Giada

 

Vicino casa nostra abita una donna che tutti emarginano perché non è del tutto normale. Qualche anno fa ha convissuto con un ragazzo di colore che poi l’ha lasciata quando è rimasta incinta. È nata una bellissima bambina mulatta, Giada.

Nel paese, purtroppo, questa bimba non era ben vista. Il Vangelo ci ha aiutati a capire che un modo per far cessare i pregiudizi su di lei era accoglierla noi per farla giocare con nostro glio. Luca, che è più grande, ha ora verso di lei gli atteggiamenti del fratello maggiore e Giada sente di avere una famiglia.

M. M. – Italia

Fonte: Il Vangelo del giorno n.8/ Agosto 2016, Città Nuova, p.53




Un vaglia

Ogni mese cerco di far quadrare il mio bilancio senza intaccare quel poco che ho da parte, ma ogni mese mi accorgo che la cosa diventa sempre più difficile. Tutto rincara e quello che entra a noi pensionati è sempre la stessa cifra.

Proprio una decina di giorni fa, facendo i vari conti, mi accorgo che la mia economia si è andata deteriorando ulteriormente. Ed ecco venirmi in aiuto una frase del Vangelo: «Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia…». Ho cercato d’impostare la mia vita sul Vangelo, ci riesco o no non conta, Lui vede di certo i miei sforzi e la sua misericordia coprirà i miei tanti difetti e sbagli.

La fede che sempre chiedo non mi è venuta mai a mancare anche nei momenti più tristi e dolorosi della mia vita, ed è forse per questo che dopo due giorni mi arriva una raccomandata; vado alla Posta. È un vaglia del Ministero del Tesoro, per una cifra piuttosto considerevole, per arretrati di pensione non corrisposti! Ma ci può essere una risposta più grande di così al nostro credere all’amore di Dio?

Simona – Italia

Fonte: Il Vangelo del giorno n.8/ Agosto 2016, Città Nuova, p.21




Nulla è impossibile all’amore

La testimonianza di Danilo, 29 anni, impegnato del Movimento Diocesano dei Focolari. Il coraggio di donarsi agli altri oltre la malattia.

 
«Nessuno della mia famiglia conosceva i Focolari e, per quel che ricordo, la spinta a tornare ogni sabato all’appuntamento per approfondire il Vangelo era dovuta al fatto che avevo trovato chi mi voleva bene in un modo disinteressato. Sono nato e cresciuto ad Ascoli Piceno, ed ogni anno ho partecipato ai corsi di formazioni per ragazzi, consolidando così il mio cammino di fede.

A 19 anni ho dovuto affrontare un intervento al ginocchio, a seguito del quale si sono presentate alcune inattese complicazioni. Mentre ero ancora in ospedale i medici mi dissero che non avrei più potuto giocare a pallavolo e che non sarei mai più tornato ad avere la piena funzionalità della gamba. In quel momento capii chiaramente cosa volesse dire che “Dio è un ideale che non crolla” e decisi di fidarmi di Lui. Se non potevo più praticare alcuno sport, Egli avrebbe trovato sicuramente altro da farmi fare.

Dopo le scuole superiori ho proseguito gli studi all’università, ma ogni sabato tornavo nella mia città per prestare servizio come animatore nella parrocchia, sfruttando la mia propensione a preparare giochi per giovani e ragazzi. Pur non potendo giocare, ho scoperto quanto fosse divertente e gratificante far giocare gli altri, talvolta sottoponendoli a prove funamboliche!

Negli stessi anni iniziai ad avvertire nel cuore una forte chiamata di Dio a spendere la mia vita per Lui negli altri. Alla Mariapoli 2007, dopo aver ricevuto Gesù Eucarestia, sentii nel cuore quale fosse la mia strada: portare il carisma dell’unità nella mia diocesi. Era una totale scelta di Dio, messa a servizio di una realtà particolare.

Questo tuffo in Dio mi ha portato a vivere la vita nella pienezza della gioia, e in modo particolare mi ha permesso di affrontare una situazione che umanamente non sarei mai stato in grado di affrontare. Nel 2010, infatti, iniziai ad avere nuovi problemi alla gamba che aveva subìto l’intervento, poi all’altra, alla schiena, e nel giro di pochi mesi facevo fatica a camminare e a stare in piedi. I medici non trovavano spiegazioni e, dato che ero prossimo alla laurea, ipotizzarono una sorta di esaurimento nervoso o di depressione.

Io continuavo a sentire nel cuore la gioia di vivere assieme ai miei compagni di avventura ideale, e non capivo cosa mi stesse accadendo. Una sera, mi rifugiai in chiesa e pregai di fronte a Gesù Eucarestia: “Se è nella tua volontà iniziare queste cure, dammi un segno. Se, invece, ho una strana malattia, fammelo capire, perché voglio continuare ad essere un dono per gli altri”.

Con l’ennesima ricerca si scopri che ero affetto da una rara malattia genetica che scatenava tutte le problematiche che stavo vivendo e che tuttora mi costringe a convivere col dolore cronico. Subito i pensieri furono invasi di domande e d’angoscia. Come avrei continuato a vivere per gli altri? Capii che l’Amore di Dio non cambiava neppure di fronte a tutto quel dolore, forse io lo percepivo in modo diverso, ma il suo amore era sempre immenso. Cosa potevo fare allora? Continuare ad amare e a costruire l’unità con tutti, anche se ora è più faticoso, anche se avrei voglia di restare da solo.

Qualche mese dopo mi chiesero di seguire un gruppetto di giovanissimi. Pensavo: ce la farò? Lasciai da parte le paure e decisi di mettermi ancora a servizio degli altri. Oggi devo dire che, in questi anni, i ragazzi del gruppo spesso sono stati la mia forza e il mio coraggio. Perché amando tutto si supera.
Tante sono le occasioni che non avrei mai immaginato di riuscire fisicamente a sostenere, eppure ce l’ho fatta, costatando che davvero “Nulla è impossibile a Dio”».

dal sito www.focolare.org




Relazione e relazionalità

«In principio è la relazione», scriveva nella prima metà del secolo scorso il grande Martin Buber, esponente del pensiero ebraico. Da allora, e grazie agli sviluppi compiuti dalla scuola dialogica, questa categoria è entrata con autorevolezza nella scena filosofica contemporanea, con conseguenze per la vita sociale e l’orizzonte di senso dell’esistenza.

Le scienze umane, in particolare, ne hanno fatto un uso proficuo e fecondo. Sempre più tendiamo a pensare che la relazione sia quella dimensione della persona che in qualche modo la definisce. La capacità di relazione è perciò diventata importante in tutti gli ambiti dell’agire umano. Il fallimento di tante nobili imprese, per esempio, può essere fatto risalire a problemi di relazione. Avere una buona relazione risulta, per lo più, un positivo punto di partenza e una garanzia di continuità. La relazione è davvero essenziale.

Eppure, dal mio punto di vista, mi permetterei di modificare la frase del grande filosofo austriaco-israeliano con quest’altra: «In principio è la relazionalità». Con questo intendo dire che la relazione è sempre seconda, perché c’è qualcosa di più radicale: la relazionalità. È la struttura relazionale della persona che permette di entrare in relazione, ma non esige necessariamente un rapporto con l’altro per esserci. La relazionalità implica l’essere, la relazione, il fare. Relazionalità e relazione non si oppongono, ma vanno distinte perché toccano due dimensioni diverse della persona.

La conclusione sembra paradossale: ci sono persone povere di relazioni ma ricche di relazionalità, e viceversa. Avere tanti rapporti, infatti, non è necessariamente indice di relazionalità. Pongo un caso estremo: una suora di clausura può essere più ricca di relazionalità di una star cinematografica, anche se infinitamente più povera di relazioni. Si può essere aperti all’infinito senza valicare il perimetro della propria stanza, così come chiusi in sé stessi mentre si gira il mondo. È una questione di quantità e qualità, allora? Sì e no.

Decisiva – come criterio di qualità delle relazioni – è la misura con cui esse partono o meno dalla struttura relazionale della persona. Non è, quindi, questione di quantità o qualità, ma di profondità e reciprocità. La relazionalità proviene dal fondo dell’essere umano ed è sempre aperta. Aperta alla reciprocità, mentre non sempre le relazioni schivano la tentazione individuo-centrica. Partire dalla struttura relazionale della persona vuol dire allora essere coscienti che nelle nostre relazioni c’è sempre qualcosa che le precede e qualcosa che le eccede. Significa rinunciare a dominare le relazioni, addirittura a costruirle come se dipendessero da noi.

Le relazioni non si costruiscono, si cercano. Questo vuol dire che nei nostri rapporti dobbiamo essere attenti soprattutto a ciò che ci sorprende, all’imprevisto. La “volontà di potenza” che caratterizza spesso l’uomo moderno tende non di rado a imporre le relazioni, anche per buoni fini. Può succedere, per esempio, nel rapporto padre-figli o nei rapporti di coppia. Se vogliamo rapporti carichi di relazionalità dobbiamo invece curare l’atteggiamento di attesa, di ascolto, di pazienza, anche di assenza. La relazionalità richiede amore insieme a una sorta di passività che, ben vissuta, è l’unica veramente aperta al nuovo.

Le conseguenze etiche di questa distinzione, che può apparire solo accademica, sono in certi casi decisive. Un esempio: se la persona fosse primariamente relazione, intendendo con questo la capacità di costruire rapporti, l’aborto sarebbe legittimo perché l’embrione non è in grado di costruirli. Anche la persona in coma non avrebbe diritto di vivere, perché incapace di avere rapporti con gli altri. Se invece ciò che definisce alla radice la persona è la relazionalità, che per esserci non ha bisogno di rapporti perché viene prima di essi, allora le cose cambiano sostanzialmente.

Jesús Morán

Copresidente del Movimento dei Focolari. Laureato in Filosofia,
è specializzato in antropologia teologica e teologia morale.

Fonte: Città Nuova (gennaio 2016, pag. 67)




Fuori dal tunnel – Crisi nella vita di coppia

La crisi nella vita di una coppia può diventare occasione di crescita, ma come fare per riconoscere che la riconciliazione è possibile?

