L’Associazione Famiglie Nuove onlus inaugura una nuova sede a Napoli

Sabato 23 Settembre si è aperta ufficialmente la nuova sede AFNonlus a Napoli. L’ufficio collocato nei locali dell’Istituto Nazareth, in via Kagoshima 15 del capoluogo campano, vuole essere uno spazio fisico dove operare e attivare  nuove alleanze sul territorio per realizzare progetti di solidarietà e  guardare alla realtà delle Adozioni Internazionali per la Campania.

La festa di inaugurazione, svoltasi in un clima di festa, ha visto la partecipazione di tante famiglie e bambini, di partner e autorità, che ci hanno espresso la loro vicinanza, come Giovanna Ferraro, che dirige l’istituto Nazareth,  la Fondazione Ferraro, il Gil 3 e Gil 4 dell’ASL di Napoli 3, con cui abbiamo siglato protocolli di Intesa in ambito di adozioni internazionali, l’Associazione Pietraviva onlus, Fondazione Banco di Napoli che ha permesso la realizzazione di ben tre annualità di progetto Famigliedicuore per il sostegno alla genitorialità adottiva e che ha dato la possibilità per il 2017 di realizzare insieme a Meridonare  una vasta campagna di crowfounding sulla loro piattaforma online.

Andrea Turatti presidente AFNonlus ha ripercorso le origini delle adozioni internazionali di AFNonlus, sottolineando l’invito di  Chiara Lubich che nel 1967 aveva invitato le famiglie ad aprire  cuore e casa per accogliere tanti bambini abbandonati, fino a  “svuotare gli orfanotrofi”, quindi l’autorizzazione arrivata nel 2001 ad operare come Ente e l’apertura di sei sedi  su tutto il territorio nazionale. Tra queste anche quella di Grazzanise (CE), avviata da Paolo e Teresa Gravante, dove le famiglie si ritrovano per  condividere gioie e dolori, sentendosi accolte e comprese nelle varie tappe  dell’iter adottivo. Anch’essa famiglia adottiva, generosa e impegnata a vivere la spiritualità dell’unità dei Focolari e i valori che promuovono la fratellanza universale a servizio del mondo della famiglia sul territorio, i Gravante hanno collaborato con le varie attività diFamiglie Nuove, del Forum Associazioni Familiari Campania e dell’ente AFNonlus per 15 anni, durante i quali sono state realizzate fino a  200 adozioni internazionali. A loro, durante la cerimonia è stata consegnata una targa.

Teresa, ha espresso la sua commozione e ringraziamento anche a nome di Paolo, che dal gennaio 2016 è venuto a mancare: “Questo riconoscimento va alle famiglie che con generosità infinita hanno aperto il loro cuore all’accoglienza di uno o più figli, che hanno reso e ogni giorno rendono felici bambini che hanno vissuto il dramma dell’abbandono ed hanno provato sofferenze di ogni genere… Questi genitori adottivi sono degli eroi, che per amore dimenticano se stessi e varcano oceani, affrontano culture diverse e portano nelle loro case un pezzetto di mondo generando una nuova cultura, la cultura dell’accoglienza, con la loro testimonianza gridano al mondo che una nuova civiltà, la civiltà dell’amore è ancora possibile costruirla”.

Annalisa Giordano, incaricata della nuova sede di Napoli, ha centrato il suo intervento sull’importanza del sostegno alle famiglie, in continuità con quanto svolto finora dai Gravante. “Credo nella rete delle famiglie, che non possono essere lasciate sole e nella cura delle relazioni, perché uno degli obiettivi dell’Ente è garantire accompagnamento e sostegno in tutte le tappe del percorso adottivo.” Sua intenzione dunque quella di prediligere gli incontri di famiglie di cuore che danno la possibilità di creare solide basi di relazione e di condivisione. Presentando le sue collaboratrici Marta Esposito, assistente sociale, Filomena Mancone, psicologa, e Anna Lamari, operatrice dell’infanzia, che gestiscono i laboratori dei bambini, la Giordano, psicologa e psicoterapeuta, impegnata con i gruppi dei genitori, ha sottolineato l’importanza del gruppo come luogo dell’accoglienza e del confronto.

Durante la serata infine sono stati lanciati progetti di solidarietà, come On your side, teso a realizzare interventi sanitari a favore dell’infanzia vietnamita e Fare Sistema Oltre l’accoglienza per l’inclusione sociale di minori migranti non accompagnati. Le famiglie sostenute e accompagnate sono un grande potenziale per la società: è ciò che spicca particolarmente in questa serata di festa, in un territorio che pare essere molto  ricettivo, dove  la rete di famiglie per le famiglie, con le istituzioni, gli enti e le associazioni, vede comporre variegati  frammenti di fraternità.

Giovanna Pieroni

Fonte sito www.afnonlus.org




@mariapolieoltre

Circa 500 persone: adulti, giovani, famiglie con bambini, anziani, sacerdoti,  provenienti da tutta la Campania e da Potenza e provincia, hanno preso parte, dal 13 al 16 luglio 2017, nell’incantevole scenario naturale di Lago Laceno, in provincia di Avellino, alla Mariapoli 2017, della zonetta di Napoli.

Il titolo “Oltre ogni perché” si è sviluppato attraverso quattro grandi domande: “Perché in Mariapoli?”, “Perché il dolore?”, “Perché insieme?” e “Perché tornare?”,   nei propri ambienti.

Attraverso il racconto di esperienze, la proiezione di conversazioni di Chiara, appositi spazi per lo sviluppo di idee forza, la condivisione in piccoli gruppi di quanto ascoltato e visto, passeggiate, escursioni, giochi e, soprattutto, il vivere assieme tutti i momenti della giornata, si è creato un clima di famiglia, rafforzato dalla partecipazione all’Eucarestia e dalla comunione dei beni spirituali e materiali.

