, le mille e mille energie silenziose e operose che ispirate dalla fede o da valori laici, ogni giorno individualmente e collettivamente impiegano tempo per gli altri, senza guardare il colore, la religione, siano vicini o lontani nel mondo, purché abbiano bisogno. Le Associazioni che hanno promosso questo incontro sono solo una parte del volontariato della città. Tutto insieme è un grande e quotidiano atto politico, che non sta sulla scena dei media, ma riconosce una richiesta o un bisogno d’aiuto da chiunque venga. Un esempio di concretezza e altruismo che la politica ufficiale dovrebbe guardare ed emulare per riconquistarsi la P maiuscola” sottolinea Claudio Montaldo, che nel 2001 in qualità di vice-sindaco fu uno dei promotori più appassionati della cittadinanza onoraria a Chiara Lubich.

Fraternità e comunione sono le due parole più ricorrenti anche negli interventi di saluto delle diverse autorità presenti. «Il tema non è solo stimolante e attuale, ma è particolarmente urgente. “Il tempo del Noi”, tema dell’evento, riflette e rispecchia in termini decisivi la vocazione del Movimento dei Focolari di ieri e di oggi. Il carisma dell’unità e della fraternità, identità del Movimento dei Focolari, non deve cambiare. Le persone cambiano, come i tempi e le circostanze, ma non possono assolutamente cambiare i carismi specifici dei fondatori che Dio suscita nella Chiesa e nel mondo per il bene di tutti», è il messaggio del Card.Bagnasco, vescovo uscente della città.

«Credo che l’Università come istituzione deve trasmettere alcuni dei valori che Chiara Lubich con il suo movimento sta diffondendo», dice il “padrone di casa” Paolo Comanducci, rettore dell’Università di Genova. «Dal punto di vista laico direi che la pace, la fratellanza e la carità sono dei valori su cui ci può essere una grandissima convergenza anche per chi religioso non è. Mettersi nei panni dell’altro dovrebbe essere il credo, la morale di tutti». Gli fanno eco, quasi ripetendosi, le parole di Stefano Balleari, vice-sindaco.

Nel suo intervento finale Stefano Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà, cita insistentemente l’importanza di puntare sui giovani, quelli che, anche se con linguaggi e modi diversi, sono i più sensibili ai valori di solidarietà e fraternità. Mentre parla una trentina di ragazzi concludono il loro “Tempo del NOI”, dove con giochi e attività hanno approfondito l’educazione alla solidarietà.

“Il tempo del NOI” di Genova non vuole essere solo un auspicio, ma un punto di passaggio. Dopo la visita di Papa Francesco in città nacque un’opera-segno, un dormitorio. Il sogno è che questo mettersi in rete per ricordare l’idea di fraternità di Chiara Lubich possa portare, presto, a qualcosa di analogo, per far ampliare e rinsaldare ancora di più la “Genova del NOI” che già c’è.

di Daniela Baudino
Foto di Oscar Sicbaldi 

Ulteriori foto, materiali multimediali, rassegna stampa, servizi giornalistici sul convegno sono reperibili sulla pagina dedicata su FocolareLiguria




Nave saudita in arrivo al porto di Genova, ONG: “Stop ai trasferimenti di armi che alimentano conflitti”

Sostegno alla mobilitazione dei portuali e appello alle responsabilità del Governo italiano e di tutti i Governi europei 

Roma, 14 febbraio 2020

Nelle prossime ore, secondo i programmi di rotta, il cargo saudita “Bahri Yanbu” transiterà nel porto civile di Genova dove potrebbe anche caricare attrezzature militari dirette in Arabia Saudita. Amnesty International Italia, Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile, Movimento dei Focolari Italia, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Oxfam Italia (da tempo attive in coalizione sulla questione del conflitto in corso in Yemen) si oppongono con forza a tale possibilità e in generale a qualsiasi ipotesi di transito di materiale d’armamento attraverso porti italiani. Situazione che, per il parere delle Organizzazioni necessiterebbe di autorizzazione da parte del Governo secondo le norme vigenti.

Va sottolineato infatti che mentre il Parlamento italiano, in Senato, si sta accingendo a discutere un possibile rafforzamento dei controlli sull’export militare – ora previsti dalla legge 185/90 – si continua a permettere sistematicamente il transito di materiali d’armamento destinati a paesi in guerra in contrasto con le norme vigenti.

Azioni legali, manifestazioni e mobilitazioni per contrastare il ritorno della “Bahri Yanbu” – già in passato protagonista di soste nei porti italiani con motivazione legata al commercio di armamenti – avvenute nei giorni corsi in diversi porti europei. Dal 27 gennaio 2019 questa nave da trasporto di proprietà saudita ha già trasportato e trasferito armi per decine di milioni di dollari. Molti di questi sistemi d’arma hanno poi contribuito ad alimentare il sanguinoso conflitto in corso in Yemen: una terribile catastrofe umanitaria del mondo costellata da episodi di crimini di guerra. Anche in questo caso esiste, quindi, il fondato pericolo che i porti italiani accolgano operatori marittimi che trasferiscono sistemi di armi e munizioni destinati a paesi in conflitto: armi che possono essere usate – com’è già accaduto – per commettere gravi violazioni dei diritti umani e che anche secondo i trattati internazionali firmati dal nostro Paese non dovrebbero essere consegnate.

Essendo tornata da un viaggio transatlantico durante il quale ha effettuato una sosta negli Stati Uniti e in Canada a dicembre, la nave avrebbe dovuto attraccare in cinque porti europei dal 2 febbraio 2020, prima di continuare il suo viaggio in Arabia Saudita: Bremerhaven (Germania), Anversa (Belgio), Tilbury Docks (Regno Unito), Cherbourg (Francia) e Genova (Italia). Grazie alle mobilitazioni della società civile la sosta in Belgio non è avvenuta: le autorità belghe hanno esercitato pressioni sulla nave per non farla attraccare e non farla transitare nelle loro acque. La «Bahri Yanbu» appartiene alla maggiore compagnia di trasporto saudita, la Bahri, già nota come National Shipping Company of Saudi Arabia, società controllata dal governo saudita, e dal 2014 gestisce in monopolio la logistica militare di Riyadh. Anche la tipologia della nave, una delle 6 moderne con/ro multipurpose della flotta Bahri, ha una chiara vocazione militare, adatta al trasporto sia di carichi ro/ro e heavy-lift speciali (ovvero anche mezzi militari fuori norma), sia di container.

Ricordiamo che durante un precedente viaggio, con rotta simile, effettuato da questa stessa nave a maggio 2019, le proteste dei portuali e del mondo associativo impedirono il caricamento in stiva sulla “Bahri Yanbu” di alcuni sistemi d’arma. Con questo nuovo viaggio della “Bahri Yanbu”, i governi europei sono chiamati nuovamente ad adempiere ai loro obblighi e a fermare ogni nuovo carico di armi. Sappiamo che in passato gli Stati hanno fallito nel loro obbligo internazionale di interrompere i trasferimenti di armi utilizzate per commettere crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Ancora una volta la nostra voce si leva chiara e forte – anche a sostegno dei lavoratori del porto di Genova, che si sono mobilitati fin da subito – per chiedere che non ci sia alcun tipo di collaborazione da parte dell’Italia (export di armi, facilitazione del trasferimento) con governi e attori coinvolti in guerre sanguinose.