L’esperienza dei “Percorsi di luce” di Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari
“La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza”. In questa sua affermazione Papa Francesco (AL 232), sottolinea anche come ogni crisi superata porti a “un nuovo sì dell’amore, che rinasce rafforzato, trasfigurato, maturato, illuminato”.
Tuttavia la crisi, seppur normale nella storia di una coppia, è segnata da un carico di dolore e di angoscia che “non deve essere ignorato e richiede un adeguato accompagnamento comprensivo, vicino, realistico, incarnato” (AL 233).
Ne è un esempio la storia di Antonio e Luisa (i nomi sono di fantasia), sposati da 20 anni e due figli adolescenti. All’inizio , si capivano senza parlare, stavano bene insieme. Ma con il passare del tempo sono cominciati gli alti e i bassi. L’arrivo tanto atteso dopo diversi anni del primo figlio ha finito per scombussolare gli equilibri già precari. “Siamo arrivati a non capirci più ed ogni cosa era oggetto continuo di discussioni. Io ho cominciato a sentirmi solo, racconta Antonio, mi fermavo a lavoro più del tempo per non rientrare a casa, chiudendomi sempre più in me stesso”.
“Vedevo che Antonio stava male, spiega Luisa, ma l’unica cosa che sapevo fare era aspettare che le cose cambiassero. Eravamo due estranei pieni di rabbia e solitudine, incapaci di gestire la nostra vita. La situazione in casa era così tesa che l’unica soluzione possibile era la separazione”.
In quel periodo buio “avremmo desiderato che la relazione tra noi cambiasse, ma da soli non ce la facevamo, si ricadeva sempre negli stessi errori, rancori e discussioni”, racconta lei. “Quando ho saputo della settimana a Loppiano (FI), mi si è riaccesa una luce, una nuova speranza di poter fare qualcosa per il nostro rapporto”.
E’ così che Antonio e Luisa vivono l’esperienza proposta da Famiglie Nuove “Percorsi di luce”, rivolta a coppie che cercano aiuto per poter uscire dalla crisi che stanno attraversando.
Il Corso si tiene a Loppiano , nella cittadella internazionale dei Focolari in provincia di Firenze ed è un’iniziativa avviatasi 8 anni fa. Durante i giorni del Corso “non è stato facile scavarsi dentro per affrontare le nostre difficoltà e abbiamo rischiato di tornare subito a casa”, commentano Antonio e Luisa. “Ma ci abbiamo creduto e ci siamo messi a nudo”.
Quest’anno “Percorsi di luce” si è svolto dal 18 al 25 giugno e Antonio e Luisa vi hanno partecipato portando la propria testimonianza e il proprio contributo: “Abbiamo incontrato non solo degli specialisti, ma una famiglia di famiglie che ci ha voluto bene. E’ stato il primo passo: scoprire di non essere soli. E questo ci ha aiutato anche una volta a casa, perché non è facile ricominciare e ogni tanto cadiamo ancora… d’altronde la famiglia del Mulino Bianco esiste solo in televisione!”
“È la forte presenza dell’amore che circola che aiuta a vivere un’esperienza profonda e di ritrovata serenità insieme con le coppie di esperti ed altre che, avendo fatto il corso negli anni precedenti e grati del dono ricevuto e delle ritrovata riconciliazione, hanno deciso di mettersi a disposizione”, spiegano Francesco e Adriana Scariolo della Segreteria Internazionale di Famiglie Nuove. “La caratteristica del corso è proprio l’amore scambievole, dunque per prima cosa ci si mette in gioco tutti: esperti, coppie animatrici e partecipanti, donando ciascuno il proprio vissuto e come si cerchi di superare le difficoltà”.
Varie le tematiche affrontate durante il corso: dalla conoscenza di sé, alla diversità, al conflitto e all’accoglienza, con momenti frontali, altri di dialogo, esercitazioni pratiche sulla comunicazione, sulla differenza uomo-donna, sulla sessualità e sul perdono. Tutti gli argomenti vengono accompagnati dalla condivisione delle proprie emozioni e da testimonianze su conflitti avuti e superati, alternati a momenti di svago vissuti insieme.
“Questa settimana è stata per molti di noi”, dicono alcuni partecipanti come riaccendere la luce e “ritrovare la voglia di fare la nostra parte per ricreare l’armonia del nostro rapporto. Da tutti emergeva la bellezza e la gioia di aver trovato dei fratelli: “Da soli non si può vincere certe sfide”.
“Le coppie hanno bisogno di dare un nome alle difficoltà che vivono”. Aggiunge Rino Ventriglia, psicoterapeuta. “Per guardare e risolvere i problemi, si offre sia un sostegno spirituale sia psicologico. Abbiamo visto che con questi due approcci le persone riescono a superare ferite che si portano da anni”. Sono ferite che “cerchiamo di valorizzare, con la tecnica della colla d’oro (Kintsugi) che valorizza il vaso”. Continua la moglie Rita, sessuologa, e quella del ‘farsi uno’, che consente di comprendere pienamente l’altro. “Abbiamo tutti la stessa esperienza e diamo la speranza che tutti ce la possano fare, cercando di accompagnarli con determinazione e chiarezza anche quando fanno ritorno alla loro vita di tutti i giorni”.
Auguriamo ad ogni coppia che possa scoprire la buona notizia che, come dice Papa Francesco, si nasconde dietro ad ogni crisi e che “occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore” (AL 232).

Fonte: sito del movimento Famiglie Nuove

Articolo Fuori dal tunnel




La collega antipatica

Una mia collega insegnante ama vestirsi in modo succinto e volgare. «Questa è proprio antipatica», mi sono lasciata sfuggire un giorno, vedendola arrivare. Subito ho sentito l’appoggio di chi mi stava accanto. Ho continuato a fare il mio lavoro, ma una frase non mi dava pace: amare tutti. Tutti? Anche lei? Allora ho cercato di guardarla in modo diverso, senza giudizio, e di coinvolgere anche le colleghe in questo atteggiamento più positivo. Poi mi sono interessata a lei, ai suoi problemi di salute e della sua classe. Solo così mi sono sentita più leggera, libera. Non ci sono scuse: tutti vanno amati.

Emi – Italia

Fonte: Il Vangelo del Giorno, Città Nuova editrice, Gennaio 2016, p. 147




In ospedale

In un momento di buio e stanchezza, in cui mi sembrava impossibile continuare a voler bene agli altri (dal dottore che mi curava ai miei nipotini che volevano giocare con me mentre avevo la eboclisi), mi è tornata a un tratto in luce la volontà di Dio. Mi è sembrato di “risorgere” e mi sono rimessa ad amare magari solo con un sorriso (m’avevano proibito di parlare) e ho perso ogni stanchezza. Che dono vivere l’attimo presente quando si soffre, quando umanamente non se ne potrebbe più… Il futuro si perde e tutto diviene quel presente che è Dio.

Giovanna – Firenze

Fonte: Il Vangelo del Giorno, Città Nuova editrice, Gennaio 2016, p. 18




Summer School Comunione e Diritto

Vedi articolo su come è andato l’evento

Summer School Comunione e Diritto 2016 a Chiaramonte Gulfi

RagusaNews: leggi l’articolo




Un murale sulla legalità a Vitorchiano

“Stop’n’go”, un murale sulla legalità dai Ragazzi per l’Unità a Vitorchiano

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Siamo in guerra: che fare?

La mattina ci si sveglia con un pensiero dominante, determinato dalle immagini viste e da quelle oscurate…perché eccessive, non elaborabili ormai in nessun modo. Kabul, Ankara, Nizza, Monaco e quante altre città ormai famigliari per le ore passate a cercare di capire, a indignarsi, a piangere.

Il pensiero di questi giorni, il primo, quello non gestibile: “Siamo in guerra, siamo dentro gli anni di piombo mondiali”.

In questi casi prima del “Che fare?” ci si inoltra nel “Che pensare?”.

Ricordi di racconti della più recente guerra, film suggestivi e analisi storiche studiate a scuola. Cosa conta durante la guerra?

E ripenso ai giusti tra le nazioni, quegli eroi “quotidiani” che non sapevano di esserlo, che spesso hanno compiuto azioni seguendo semplicemente la propria coscienza.  Non erano informati, non erano schierati. «Il Giusto – scrive Avner Shalev– simboleggia l’essere umano e la sua capacità di scegliere il bene contro il male e di non restare indifferente».

Queste caratteristiche mi richiamano stranamente persone che conosco. Non sono buoniste (questo aggettivo ormai è un’offesa, è diventato sinonimo di parolaio e superficiale), né hanno un’esatta teoria sociopolitica nella quale ascrivere quanto operano. Fanno atti concreti.

È il caso di Bruna, Mario, Giuseppe (nomi fittizi) che nella loro piccola cittadina laziale vengono in contatto con S. e N. e i loro due bambini di tre e un anno.

In questi giorni si sente parlare della necessità di idee forti che contrastino le idee forti dei terroristi.

Bruna, Mario, Giuseppe e i loro amici le hanno. Sono dentro di loro e Papa Francesco le dice  – e le vive – giornalmente: “Tocca la mano della persona che stai aiutando!; “le comunità paurose e senza gioia sono malate, non sono comunità cristiane”.

È per queste idee forti e soprattutto per la concretezza delle azioni conseguenti, senza troppe analisi, che ad S. e N. viene messo a disposizione un appartamento e comincia una storia.

“S. e N. sono dovuti fuggire dall’Egitto, con la pena di lasciare ciò che più amano. Tutto è iniziato accogliendoli e portandoli per mano come bambini, con turni di visite quasi giornalieri.

A gennaio sono state procurate tutte le cose necessarie: passeggino, omogeneizzatore, seggiolone, tritatutto, ecc. A febbraio erano già in grado di orientarsi per la spesa chiedendo di essere accompagnati solo nei posti più convenienti. A marzo un passo avanti con la predisposizione di uno schema per redigere un vero e proprio bilancio che li aiuti a capire il costo della vita in Italia.