Particolarmente significative le esperienze di dolore di diverse persone. Storie di quotidiana e, allo stesso tempo, eroica solidarietà. Il segreto per tutti:  saper riconoscere e accogliere nelle “strettoie della vita” Gesù nel mistero del Suo abbandono.

L’Arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia, Mons. Pasquale Cascio, ha visitato la Mariapoli sabato 15 luglio ed ha presieduto la santa Messa, concelebrata da numerosi sacerdoti. Nell’omelia, ha invitato i partecipanti a seguire Dio sulla strada tracciata da Chiara, da lui definita “donna dello Spirito”. «Solo vivendo come famiglia di Dio – ha affermato- diamo una qualità nuova allo stare insieme».

Facendo riferimento alle domande chiave della Mariapoli, Mons. Cascio si è, poi, soffermato sul “Perché tornare?”, spiegando che proprio il ritorno è la verifica del partire. Se non c’è un tornare al porto, alla famiglia, all’amore, la partenza potrebbe dirsi vana. Commentando la pioggia torrenziale, rovesciatasi senza danni sul tendone proprio durante la Messa, ha ricordato come sia proprio dall’Irpinia che partono tante fonti d’acqua che dissetano la Campania e regioni circostanti e si è augurato che allo stesso modo, la grazia caduta in questi giorni sui partecipanti alla Mariapoli possa arrivare a tutta la regione ed oltre.

Loreta Somma




Crescere coi nostri figli

Un bilancio sul progetto “Famigliedicuore” di Napoli e  Cosenza

Si dice che sia il mestiere più difficile quello del genitore: domande, dubbi si affacciano ogni giorno dovendo accompagnare i figli nella varie tappe di crescita nei contesti sempre nuovi dove si trovano a vivere.

L’impegno si fa più esigente se il figlio arriva da lontano tramite l’adozione internazionale. Al bisogno di formarsi e confrontarsi con altre famiglie che vivono l’esperienza adottiva, cerca di offrire risposte concrete e innovative il progetto “Famigliedicuore”. Il percorso  dà la possibilità alla coppia di sentirsi meno sola e di essere sostenuta  nella fase delicata in cui il bambino proveniente  da un altro Paese entra a far parte della nuova famiglia e l’avventura si fa unica e meravigliosa, ma anche contrassegnata da interrogativi e responsabilità.  Nato nel 2014 in collaborazione con l’Associazione Unafamigliapertutti Onlus di Ascoli Piceno e realizzato da Azione per Famiglie Nuove onluscon l’obiettivo di divulgare la cultura dell’adozione attraverso il rafforzamento della rete tra famiglie e tra famiglie e istituzioni,  il progetto si è avviato anche in Campania nel 2016  col contributo della Fondazione Banco di Napoli,   e nel 2017 è approdato in Calabria. Tramite  la piattaforma di Crowfounding Meridonare della fondazione Banco di Napoli  si è potuto sensibilizzare a largo il progetto, diffuso anche grazie a diversi eventi solidali, come quelli organizzati da l’ “Associazione Pietra Viva” onlus di Casavatore Napoli, partner del progetto, e al contributo di tanti sostenitori che credono nelle potenzialità di questo percorso costruttivo.

Numerose le attività proposte: da incontri formativi allo sportello di consulenza psicologica, a laboratori tematici per bambini e ragazzi, condotti da una psicologa e psicoterapeuta familiare e da due operatori per l’infanzia per favorire l’ascolto delle emozioni più profonde in un clima di gioco e di partecipazione emotiva, fino ad aperitivi e momenti ludici di socializzazione. “E’  un’esperienza fondamentale per essere dei genitori più consapevoli, per imparare a mettersi in discussione e poi trovare la strada da percorrere come singoli e come famiglia”, commenta una coppia sulla pagina facebook che consente alle famiglie di collegarsi in rete e restare informati su appuntamenti e novità.

Il passaparola tra le coppie ha favorito la diffusione di eventi sul territorio e incontri formativi gratuiti che hanno visto aumentare il numero dei partecipanti nel corso dei mesi, presso l’Istituto Nazareth nel quartiere Vomero di Napoli, facilmente raggiungibile da vari punti della Campania. Attualmente le famiglie coinvolte a vario titolo sono  45, tra cui anche quelle aspiranti l’adozione. Quasi una cinquantina i ragazzi tra i 2 anni e i 16 anni.

“Il tempo vola grazie alla vostra capacità di rendere il tutto molto molto piacevole e andiamo via con ancora tanta voglia di raccontarci, ma portando con noi un nuova riflessione sulla quale soffermarsi.”-  dice una famiglia.

L’importanza delle regole, come gestire la rabbia dei bambini, il rispetto dei tempi di crescita, la costruzione dell’identità, la relazione tra fratelli e i modelli educativi  sono alcune delle tematiche proposte nei diversi gruppi di famiglie, seguiti  da una psicologa e psicoterapeuta familiare, costituiti in base all’età dei figli, dal momento che ogni tappa dello sviluppo ha le sue peculiarità e le sue criticità da approfondire.

“Abbiamo la possibilità di condividere le nostre esperienze e i bambini di stare insieme, giocare, condividere le emozioni. Sono incontri speciali per noi e per i nostri figli”, è un’altra impressione che risuona sui social. C’è anche chi ringrazia “per la ricchezza di contenuti e di emozioni ricevute fino ad ora!” ed esprime il desiderio di vedersi di più: “Sarebbe bello se, oltre a continuare questo percorso, si potessero fare più incontri…!”