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Amnesty International Italia, Comitato per la riconversione RWM e il lavoro sostenibile, Movimento dei Focolari Italia, Rete della Pace, Rete Italiana per il Disarmo, Oxfam Italia




Testimonianze su Carlo Grisolia ed Alberto Michelotti

Una speciale occasione per presentare  “la vita e le virtù eroiche” di Alberto Michelotti e Carlo Grisolia, i due Gen di Genova che sono morti nel 1980 e per i quali  è avviata la fase diocesana della Causa di Beatificazione,  ci è stata data, direi provvidenzialmente, il 10 agosto a La Spezia.

Lì sono convenuti da varie route oltre 200 ragazzi rappresentanti delle varie diocesi della Liguria e Tortona in procinto di raggiungere a Roma papa Francesco per “Siamo Qui”, la veglia di preghiera dei giovani italiani al Circo Massimo promossa dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Cei. Chi l’avrebbe detto di riuscire ad avere un tale uditorio? 

L’appuntamento era alle 16 di una torrida giornata di agosto, ma la Costa Crociere ha dato ospitalità al convegno nella frescura della sala d’aspetto del Terminal. Proiettata sullo schermo gigante, ci attendeva la foto di Alberto e Carlo, con lo sfondo del canalone ghiacciato del Lourusa. Erano presenti alcuni vescovi che accompagnano i loro ragazzi.

Dopo il saluto dei Vescovi e delle autorità ospitanti, due giovani ed un focolarino vengono accolti e presentati  ad una sala attenta e desiderosa di ascoltare le storie normali, eppure straordinarie, dei due Nostri, a cui seguono alcune domande dei giovani presenti.

 

Per conoscere di più Carlo e Alberto visita il sito




Gen Verde: dopo Start Now cosa cambia?

Una zoomata su com’è andata dopo il progetto a Palermo, La Spezia . . .

Tanto lavoro per preparare il progetto, giorni intensissimi nel viverlo, ma poi cosa resta? Rimane solo qualche flash per l’album dei ricordi o ci sono tracce più profonde?

L’abbiamo chiesto ai protagonisti di alcune fra le ormai tantissime tappe toccate dall’iniziativa in molti paesi del mondo. 

Da quello che ci hanno raccontato emergono alcune note comuni.

La prima? Start Now dà il la (è proprio il caso di dirlo!) a un modo diverso di vivere e di rapportarsi con gli altri, basato sulla fiducia, sull’apertura, sul mettere al primo posto il bene comune e non più il proprio piccolo particolare. E questo stile continua nel quotidiano. “Quello che abbiamo vissuto è per tutti, è profondo e ti cambia la vita. È proporre una cultura diversa, quella della fraternità, della tolleranza, del rispetto”.

La seconda: il principale effetto è un clima del tutto speciale, che fa sentire in famiglia, dà coraggio, spinge ad agire cominciando per primi per cambiare il mondo intorno a sé, fa scoprire che “è insieme che siamo forti, non isolati. Possiamo sognare in grande se facciamo le cose insieme”. Qualcuno l’ha chiamato “spirito di fratellanza” e assicura che “non c’è nulla di più bello e di più vero che un legame tra persone che mettono il bene degli altri prima del proprio”.

La terza nota potremmo chiamarla condivisione: è la spinta, il desiderio di comunicare ad altri l’esperienza vissuta, di contagiarli con la gioia sperimentata, di coinvolgerli nell’impresa di migliorare il mondo lì dove si è.

“Siamo riusciti a rapportarci meglio con la gente e a volte influenzare anche altre persone a fare come noi”, ci ha raccontato un ragazzo.

E un’insegnante, parlando dei suoi alunni con cui ha partecipato al progetto: “Li sento insieme a me costruttori di un mondo migliore perché hanno saputo dimostrare di avere un’umanità profonda che io ho forse sottovalutato negli anni. Non li vedo più come ragazzi a volte immaturi, ma come persone capaci di mettersi in gioco e con cui possiamo provare a cambiare il mondo”.

 Il desiderio di vivere nel quotidiano e diffondere questa nuova cultura fa fiorire diverse iniziative.

A Palermo ad esempio stanno già lavorando a una seconda edizione di Start Now 2018, per offrire ad altri questa esperienza “profonda, che cambia la vita”.    

E a La Spezia per guadagnare qualcosa da condividere con persone in necessità si sono inventati un pomeriggio di “lavaggio auto” a favore della Nigeria, e un fantasioso “Ballo in maschera anni Sessanta” con tanto di quote di partecipazione girate poi a un dispensario a Man, in Costa d’Avorio. A far “sentire” la fraternità, prima della festa, un collegamento via Skype con gli amici del paese africano.

Per finire, è preziosa anche un’altra sottolineatura corale: “tutto quello che possiamo fare può avere un respiro universale. È importante iniziare da noi, con quel poco che noi possiamo fare per costruire un mondo molto più unito”.

Insomma, piccoli passi ma immensi orizzonti. Sentendosi parte di un coro dove non può mancare la voce di nessuno.

E chissà quanti altri effetti, qua e là per il mondo, suscitati dalla condivisione del progetto Start Now. Non un bellissimo fuoco d’artificio che si spegne lasciando solo ricordi e nostalgia, ma una scintilla che accende, contagia, dilaga.       




Gruppo Tassano: “fare economia come comunione”

Il 10 novembre il Gruppo Tassano ha presentato al territorio il suo Bilancio Sociale 2016: la “gratitudine collettiva” di soci, cittadini e istituzioni

di Antonella Ferrucci

171110 Sestri Levante Tassano 03 rid«La storia del Gruppo Tassano, potrebbe essere semplicemente definita “un miracolo”». Esordisce così, il giornalista Roberto Pettinaroli, responsabile edizione Levante de Il Secolo XIX, nel presentare il Gruppo nella splendida cornice dell’Ex Convento dell’Annunziata a Sestri Levante ad una sala gremita con oltre 300 persone. Soci e lavoratori delle Cooperative del Gruppo, ma anche molte persone che in  questi quasi 30 anni di attività hanno incrociato la sua strada come lavoratori o beneficiari dei servizi alla persona che il Gruppo ha fornito; e poi le istituzioni, con le quali il gruppo è stato in  grado di creare sinergie tali da permettere la realizzazione nel Tigullio di quel “welfare leggero” invocato  da più parti e che qui si può toccare con mano, con la piena soddisfazione degli amministratori e dei cittadini. 

Si chiama “Foto di gruppo” il Bilancio sociale che viene  presentato oggi: un titolo molto azzeccato visto che tutto qui parla di “persone” e di 171110 Sestri Levante Tassano crop“persone al  centro”:  «Siamo una rete di imprese che desidera rispondere attraverso il lavoro ai bisogni essenziali della persona» dice Simona Rizzi, presidente del Consorzio Tassano Servizi Territoriali. Certamente in un bilancio ci sono anche i numeri dal momento che Gruppo Tassano significa 6 consorzi, 33 cooperative sociali e 700 dipendenti, ma anche un valore totale della produzione di oltre 15.809.000 di Euro con servizi forniti a 4705 utenti diretti e 100.000 indiretti in 35 comuni e territori di pertinenza, ma realmente -si tocca con mano- il centro di tutto restano le persone. Lo si vede dalla “gratitudine” che emerge come sentimento collettivo dalla sala, durante tutto lo svolgimento del convegno, in particolare quando vengono nominate alcune persone che con le loro scelte hanno dato il via a questa storia, nella quale il “lavoro” è grande protagonista. Un lavoro “vero” e sempre “cercato” per permettere anche alle persone “speciali”, -così le ha definite la Sindaco di Sestri Levante Valentina Ghio, anch’essa ex cooperatrice- di avere una propria dignità, lavorando. «Ognuno ha la sua misura, cerchiamo di mettere insieme il meglio di ogni persona, il meglio di tutto quello che quella persona può dare» dice Maurizio Cantamessa, Presidente del Consorzio Tassano. Con la conseguenza di rigenerare le persone, che da una posizione di svantaggio diventano “risorsa”.