Tutte le settimane, il lunedì e il giovedì, c’è un’equipe d’insegnanti più baby-sitter che a turno si reca  a casa loro per le lezioni d’italiano. Ci sono grandi progressi, pensate che ora riusciamo a comunicare con loro anche telefonicamente, senza l’aiuto dei gesti com’era all’inizio.

La strada è lunga perché in effetti l’arabo è molto lontano dalla nostra lingua, un po’ più semplice il percorso per N. che aveva studiato un po’ d’inglese, più fatica fa S. ma ce la sta mettendo tutta perché sa che la lingua è un ostacolo per il mondo del lavoro.

Il lavoro: questo è un argomento che li rattrista molto perché hanno tantissima voglia di lavorare per rendersi autosufficienti! Quando hanno capito che fino a quando questo non avverrà, sono “sostenuti  anche economicamente”  da tante persone di buona volontà e non dallo Stato Italiano, hanno pianto.

S.in Egitto faceva il calzolaio e ora grazie all’accoglienza di E., un calzolaio del posto, sta facendo un po’ di esercizio in modo da comprendere eventuali diversità nel lavoro. Purtroppo E. non ha lavoro sufficiente da dividerlo con S. e quindi continua la ricerca, su tutti fronti, di un lavoro.

Come in tutte le famiglie ci sono stati anche problemi di salute, influenze dei piccoli, necessità di cure dentistiche ma ogni volta è arrivata una grande disponibilità da parte di pediatri, specialisti e dentisti perché potessero ricevere cure gratuitamente.”

Una storia che si potrebbe ambientare in mille città, in tutta Italia, nel mondo, sotto casa mia: quanti giusti che sanno cosa fare quando si è in guerra!

a cura di Maria Rita Topini

 




Accoglienza

L’amministrazione della mia città stava istituendo un servizio speciale per gli immigrati. Ho sentito la spinta a rendermi disponibile per questo nuovo servizio. Ho cercato di sapere chi, nel palazzo dove abito, avesse risposto all’invito. Incontrando varie famiglie mi sono accorta di quanta avversione ci fosse nei riguardi degli extracomunitari. Nello stesso posto di lavoro molti colleghi erano infastiditi della presenza di immigrati visti soltanto come concorrenti per un lavoro o per una casa. Inizialmente, parlando con i colleghi e cercando di mettere in evidenza l’importanza di accogliere l’altro anche se è diverso da noi, sembrava che il mio apporto fosse del tutto inefficace. Ma lentamente ho visto che sia loro che gli inquilini del mio palazzo hanno cominciato a mostrare un atteggiamento più “morbido”.

(E. M. – Italia)

Fonte: Il Vangelo del Giorno, Città Nuova editrice, Luglio 2016, p. 100




Sognare altri mondi…cambiare questo

Si è conclusa il 10 luglio a Lago Laceno, (località a 1050 metri in provincia di Avellino)  la Mariapoli che ha registrato la presenza di ca 800 partecipanti provenienti dalla Campania e dalla provincia di Potenza. Un popolo variegato composto da adulti, giovani, ragazzi e bambini, reso internazionale dalla presenza di un nigeriano, una persona della Costa d’Avorio, di due sacerdoti vietnamiti e due religiosi dell’America Latina. 13631671_10208409486367881_2440838184008615328_nPer una parte dei presenti, è stato uno dei primi contatti con l’esperienza del Movimento dei Focolari frutto di rapporti personali maturati nel tempo; per un’altra discreta percentuale è stato un ritorno in Mariapoli dopo vari anni in cui  non aveva partecipato. Per tutti tre giorni gioiosi, distensivi e profondi.

Ciao sono Gabriella ed ho partecipato alla mia prima Mariapoli (dico prima perché ne seguiranno certamente altre!) con i miei bimbi di 2 e 4 anni e mia madre, invitata da una cara amica che non finirò mai di ringraziare. […] Sono rimasta colpita dal grande senso di accoglienza che ognuno manifestava anche con una semplice stretta di mano o uno sguardo oltre che gesti comuni, ma non scontati, di fratellanza. Mi sono portata dentro qualcosa che ancora non so definire ma che sento grande e bello e mi dà senso di benessere e quiete. […]mi sono resa conto che Mariapoli non è un luogo fisico ma un luogo di pace che ognuno può portare con sé e continuare a rivivere e far vivere ogni giorno anche al prossimo.

Il programma ha visto momenti diversi: il primo giorno, un grande gioco a squadre  che Michele aveva preparato con i suoi amici della Federazione cronometristi, e poi laboratori creativi e passeggiate per tutti i gusti e…le resistenze!


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Un’ impressione dal blog della Mariapoli: I giochi sono stati un’unione tra generazioni, abbiamo costruito lí la Mariapoli, è stato un momento di grande famiglia.

 

 

13590420_10201701611699547_1073464415837113986_nPunti forti i forum tematici: sul dialogo fra generazioni, il rapporto con il creato, la legalità, il dialogo fra culture diverse e l’ accoglienza. Qui abbiamo sperimentato la “ricchezza” dell’Italia con tante persone esperte e qualificate che hanno saputo rendere questi momenti molto coinvolgenti, suscitando risposte ed impegni concreti.

 

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Lasciamo parlare ancora qualche impressione:

Grazie a Fernando per averci raccontato la sua bellissima esperienza. Ci ha dato una grandissima carica e la speranza che insieme possiamo veramente rivoluzionare il mondo…perché ”nulla è impossibile a Dio”!.

La Mariapoli mi ha dato la responsabilità di dover fare qualcosa e la necessità di informarmi. Ho capito che devo istruirmi e conoscere in più per non cadere nell’ignoranza e nei pregiudizi.

Ho capito l’importanza di cercare soluzioni insieme con le persone di buona volontà, e di cercare anche belle condivisioni con persone di altri credo e di altre opinioni.

I bambini hanno vissuto una “missione spaziale”: guidati dalla bussolo che scandiva ogni giorno le tappe (“Amare tutti”, Amare per primi”, …) hanno accolto l’ultimo giorno due astronauti che li avevano contattati il primo giorno e che si erano sentiti attratti dal “pianeta Mariapoli”.


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I giochi nei boschi, alla luce della Regola d’oro e del time out hanno reso gli adolescenti presenti una “squadra”, con la gioia che viene dall’ essere insieme.

 

 

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A conclusione possiamo dire che la Mariapoli è stata davvero quello che avevamo “sognato”  all’inizio di quest’anno: un’esperienza di unità, sperimentare la presenza di Gesù fra noi. Presenza generata, sin dalla preparazione nell’allenarci ad accoglierci anche partendo da idee molto diverse; nel condividere decisioni che all’inizio potevano sembrare rischiose, sentendoci tutti responsabili e costruttori.

Sul blog continuano ad arrivare esperienze ed impressioni: lasciamo ad alcune di queste, scelte fra le tante, la conclusione:

Non dobbiamo assentarci dalla vita sociale. Il mondo necessità di unione tra spiritualità e azione.

La cosa che più mi ha colpito di questa Mariapoli sono stati i giovani, mi hanno commosso, sono vicini a noi e come noi, senza barriere, entusiasti.

Abbiamo compreso la necessità di congiungere le generazioni anche attraverso la tecnologia.

[…]Semplicemente desidero leggere in me il cambiamento (o il suo germe iniziale almeno). Innanzi tutto io sono uno alla sua prima esperienza in Mariapoli e l’impressione è stata certamente molto forte soprattutto in ció che sono stati i rapporti interpersonali. […]  un’ esperienza indelebile che mi fa desiderare ulteriori incontri come questo per una crescita interiore e comune.

 




Il Congresso Eucaristico di Genova

Alle ore 20,30 di giovedì 15 settembre, salutato dal risuonare di campane a festa in tutte le chiese della diocesi, è iniziato a Genova, il XXVI Congresso eucaristico nazionale. Il tema è: L’Eucaristia sorgente della missione: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro».

cong euc geIl capoluogo ligure, dove la macchina organizzativa s’è messa in moto quasi un anno fa, ha visto una mole immensa di lavoro nei preparativi. Qui la chiesa gerarchica ha come suo Cardinale il Presidente della Conferenza episcopale italiana, e S.E. Bagnasco ha cercato in tutti i modi che questo accadimento fosse vissuto da tutta la chiesa italiana come un grande appuntamento di fede e di devozione all’Eucaristia. “Il Congresso Eucaristico – si legge nel comunicato della CEI – e l’anno giubilare ci facciano vivere una rinnovata esperienza di Dio, che ‘esce’ da se stesso per salvarci, e nell’Eucaristia ci si fa vicino, ci salva, e ci spinge a ‘uscire’ da noi stessi, per annunciarlo e farci prossimi ai fratelli.”

Opuscoli, libretti, guide, preghiera e adorazione. Sono tante le iniziative che la chiesa ha proposto per vivere la preparazione. Molti gli appuntamenti. Interessante il programma che vede, nello stile di papa Francesco, nella giornata di venerdì la visita ad oltre una ventina di siti nel centro storico, dove associazioni e movimenti, oltre le parrocchie svolgono opere di misericordia verso le persone che sono nel disagio. O l’adorazione eucaristica al Porto antico. Luogo di straordinaria bellezza e porta di arrivi e partenze. Non solamente di turisti, che nel solo mese di luglio ne sono giunti 700 mila, ma di tante persone in cerca di lavoro, di solidarietà di accoglienza. Qui si terrà sabato, nella cattedrale san Lorenzo, la professione di fede nel Sacramento dell’Eucaristia che avverrà in modo del tutto particolare nella sua manifestazione proprio al Porto Antico. Per l’occasione è stata data la possibilità ai religiosi ed alle religiose di clausura, della diocesi di Genova, di recarsi in piazzale Kennedy dove, alle 10:30 di domenica, si celebrerà la Messa conclusiva del Congresso.