Un bilancio positivo anche per il progetto che, a partire da febbraio, si è avviato a Cosenza  con oltre una ventina di famiglie partecipanti, sia adottive che affidatarie, tra cui alcune indirizzate alla sede AFNonlus  dai servizi sociali.

Le famiglie comunicano  paure, perplessità e il bisogno di essere seguite e supportate nel gestire situazioni difficili, ma anche  i benefici di un percorso che ha attivato in loro risorse e il desiderio di mettersi in gioco. Una certezza: la relazione sicura e stabile è la base per la costruzione dell’identità del bambino e dell’adolescente e la condizione indispensabile per vivere serenamente con se stessi e con gli altri.

Giovanna Pieroni




Mariapoli Lago Laceno (AV) – 13_16 luglio 2017

 

INVITO MARIAPOLI 2017_volantino

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Work in progress…. abbiamo un sogno da realizzare!

Questo è il titolo che i giovani delle realtà parrocchiali della Campania e della Puglia hanno voluto dare al cantiere che si è svolto nel weekend 25/26 marzo 2017 scorso presso il Centro “La Pace” di Benevento

Trasmettere ai giovani la bellezza di una Parrocchia che vive e si muove in unità, questo il desiderio che ha spinto un gruppo di loro a lanciarsi in questa iniziativa.

Lavorando insieme gomito a gomito, o ancor meglio “cuore a cuore”, hanno contattato personalmente i sacerdoti e presentato alle loro comunità questo progetto, trasmettendo il loro entusiasmo e la loro fiducia.

Questi rapporti hanno portato al coinvolgimento di più di 150 giovani provenienti da 37 parrocchie diverse delle due Regioni, molti al loro primo contatto con l’Ideale, la spiritualità  del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich.

L’accoglienza, il gioco hanno preparato il terreno e una speciale caccia al tesoro ha portato tutti ad iniziare con una promessa, quella di provare ad amare “puramente”, cominciando da questi due giorni.

Le domande dei giovani trovano risposte nel confronto con due sacerdoti del Movimento dei focolari, don Virgilio e don Sergio, che consigliano e suggeriscono con la loro esperienza concreta come contribuire alla costruzione e alla rivitalizzazione delle realtà parrocchiali.

Tutto è approfondito negli incontri di gruppo in cui si ha la possibilità di condividere la propria esperienza, la propria anima.

A sorpresa arriva il vescovo di Benevento, Mons. Felice Accrocca, che si trattiene coi giovani accettando anche l’invito a cena.

Dopo cena tutti vivono con grande intensità l’adorazione eucaristica e il gesto simbolico di “bruciare l’uomo vecchio” per iniziare una vita nuova.

La domenica inizia con la presentazione di Marco, Sameiro e don Mariano della Segreteria Centrale del Movimento Parrocchiale, che guidano una mattinata ricca di esperienze concrete provenienti da diverse realtà parrocchiali a cui fa seguito un momento gioioso e di festa dei ragazzi riuniti per zone territoriali.

Prima di ripartire, in sala ci si ritrova per un ultimo momento di condivisone dove si avverte da tutti i partecipa
nti la gioia dello stare insieme, ma anche la volontà di darsi da fare e di continuare in questa nuova rete di rapporti.

Ognuno sente di avere la giusta ricarica per andare e portare frutti nei propri territori.

Tanti gli echi
positivi dalle comunità parrocchiali, molte delle quali hanno chiesto di continuare insieme questo percorso.

 




Quando l’arte diventa “sacramento di Dio”

Intervista allo scultore e teologo don Luigi Razzano

a cura di don Mimmo Iervolino

Luigi Razzano è uno scultore, poeta, pittore e sacerdote. Nasce a Caserta nel 1963. Il suo paese d’origine porta il nome di un grande monte italiano: Cervino, ma col monte ha in comune solo centodieci metri di altitudine sul livello del mare. Dopo il diploma artistico, nell’82 entra nella bottega del maestro A. Argenio, dal quale apprende e perfeziona la tecnica della scultura in marmo. Con lui collabora fino all’86. Dopo le strade si dividono. Luigi è attratto da una ricerca esistenziale che lo porta nel 1988, all’età di 25 anni, a lasciare l’attività artistica per il sacerdozio. Un cammino formativo che lo conduce all’ordinazione nel ’96. Il suo desiderio di conoscere e indagare il mistero di Dio lo porta nel 1999 a conseguire la Specializzazione e nel 2004 il Dottorato in Teologia Fondamentale, presso l’Università Lateranense di Roma, a pieni voti.
Seguono anni di insegnamento, prima come assistente di Cristologia e Trinitaria presso la Pontificia Facoltà di Teologia dell’Italia Meridionale, poi come docente di Teologia Estetica alla Scuola di Alta Specializzazione di Arte e Teologia, presso la PFTIM, e di Cristologia preso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Caserta. Un impegno quello della docenza che lo ha portato a coniugare la ricerca artistica con quella teologica ed estetica.
È stato inoltre Presidente della Commissione Arte sacra della Diocesi di Acerra (Na). Nel 2008 ha fondato il Centro Logos, per l’evangelizzazione della cultura attraverso l’arte. Nel 2012 lascia tutto e si trasferisce a Roma presso il Centro Aletti, dove comincia un’esperienza di comunione artistica con p. M.I. Rupnik. Dal 2014, insieme ad altri sacerdoti e religiose, vive a Santa Severa, presso Civitavecchia, dove l’ho raggiunto per questa intervista.

Chi viene prima l’artista o il sacerdote?