171110 Sestri Levante Tassano 04 ridTutto questo ha una radice: l’economia di comunione e da qui la parola va ai protagonisti ed ai testimoni. L’intervento di Alberto Ferrucci e Luigino Bruni intendono proprio dare consistenza a quelle radici e raccontare l’Economia di Comunione anche attraverso un frutto maturo come il Gruppo Tassano che ad EdC ha aderito fin dalla prima ora, nel  ’91: grande commozione ha accolto l’attribuzione a fine convegno di tre targhe agli “imprenditori di comunione” Giacomo Linaro, Pierino Cattani e Pierangelo Tassano da cui questa bella storia è cominciata.

Chiedo a Maurizio Cantamessa: “Cosa vi ha spinti a intitolare questa giornata “Fare economia in comunione”, di fatto ri-annunciando con forza al vostro territorio, ai soci, ai cittadini, le vostre radici?

171110 Sestri Levante Tassano 06 rid«Il nostro gruppo, dopo anni di espansione fino in Toscana, Emilia Romagna e Piemonte un po’ per volta  è tornato ad essere molto territoriale, e oggi con i suoi 6 consorzi insiste totalmente nel territorio del Tigullio. La nostra “Foto di  gruppo” oggi mostra una realtà molto coesa, in cui possiamo affermare esiste una totale condivisione dei valori ed anche una comprensione a livello di lavoro quotidiano: era il momento di raggrupparci, consolidarci e ripartire. Il fatto di esserci concentrati sul territorio, abbiamo capito, è molto importante perché favorisce le relazioni: con le istituzioni presenti stasera davvero lavoriamo ogni giorno gomito a gomito e avendo a che fare con servizi alla persona, è importante “esserci di persona”».

Per il futuro, quali garanzie che questi valori restino alla base della vita del Gruppo?

«Il Gruppo Tassano diventerà una Fondazione. Riteniamo sia lo strumento giuridico più adatto per conservare quei valori che ci hanno portato fino a qui oggi al di là di noi. Un’altra novità è poi la “Scuola di Economia Civile”: tanti professionisti ci aiutano e sentiamo il desiderio di formare altre persone allo spirito di economia di comunione ».

 Vedi il video istituzionale del Gruppo Tassano:

 Vedi il video sul Bilancio sociale del Gruppo Tassano:

Fonte: www.edc-online.org

Articolo apparso su Il Secolo XIX




“Ero straniero e mi avete accolto”

Convegno della Chiesa Ligure al Museo Galata

Il convegno che si è svolto venerdì 13 ottobre al Galata ha riportato l’attenzione della Chiesa ligure sul tema dell’accoglienza, proposto con tutta la forza di una esplicita esigenza dell’amore evangelico.

I vescovi della Conferenza Episcopale Ligure, autori coraggiosi del documento dello scorso aprile (“Migranti, segno di Dio che parla alla Chiesa”), con questo convegno regionale hanno risposto all’esigenza di una sempre rinnovata consapevolezza, di una visione del fenomeno in prospettiva mondiale e soprattutto hanno dato voce alle esperienze di accoglienza e integrazione spesso sconosciute.

  1. Fabio Baggio, Sotto-Segretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, nel suo articolato intervento dal titolo: “Migranti e rifugiati: segno dei tempi”, ha dato corpo e concretezza alla visione profetica di Isaia. La realizzazione della giustizia e del regno di Dio sulla terra passa in questo nostro tempo dall’accoglienza, dall’integrazione, dalla ricerca di soluzioni durature.

Al prof. Luigino Bruni, Docente di Economia politica presso l’Università LUMSA, il compito di esplicitare le implicazioni economiche, politiche, sociali del fenomeno per evitare di cadere nell’inganno di una comprensione superficiale. “Mio padre era un arameo errante… le migrazioni tra economia e profezia”, questo il titolo del suo lucido intervento che ha evidenziato la necessità di costruire un “noi” tra autoctoni e migranti, creando insieme nuovi percorsi sociali ed economici.

Le esperienze vissute anche in terra ligure sono state di grande stimolo. La testimonianza di don Rito nella Parrocchia delle Gianchette a Ventimiglia, simbolo dell’accoglienza che ha attivato la generosità di tanti. Il progetto di Savona-Noli “Rifugiato a casa mia” attivato dalla Caritas per ospitare i migranti presso le famiglie. I ben noti Corridoi umanitari Cei-Comunità Sant’Egidio con alcuni arrivi anche a Genova. Il Campus di Coronata dove i migranti hanno la possibilità di riprendere in mano la propria vita con lo studio della lingua e l’apprendimento di un mestiere.

Il cardinal Bagnasco ha tirato le conclusioni fornendo una lettura autenticamente evangelica: “Pensare agli immigrati in termini di vantaggio o svantaggio non credo sia la prospettiva giusta (…)”. La troppa paura dello straniero è diffusa e alimentata dal secolarismo imperante: “I migranti – ha aggiunto  – sono una grazia, perché avere qualcuno che chiede aiuto fa uscire da sé stessi rendendosi dono.  Andare verso l’altro mi salva da me stesso”.  Non solo multiculturalità quindi ma interculturalità, cioè impegno in un dialogo profondo che faccia riemergere un’Europa capace di affermare i valori più nobili e fondamentali per la convivenza umana.

La nutrita e attenta partecipazione ha confermato l’attualità del tema e l’adesione generosa del popolo di Dio alla sfida della fraternità. Anche il Movimento dei Focolari era rappresentato da un folto gruppo di persone provenienti dalle diocesi di Tortona-Voghera, Savona, Genova.

Oltre ad una ritrovata speranza ci siamo portati a casa la voglia di fare qualcosa in prima persona, di fare delle nostre comunità i luoghi di un’accoglienza fraterna e concreta.

Maria Rita Topini

 




Codamozza 2. Corso per diavoli e angeli custodi

Arriva in libreria ed in fumetteria Codamozza 2. Corso per diavoli e angeli custodi. Contiene 7 vizi capitali. (Editrice Effata)

Ritornano il diavolo Codamozza ed il suo professore di Tentazioni al Liceo Minosse: questa volta l’obiettivo è conquistare le giovani anime con i sette vizi capitali. Ma in azione ci sono anche Luca, apprendista angelo custode, ed il suo professore di Beatitudini al liceo Maddalena.
Invidia, Lussuria, Avarizia, Superbia, Accidia, Gola, Ira: sette racconti per i sette vizi capitali, sette storie di ragazzi in bilico tra il fascino seducente del vizio, e la bellezza inaspettata delle virtù.

Perché il vizio non ha bisogno di peccati grandiosi, ma di cattive abitudini che giorno dopo giorno mettono in noi radici.

L’idea del libro nasce da tanti dialoghi con gli adolescenti, molti dei quali Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari. Tra le fonti di ispirazione, assieme alle Lettere di Berlicche di C.S. Lewis, anche “No ai vizi, sì alle virtù”, testo nato dalla pedagogia evangelica di Chiara Lubich, per proporre agli adolescenti un cammino attento a vincere le tentazioni, ma soprattutto generoso nell’imparare a fare il bene.