In una chiesa storica del centro, un Padre che da anni confessa ininterrottamente, mi spiega il significato dell’Eucarestia. “Non riduciamo l’Eucarestia a un culto verso Dio, no. Più siamo peccatori più dobbiamo andare a riceverlo. Nell’Eucarestia è Dio che viene incontro a noi, passa a servirci, ci toglie quelle impurità e ci comunica la sua stessa energia d’amore. Questo è il significato dell’Eucarestia, farci fare la scelta di vivere non più centrati sui nostri bisogni e sulle nostre necessità, ma centrati sui bisogni e sulle necessità degli altri. Tanto più grande è la nostra risposta d’amore verso gli altri, tanto più grande sarà la capacità di Dio di comunicarci il suo amore”.

Sulla piazza antistante la stazione ferroviaria, nel solito via vai di pendolari e turisti c’è il giornalaio che si lamenta del notevole aumento di traffico. Quasi come al Salone nautico che aprirà tra pochi giorni. “Pensi se arrivava pure il papa, era come succedesse un’altra alluvione”, osserva Nando al barista Dante. “Brava gente viene per pregare – dice Bacicin Bardone di via xx Settembre – magari tiro su qualche moneta in più in questi giorni”.

Già, l’Eucarestia medicina per i malati: “Non è un premio per coloro che hanno tenuto una buona condotta, ma la medicina per gli ammalati. Gesù dice: ‘Io sono il medico venuto per gli ammalati’: proprio perché noi tutti viviamo situazioni di peccato, di infedeltà, abbiamo bisogno di questa forza da parte di Dio”. Chissà se in questi giorni dedicati a te, Cristo fatto cibo, riusciremo a penetrare un po’ di più questo mistero d’amore.

Silvano Gianti

Sorgente: sito Movimento dei focolari Liguria

Congresso Eucaristico GE programma

CONGRESSO_EUCARISTICO storia




Lab School EDC per giovani

Let the world know!
Lab School di Economia di Comunione per giovani dal 4 all’8 settembre 2016!
Polo Lionello Bonfanti
Loc. Burchio snc
50064 Figline e Incisa Valdarno (FI)

L’opportunità non si cerca, si costruisce: CREATIVI IN COMUNIONE
• Sei una persona creativa e vuoi mettere in gioco i tuoi talenti?
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Allora questa LAB –SCHOOL è per te!

L’EdC può farti vivere un’esperienza come persona, per scoprire chi sei e cosa vuoi fare nella vita, come migliorare e creare le tue opportunità, come trasformare le idee e sogni che hai nella tua vita; per scoprire un nuovo modo di fare business e lavorare, basato sulla condivisione e l’incontro con persone di culture diverse.

Abbiamo qualcosa da dire!

Con le nuove tecnologie, la forma è anche sostanza…come comunicare quello che siamo e quello che facciamo?

Partecipa insieme a noi al rilancio della nuova stagione EdC 2.0 ! ! !

Cosa troverai?

Full immersion nel paradigma EdC
Lo stile EdC nel fare business
Casi di imprese e storytelling
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Comunicazione e marketing d’impatto
EoC-IIN International Incubating Network: il nuovo prodotto EdC

Metodologie:

Workshop
Sessioni intensive
Dialogo con esperti
Percorsi personalizzati
Communion-Labs

Lingua ufficiale: Inglese

Promotore: Associazione Internazionale per una Economia di Comunione (AIEC)

Profilo dei partecipanti: Giovani studenti, imprenditori e professionisti tra i 19 ed i 35 anni, appassionati per l’EdC e spinti a diffondere una nuova economia.

Quota: Euro 240 (Include: iscrizione, gita turistica a Firenze, vitto e alloggio dalla cena del 3/09 al pranzo dell’8/09)

Polo Lionello Bonfanti: dove siamo Tel.: 055 8330400 – Fax 055 8330444

Arrivi: Sabato 03/9/2016 ore 19.30 Partenze: Giovedì 08/9/2016 ore 14.30

Per maggiori informazioni e iscrizioni visita la pagina:

Lab School

 




Gen Rosso – Voce del mio canto

Video promo del nuovo CD del Gen Rosso: “Voce del mio canto”

Dal sito www.focolare.og leggi Intervista




Artisti in dialogo – “Il Varco” delle emozioni

27 luglio 2016 – 31 luglio 2016
Monfalcone Apennino
Carté Organizza: l’Associazione Culturale IL VARCO, con il sostegno di Clarté e Dialoghi in Architettura.

l Workshop Interdisciplinare “Il Varco” a Montefalcone Appennino nelle Marche, in Italia, è una attività culturale, interdisciplinare che coinvolge oltre all’Architettura, la Musica, il Cinema, la Letteratura ed è già arrivata alla quarta edizione.
Il nome stesso:‘Il Varco’ indica la possibilità di mettersi insieme in diverse discipline per affrontare i varchi, queste strettoie che a volte l’attuale società ci impone. Anche quest’anno si svolgerà sempre a Montefalcone Appennino dal 27 pomeriggio al 31 luglio mattina e avrà per tema : Il Varco delle Emozioni.
Sono previsti momenti comuni a tutte le discipline, momenti di lavoro distinto e momenti aperti alla cittadinanza.

Alcune note pratiche:
La quota totale è € 250,00 per tutto il periodo. Per chi non partecipa a tutto il periodo il costo è di € 60 al giorno. Siamo alloggiati nell’ agriturismo ’Marulla’ a Montefalcone mentre per i momenti di incontro e di approfondimento useremo il teatro di Montefalcone e diverse salette messe a disposizione dal Comune. I pasti saranno in autogestione presso la scuola elementare del paese.

Locandina

Scheda di partecipazione

Programma 2016

Info: segr.architettura@focolare.org

 




Diario da Siracusa: un’estate diversa

foto di gruppo

Siracusa Summer Campus 2016.
120 ragazzi da tutta Italia, pronti a battersi, donarsi, dare tempo e amore sincero nelle periferie di Siracusa, per poi tornare a casa carichi dei sorrisi e dell’amore dei bambini !
Un breve video che cerca di raccontare, attraverso le immagini, la bellezza e la profondità di questa esperienza!
“C’è bisogno di domani, c’è bisogno di futuro .
C’è bisogno di ragazzi che sono al di là del muro.”

 

 

Diario

2 Agosto 2016: arrivo a Siracusa, alla Villa Mater Dei, per il Siracusa Summer Campus 2016. Siamo 120 giovani, da 17 regioni d’Italia! Ciò che colpisce al primo impatto è la nostra diversità: diventerà presto un’arma vincente! E’ come vedere tutta l’Italia che aiuta una città fra le tante: Siracusa.

3 Agosto. Ci rechiamo nei 2 quartieri dove faremo il Campus durante le mattine successive. Sembra di entrare nella periferia della periferia. Di fronte ad un bellissimo mare azzurro, si stagliano palazzi altissimi, simili a casermoni. L’impressione è quella di trovarsi all’interno dei cosiddetti quartieri dormitorio, realizzati con criteri urbanistici che sembrano ignorare il rispetto della dignità umana. Siamo ancora in Italia?

Nelle 2 scuole veniamo accolti con grande entusiasmo. Nell‘I.C. Martoglio è il terzo anno che andiamo, mentre nell’I.C. Chindemi è soltanto il primo. Incontriamo alcuni fra insegnanti e rappresentanti delle associazioni operanti nel quartiere, tutti hanno grande fiducia e speranza in noi, percepiamo un forte desiderio di cambiamento. Ma cosa potremo mai fare? Nel pomeriggio, Franco Sciuto, (difensore dei diritti dei bambini per il Comune di Siracusa) e Rosalba Italia (educatore professionale) ci parlano di Siracusa e dei quartieri in cui andremo invitandoci a concepire la periferia come una risorsa per lo sviluppo sociale ed economico, non più come un problema. Saremo educatori per questi bambini!

4 Agosto. Prima mattina nelle scuole. Entriamo in contatto con bambini che vivono in contesti di fragilità sociale e familiare. L’obiettivo è uno: stare con loro in maniera sana. Emerge da un lato l’assenza di regole che innesca atti di violenza e prepotenza, dall’altro un grande affetto dei bambini e la gioia nel vedere qualcuno disposto a scommettere tempo ed energie su di loro.

Nel pomeriggio, primo dei 5 momenti formativi del campus, approfondiamo il tema della legalità. Francesca Cabibbo, (giornalista per il Giornale di Sicilia e il quotidiano on line “Lettera 32), ci ha mostrato la vera natura della Mafia, una holding del crimine attiva sia sulla scena nazionale che internazionale; Giusy Aprile (preside dell’Istituto Archimede di Siracusa ed ex esponente di Libera) ci ha dato il suo esempio su come vivere la legalità sia da cittadina attiva che in veste di dirigente scolastico; infine, Gregorio Porcaro, (ex vice parroco di Don Puglisi e attuale responsabile regionale di “Libera”) ci ha raccontato la sua testimonianza: da seminarista la sua vocazione era quella di impegnarsi per i poveri del terzo mondo; proprio per questo motivo fu convinto da Don Puglisi a spendersi nelle attività a favore di quanti vivevano in condizioni di estrema povertà nel quartiere Brancaccio di Palermo: “Puoi fare qualsiasi cosa se ti metti nella prospettiva di amare”.

5 Agosto. Di nuovo a scuola, questa volta nei 5 laboratori: danza, musica e canto, giornalismo, pittura ed educazione alimentare. Ad aiutarci, anche le professioniste del nascente Centro Educativo Multifunzionale “Maninpasta”. Grazie ai laboratori, possiamo creare rapporti personali con i bambini. Nei workshop ci prepariamo anche allo spettacolo finale dell’ultimo giorno.

Nel pomeriggio, Maria Chiara Cefaloni e Giuseppe Arcuri inquadrano il tema dell’azzardo in Italia, con i suoi meccanismi cognitivi e matematici per imbrogliare i cittadini e, dando una visione economica alla problematica, introducono Gabriele Vaccaro che ci presenta Banca Etica come una realtà che mette al centro l’uomo.

6 Agosto. Ogni mattina, con i bambini, tiriamo il dado dell’amore e vediamo un video che ci aiuta a stare insieme puntando al bene collettivo e non individuale. Alcuni di noi animatori sono rimasti colpiti dal contesto di esclusione sociale da cui provengono i bambini. E’ chiaro che l’importante non è fare delle attività con loro, ma volergli bene in modo gratuito, e tutto il resto verrà da sé.