È un tutt’uno, non posso scindere l’uno dall’altro. Un tempo pensavo di dovermi dedicare radicalmente o all’uno o all’altra. Poi invece ho capito di essere chiamato e all’uno e all’altro: in altre parole, all’unità tra queste due vocazioni. Non so vivere il sacerdozio se non in chiave artistica. Ancora meno l’arte se non alla luce della dimensione sacerdotale. L’arte per me è una liturgia: un’offerta quotidiana della materia: che sia l’argilla o il mio cuore o ancora la libertà degli altri. È un altare sul quale donarsi Dio. In ogni caso un luogo dove sono sempre a contatto con una materia da offrire e ricevere.

La tua ricerca teologico-estetica non si è mai conclusa anche dopo il dottorato con Piero Coda?

Anzi, si è intensificata. Quando cominciai gli studi filosofici e teologici, presso la Facoltà Teologica di Napoli, non avrei mai immaginato di giungere al dottorato. Ho vissuto lo studio sempre come espressione della volontà di Dio. E in questa chiave senza accorgermi il Signore è andato fondando teologicamente la mia vocazione artistica. Il dottorato su Bulgakov mi ha dato modo di riconsiderare una delle categorie più in crisi della modernità: la bellezza. La sua rilettura in chiave sofianica (da sofia, sapienza) e trinitaria mi ha permesso di uscire da una visione essenzialmente classica e considerarla come avvento ed evento dinamico dello Spirito. La bellezza come l’amore accade nel dono di sé all’altro. Per dirla in termini teologici è una pericoresi che si rende visibile nella comunione. Vivere l’arte alla luce di questa esperienza di bellezza comunionale ha significato per me riscoprirla come luogo rivelativo di Dio e via di santità. Dio, per così dire, mi si è rivelato e mi si rivela da Artista.

Come sei arrivato a p. Rupnik del Centro Aletti?

Quando cominciai la tesi di dottorato, nel 2000, uno dei miei correlatori mi consigliò di incontrare p. T. Spidlik, un esperto del pensiero sofilogico e orientale in genere. Egli viveva allora presso il Centro Aletti. Ho un ricordo ancora molto vivo della sua cordiale accoglienza e del suo sorriso. In seguito, al termine della tesi gli chiesi una sua prefazione al mio libro: “L’estasi del Bello nella sofiologia di N.S. Bulgakov”, per i tipi di Città Nuova, ma non so come ma fu fatta da p. Rupnik, direttore del Centro Aletti. Da allora quelli con p. Rupnik sono diventati incontri sporadici ma progressivi.
Nonostante il dottorato e la docenza non ho mai tralasciato il lavoro pastorale che mi ha dato modo di interagire sempre con la gente e di conoscere da vicino la varie problematiche umane. Tutto ciò mi ha tenuto lontano dal mondo artistico per venti anni. Ma gradualmente cresceva in me un senso di responsabilità nei confronti dell’arte. Avvertivo come se un giorno avrei dovuto rispondere a Dio di questo talento. Finché nel 2008, manifestai il coraggio di riprendere l’arte. Avevo paura che fosse un ritorno al passato, ma dopo un lungo e approfondito discernimento, capii che ora l’arte mi veniva restituita centuplicata. D’accordo col mio vescovo, aprii in Diocesi, i Centro Logos, per chiunque avesse voluto avvicinarsi a Dio attraverso l’arte. Seguirono anni di attività evangelizzativa, estesa anche alla città di Acerra, dove risiedevo come vicario parrocchiale.
Nel 2010, un amico sacerdote mi informò della presenza di p. Rupnik nella sua Diocesi di Nola (Na), confinante con la mia. Mi recai subito da lui, per invitarlo al mio Centro Logos, che lui accettò dopo qualche tempo. Fu un’ora e mezza di colloquio, che mi fece maturare una ennesima svolta. Nel giro di poco lasciai di nuovo tutto e così, il dodici aprile del 2012, nel secondo anniversario della morte di p. Spidlik, mi trasferii al Centro Aletti.

Come concili questa01LuigiRazzano nuova vita artistica con l’Ideale dell’Unità che abbiamo condiviso per tanti anni?

Intanto mi hanno sempre sorpreso i tantissimi aspetti in comune tra l’Ideale dell’Unità di Chiara Lubich e lo specifico impegno teologico e spirituale del Centro Aletti. Ciò mi ha confermato ancora una volta come l’Unità fosse un vero segno dei tempi. E alla luce dell’insegnamento di papa Francesco direi che non è possibile pensare neppure la Chiesa in modo Occidentale o Orientale, occorre più che mai pensarla in modo cattolico, nel senso universale del termine. Ogni realtà non è solo un’are geografica o culturale, ma una prospettiva spirituale, teologica  ed ecclesiale che fa della Chiesa una convergenza dei popoli in Cristo.
Per tornare alla domanda, mi chiedevi come concilio l’arte e la spiritualità dell’Unità. Il mio non è
uno sforzo conciliativo, come fossero due realtà differenti, ma un’esperienza di unità che vivo già a livello interiore. Ed è questa unificazione spirituale che traduce in unità anche le relazioni interpersonali. È bello, per esempio, poter constatare quanto questa unità tra di noi artisti del Centro si renda palpabile nei cantieri musivi che facciamo nelle diverse parti del mondo. Ogni volta che lavoriamo per un mosaico in una chiesa si tocca con mano la dimensione corale dell’arte e della Chiesa. Ed è bello poter constatare sempre quanto questa unità tra di noi diventi visibile e percepibile dalle varie comunità parrocchiali che incontriamo.


Che posto ha Gesù Abbandonato nella tua esperienza artistica?