Leo Ortolani, geniale fumettista creatore di Rat-Man ha collaborato al progetto con le sue illustrazioni e disegnando la copertina

Codamozza e il professore

Della stessa serie: Codamozza. Corso per diavoli e angeli custodi. Contiene 10 comandamenti. (Editrice Effata Codamozza e il professore)

Recensione sull’Osservatore Romano: Diavoli e angeli custodi

 

L’autore:

TOMMASO DANOVARO
Nato a Genova il 29 giugno 1974, è stato ordinato sacerdote nel 1999 e attualmente svolge il suo servizio come parroco nella periferia di Genova. Ha collaborato con le riviste «Città Nuova», «Teens», «RAT-MAN» e alla realizzazione del documentario «Insieme possiamo», sulla vita dei servi di Dio Alberto Michelotti e Carlo Grisolia.




Per amore della vita intendo questo

Da anni, Bruno e Mina aprono le porte della loro casa di Genova all’umanità variegata delle periferie umane di oggi: giovani disadattati, malati di mente, immigrati, gente in difficoltà. Una testimonianza di Vangelo vissuto nel silenzio e nella radicalità.

Dal libro “Senza diritto di cittadinanza” di Silvano Gianti (edizione Città Nuova)

“Oggi, suono anch’io al campanello del condominio, non c’è il cognome, ma solo i loro due nomi: Bruna e Mino. Sono entrambi in pensione, anche se hanno superato da poco i ses­santa. L’ascensore mi porta all’ultimo piano, dove una bella terrazza affaccia sulle colline genovesi. Sono vissuti lunga­mente a contatto con le periferie umane, accogliendo ragazzi e adulti in difficoltà.

Lo hanno sempre fatto in modo semplice, senza cerca­re troppe spiegazioni. Era il loro stile di vita. A interrogar­si ripetutamente, invece, è stato il figlio, che dopo anni di ripensamenti ha deciso di affidare le sue considerazioni a facebook, convinto che i suoi genitori lì non le avrebbero mai lette. E invece loro le hanno scoperte, per caso. E forse per la prima volta hanno sentito l’eco delle loro azioni e del­la loro generosità.

«Le sole persone da cui potrei accettare discorsi su fede e sacralità di ogni vita sono i miei genitori. Mia mamma e mio papà. Bruna e Mino. Loro, insomma. Mica per altro. Perché da loro non dovrei ascoltare nes­suna opinione: dovrei soltanto assaggiare vita. Lo hanno scel­to appena sposati, anzi prima. Avevano trovato la casetta dei loro sogni (per i padani sarà normale, ma in una città come Genova è pura fantasia), indipendente, con giardino, eppure in centro. Da principesse delle favole. Però Ercolano, il loro amico distrofico, non ci sarebbe potuto andare. Niente casa dei sogni, appartamento di 40 mq in affitto in un palazzone. Per amore della vita intendo questo.

Ho vissuto una vita intera circondato da affetti dolorosi, persone che passavano da casa nostra nel loro momento peg­giore, e ci stavano settimane, mesi, per condividere brandelli di vita, dolori, morti. Qualcuno per un figlio, qualcuno per un marito, qualcuno per se stesso. E con ognuno ho costruito relazioni, ho imparato il dolore, ho appreso la normalità della sofferenza, la possibilità della fiducia. Aurora, per dire, è stata con noi mesi, tra ospedale e casa. Lei e i suoi fratelli, i suoi genitori. Bastava stringersi, e condividere. La chemio. La pri­ma comunione fatta di fretta, perché ci teneva. E la settimana dopo sarebbe stato troppo tardi. Aveva nove anni. Per amore della vita intendo questo.

Non è questione di fare da lazzaretto. È questione di aprire la porta. Ho scoperto tardi, già grandicello, che tutto questo non era precisamente “normale”. Avevamo cambiato casa, questa era più grande, con il terrazzo. C’è spazio. Mio padre si è licenziato quando gli hanno chiesto di fare la cre­sta sui bilanci. Si è messo in proprio, un lavoro in cui poteva guadagnare milioni al mese, in nero, in assoluta sicurezza. E invece ha scelto di restare nella legalità a costo di non fare i regali di compleanno ai propri figli. Per amore della vita intendo questo.

Quando Pippo aveva bisogno di piastrine, nessuno di noi quattro in famiglia poteva donarle. Abbiamo chiamato a raccolta fidanzate, amici, compagni degli amici, scono­sciuti coinvolti pressoché per caso… Mobilitare per la vita è questo, mica manifestare davanti a una clinica. Per inciso, Pippo è morto comunque. Ma all’ospedale ricordano anco­ra la processione inaudita di gente sconclusionata venuta a donare piastrine, non l’avevano mai vista, c’erano avvocati e giovani punk con tanto di cresta, studentesse universitarie vestite a puntino e commercialisti tremolanti che se la face­vano sotto, ma alla fine si erano decisi. Per amore della vita intendo questo.

E Stefano? È stato con noi quattro anni. Chiaro che un adolescente antipatico e malato non lo vuole nessuno. Ep­pure. Questo mi è pesato, e manco poco. Alla fine, non ne potevo più, lo riconosco. Quando è andato via, è stato libera­torio, perché mica bisogna fingere che sia sempre tutto bello e facile e edificante. Non ne vado fiero, l’ho evitato per un pezzo. Prima di ogni coma (il ragazzo aveva un che di teatra­le) ha però sempre cercato i miei, anche dopo anni. E c’erano solo i miei con lui quando è morto. Nonostante i pesci in faccia, le batoste. Erano lì, a tenergli le mani. Per amore della vita intendo questo.

Perché? Se volessi chiederglielo, farebbero spallucce. Forse, se insistessi, ti racconterebbero che per loro il vangelo è una cosa che conta, e che hanno deciso di crederci. Ma non con la testa, o con il cuore. No, no: con il corpo, con la vita. Per questo sono gli unici da cui potrei accettare discorsi su fede e sacralità di ogni vita. E forse, diciamocelo, anche per­ché non ne hanno fatti. Anzi, semmai…».

L’autore:

Silvano Gianti è nato a Cuneo nel 1957. Da sempre attento a chi vive in situazioni di povertà e di disagio, ha vissuto in diverse città d’Italia. Abita attualmente a Genova, dove lavora per “Città fraterna”, una onlus che sostiene i disoccupati del capoluogo ligure. Ha pubblicato in passato sul «Sole 24 ore» online, dal 1978 scrive sul settimanale diocesano «La Guida» e collabora con la rivista «Città Nuova».




Gen Verde a La Spezia

Dal programma “Essere Chiesa oggi” trasmesso da Tele Liguria Sud La Spezia il 22 novembre 2016.




Carlo & Alberto: due come noi

26-02-2016 di Franz Coriasco
Fonte: Rivista: “Unità e Carismi” n. 3/2016 p. 47/50
La Diocesi di Genova ha iniziato nel 2008 una causa congiunta per la beatificazione di due amici, Carlo Grisolia e Alberto Michelotti, morti 36 anni fa, a 40 giorni di distanza l’uno dall’altro. Alberto, nato a Genova il 14 agosto 1958, animatore ACR, catechista, impegnato in parrocchia; con la Mariapoli del 1977, “Dio amore” entra nella sua vita. Carlo Grisolia, nato a Bologna nel 1960, da Chiara Lubich ha imparato la strategia del “farsi santi insieme”. Alberto e Carlo sono nello stesso gruppo gen della Val Bisagno. Lasciamo che ci racconti la loro storia uno che li ha conosciuti da vicino.