Il pomeriggio, alla parrocchia Maria Madre della Chiesa di Bosco Minniti (Siracusa), teniamo un momento sul tema dell’immigrazione e dell’accoglienza. Antonello Ferrara (ufficiale di Marina) ci fa capire l’importanza del ruolo svolto dalla Marina Militare per soccorrere chi ha bisogno, Noemi Favitta ci porta il suo esempio di vita e lavoro a servizio di minori richiedenti asilo, e infine Padre Carlo d’Antoni, il parroco, ci racconta la realtà di una parrocchia che da sempre, accoglie immigrati, tra loro, molti musulmani. Colpiscono le parole di uno di loro: “Durante la nostra vita, nei rapporti con gli altri, lasciamo segni e non cicatrici”.

7 Agosto. E’ domenica, la scuola è chiusa. Visitando il parco archeologico e l’isola di Ortigia, constatiamo che, a fronte dei quartieri dove abbiamo vissuto, esiste una parte più ricca della città. E’ anche l’occasione per riscoprire i bei legami nati fra noi, per creare gruppo e socializzare, poiché per amare bisogna essere uniti.

8 agosto. Ancora a scuola! Con i nostri sorrisi, al di là delle difficoltà, delle paure, dell’incertezza del domani, continuiamo a riempire le giornate di bambini non troppo fortunati. Stare con loro è una profonda ricerca nella realtà per scoprire la bellezza autentica che vive oltre le apparenze.

Nostro obiettivo è portare lo spirito di fratellanza e la cultura del noi, creando quel terreno fertile necessario per far nascere una comunità. In qualche modo, forse, ci stiamo riuscendo.

Nel pomeriggio partecipiamo ad un momento di dialogo con Kheit Abdelhafid (Presidente delle comunità islamiche della Sicilia ed Imam della moschea di Catania) e Giusy Brogna (coordinatrice della rete per il dialogo tra cristiani e musulmani per il Movimento dei Focolari in Italia). Da diverso tempo, fra il Movimento dei Focolari e la comunità islamica c’è un dialogo concreto, che ha portato a realizzare insieme varie iniziative, tra cui un doposcuola nella Moschea di Catania organizzato per i ragazzi del quartiere in difficoltà con lo studio. “Grazie a queste attività” -spiega Carla Pappalardo- “la moschea è diventata casa nostra. L’ingrediente principale è la semplicità nei rapporti personali, un dialogo costruito con piccoli gesti, giorno dopo giorno”. Segue l’analisi dell’Imam Abdelhafid: “Cambiare la società è compito nostro e di ciascuno di noi. Da credente, da musulmano, il testo sacro mi indica che devo “dialogare”.  Sono fiducioso: la Sicilia oggi è un modello di dialogo.”

9 Agosto. In una delle 2 scuole scoppiano dei litigi, che provocano violenza e desiderio di vendetta nei bambini. Di fronte a ciò e al concreto rischio di veder naufragare quanto costruito finora, cerchiamo di rispondere con amore, parlando ai bambini con razionalità, e spiegando loro che la violenza non può essere la soluzione ad altra violenza. Sulla stessa lunghezza d’onda è Massimo Toschi (Consigliere del Presidente della Regione Toscana su Pace e Dialogo tra le culture), con il quale, neanche a farlo apposta, dialoghiamo nel pomeriggio proprio sul tema del disarmo: “Il perdono – sostiene – è indispensabile per riaffermare la cultura della pace”. Appaiono di grande attualità le parole di Igino Giordani: “Se vuoi la pace prepara la pace e non la guerra. Se prepari la guerra, i fucili ad un certo momento spareranno da soli”. Ad intervenire, anche Francesco La Rosa, sindaco di Niscemi, il quale ci racconta come una comunità intera abbia saputo impegnarsi, facendo rete dal basso, di fronte ad una questione controversa come l’installazione del Muos, il sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare USA.

10 agosto. E’ l’ultimo giorno di attività nelle scuole. Dopo l’evento del giorno prima, che ci ha messo tutti in discussione, cerchiamo di ricomporre il tessuto sociale, raccogliendo i frutti di ciò che abbiamo seminato. Attraverso il dialogo, sia con i bambini, che con alcune mamme, ribadiamo la nostra volontà di stare insieme ai ragazzi senza accettare logiche di vendetta o esclusione, ma coltivando lo spirito di gruppo. Uno dei bambini, riguardo a ciò che era successo si rivolge ai suoi amici dicendo: “Smettiamola di fare i mafiosi, basta violenza e vendetta, adesso siamo cambiati”.

Nel pomeriggio partecipiamo all’inaugurazione del “Solarium Vaccamotta”, del quale abbiamo realizzato la segnaletica per favorire la discesa in spiaggia. Infatti in parallelo al campus nelle scuole, abbiamo svolto diverse attività di riqualificazione del quartiere. La sera si tiene la festa finale all’Istituto Chindemi. Durante lo spettacolo, si avverte una duplice sensazione nell’aria: da un lato i grandi e tristi palazzoni “inghiottiti” dal buio trasmettono un senso di sconforto e amarezza, dall’altro ci siamo noi, i bambini e le loro famiglie all’interno del cortile della scuola, pronti a illuminare il quartiere di speranza, ma soprattutto di amore concreto, anche semplicemente cantando e ballando.

11 agosto. La mattina ci riuniamo tutti insieme, per fare il punto sul campus e sugli obiettivi futuri. Durante il pomeriggio assistiamo allo spettacolo finale a cui prendono parte i bambini dell’Istituto Martoglio, nella piazza davanti la scuola, testimoniando ancora una volta a tutti che il bene vince. Al termine del Campus viene da porsi un interrogativo: Cosa abbiamo fatto in questi quartieri? Forse tanto, forse poco. Ma già il fatto di essere lì è una cosa molto preziosa, come a significare che una possibilità c’è, e si trova proprio lì, fra le macerie.

Dopo Siracusa, non saremo più gli stessi. Quei bambini ci hanno fatto capire quali sono le cose essenziali della vita. Ma adesso è il tempo di tirare fuori tutto questo, di donarlo, di perderlo, per gli altri! Se i luoghi si giudicano dalle persone e non dalle infrastrutture, Siracusa per noi è la città più bella, per il clima di unità che c’era fra di noi e perché c’erano quei bambini, pieni di amore e da scoprire.

Tornando a casa nelle rispettive città, in pullman o in aereo, fra i vari tormentoni che accompagnano le nostre estati, torna in mente un passo tratto dalla canzone del Gen Rosso, “Lavori in corso”, colonna sonora del nostro Campus: “C’è bisogno di memoria, c’è bisogno di pensare, c’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di sognare”.

Impressioni

Ormai da più di una settimana si è concluso il Siracusa Summer Campus 2016 e anche quest’ anno i nostri cuori sono rimasti tra i bambini del quartiere Akradina e Mazzarona con cui abbiamo trascorso dieci giorni indimenticabili.

“L’impegno parte dalle periferie”: da quei bambini e dalle loro famiglie con cui abbiamo sperimentato la forza trasformante dell’Amore, un impegno a cui hanno dato spessore di consapevolezza i momenti formativi del pomeriggio, tutti importanti, sentiti, di grande attualità e apertura.

In un crescendo di intensità di rapporti, ci siamo trovati anche di fronte alla “durezza” della vita in queste periferie segnate dal degrado, dall’esclusione e dalla legge del più forte: la vandalizzazione di una scuola e nell’altra un litigio tra ragazzi, che ci ha costretto a chiamare ambulanza e Carabinieri; anche alcune mamme erano coinvolte in questo clima di vendetta. Abbiamo provato a rimarginare queste ferite, cercando di pacificare, di parlare e agire dimostrando che c’è la strada del perdono, della riconciliazione. Siamo passati da un clima molto teso ad una grande festa finale in piazza con tutti.

A testimonianza di questo qui sotto ci sono alcune condivisioni che ci sono arrivate e che dicono con forza quello che abbiamo vissuto.

“L’obiettivo dei Giovani per un mondo unito è portare lo spirito di fratellanza e la cultura del noi, creando quel terreno fertile necessario per far nascere una comunità. Nutriamo una naturale predilezione per quelle ferite non ancora rimarginate presenti nel nostro territorio, per questo motivo abbiamo scommesso sui bambini invisibili della Scuola Martoglio e Chindemi, che vivono spesso ai margini della città, in quartieri estremamente periferici. Ci riempiono di gioia le parole rivolte da un ragazzino ai suoi amici dopo un litigio: “smettiamola di fare i mafiosi, basta vendetta e violenza, siamo cambiati”. I rapporti che abbiamo stretto durante il Campus ci spingono a continuare, anche nei prossimi anni, l’esperienza di servizio concreto nelle periferie, con attività per chi ha più bisogno, per gli ultimi e soprattutto per i bambini. La nostra intenzione è tornare a Siracusa, allo stesso tempo però saremo presenti anche in altre città perché la rete costruita finora diventi un vero e proprio modello sociale”

Volevo ringraziare tutti per questa esperienza che ha fatto rinascere in me la speranza, la speranza che insieme si possa veramente fare qualcosa e che un mondo nuovo è possibile se vi è unione! il rapporto di solidarietà che si è venuto a creare tra gli animatori, l’amore e La responsabilità che ho provato per i bambini me le porterò dentro per sempre! Grazie per la vostra compagnia, per i nuovi amici e per questa luce che avete riacceso dentro il mio cuore!”

“Ehi fantastici!!! Volevo dirvi che mi ha appena contattato la mamma di  due bambine del quartiere Akradina e ci tenevo a condividere con voi ciò che mi ha detto : ci ringrazia infinitamente e ci considera fantastici , spera davvero in un nostro ritorno il prossimo anno e ovviamente tutto questo perché si è resa conto di quanto le bambine si siano legate a noi !!