Direi che è la conditio sine qua non. Senza di lui il sacerdozio, l’arte e perfino l’unità rischiano di essere esperienze idilliache. Lui è la chiave, la colonna e il fondamento, per dirla con P. Florenskij, dell’arte.  È l’esperienza di deserto che precede la fase creativa di ogni opera, il passaggio del Mar Rosso che porta alla libertà della contemplazione di un’opera. Può sembrare un paradosso ma l’unità personale tra arte e sacerdozio e l’unità tra noi artisti del Centro passa necessariamente attraverso una solitudine, spesso spiritualmente provata, nella quale il Signore ti chiama a stringerla prima personalmente con lui. Nessuna spiritualità comunitaria può fare a meno di questa dimensione personale. Solo un artista che muore a se
stesso può manifestare Cristo attraverso le sue opere. Gesù non ci ha lasciato nessuna opera sua che non fosse una manifestazione della gloria del Padre. Tutto è stato in vista del Padre. Non capisco perciò una scelta artistica di un sacerdote che riduca l’arte ad un mezzo per rappresentare o esprimere se stesso. È un controsenso che sovverte la logica della glorificazione del sacerdozio di Gesù.  

Leggi l’intervista completa

 

 

 




Città in azione

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

Progetto Officine di fraternità – Alessandra Picariello e Roberta Formisano, Movimento Giovani per un mondo unito Campania (Italia)

Roberta Formisano: Il progetto «Officine di Fraternità» è nato diverso tempo fa, con un duplice scopo: offrire ai giovani la possibilità di mettersi in gioco e di lavorare, e realizzare delle attività concrete in Campania, soprattutto nelle periferie e ferite presenti in diversi territori.

Con questi presupposti, il progetto è stato presentato e approvato nell’ambito dell’Avviso pubblico “Giovani per il sociale” del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile e Nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il titolo del progetto non è a caso: la cultura della fraternità ha fatto da sfondo all’ideazione dei vari laboratori, portando con sé tutte le sfumature da essa derivanti (legalità, solidarietà, impegno civico e partecipazione attiva nelle problematiche sociali, sostegno alle fasce più deboli e disagiate, rispetto delle regole e dei diritti altrui…). Il progetto ha visto circa 25 giovani, esperti e tutor, per la formazione dei beneficiari, tra i 18 e i 35 anni; mentre più di 150 ragazzi tra i 14 e i 30 anni hanno partecipato attivamente come beneficiari del progetto. Il tutto in una cornice che ha visto il coinvolgimento di 8 realtà associative presenti e attive su tutto il territorio campano (Aps Focus Focolari, Associazione di volontariato Fare Comunità, Arcidiocesi di Benevento, Associazione SNC Libero Pensiero, Comitato Caserta Città di Pace, Cooperativa sociale NeWhope, Associazione Centro Vita onlus, Associazione Mondo Unito Giovani).

Ciascuna associazione ha presentato una o due “officine” per rispondere al meglio alle esigenze giovanili e sociali dei diversi territori.

11 officine di fraternità, 11 realtà diverse, 11 attività diverse ma un unico filo conduttore: la fraternità. Ognuna delle officine ha lavorato singolarmente ma c’è stato un momento di incontro tra tutti i 150 giovani coinvolti dal progetto.

Il momento cruciale, infatti, si è tenuto dal 1 al 4 maggio 2015 a Benevento, con “Forti senza Violenza” – il progetto portato avanti da anni dal gruppo internazionale Gen Rosso, sul tema della legalità, dell’amicizia e di una scelta giusta di unità. Si è trattato di una vera sfida: preparare da zero il musical “Streetlight” in soli tre giorni, e al contempo condividere la quotidianità con persone sconosciute.

È stato l’apice del progetto, il momento più ricco e formativo per tutti i ragazzi, dove hanno potuto sperimentare questa fratellanza universale non più solo con i giovani del proprio gruppo ma con tutti i 150 giovani delle officine e con ogni membro del Gen Rosso.

Alessandra Picariello: Non è stato sempre tutto facile, c’è stato molto lavoro da fare di organizzazione e soprattutto di coesioni tra queste realtà così diverse tra di loro, ma ne è valsa la pena.

Per chi tra noi gen è stato “protagonista” di quest’esperienza è stato un momento di crescita veramente importante. Questo progetto ci ha permesso, grazie all’aiuto degli adulti che ne hanno permesso la realizzazione, di creare qualcosa più grande di ogni nostra aspettativa. È stata davvero una scia di luce per le nostre città, siamo sicuramente riusciti a seminare tanti germogli di fraternità e molti di questi stanno già dando i primi frutti.

Le officine si sono concluse ma i rapporti creati non possono finire.

C’è anche chi sta continuando con le attività dell’officina, a Ponticelli ad esempio dopo la realizzazione di “Life Love Light”, ci si sta impegnando nella costruzione di un altro spettacolo; il percorso di quest’anno è incentrato sulla Pace, con tutte le sue sfaccettature perché non possiamo smettere di vivere la fraternità e quale mezzo migliore della musica per lanciare messaggi in luoghi purtroppo non sempre semplici.

Personalmente, quando ho raccontato ad amici e parenti quello che stavo vivendo molti mi hanno subito detto di stare attenta, che quelle zone sono pericolose ( le periferie di Napoli), che lì uccidono… lì come chissà di quale città lontana stavano parlando, ma in realtà quella è la MIA nonché la loro. Non mi sono mai fatta fermare da queste paure (che non ho mai avuto in realtà), quei ragazzi ci vivono ed io non posso andarci una o due volte a settimana?!