Tanto vale dirlo subito: questo ricordo è innanzi tutto la storia di un apparente paradosso. Anzi, di parecchi paradossi e di altrettanti azzardi, oltreché del mistero e degli smarrimenti che accompagnano gli umani quando si trovano a fare i conti con le dipartite troppo premature. Perché, tanto per cominciare, i due protagonisti di questa storia sono solo in parte “due come noi”, visto che è in corso la loro causa di beatificazione; eppure, per come li ho conosciuti, come noi lo erano davvero.

Alberto Michelotti è morto cadendo in un canalone alpino il 18 agosto 1980, quando aveva solo ventidue anni, e Carlo Grisolia ha lasciato questa vita appena qualche settimana dopo, stroncato a vent’anni da una malattia terribile, tanto rapida quanto incurabile. Un tragico intreccio a guardarlo dal basso, e tuttavia per molti, capaci di guardarla da un’altra prospettiva, una storia “a lieto fine”. S’era agli inizi degli anni Ottanta, la decade più cialtrona e sensazionalista del Novecento, e oggi mi vien da pensare che quei due c’entravano con i nascenti “anni di panna” quanto un praticello di primule con un caterpillar.

Li avevo conosciuti entrambi, qualche anno prima: due amici in mezzo a tanti altri, come avviene spesso in quell’età di mezzo che separa le ebbrezze dell’adole- scenza dalle impervie responsabilità dell’età adulta. Alberto e Carlo: due creature a loro volta in antitesi o complementari, a seconda dei punti di vista. Certo in- finitamente diverse per carattere, temperamento, background culturale, gusti. In comune avevano una città, Genova, che per noi torinesi ha sempre rappresentato una specie di mistero, affascinante e pericoloso insieme: a immagine e somiglianza di quel gran mare che l’accarezza e la schiaffeggia da millenni.

Genova, così ben raccontata da quella progenie di cantautori così creativa e particolare da venir definita “scuola”. A noi torinesi, seccava un po’ che a manco duecento chilometri di distanza ci fosse un tale campionario d’artisti, e da noi quasi nessuno in grado d’arrivare alla ribalta nazionale. Forse per questo li vede- vamo sempre con una punta d’invidia e mezza di circospezione, questi genovesi: così caldi nel loro essere amici, così esageratamente sentimentali secondo noi altri sabaudi, sempre così riservati, iper selettivi e talvolta algidi perfino nelle nostre amicizie. Certo s’era tutti parte del medesimo Movimento gen, ma i rispettivi imprinting apparivano agli uni e agli altri più lontani della luna.

Carlo e Alberto, due storie che qualcuno ha voluto unire e scandagliare insieme per valutare se, per caso, fossero il segno, o meglio le prime avanguardie, di un nuovo tipo di santità: una santità collettiva, diversa dai cliché consueti. Come dicevo, il processo di beatificazione è in corso, sicché tocca sospendere il giudizio. Del resto non son certo qui per esprimere pareri in proposito (per un agnostico sarebbe davvero imperdonabile), quanto piuttosto per sorvolare un vecchio sentiero: non solo per il piacere di raccontarlo e raccontarli, sia pure da un angolino alquanto marginale, ma fors’anche per ritrovare panorami e sensazioni antiche, epperò credo ancora necessarie, specie in tempi ansiogeni e smarriti come questi.

Ora che ci penso, un’altra cosa avevano in comune quei due: la loro generazione (che per molti versi è anche la mia), quella vagamente ibrida di chi, all’epoca, era troppo giovane per inebriarsi sulle tenere e già svaporanti illusioni del Sessantotto, ma già troppo vecchio per immergersi nell’individualismo più o meno edonista che avrebbe segnato quella seguente. Una generazione “di mezzo”: ancora conta- minata dai radicalismi stradaioli dei nostri amici più grandi, ma che già si portava addosso e nel cuore il sospetto della loro ingenuità o deteriorabilità. E tuttavia sì, Alberto e Carlo erano diversi. E tali apparivano, perfino per chi, come me, li incrociava di rado. Ma bastava guardarli e stare con loro una mezz’ora per capire quanto. L’uno così perfettino, determinato e attraente (da intendersi nel senso più letterale e profondo dell’aggettivo), l’altro così fragile, inquieto, introverso e aggrovigliato. Un pragmatico con propensioni mistiche, il Michelotti; un poeta dilaniato dai dubbi, il Grisolia; così mi sembravano: l’uno un involontario trascinatore di folle, e l’altro un cercatore d’oro; l’uno sempre pieno di risorse e d’attenzioni per tutti, l’altro spesso rinchiuso in quel suo idealismo romantico e sovente solitario. Come abbiano fatto a volersi così bene e a condividere i passi salienti delle loro rispettive vicende è presto detto: un’amicizia fondata, prima ancora che sulle affinità elettive, sul sentirsi parte di un progetto grande e incorruttibile che li trascendeva. Entrambi avevano scelto di fare del vangelo la loro stella polare. Entrambi sentendosi inadeguati a incarnarne fino in fondo le regole e le logiche, ma entrambi convinti che per farcela occorresse procedere “in cordata”, dandosi una mano l’un con l’altro. E anche questo ci dice qualcosa su una spiritualità capace di superare in qualche misterioso modo qualunque barriera caratteriale e tempera- mentale, oltreché quelle culturali, religiose, razziali, o di ceto sociale. Questo era, e sostanzialmente è ancora oggi, il nocciolo duro dell’essere gen.

Quando i due si conobbero erano entrambi già formati, e stavano attraversando quella decisiva stagione della vita dove solitamente gli obiettivi e i valori di riferimento affratellano ben più delle complementarità. Per onestà aggiungo che, se anch’io, come quasi tutti, ero affascinato da Alberto (dalla sua gentilezza, dal suo carisma, dalla sua simpatia estroversa), da Carlo invece giravo quasi alla larga: un po’ perché riconoscevo in lui i miei stessi difetti, un po’ perché non era uno che lasciasse entrare nel suo mondo chiunque gli si affacciasse. Ciò detto, era chiaro a chiunque li conoscesse che le loro rispettive essenze e consistenze erano alquanto difformi, e nessuno – tanto meno loro – avrebbe mai potuto supporre che un giorno si sarebbero intersecate così intimamente da renderli quasi parte uno dell’altro.

Io e Alberto siamo nati a poco più di un mese distanza. Carlo era di due anni più giovane. Con Alberto, avevo occasione di vedermi più spesso e devo ammettere che ogni volta restavo regolarmente affascinato non solo dalla coerenza della sua radicalità evangelica, ma anche dal candore con cui sapeva ammorbidire un’intelligenza e un intuito davvero fuori dal comune.

Anche se non dava l’impressione d’esserne cosciente, sembrava star lì solo per dimostrarti implicitamente quanto ancora ti mancasse per poterti considerare un cristiano autentico. Viceversa, Carlo mi faceva spesso pensare a qualcosa tipo “se ce la fa uno così, allora ce la posso fare anch’io”. Ricordo perfettamente quella mattina d’agosto quando arrivò la notizia della morte di Alberto, nello stesso giorno in cui Carlo venne ricoverato in ospedale per non uscirvi più. Ricordo quella struggente Signore delle cime, cantata con le lacrime agli occhi, ancora incapaci di credere che fosse davvero successo. Alla “partenza” di Carlo arrivammo solo un po’ più preparati, ma non meno sorpresi: soprattutto da quella straordinaria quarantena ospedaliera che aveva segnato per lui un’escalation mistica impressionante, e grazie alla quale, anche quell’idiota del sottoscritto arrivò finalmente a rendersi conto quale fosse davvero la sua “cilindrata spirituale”.