“Carissimi tutti, Grazie di cuore per questi giorni passati insieme (…) volevo dirvi che a questi bambini abbiamo portato gioia, letizia, speranza!!! E insegnato loro a Perdonarsi!!!! Un abbraccio a tutti!

“Il futuro non esiste”, queste le parole che mi ronzano in testa da quasi una settimana. Appena tornata da quella che considero essere una delle esperienze più importanti che potessi vivere, mi trovo a fare un bilancio degli ultimi dieci giorni, di questa estate e della mia vita. Il futuro non esiste perché non possiamo programmare cosa faremo o cosa saremo tra un certo periodo di tempo, dobbiamo porre le basi giorno dopo giorno, e questo lo si fa soltanto vivendo con gli occhi aperti. Perché è anche e soprattutto questo quello che ho imparato in una delle tante periferie lasciate a se stesse della Sicilia: non chiudere gli occhi davanti a un mondo che sta perdendo la facoltà di amare e rispettare il prossimo, avere Il coraggio di alzarsi e muovere non un dito, non un braccio, ma tutto te stesso per cambiare quello che sai che non va. Nel mio piccolo ho avuto la possibilità di mostrare a bambini e bambine dolcissimi quante opportunità hanno per la loro vita, dentro e fuori il quartiere della Mazzarrona, e se anche solo uno di loro avrà ricevuto il messaggio, questa sarà la mia più grande gioia, io in ogni caso continuerò a provare.. Quindi un grande GRAZIE va a quei bimbi e alle loro famiglie che hanno dato fiducia a 120 giovani sconosciuti venuti da tutta Italia; e un altro GRAZIE, immenso, va ai miei compagni di viaggio, che lascio con la sfida di applicare ogni giorno della nostra vita gli insegnamenti del Siracusa Summer Campus 2016”.

“Questa mattina leggo il passaparola, ma non mi fa effetto. Dentro sono talmente pieno di gioia, che non ho bisogno di altro per darmi la carica di vivere, ancora, una giornata per gli altri. Dopo Siracusa, non sono più lo stesso. Quei bambini ci hanno fatto capire quali sono le cose belle della vita, e quanto siamo fortunati ad averle sempre avute dentro di noi. Ma adesso è il tempo di tirare fuori tutto questo, di donarlo, di perderlo, per gli altri!”

“Se i posti si giudicano dalle persone e non dalle infrastrutture, Siracusa per me è la città più bella, perché c’eravamo noi, perché c’erano quei bambini, pieni di amore da scoprire”

“La verità è che non sono pronto per la vita di tutti i giorni. Ciò che abbiamo vissuto va al di là di tutto, ed è inutile parlarne con altri: niente sarà come esserci stati.Ci sentiamo, rimaniamo in contatto, ma una parte di me è rimasta lì, a Siracusa, fra le mura della Martoglio, nel piazzale della Mater Dei. Il ricordo di Siracusa è ancora troppo forte per sentirmi di nuovo in Calabria”.

“E’ come se io mi fossi frantumato, e i miei pezzi fossero lì, fra le macerie di società distrutte, nelle periferie delle nostre città, e anche qui, a casa, quella che era la mia casa. Adesso la mia casa è fuori di qui, in coloro che incontro, in coloro che vivono difficoltà. Durante il casino alla Martoglio, uno dei bambini aveva un coltellino di plastica. Ce l’ho lì, sul comodino, per ricordarmi di quei bambini, ma non come un ricordo che affiora semplicemente la mente. Il coltellino è lì per ricordarmi che quei bambini hanno ancora bisogno di noi”.

“Abbracciando quelle mamme segnate dalla durezza della marginalità e dell’esclusione, abbracciando un bambino che singhiozzava dicendo “È un’emozione troppo grande, vi voglio troppo bene”, vedendo con i miei occhi la trasformazione dei bambini più “difficili”, l’anima è piena di luce, di gioia. Chiara Lubich ce l’ha insegnato, Papa Francesco oggi lo incarna, ma io l’esperienza che segna la vita l’ho fatta a Siracusa: nei poveri, nei piccoli, negli ultimi c’è una presenza di Dio. Una fonte di Dio. Sono loro che ce lo hanno donato. E questo Gesù che mi aspettava a Siracusa mi riempie di amore e mi fa dire solo Grazie. Grazie di averci guidato, di averci portato qui, di averci donato il tuo vangelo. Davvero Gesù sei VIA, VERITÀ e VITA”.

“Buongiorno ragazzi! Intanto grazie per questi piccole bellissime condivisioni.. Personalmente sono ancora un po’ stordita e non nego che dentro di me ci sia un mix di sensazioni provate: da un lato sono felice per l’esperienza vissuta con tutti voi (“sia vecchi che nuovi”) dall’altro non posso negare di essere un po’ perplessa…Durante la festa alla Chindemi, ho provato questa duplice sensazione: da un lato i grandi tristi palazzoni “inghiottiti” nel buio mi rendevano triste e amareggiata e in un certo senso mi hanno fatto aprire gli occhi dandomi la possibilità di toccare con mano la realtà che vive la gente del posto.Dall’altro c’eravamo noi, i bambini e le loro famiglie all’interno del cortile della scuola e insieme abbiamo un po’ “illuminato di gioia” quel quartiere semplicemente cantando e ballando.Sicuramente mi porto a casa questi sentimenti contrapposti ma anche la certezza che in entrambi quartieri abbiamo “lasciato segni non cicatrici”.

“In questi anni, Siracusa e i suoi quartieri mi hanno cambiata e mi hanno fatto crescere sempre di più.Confesso che all’inizio tornando pensavo che l’esperienza che avrei fatto non mi avrebbe arricchita ma sarebbe stata un po’ la stessa cosa degli anni precedenti…ma Qualcuno mi ha “fatto rimangiare le parole” e mi ha dato la possibilità di conoscere un po’ di più il degrado che vivono ogni giorno sia i bambini che le loro famiglie e di conoscere un po’ più da vicino le loro ferite”.

“Volevo ringraziarvi uno per uno per avermi dato fiducia, per avermi reso una persona più sicura e per avermi aiutato a dare il meglio di me.Credo che le piccole incomprensioni che si sono create ci abbiano dato la possibilità di rafforzare il nostro rapporto e di renderlo ancora più speciale”.

“Sicuramente la frase che porterò sempre con me e cercherò di mettere in atto con il mio prossimo è “lasciare segni non cicatrici” e questo è possibile solo amando”.

“Creare una rete di relazioni fra persone è forse l’unico modo per aiutarci a non mollare, a non abbandonarci a cinismo, indifferenza e mentalità mafiosa.Condividere un’esperienza del genere rende uniti, e questa unità si trasforma in forza: forza di volontà, voglia di interrompere un ingranaggio perverso e ingiusto partendo dall’incontro con l’altro, con il dialogo e con il riscoprire in ognuno di noi, in ognuno dei bambini di Siracusa, una persona, un libro che vale sempre la pena di essere letto”.

“Noi giovani non possiamo permetterci il lusso di rinchiuderci nel nostro ottuso e ovattato mondo, ma dobbiamo essere linfa rigenerativa di questo mondo: partendo da noi stessi, realizzandoci come persone, avendo coraggio, nonostante la paura, e creando nel nostro presente di ogni giorno il futuro che vogliamo vedere e che già viviamo tra noi”.

“Ok…si torna a casa…è l’ora del bilancio. Che cosa ho imparato da questa esperienza? “Avere coraggio”. Coraggio di conoscere ed esplorare realtà nuove. Coraggio di sporcarsi le mani e di non aver paura di perdere perché a spogliarsi del superfluo per aiutare tuo fratello c’è solo da guadagnare. Coraggio di immedesimarsi nel proprio vicino perché dietro ai muri fittizi che sembrano dividerci non c’è altro che un altro pezzo della nostra stessa carne. Coraggio di uscire dal proprio piccolo mondo che non fa altro che ostacolarci la vista di un orizzonte più grande. Coraggio di capire e accettare che senza l’aiutare il prossimo e il dialogare con lui la mia vita non ha senso… un grazie di cuore

gruppo partecipanti

Altre foto e video sulla Pagina Facebook Giovani per un mondo unito – Italia

Rassegna stampa:

Siracusanews

Lettera 32: “Fraternità, obiettivo comune”: l’Imam Keith Abdelhafid al Siracusa Summer Campus

C O M U N I C A T O S T A M P A. L’Imam di Catania al Siracusa Summer Campus

Articolo su Siracusanews

Intervista ad una partecipante

Carla Pappalardo, Giovanni calabro , Clara vAnicito, Imam Kuith Abdelhafid, Giusy Brogna, Vincenzo Perrone, Reda Keith, Imen Bouchnafa,

L’indirizzo mail per contattarci è: campusgmu@gmail.com

https://youtu.be/6TrsHxVod7w




Progetto Cibo Bene Comune

L’associazione Il Samaritano di Porto Sant’Elpidio presenta a Tipicità 2016

il progetto CIBO BENE COMUNE – Intervista di Laura Meda

al Presidente Antimo Panetta




Imparare serve, servire insegna

A Selargius, nel cagliaritano, un docente propone un’iniziativa di solidarietà che coinvolge professori e studenti. Pian piano se ne scopre l’alto valore formativo.

Avvertivo da qualche mese, dopo la partenza per il Cielo di mia madre, non più impegnato nelle necessarie incombenze di assistenza che avevano occupato il mio tempo libero negli ultimi anni, l’esigenza di dedicarmi a qualche forma di volontariato. Al tempo stesso era mio desiderio non svolgere questa esperienza da solo, ma condividerla con altri.

Questo moto personale dell’animo si è incontrato con l’approccio educativo, sempre improntato alla formazione integrale della persona, che caratterizza la mia attività di docente in un liceo scientifico del cagliaritano. Da tempo ritenevo importante poter fornire ai miei studenti la possibilità di conoscere i valori della gratuità e della solidarietà non solo attraverso parole, ma con esperienze concrete di volontariato. Pensavo inoltre che condividere con gli allievi un’attività di servizio esterna alla scuola avrebbe avuto ricadute positive nella relazioni interpersonali.