Con la mia famiglia abbiamo iniziato ad andare a messa lì ogni domenica per rafforzare quei rapporti creati durante l’anno e questo ci aiutato molto a conoscere meglio i ragazzi e le loro famiglie. Siamo stati invitati a pranzo da molti di loro; io sono andata a pranzo a casa di uno dei ragazzi, in una di quelle case popolari che mettono molta tristezza a vederle, ma entrando l’amore con cui sono stata accolta mi ha resa felicissima.

Ci sarebbero tante storie da raccontare su ognuna delle persone che ho incontrato ma posso sicuramente testimoniare che una rete di fraternità tra tutti coinvolti dal progetto è stata creata e spero che continui.

Roberta Formisano e Alessandra Picariello

Video Officine di fraternità

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Sognare altri mondi…cambiare questo

Si è conclusa il 10 luglio a Lago Laceno, (località a 1050 metri in provincia di Avellino)  la Mariapoli che ha registrato la presenza di ca 800 partecipanti provenienti dalla Campania e dalla provincia di Potenza. Un popolo variegato composto da adulti, giovani, ragazzi e bambini, reso internazionale dalla presenza di un nigeriano, una persona della Costa d’Avorio, di due sacerdoti vietnamiti e due religiosi dell’America Latina. 13631671_10208409486367881_2440838184008615328_nPer una parte dei presenti, è stato uno dei primi contatti con l’esperienza del Movimento dei Focolari frutto di rapporti personali maturati nel tempo; per un’altra discreta percentuale è stato un ritorno in Mariapoli dopo vari anni in cui  non aveva partecipato. Per tutti tre giorni gioiosi, distensivi e profondi.

Ciao sono Gabriella ed ho partecipato alla mia prima Mariapoli (dico prima perché ne seguiranno certamente altre!) con i miei bimbi di 2 e 4 anni e mia madre, invitata da una cara amica che non finirò mai di ringraziare. […] Sono rimasta colpita dal grande senso di accoglienza che ognuno manifestava anche con una semplice stretta di mano o uno sguardo oltre che gesti comuni, ma non scontati, di fratellanza. Mi sono portata dentro qualcosa che ancora non so definire ma che sento grande e bello e mi dà senso di benessere e quiete. […]mi sono resa conto che Mariapoli non è un luogo fisico ma un luogo di pace che ognuno può portare con sé e continuare a rivivere e far vivere ogni giorno anche al prossimo.

Il programma ha visto momenti diversi: il primo giorno, un grande gioco a squadre  che Michele aveva preparato con i suoi amici della Federazione cronometristi, e poi laboratori creativi e passeggiate per tutti i gusti e…le resistenze!


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Un’ impressione dal blog della Mariapoli: I giochi sono stati un’unione tra generazioni, abbiamo costruito lí la Mariapoli, è stato un momento di grande famiglia.

 

 

13590420_10201701611699547_1073464415837113986_nPunti forti i forum tematici: sul dialogo fra generazioni, il rapporto con il creato, la legalità, il dialogo fra culture diverse e l’ accoglienza. Qui abbiamo sperimentato la “ricchezza” dell’Italia con tante persone esperte e qualificate che hanno saputo rendere questi momenti molto coinvolgenti, suscitando risposte ed impegni concreti.

 

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Lasciamo parlare ancora qualche impressione:

Grazie a Fernando per averci raccontato la sua bellissima esperienza. Ci ha dato una grandissima carica e la speranza che insieme possiamo veramente rivoluzionare il mondo…perché ”nulla è impossibile a Dio”!.

La Mariapoli mi ha dato la responsabilità di dover fare qualcosa e la necessità di informarmi. Ho capito che devo istruirmi e conoscere in più per non cadere nell’ignoranza e nei pregiudizi.

Ho capito l’importanza di cercare soluzioni insieme con le persone di buona volontà, e di cercare anche belle condivisioni con persone di altri credo e di altre opinioni.

I bambini hanno vissuto una “missione spaziale”: guidati dalla bussolo che scandiva ogni giorno le tappe (“Amare tutti”, Amare per primi”, …) hanno accolto l’ultimo giorno due astronauti che li avevano contattati il primo giorno e che si erano sentiti attratti dal “pianeta Mariapoli”.


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I giochi nei boschi, alla luce della Regola d’oro e del time out hanno reso gli adolescenti presenti una “squadra”, con la gioia che viene dall’ essere insieme.

 

 

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A conclusione possiamo dire che la Mariapoli è stata davvero quello che avevamo “sognato”  all’inizio di quest’anno: un’esperienza di unità, sperimentare la presenza di Gesù fra noi. Presenza generata, sin dalla preparazione nell’allenarci ad accoglierci anche partendo da idee molto diverse; nel condividere decisioni che all’inizio potevano sembrare rischiose, sentendoci tutti responsabili e costruttori.

Sul blog continuano ad arrivare esperienze ed impressioni: lasciamo ad alcune di queste, scelte fra le tante, la conclusione:

Non dobbiamo assentarci dalla vita sociale. Il mondo necessità di unione tra spiritualità e azione.

La cosa che più mi ha colpito di questa Mariapoli sono stati i giovani, mi hanno commosso, sono vicini a noi e come noi, senza barriere, entusiasti.

Abbiamo compreso la necessità di congiungere le generazioni anche attraverso la tecnologia.

[…]Semplicemente desidero leggere in me il cambiamento (o il suo germe iniziale almeno). Innanzi tutto io sono uno alla sua prima esperienza in Mariapoli e l’impressione è stata certamente molto forte soprattutto in ció che sono stati i rapporti interpersonali. […]  un’ esperienza indelebile che mi fa desiderare ulteriori incontri come questo per una crescita interiore e comune.