Molte cose di loro le avrei scoperte solo molti anni dopo. Come gli affettuosi “pizzini” che amavano scambiarsi, i loro grovigli sentimentali e spirituali, i passaggi più delicati e privati delle loro esistenze, le loro intimità con quel Dio così reale e tangibile, specie nei loro ultimi scritti. Tempo fa ho avuto modo di rincontrare i loro amici più intimi e le loro madri, e molte delle mie sensazioni primigenie si poterono finalmente accordare con una più oggettiva realtà dei fatti. Ma sono sensazioni così difficili da esprimere per me oggi, che preferisco lasciare al lettore l’intuirle dalle loro parole. Pochi mesi prima di morire, Alberto scrive a Carlo, appena partito per il servizio militare:

Sono in questa splendida chiesa di S. Siro. Sono solo, e sul tetto di legno sento picchiare dolce la pioggia. È un momento tutto particolare, bellissimo. Quasi non vorrei andarmene più. Sono passato di qui per mettere nel Suo Cuore tutte le infinite cose che io non so fare, che magari rovino soltanto. Tra le tante, in questi giorni ci sei tu… Quasi sento nella mia carne, nel mio cuore, il momento delicato che stai attraversando, che sto attraversando. In questo silenzio così bello mi sta rispondendo che non ci possiamo fermare; amare, amare tutti, spaccarci il cuore per fare uscire il vero amore, quello nato dal dolore…

Facile immaginare quale fu lo strazio di Carlo quando seppe della morte di Alberto, ma pochi giorni prima di raggiungerlo dall’altra parte del cielo, confidò a un gen venuto a trovarlo in ospedale, una sorta di “consegna”, probabilmente la stessa che avrebbe espresso Alberto se ne avesse avuto il tempo:

Sono alla fine. Volevo dirti di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro in questo momento… Offro la mia vita per tutti voi, ma soprattutto per l’umanità che soffre, per i ragazzi del mio quartiere, per tutti quelli che ho conosciuto… So dove vado, sono pronto al tuffo in Dio.

Parole semplici, prive di qualunque zavorra retorica perché in loro erano divenute parte di una concretissima grammatica esistenziale.
Per uno strano scherzo del destino, nella mia vita ho avuto la ventura di incrociare e di conoscere un bel po’ di persone “in odor di santità”: da Maria Orsola che fu la mia maestra di catechismo, a Chiara Luce Badano, per non dire di Madre Tere- sa e Chiara Lubich, solo per citare quelle più o meno certificate da santa romana Chiesa. Ebbene, se è vero che le vie che portano a questo misterioso status sono veramente infinite, e se esso è – per esprimerlo laicamente – un’ansia di perfezione, d’eternità, d’assoluto portata a compimento, allora devo sospettare che Alberto e Carlo ne rappresentino, almeno per come li ho conosciuti – due estremi: l’uno mi pare che ci sia quasi nato, l’altro che lo sia diventato “in zona Cesarini”, o per usare un’espressione più consona, come “un operaio dell’ultima ora”. È una sensazione personale beninteso, ma che anche oggi, a trentasei anni dalla loro di- partita, non riesco a levarmi dalla testa. Ma non è questo il punto, né può esserlo per chi come me non può o non sa più credere. Quel che piuttosto questa vicenda mi ricorda e continua a insegnarmi è che alla fine dei conti è davvero solo l’amore a non svaporare nelle infinite notti del tempo e nei fiati delle chiacchiere: quel che abbiamo saputo dare, e quello che si è ricevuto.




Gen Verde: Concerto e progetto con i giovani a La Spezia

Gen Verde: Concerto”ON THE OTHER SIDE” + Giovani del progetto “START NOW”

16 novembre 2016 – 21 novembre 2016
Teatro civico di La Spezia (SP)
16, 17 e 18 novembre: workshop con i giovani.
19 novembre: concerto al Teatro Civico della Spezia alle ore 20:30
21 novembre: feedback con i giovani.

Info e prenotazioni: www.genverde.it




Carlo e Alberto: un’amicizia per la santità

 

A Genova, 8 anni fa, veniva aperta il 25 settembre 2008 la causa di beatificazione di Carlo Grisolia e Alberto Michelotti, due giovani dei Focolari che si sono impegnati a vivere il Vangelo insieme con radicalità.

Entrambi veri campioni della spiritualità di comunione, ancora oggi continuano a toccare l’anima delle persone che li hanno conosciuti. La Chiesa ha perciò introdotto la loro causa di beatificazione.
Quale il segreto della loro vita? La scoperta e la messa in pratica della spiritualità dell’unità di Chiara Lubich, via collettiva che porta ad una santità costruita insieme.

Leggi l’articolo completo sul sito internazionale del Movimento dei Focolari

Carlo e Alberto: Un’amicizia per la santità




Date e vi sarà dato

Da qualche giorno avevo notato che il rumorino prodotto dalla marmitta dell’auto di Roberto si era aggravato e quando arrivava, la gente si voltava come si fa quando passa un aereo a bassa quota. Che fare? Capivo che lui era subissato di lavoro, così mi sono riproposto di aiutarlo: “Non ti preoccupare, ho combinato con Gian un appuntamento!”. Gian ha un talento: con le sue mani riesce a intervenire e risolvere quasi ogni guasto e lo fa con un entusiasmo e generosità unici. Quasi con la competenza di un medico, per telefono aveva capito il problema e mi aveva indicato che pezzo di ricambio acquistare. Poi ho affrontato coll’auto famigerata le decine di curve per salire al suo paesino. Gian si è subito messo all’opera infilandosi sotto il motore: io lo assistevo, incuriosito dal suo garage che pareva fornito di utensili di ogni tipo ed infatti ogni tanto gli passavo questo o quello seguendo la sua descrizione. Ad un certo punto guardo l’orologio e vedo che il tempo è passato velocemente e mi viene in mente che quella sera devo preparare la cena per tutti. L’impazienza è lì pronta ad assalirmi, ma io cerco di rimettermi nell’intenzione di base: “E’ per Te, Gesù, per Te nel fratello che sono qui!” . Finalmente l’auto è pronta e ora il motore ‘canta’. Ringrazio Gian e subito mi metto al volante, felice di correre a casa. Ma Gian mi chiama: “Aspetta, devo darti qualcosa” e mi mette in auto uno scatolone da cui esce un profumo invitante: “Oggi alla mensa a fine pranzo ho visto che è rimasta questa roba e l’ho chiesta alla cuoca… così eccola qua”. Ecco la cena pronta, pensata provvidenzialmente dall’Eterno Papà!

Gabriele – Genova




Associazione Città Fraterna – Genova

Città Fraterna è una Associazione Onlus, con sede Operativa a Genova Sestri Ponente e iscritta all’ Albo Regionale Ligure delle associazioni di Volontariato. Si occupa di raccogliere e distribuire generi alimentari a favore di persone disoccupate o in difficoltà economica.