Ho dunque presentato alla Caritas diocesana di Cagliari un progetto di inserimento settimanale dei miei studenti, da me accompagnati in piccoli gruppi, nella cucina e nella mensa, al fine di svolgere i servizi necessari sotto il coordinamento dei rispettivi responsabili dei servizi.

A questo punto ho pensato di non restringere la proposta alle sole mie classi ma di estenderla, d’accordo con la collega di religione e col consenso del Dirigente, a tutte le quarte e le quinte dell’istituto. Con mia grande sorpresa ho raccolto oltre cinquanta adesioni. A questo punto, però, non sarebbe bastata la mia disponibilità di una sera settimanale per accontentare tutti.

Ho allora proposto al collegio docenti l’approvazione del progetto denominato “Imparare serve, servire insegna”, subordinandolo alla disponibilità di colleghi tutor anche solo per quattro o cinque sere nell’arco dell’anno, a titolo gratuito per non inficiare la motivazione fondamentale dell’attività. Con mia grande sorpresa si sono dichiarati disponibili una decina di colleghi (alcuni per un quattro sere, qualcuno per sei o anche otto) e successivamente altri due hanno offerto la loro disponibilità per eventuali sostituzioni. A questo punto è iniziato il complicato lavoro di redigere il calendario incrociando i giorni in cui la Caritas era disponibile ad accoglierci con le esigenze dei colleghi e dei giovani. Più volte ho dovuto rivedere i turni già predisposti per venire incontro a nuove richieste.

Il servizio, avviato nel mese di novembre 2015, è andato avanti per l’intero anno scolastico con cadenza bisettimanale: con la presenza di un docente tutor per ciascun gruppo che lavorava alla pari con i ragazzi, quattro minorenni si rendevano disponibili per l’aiuto in cucina mentre altrettanti maggiorenni servivano in mensa. L’esperienza è stata percepita subito dai docenti impegnati nei turni per il suo grande valore formativo. Una di loro, dopo la prima sera, ha così commentato: «La sensazione per me e i ragazzi è stata quella di stare in famiglia. I ragazzi si sono superati nel pelare patate, affettare pane e altro, in uno stato di “benessere affettivo” e col sorriso sulle labbra, con una naturalezza assoluta». Tutti i colleghi coinvolti ringraziavano sentitamente per l’opportunità loro data di vivere questa esperienza. L’aver condiviso inoltre questa attività offriva nuovi argomenti di discussione nella sala professori e nei corridoi, contribuendo così a elevare la qualità delle relazioni tra noi.

Anche i ragazzi erano molto contenti per aver provato la gioia del dono di sé, che la quasi totalità di essi non aveva mai sperimentato prima. Quelli poi che hanno servito i pasti alla mensa hanno preso coscienza del dramma della povertà, diffusa non solo tra extracomunitari ma anche nel nostro territorio. Una giovane, inizialmente turbata per aver riconosciuto tra gli utenti un vicino di casa del quale non sospettava la situazione di indigenza, ha subito capito che avrebbe dovuto avere su di lui, nel rincontrarlo per strada, uno sguardo discreto e amorevole. Ha scritto una ragazza sulla sua pagina Facebook: «Non avevo mai partecipato a qualche attività che riguardasse la nostra società né mai mi sono interessata all’attualità. L’esperienza di volontariato svolta alla mensa Caritas mi ha aperto gli occhi. Ho servito cibo a persone con cui viaggiavo in pullman ogni giorno, persone a pochi centimetri dal mio naso e ragazzi come me che vanno all’università e non possono permettersi un pasto, genitori e anziani che non arrivano a fine mese, malati, extracomunitari gentilissimi. In realtà non avrei mai immaginato che a Cagliari ci fossero cosi tante persone bisognose di aiuto, persone normali che vediamo in strada tutti i giorni. Ho imparato che bisogna avere rispetto, che bisogna essere pazienti con chi ti da le colpe dei suoi problemi perché non ha nessuno con cui sfogarsi, ho imparato che se uno ha una mozzarella, tutti devono averne una, perché siamo tutti uguali, al diavolo questo essere prevenuti nei confronti delle persone di altri Paesi: facile parlare da dietro uno schermo, ma basta guardare queste persone negli occhi per capire come tutto ciò non abbia senso. Mi è capitato di servire italiani e non ricevere neanche un grazie di risposta e servire invece uomini “di colore” e ricevere in cambio un sorriso pieno di gratitudine, di speranza, ma anche di tristezza. Il volontariato che ho svolto alla mensa della Caritas ha sollevato quel velo dai miei occhi che copriva la realtà che avevo di fronte».

Una classe quarta, coinvolta per due terzi nel servizio in cucina, ha pensato di organizzare un’iniziativa di sensibilizzazione all’interno del liceo intitolata “Testimoni di solidarietà”: è stato realizzato un breve video su questa attività di volontariato e, dopo aver pubblicizzato l’idea con una locandina sulla pagina Facebook della scuola, i giovani sono passati in tutte le classi promuovendo una raccolta alimentare a favore della Caritas di Cagliari. La risposta dei compagni è stata generosa.

Un ultimo frutto di questa esperienza è stato il rapporto di collaborazione vissuto con l’insegnante di religione che ha appoggiato il progetto: da tempo sentivo l’esigenza di confrontarmi con qualche collega sulle diverse questioni della vita scolastica, senza però riuscire a vivere in profondità e continuità con nessuno la passione per incidere positivamente nell’ambiente scolastico. È stata proprio l’esperienza condivisa nel condurre l’attività di volontariato a far germogliare un prezioso seme di unità.

Daniele Siddi

 

 




Un Vangelo tascabile

Uscendo dal supermercato, noto un giovane accoccolato per terra che chiede l’elemosina. Dai tratti somatici si direbbe un sudamericano. Mentre gli lascio un’o erta, scambiamo qualche parola. Viene dal Perù, vengo a sapere, e sta racimolando i soldi per comprare il biglietto del treno. A un tratto mi fa: «Hai per caso un tagliaunghie?». «Sì, se aspetti qui vado a prendertelo: abito a due passi da qui». Vado, prendo l’oggetto, e torno a portarglielo. A questo punto, il giovane mi fa un’altra richiesta, inaspettata: «Hai anche un Vangelo piccolo?». Ne ho più di uno, ma quello a cui tengo di più (ed è appunto tascabile) apparteneva a mia madre. Senza esitazione rispondo di sì e vado a prenderglielo. Nel breve tragitto mi commuovo al pensiero di quel ricordo di famiglia, ma sono contento di cederlo a chi ora mi rappresenta Gesù.

S.B.R. – Italia

Fonte: Il Vangelo del Giorno, Città Nuova editrice, Luglio 2016, p. 36




Loppianolab 2016

POWERTA’
La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà

30 settembre – 2 ottobre 2016 (Loppiano – FI)

Loppianolab 2016 programma generale

Sito Loppianolab

Pagina Facebook

Twitter @LoppianoLab

Le prenotazioni a Loppianolab sono chiuse, è comunque ancora possibile partecipare: in che modo?

Prenotazioni Pass Ingresso: scrivere direttamente all’accettazione loppianolab.accoglienza@loppiano.it specificando il punto di ricezione a cui si preferisce rivolgersi per il ritiro dei pass:

  • Polo Lionello Bonfanti dal 30/09/16
  • Auditorium di Loppiano dal 28/09/16

Nota: La Performance  “Gen Verde + Giovani… In Action!” richiede specifica prenotazione via mail sempre all’indirizzo loppianolab.accoglienza@loppiano.it. o prenotazione telefonica 055-9051102.   I pass  prenotati verranno rilasciati  fino ad esaurimento posti.

Prenotazioni per vitto e alloggio: rivolgersi direttamente a

Alberghi e strutture recettive:

  • Hotel Michelangelo – www.hotelmichelangelovaldarno.com/

Indirizzo: Via Poggilupi, 580A, 52020 Terranuova Bracciolini AR

Telefono: 055 973 8557

  • Hotel Masaccio –  hotelmasaccio.com/

Indirizzo: Lungarno Don Minzoni, 38, 52027 San Giovanni Valdarno AR

Telefono: 055 912 3402

Pasti:

  • Polo Lionello Bonfanti

– Presso “Terre di Loppiano” pasti caldi a prenotazione  o snack a buffet a tutte le ore.  Per prenotazione o informazioni tel. 055-8330888 email: info@terrediloppiano.com

  • Auditorium di Loppiano

– Punti Ristoro e Snack veloci da consumare a buffet sono sempre disponibili, con pagamento sul posto.

Vi segnaliamo che è stato pubblicato su www.loppianolab.it una clip del Gen Verde che come sapete animerà cinque workshop e una performance tutti dedicati ai giovani.

Questo il link: http://www.loppianolab.it/#loppianolab-giovani

Quest’anno LoppianoLab pone un’attenzione particolare alla partecipazione delle famiglie. Vi ricordiamo qui il programma per le nuove generazioni:

LOPPIANOLAB GIOVANI & GEN VERDE

Laboratori artistici per ragazzi e giovani dai 14 ai 25 anni:

I laboratori costituiscono un percorso artistico. È vivamente consigliata la partecipazione a tutto il programma. È necessario prenotarsi indicando il workshop prescelto: adriana.martins@genverde.it

LOPPIANOLAB KIDS Per bambini e ragazzi da 4 a 13 anni:

E’ TEMPO DI DARE. La felicità non dipende da quello che hai. Laboratori sui temi:

– Povertà (la felicità non dipende da quello che hai)

– Cultura del dare (C’è più gioia nel dare)

– Ecologia (curiamo la nostra terra)

Per i più piccoli: servizio di baby sitter a pagamento

Venerdì:14:00-18:00; sabato: 9:00-13:00 /15:00-18:00; domenica: 9:00-11:30.

la scheda di prenotazione è on line http://www.schedaprenotazione.it/ll.asp

Per informazioni relative agli alloggi potete rivolgervi all’ufficio accoglienza di Loppiano: mail: loppianolab.accoglienza@loppiano.it – tel. 055.9051102.