 




Rassegnarsi? No, grazie

Rassegnarsi? No, grazie

Come un’insegnante nel quartiere degradato di una grande città prova a non arrendersi allo squallore, al disordine e all’illegalità

Ogni mattina mi capita di vivere un’avventura sempre nuova e sempre sconcertante.

Esco di casa ed una breve passeggiata nel traffico mattutino mi porta alla metropolitana; respiro l’aria intrigante di una delle più grandi città d’Italia. Grande in tanti sensi: per la sua storia, per la sua gente, per le sue potenzialità, per le sue ricchezze di ogni genere, per il suo calore, per la sua sofferenze, per la sua dignità.

Entro in metropolitana fra volti sconosciuti ma non estranei; immagino storie, intrecci, fatiche… Poche fermate; esco dal tunnel, risalgo in superficie e… mi ritrovo – come Harry Potter! – in un altro mondo.

Il grigio di edifici scrostati ed imbrattati al limite dello squallore, marciapiedi sconnessi, cassonetti arrugginiti, rifiuti di ogni tipo disseminati lungo la strada: materassi, pezzi di elettrodomestici, mobili squartati, vetri rotti… tra le crepe dell’asfalto qualche timido ciuffo d’erba si affanna a dare un segno di speranza.

Un’altra passeggiatina e mi ritrovo a scuola; l’edificio non ha niente da invidiare al resto del rione: già entrarci richiede un grande atto di coraggio. Il coraggio di entrare nel ‘brutto’, nel ‘non accogliente’, nel ‘disordine’.

La scuola è praticamente sfornita di tutto, dell’essenziale, del necessario. Le classi, spoglie e disordinate, si affacciano su un corridoio che i colleghi chiamano significativamente il ‘miglio verde’, dall’appellativo del tragitto che nelle carceri americane porta dalle celle alla sedia elettrica.

Non disponiamo di un’aula docenti dove custodire in modo sicuro i documenti e i materiali (la scuola nei momenti notturni è spesso visitata…), lavorare serenamente, ricevere i genitori. Una stanza sufficientemente ampia c’è… ma è da anni diventata un deposito polveroso, pieno di scatole, libri vecchi, materiale dimenticato o inutilizzabile, anche ingombrante; risistemarla sarebbe un’impresa non da poco: tempo oltre quello del servizio, energia, materiali da comprare. Il personale ausiliario non è disponibile; tra i colleghi inizia la polemica: «Non tocca a noi», «Facciamo già abbastanza per uno stipendio inadeguato», «Non se ne parla proprio»…

Senza discutere troppo, ci accordiamo con un gruppetto di colleghi disponibili e motivate e diamo inizio ai lavori: scope,  stracci, buona lena e gioia di stare insieme per qualcosa di positivo. In due mattinate il magazzino diventa un’ariosa stanza con scaffali ordinati e sedie pulite (anche se non ce n’è una uguale all’altra!!!). L’ambiente aiuta e vuole esprimere l’impegno a rendere bello il nostro lavorare insieme per questi ragazzi che, anche se inconsciamente, hanno sete di bellezza e armonia.

Ma non è solo una questione di estetica o un capriccio; ci sono carenze ben più profonde che ci sfidano ogni giorno: la mancanza di strumenti didattici e tecnologici di base che potrebbero in qualche misura venire incontro alle esigenze di 110 ragazzini che vivono qui sei ore di ogni loro giornata. Hanno tutti facce e sguardi vivi, intelligenti… 110 paia di occhi dietro ai quali spesso si nascondono casi familiari e situazioni border line: genitori in carcere, altri latitanti, parenti morti in lotte fra clan, madri-ragazzine, famiglie ricombinate…

Sul rione incombe una cappa pesante, più pesante del cemento sporco che fa da sipario alle viuzze percorse da motorini sfreccianti, alle botteghe anguste, alle piazzette ed alle edicole dove si traffica, si spaccia, si decide.

E questa è l’amarezza più profonda che provo ogni mattina quando entro in questo mondo che, pur lontanissimo da quello in cui vivo, sento ogni giorno di più ‘mio’.

L’amarezza di constatare come il destino dei ragazzi che tutti i giorni mi vengono incontro sembri già deciso, segnato. La loro vivacità (a volte la loro sfrontatezza), la loro intelligenza, la loro voglia di vivere merita qualcosa di più che pomeriggi trascorsi davanti ai videogiochi o in giro per le strade ad imparare dai più grandi i trucchi e gli espedienti meno nobili per tirare a campare.

Le loro ambizioni (loro non lo sanno…) possono elevarsi molto oltre il raggiungimento del presunto prestigio di un boss o le unghie laccate per sembrare più grandi.

Ci si sente impotenti, sognatori senza speranza.

Un rione dove la miseria non è economica: è umana.

Un rione che sembra dimenticato da Dio e dagli uomini.

Un rione che non conosce spazi aggregativi, attività sociali, spiragli di futuro.

Un rione dove i ragazzi vengono a scuola per crudo obbligo, per paura dei carabinieri a casa.

Una mattina, entrando più tardi in classe, sono stata alla messa nella chiesa della zona. La celebrazione era accompagnata dalla musica ad alto volume che arrivava dalla strada: neo-melodici a tutto spiano, secondo i gusti del posto; a pochi metri dalla chiesa il ‘centro direzionale’ del quartiere: la materializzazione dell’illegalità, del disprezzo per il bene, dell’offesa ad ogni valore e ad ogni diritto.

Le parole del Vangelo del giorno risuonano forti come mai. «Gesù cominciò a dire: questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno…»..  Il cuore si fa piccolo… un velo di tristezza, una domanda: «Come fare? e se quel ‘segno’ potessi – con altri – essere anch’io? Ma come? Da dove cominciare?».