DEPLIANT CITTA FRATERNA – GENOVA

PER SAPERNE DI PIU’

ASSOCIAZIONE CITTA’ FRATERNA

 




Comitato Umanità Nuova Genova

comitatoumanitanuovagedescrizione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leggi di più ComitatoUmanitaNuovaGenova

http://www.comitatoumanitanuova.org

 




Il Congresso Eucaristico di Genova

Alle ore 20,30 di giovedì 15 settembre, salutato dal risuonare di campane a festa in tutte le chiese della diocesi, è iniziato a Genova, il XXVI Congresso eucaristico nazionale. Il tema è: L’Eucaristia sorgente della missione: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro».

cong euc geIl capoluogo ligure, dove la macchina organizzativa s’è messa in moto quasi un anno fa, ha visto una mole immensa di lavoro nei preparativi. Qui la chiesa gerarchica ha come suo Cardinale il Presidente della Conferenza episcopale italiana, e S.E. Bagnasco ha cercato in tutti i modi che questo accadimento fosse vissuto da tutta la chiesa italiana come un grande appuntamento di fede e di devozione all’Eucaristia. “Il Congresso Eucaristico – si legge nel comunicato della CEI – e l’anno giubilare ci facciano vivere una rinnovata esperienza di Dio, che ‘esce’ da se stesso per salvarci, e nell’Eucaristia ci si fa vicino, ci salva, e ci spinge a ‘uscire’ da noi stessi, per annunciarlo e farci prossimi ai fratelli.”

Opuscoli, libretti, guide, preghiera e adorazione. Sono tante le iniziative che la chiesa ha proposto per vivere la preparazione. Molti gli appuntamenti. Interessante il programma che vede, nello stile di papa Francesco, nella giornata di venerdì la visita ad oltre una ventina di siti nel centro storico, dove associazioni e movimenti, oltre le parrocchie svolgono opere di misericordia verso le persone che sono nel disagio. O l’adorazione eucaristica al Porto antico. Luogo di straordinaria bellezza e porta di arrivi e partenze. Non solamente di turisti, che nel solo mese di luglio ne sono giunti 700 mila, ma di tante persone in cerca di lavoro, di solidarietà di accoglienza. Qui si terrà sabato, nella cattedrale san Lorenzo, la professione di fede nel Sacramento dell’Eucaristia che avverrà in modo del tutto particolare nella sua manifestazione proprio al Porto Antico. Per l’occasione è stata data la possibilità ai religiosi ed alle religiose di clausura, della diocesi di Genova, di recarsi in piazzale Kennedy dove, alle 10:30 di domenica, si celebrerà la Messa conclusiva del Congresso.

In una chiesa storica del centro, un Padre che da anni confessa ininterrottamente, mi spiega il significato dell’Eucarestia. “Non riduciamo l’Eucarestia a un culto verso Dio, no. Più siamo peccatori più dobbiamo andare a riceverlo. Nell’Eucarestia è Dio che viene incontro a noi, passa a servirci, ci toglie quelle impurità e ci comunica la sua stessa energia d’amore. Questo è il significato dell’Eucarestia, farci fare la scelta di vivere non più centrati sui nostri bisogni e sulle nostre necessità, ma centrati sui bisogni e sulle necessità degli altri. Tanto più grande è la nostra risposta d’amore verso gli altri, tanto più grande sarà la capacità di Dio di comunicarci il suo amore”.

Sulla piazza antistante la stazione ferroviaria, nel solito via vai di pendolari e turisti c’è il giornalaio che si lamenta del notevole aumento di traffico. Quasi come al Salone nautico che aprirà tra pochi giorni. “Pensi se arrivava pure il papa, era come succedesse un’altra alluvione”, osserva Nando al barista Dante. “Brava gente viene per pregare – dice Bacicin Bardone di via xx Settembre – magari tiro su qualche moneta in più in questi giorni”.

Già, l’Eucarestia medicina per i malati: “Non è un premio per coloro che hanno tenuto una buona condotta, ma la medicina per gli ammalati. Gesù dice: ‘Io sono il medico venuto per gli ammalati’: proprio perché noi tutti viviamo situazioni di peccato, di infedeltà, abbiamo bisogno di questa forza da parte di Dio”. Chissà se in questi giorni dedicati a te, Cristo fatto cibo, riusciremo a penetrare un po’ di più questo mistero d’amore.

Silvano Gianti

Sorgente: sito Movimento dei focolari Liguria

Congresso Eucaristico GE programma

CONGRESSO_EUCARISTICO storia




Premio Bontà

Vedi anche il recente articolo su Città Nuova Online

PREMIO BONTÀ DON NANDO NEGRI (Fondatore della Città del Ragazzo)

settima edizione 2016
a  VERONICA PODESTÀ (una giovane del Movimento dei Focolari)

“Veronica Podestà, giovane infermiera di Graveglia di Carasco, piccolo paese del levante ligure ha ricevuto il premio “Bontà 2016” in ricordo di don Nando Negri, fondatore del “Villaggio del Ragazzo”, opera fondata dal sacerdote ligure e che ancora oggi promuove e gestisce servizi educativi, socio-sanitari, assistenziali, per il lavoro, per la formazione e l’aggiornamento professionale. Una vita spesa interamente per le periferie e per gli ultimi quella di don Nando. Verso chi è stato messo dalle circostanze dalla vita ai margini e per i diseredati. E alla cui memoria, dopo la sua morte, è stato intitolato un premio destinato a quanti in diversi modi si spendono ancora oggi per i più bisognosi.

Per l’edizione 2016 è stata premiata Veronica, di 25 anni, giovane del Movimento dei Focolari che lavora al Centro Benedetto Acquarone di Chiavari, un’altra delle opere di don Nando. Grazie alla sua tenacia e al suo coraggio, infatti, è riuscita a dare a Daniel, un bimbo della Costa d’Avorio affetto da tetralgia di Fallop, la possibilità si essere operato (con successo) all’Ospedale di Massa.

Nel marzo del 2013 Veronica si laurea come infermiera con un sogno nel cassetto: andare in Africa. Tramite Carlo, un amico genovese del Movimento che vive ormai da molti anni in Africa, riesce a trovare il modo per realizzare il suo sogno e mettersi a servizio professionalmente di una realtà molto diversa da quella che avrebbe potuto affrontare in Italia presso il dispensario di Man, in Costa d’Avorio.

Parte per 3 mesi, che poi diventano 6, 10, un anno. Un’ esperienza forte e bella, sia dal punto di vista lavorativo, dove ha potuto imparare tante cose, ma soprattutto dal punto di vista umano. Perché come racconta, “si parte con l’idea di andare a dare ed invece si torna avendo ricevuto, si parte con l’idea di cambiare il mondo e ci si accorge che per farlo bisogna incominciare a cambiare in sé stessi il modo di stare con gli altri”.

Mentre è in Africa conosce Daniel, la cui storia la colpisce subito per via di una malformazione cardiaca presente dalla nascita, che richiede una cura particolare da fare almeno 2 volte alla settimana al dispensario dove Veronica presta servizio. Ciò che la colpisce di quel bambino è il sorriso che le regala ogni volta che mette piede al dispensario, e di quel suo interessarsi a come sta lei prima ancora di poterlo fare lei con lui. La dimostrazione di una forza d’animo fuori dal comune, nonostante quel continuo andi-rivieni dal dispensario che deve fare insieme alla sua famiglia e le cure da fare per la sua malattia.

La sera in cui cui Veronica torna a casa trova tutti gli amici che aveva lasciato un anno prima nel giardino di casa ad attenderla per una festa. Alla fine della serata qualcuno le chiede: “Che cosa ti porti dentro da questa esperienza?”. Il pensiero va al sorriso di Daniel il giorno in cui si sono saluti in Africa. Nei mesi in cui si trova in Africa l’avevano raggiunta per un periodo altre due amiche, Stefania e Letizia. E’ proprio quest’ultima che tornando aveva incominciato a prendere contatti con l’ospedale di Massa per un’eventuale operazione. Intanto l’entusiasmo di Veronica contagia chi le sta attorno, e un mese dopo il suo ritorno con una nutrita squadra di amici della mamma organizzano un apericena per raccogliere dei fondi per permettere a Daniel di venire in Italia ad operarsi.