Loppianolab GenVerde2016




Passeggiata della pace

Trieste, 8 giugno 2016

Cappellino colorato, zainetto e maglietta della scuola; gli aprifila di ciascuna classe muniti anche di vivaci cartelloni raffiguranti le diverse facce del “dado della pace”. Erano davvero tanti, più di cinquecento, i bambini e i ragazzini provenienti dagli I.C. Valmaura e Roiano-Gretta che, accompagnati dai rispettivi insegnanti, si sono presentati sul colle di san Giusto, cuore storico e religioso di Trieste, per vivere insieme, con compostezza ma anche con tanta allegria la “passeggiata della pace” a conclusione di un anno scolastico in cui è stato messo a tema, nella varie classi, il valore della pace.

Dopo aver attraversato il commovente “Parco della Rimembranza” dove su ogni pietra è inciso il nome di un caduto in guerra, e aver reso omaggio all’imponente “Monumento ai Caduti” di Attilio Selva che domina la città, tutti sono entrati passando per la Porta Santa in Cattedrale dove, a contrappunto del tema della guerra, è stata celebrata la pace.

Cinquecentoventi bambini sono tanti, eppure…incredibile il silenzio e l’attenzione con cui hanno tutti partecipato e ascoltato le testimonianze e i canti preparati dai compagni: e sono stati il gospel “Wade in the water” che invita a non temere le acque, sono mosse da Dio, e a non arrendersi mai se si mira ad un ideale alto; la presentazione del dado della pace, scritto e letto a più voci da una classe di I media; le tenere esperienze raccontate da Alice e Matteo che trovano nei suggerimenti del dado la forza per “prestare le cose agli altri” e “dare importanza più alle persone che alle cose” e addirittura, come ha confessato tra le lacrime Manola, per ” stare accanto alla mamma e aiutarla a sopportare assieme il dolore della perdita del fratellino”. E ancora le note e la parole di “Semina la pace” che è “un dono, un sogno che si avvererà, un mondo nuovo”. Ma…cos’è la “pace” per un bambino? … Qualcuno ha detto di associarla all’allegria, per un altro è “un modo per stare bene assieme” o “un sogno”, “o ancora “un modo per risolvere i bisticci in famiglia per non andare a dormire arrabbiato con la mamma ma sereno e contento” …” Per finire con il messaggio di “Goccia dopo goccia” che, intonato dal coro, poi tutti hanno cantato assieme perché ” se una voce sola si sente poco, insieme a tante altre diventa un coro…e….un passo dopo l’altro si va lontano.. per aiutare chi non ce la fa”.

E poi, a suscitare la curiosità e l’ammirazione dei passanti e turisti venuti a visitare la città nella bella giornata estiva, un lunghissimo e colorato serpentone di bambini, insegnati e ragazzini ha attraversato tutta la città vecchia passendo per i vicoli della Trieste medioevale e i resti romani riportati alla luce dai recenti scavi per scendere in piazza Unità, altro punto nevralgico della città dove, davanti al Municipio, con lo sfondo del golfo, hanno dato vita ad un inconsueto flash-mob: dapprima disposti in file hanno poi formato dei grandi cerchi da cui sono partite migliaia e migliaia di bolle di sapone che hanno inondato la piazza, simbolo della levità del bene e della bellezza della pace.

Infine: al suono di tamburelli e trombette il lancio di un grande dado della pace che ha assegnato ai veri cerchi i rispettivi “compiti per le vacanze “: amare per primo, accogliere tutti, perdonare l’altro, aiutarsi a vicenda…

Marina Del Fabbro




Premio Bontà

Vedi anche il recente articolo su Città Nuova Online

PREMIO BONTÀ DON NANDO NEGRI (Fondatore della Città del Ragazzo)

settima edizione 2016
a  VERONICA PODESTÀ (una giovane del Movimento dei Focolari)

“Veronica Podestà, giovane infermiera di Graveglia di Carasco, piccolo paese del levante ligure ha ricevuto il premio “Bontà 2016” in ricordo di don Nando Negri, fondatore del “Villaggio del Ragazzo”, opera fondata dal sacerdote ligure e che ancora oggi promuove e gestisce servizi educativi, socio-sanitari, assistenziali, per il lavoro, per la formazione e l’aggiornamento professionale. Una vita spesa interamente per le periferie e per gli ultimi quella di don Nando. Verso chi è stato messo dalle circostanze dalla vita ai margini e per i diseredati. E alla cui memoria, dopo la sua morte, è stato intitolato un premio destinato a quanti in diversi modi si spendono ancora oggi per i più bisognosi.

Per l’edizione 2016 è stata premiata Veronica, di 25 anni, giovane del Movimento dei Focolari che lavora al Centro Benedetto Acquarone di Chiavari, un’altra delle opere di don Nando. Grazie alla sua tenacia e al suo coraggio, infatti, è riuscita a dare a Daniel, un bimbo della Costa d’Avorio affetto da tetralgia di Fallop, la possibilità si essere operato (con successo) all’Ospedale di Massa.

Nel marzo del 2013 Veronica si laurea come infermiera con un sogno nel cassetto: andare in Africa. Tramite Carlo, un amico genovese del Movimento che vive ormai da molti anni in Africa, riesce a trovare il modo per realizzare il suo sogno e mettersi a servizio professionalmente di una realtà molto diversa da quella che avrebbe potuto affrontare in Italia presso il dispensario di Man, in Costa d’Avorio.

Parte per 3 mesi, che poi diventano 6, 10, un anno. Un’ esperienza forte e bella, sia dal punto di vista lavorativo, dove ha potuto imparare tante cose, ma soprattutto dal punto di vista umano. Perché come racconta, “si parte con l’idea di andare a dare ed invece si torna avendo ricevuto, si parte con l’idea di cambiare il mondo e ci si accorge che per farlo bisogna incominciare a cambiare in sé stessi il modo di stare con gli altri”.

Mentre è in Africa conosce Daniel, la cui storia la colpisce subito per via di una malformazione cardiaca presente dalla nascita, che richiede una cura particolare da fare almeno 2 volte alla settimana al dispensario dove Veronica presta servizio. Ciò che la colpisce di quel bambino è il sorriso che le regala ogni volta che mette piede al dispensario, e di quel suo interessarsi a come sta lei prima ancora di poterlo fare lei con lui. La dimostrazione di una forza d’animo fuori dal comune, nonostante quel continuo andi-rivieni dal dispensario che deve fare insieme alla sua famiglia e le cure da fare per la sua malattia.

La sera in cui cui Veronica torna a casa trova tutti gli amici che aveva lasciato un anno prima nel giardino di casa ad attenderla per una festa. Alla fine della serata qualcuno le chiede: “Che cosa ti porti dentro da questa esperienza?”. Il pensiero va al sorriso di Daniel il giorno in cui si sono saluti in Africa. Nei mesi in cui si trova in Africa l’avevano raggiunta per un periodo altre due amiche, Stefania e Letizia. E’ proprio quest’ultima che tornando aveva incominciato a prendere contatti con l’ospedale di Massa per un’eventuale operazione. Intanto l’entusiasmo di Veronica contagia chi le sta attorno, e un mese dopo il suo ritorno con una nutrita squadra di amici della mamma organizzano un apericena per raccogliere dei fondi per permettere a Daniel di venire in Italia ad operarsi.

Da lì ad un mese Daniel arriva a Genova accompagnato dal papà e da Carlo, il focolarino che li aveva aiutati dall’Africa in tutte le pratiche burocratiche e dove rimane fino alla data dell’intervento a Pisa. Sono due mesi intesi, alla scoperta del mare, della neve e dell’incontro e scambio arricchente tra due culture. Daniel viene operato con successo e il papà, che aveva promesso al figlio una bicicletta in caso di superamento dell’operazione, si trova in difficoltà perché è un regalo molto costoso. Giusto il tempo di confidarlo che, senza saperlo, un’amica di Veronica per la sua festa di compleanno raccoglie dei soldi e decide di destinarli a Daniel, ormai conosciuto da tutta la comunità: quella busta contiene giusti i soldi per poter comprare la bicicletta desiderata da Daniel! Il seme lanciato da Veronica, che con la sua caparbietà è riuscita a dare la possibilità a Daniel di “vivere” una seconda volta attraverso l’operazione, si è trasformato in una solidarietà contagiosa”.

Daniela Baudino

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IL PREMIO E’ STATO CONSEGNATO IL  9 LUGLIO CON QUESTE MOTIVAZIONI:

“Il “Premio Bontà Don Nando Negri” 2016 a Veronica Podestà vuole riconoscere in lei, nel suo impegno, nella sua giovanile dedizione, nella sua capacità di “arricchirsi” donando se stessa agli ultimi, quello stesso spirito che guidò don Nando nella sua opera terrena”.

 

 




Gli azzurri e l’Italia

Punti di vista n. 7

Mentre scriviamo è in corso la prima fase degli Europei di calcio. Non sappiamo come proseguirà il torneo, ma dai primi risultati abbiamo imparato qualcosa. L’Italia non sembrava un granché ma alla prima partita ha vinto con il Belgio, che partiva come favorito. Il segreto? Forse più d’uno.

Antonio Conte, più che sulle “star”, ha puntato su un gioco di squadra affidato a calciatori non di primissimo piano ai quali è stata data fiducia. «Qui non ci sono prime e seconde linee. Ci sentiamo tutti partecipi e chiunque scenderà in campo darà il massimo», ha commentato Matteo Darmian, che pure non è stato sempre titolare. E ha aggiunto: «Sbagliare è umano, ma tutti sappiamo che c’è un compagno pronto ad aiutarti, che ti copre le spalle». Anche ai Mondiali dell’82 e del ’96 eravamo partiti da sfavoriti per poi vincere la Coppa del mondo. Le critiche possono abbattere ma anche stimolare; molto dipende da chi le recepisce. Diverse squadre hanno conseguito risultati importanti negli ultimi minuti di partita. Conviene sempre crederci fino alla fine, in ogni “campo” in cui ci troviamo a correre.

Rosalba Poli e Andrea Goller

Tratto dalla rivista Città Nuova n. 7 / Luglio 2016