Con i colleghi siamo una bella squadra: non ci arrendiamo facilmente, anche se spesso ci ritroviamo con armi spuntate.

Con le assistenti sociali, i carabinieri del territorio c’è una collaborazione che può senz’altro crescere ma che è già un punto di forza.

Con le istituzioni… beh… il sindaco ed un paio di assessori sono passati di qui; hanno elogiato il nostro operato, hanno verificato difficoltà, carenze e pericoli; vedremo…

Ma in quel momento, davanti al tabernacolo, si riaffaccia un suggerimento importante: confidare nell’Onnipotente con quella fede che opera “miracoli”.

Ritrovo dentro una certezza:  davanti al Male che sembra dominare coscienze, rapporti, famiglie intere… solo il Bene può essere ‘la’ risposta, quel Bene ariete di luce e di speranza che sfonderà – prima o poi – il muro della malvagità, della violenza, dell’ingiustizia.

di Maria Silvia Dotta

 

 

 

 




Una canzone per dare e cantare Dio

Sito di Mimmo Iervolino  accedi da qui




Il Cantastorie itinerante

Un ponte tra Napoli e la Costa d’Avorio

23/05/2016

Un progetto pensato per dare spazio all’incontro tra diverse culture e supportare la creazione di una società inclusiva ed egualitaria 

L’incremento esponenziale degli sbarchi e l’arrivo sulle coste italiane di un sempre maggior numero di migranti, sebbene abbiano da una parte sensibilizzato una fetta consistente di popolazione in favore del sostegno concreto ai rifugiati, hanno, dall’altra, contribuito a nutrire  sentimenti di timore nei confronti dello straniero.

Nei grossi centri del sud Italia la situazione è più complessa, complice la crisi economica e la penuria di offerte lavorative. A Napoli, ad esempio, l’ultimo censimento parla di una popolazione straniera di circa 40.000 unità, dato, questo, che fa della città partenopea un mix di culture diverse. Ma anziché “sfruttare” le mille possibilità che solo una convivenza multietnica può offrire, spesso lo straniero viene emarginato e guardato con una certa diffidenza. Così le possibilità di integrazione vengono rese quasi impossibili.

12 Invités 4Partendo da questo quadro abbastanza complesso, ha preso il via “Il Cantastorie itinerante: un ponte tra Napoli e la Costa d’Avorio“. Un progetto pensato per dare spazio all’incontro tra diverse culture, attraverso la narrazione diretta delle esperienze di vita, di beneficiari provenienti dall’area geografica della Costa D’Avorio e gli studenti di una scuola media di Napoli: l’IC73 Michelangelo-Ilioneo.

Il progetto nasce da un’idea dell’Arcipelago della Solidarietà, associazione di volontariato attiva da anni nel settore umanitario  in collaborazione con AFNonlus ed è realizzato con il contributo del comune di Napoli servizio cooperazione decentrata, Legalità e Pace,  ponendosi dunque l’obiettivo di facilitare l’integrazione e lo scambio culturale tra i popoli.

Perché la Costa d’Avorio? La popolazione ivoriana, secondo le stime fornite dall’Arcipelago della Solidarietà, si è dimostrata negli anni tra le più ricettive nei confronti delle culture e società ospitanti, e questo fattore, insieme alla componente linguistica favorevole, la rende maggiormente disponibile allo scambio multietnico.

Inoltre, proprio in territorio ivoriano, AFN Onlus è presente dal 1997 e aiuta i bambini e le famiglie disagiate attraverso il sostegno a distanza.  Coscienti, poi, del fatto che le basi per una cultura della solidarietà si creano nelle scuole e tra i ragazzi, è prevista la collaborazione dell’Istituto IC 73 Michelangelo-Ilioneo di Napoli e dei referenti SAD in Costa d’Avorio, operanti sul territorio.

Il 23 maggio, la festa di chiusura presso la scuola IC73, ha visto  la partecipazione dell’assessore al Patrimonio del comune di Comune di Napoli   con delega alla cooperazione decentrata Alessandro Fucito, la dirigente scolastica Chiara Esposito, la vicepreside Aurora Iuorio e i rappresentanti di AFN e dell’Arcipelago della Solidarietà.

Le attività previste hanno avuto come obiettivo primario lo scambio reciproco, “farsi conoscere” dall’altro e acquisire, in parte, tradizioni e usanze diverse. È così che i ragazzi inseriti nel progetto, tanto italiani quanto ivoriani, hanno preparato, attraverso workshops, incontri informali e partecipativi, laboratori artistici e culturali, dei piccoli lavori da scambiarsi reciprocamente in una vera e propria “festa dell’amicizia”.

La sostenibilità del progetto è garantita  dalla sua stessa organizzazione: le modalità di peer education, la collaborazione e l’approccio partecipativo, facendo in modo che gli stessi ragazzi diventino moltiplicatori, trasmettendo quanto appreso al loro gruppo/comunità di appartenenza e diventando essi stessi promotori di iniziative di solidarietà e d’integrazione.

26 Depart organisateursGrazie al suo impatto economico quasi nullo e alla sua potenziale rigenerazione e durata nel tempo, il “Cantastorie itinerante” si configura come un ottimo punto di partenza per sopperire alla grande sfida dell’integrazione. La volontà è, quindi, quella di supportare la creazione di una società inclusiva ed egualitaria, nella quale non venga dimenticato che: “il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuovi territori, ma nel possedere altri occhi, vedere l’universo attraverso gli occhi di un altro, di centinaia d’altri: di osservare il centinaio di universi che ciascuno di loro osserva, che ciascuno di loro è” (M. Proust).

di Giovanna Pieroni