Da lì ad un mese Daniel arriva a Genova accompagnato dal papà e da Carlo, il focolarino che li aveva aiutati dall’Africa in tutte le pratiche burocratiche e dove rimane fino alla data dell’intervento a Pisa. Sono due mesi intesi, alla scoperta del mare, della neve e dell’incontro e scambio arricchente tra due culture. Daniel viene operato con successo e il papà, che aveva promesso al figlio una bicicletta in caso di superamento dell’operazione, si trova in difficoltà perché è un regalo molto costoso. Giusto il tempo di confidarlo che, senza saperlo, un’amica di Veronica per la sua festa di compleanno raccoglie dei soldi e decide di destinarli a Daniel, ormai conosciuto da tutta la comunità: quella busta contiene giusti i soldi per poter comprare la bicicletta desiderata da Daniel! Il seme lanciato da Veronica, che con la sua caparbietà è riuscita a dare la possibilità a Daniel di “vivere” una seconda volta attraverso l’operazione, si è trasformato in una solidarietà contagiosa”.

Daniela Baudino

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IL PREMIO E’ STATO CONSEGNATO IL  9 LUGLIO CON QUESTE MOTIVAZIONI:

“Il “Premio Bontà Don Nando Negri” 2016 a Veronica Podestà vuole riconoscere in lei, nel suo impegno, nella sua giovanile dedizione, nella sua capacità di “arricchirsi” donando se stessa agli ultimi, quello stesso spirito che guidò don Nando nella sua opera terrena”.

 

 




Esercizi spirituali per giovani sacerdoti e diaconi

… siano una cosa sola (Gv 17, 21)
Esercizi spirituali per giovani sacerdoti e diaconi
sulla vita della beata Chiara Luce Badano
21-25 novembre 2016
Presso la Casa di Ospitalità Fatebenefratelli di Varazze (SV)
Gli esercizi avranno uno stile di comunione: agli interventi dei relatori ed ai momenti di silenzio si alterneranno spazi di condivisione tra i presenti. Incontreremo persone che hanno vissuto con Chiara e trascorreremo una giornata nella “sua” Sassello.

Arrivo nel pomeriggio di lunedì 21 novembre; alle 18.30 vespri e presentazione del corso.
Conclusione a Sassello alle 15 di venerdì 25 novembre.

Sistemazione in camera singola con bagno. Quota: €250 tutto compreso.
Contatti:
d. Tommaso Danovaro, 3479142205, tdanovaro@gmail.com
d. Andrea Della Monica, 3405005114, andrea.dellam@gmail.com
d. Alessandro Martini, 3486538661, donale.martini@gmail.com
d. Gianfranco Manera, 3383133914, madongianfranco@libero.it
Info ed iscrizioni: http://esercizichiaraluce.blogspot.it/
Modulo per le iscrizioni online: iscrizioni
Evento Facebook: Pagina facebook




Testimoni dell’essenziale

A Genova, in direzione di Via del Campo, appoggiati all’ingresso della chiesa di S. Siro, quando il via vai di mezzogiorno è intenso, due uomini di un’età indefinibile, ma certamente ancora giovani, discutono animatamente tra loro……
Sono cingalesi, ma fanno parte del numeroso popolo degli inesistenti, di quelli cioè che non abitano da nessuna parte, anche se vivono a Genova. clochard1Di quelli che d’inverno dormono nei portoni di antichi palazzi, su un materasso fatto di scatole di cartone, spesso coperti da altri scatoloni o, accucciati in un sacco a pelo lercio e maleodorante. Mentre d’estate invece dormono sulle barche nei porticcioli, sulla spiaggia, a ridosso degli stabilimenti balneari. I due sono talmente sporchi che avvicinarsi richiede un notevole coraggio, ma mi incuriosiscono e resisto al fetore.
Sono senza documenti, non svolgono alcun lavoro, ma, mi spiega uno dei due, sopravvivono con dei piccoli furtarelli. Non faccio fatica a crederci e presto mi convinco che, così malridotti, di furti veri e propri non sarebbero in grado a compierne pur mettendoci tutta la buona volontà. Avevano viaggiato da clandestini, nelle stive di una nave portacontainer, battente bandiera indiana. Da quando erano arrivati a Genova, mangiavano quando capitava, non si lavavano quasi mai e tanto meno si cambiavano d’abito. I pantaloni sono lucidi per lo sporco, li ho dovuti guadare attentamente, perché sembravano di tela cerata e invece era solo lo strato di lercio che luccicava sulle gambe, fino alle ginocchia.
Gli indico un centro di ascolto, dove possono rifocillarsi, pulirsi e avere coperte e abiti. Ma non riesco a convincerli. «Siamo clandestini», mi dicono e la paura di essere cacciati è invincibile. Li rassicuro più volte che non sarebbe successo nulla, che si potevano fidare, ma è tutto tempo sprecato. Quando li avevo incrociati, stavano litigando e, appena avevo fatto per allontanarmi, avevano ripreso a brontolare. Così sono tornato sui miei passi e chiedo, con una certa sfacciataggine, il motivo del litigio.
Quello apparentemente più anziano, cercando forse un alleato, mi spiega di avercela con il compagno perché una signora, vedendoli così mal ridotti, si era impietosita e gli aveva regalato due litri di latte e due scatole di biscotti. Il fatto che lo aveva irritato è stato che secondo lui il suo amico non avrebbe dovuto accettare tutta quella quantità di cibo, per loro due bastavano un litro di latte e un pacco di biscotti.
«Ma è un regalo”, dico cercando di riportare la pace, “e in fondo un litro di latte e un pacco di biscotti non sono poi una così grande quantità di cibo». “E invece no” mi ha spiegato l’anziano. «A noi basta una razione e questo latte e questi biscotti potevano essere dati a qualcun altro che ha fame come noi». Ammirato per il suo altruismo, resto un istante in silenzio. Poi, mi viene un’idea. «Perché, dico, non date semplicemente quello che vi avanza a un altro che ha fame». Mi guardano compiaciuti e subito l’anziano porta un litro di latte e un pacco di biscotti a un altro clochard che poco più in là chiede l’elemosina.
“Abbiamo molto da ricevere dai poveri, che sono testimoni dell’essenziale”. Ha detto papa Francesco recentemente. Il numero crescente di persone emarginate e che vivono in grande precarietà ci interpella e domanda uno slancio di solidarietà per dare loro il sostegno materiale e spirituale di cui hanno bisogno…. E nello stesso tempo noi abbiamo molto da ricevere dai poveri che accostiamo e aiutiamo. Alle prese con le loro difficoltà sono spesso testimoni dell’essenziale, dei valori familiari; sono capaci di condividere con chi è più povero di loro e ne sanno gioire”.
Silvano Gianti
http://focolareliguria.altervista.org/testimoni-dell-essenziale/#sthash.SRmMhbKT.dpuf




Mariapoli Falcade

Le comunità del Movimento dei focolari della Lombardia e della Liguria organizzano questa Mariapoli vacanze in Trentino Alto Adige.

Vedi locandina: Mariapoli vacanze Falcade

Sito web:https://vacanzainsieme.wordpress.com/

Località: FALCADE (BL)

2 – 9 LUGLIO

Contatto: Famiglia Matarazzo 0289500774 (Milano) Famiglia Tommasini 0321956821 (Novara)

9 – 16 LUGLIO

contatto: Famiglia Giorgini 0302180728 (Brescia)

9 – 16 LUGLIO

Contatto: Focolare maschile 0103761731 (Genova) Focolare femminile 0108687080 (Genova)