Laboratorio Giornalismo e Migrazioni

Il racconto del fenomeno migratorio e il ruolo dei media in un mondo che da un lato alza muri e dall’altro li scavalca in cerca di futuro.

Di questo si parlerà nel “Laboratorio Giornalismo e Migrazioni” che NetOne, insieme con l’Istituto Universitario Sophia, terrà nella cittadella di Loppiano, in Toscana, il 30 settembre prossimo, in occasione della 7.ma edizione della Convention “Loppiano – Lab”– dal 30 settembre al 2 ottobre – dal titolo quest’anno “Powertà. La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà”.
A fare da sfondo al dibattito saranno questioni di prima attualità: qual è la “missione” del giornalismo in questo mondo in costante transumanza? Quello di mediatore e facilitatore sociale nei processi di accoglienza e inclusione o di portavoce asettico e super partes delle rotte migratorie e delle conseguenti reazioni delle nostre società?
Ad aprire il confronto alle 15.30 sarà Stefania Tanesini, membro della Commissione Internazionale NetOne, che presenterà il del progetto “Giornalismo dialogico”. A seguire sarà illustrato il percorso fatto e da fare del progetto “Giornalismo e migrazioni”, partito da Budapest e diretto a Pozzallo in Sicilia e poi a Beirut, dopo aver attraversato Atene, Lublino e Man in Costa D’Avorio. Sul tema “Islam nazionale e paure globali: da migranti a cittadini” interverrà Michele Zanzucchi, direttore di Città Nuova, mentre Pál Toth, docente di Scienze della Comunicazione Ist. Universitario Sophia, parlerà de “La sfida migratoria nell’Europa dell’Est”, con particolare riguardo al “caso Ungheria”. Sul tema “Comunicare le migrazioni e le “periferie”, ma come?” si confronteranno Gianni Bianco, giornalista RAI del TG3, Riccardo Barlaam, giornalista de Il Sole 24 Ore, e Daniele Molé, caporedattore del programma Mattino Cinque, in onda su Canale 5. Non mancherà infine uno spazio dedicato al dialogo e ai contributi dei partecipanti.

Leggi tutto l’articolo:
NetOne a LoppianoLab 2016 con il “Laboratorio Giornalismo e Migrazioni. Il racconto del fenomeno migratorio e il ruolo dei media in un mondo che da un lato alza muri e dall’altro li scavalca in cerca di futuro”.




Date e vi sarà dato

Da qualche giorno avevo notato che il rumorino prodotto dalla marmitta dell’auto di Roberto si era aggravato e quando arrivava, la gente si voltava come si fa quando passa un aereo a bassa quota. Che fare? Capivo che lui era subissato di lavoro, così mi sono riproposto di aiutarlo: “Non ti preoccupare, ho combinato con Gian un appuntamento!”. Gian ha un talento: con le sue mani riesce a intervenire e risolvere quasi ogni guasto e lo fa con un entusiasmo e generosità unici. Quasi con la competenza di un medico, per telefono aveva capito il problema e mi aveva indicato che pezzo di ricambio acquistare. Poi ho affrontato coll’auto famigerata le decine di curve per salire al suo paesino. Gian si è subito messo all’opera infilandosi sotto il motore: io lo assistevo, incuriosito dal suo garage che pareva fornito di utensili di ogni tipo ed infatti ogni tanto gli passavo questo o quello seguendo la sua descrizione. Ad un certo punto guardo l’orologio e vedo che il tempo è passato velocemente e mi viene in mente che quella sera devo preparare la cena per tutti. L’impazienza è lì pronta ad assalirmi, ma io cerco di rimettermi nell’intenzione di base: “E’ per Te, Gesù, per Te nel fratello che sono qui!” . Finalmente l’auto è pronta e ora il motore ‘canta’. Ringrazio Gian e subito mi metto al volante, felice di correre a casa. Ma Gian mi chiama: “Aspetta, devo darti qualcosa” e mi mette in auto uno scatolone da cui esce un profumo invitante: “Oggi alla mensa a fine pranzo ho visto che è rimasta questa roba e l’ho chiesta alla cuoca… così eccola qua”. Ecco la cena pronta, pensata provvidenzialmente dall’Eterno Papà!

Gabriele – Genova




Un’esplosione di colori e amicizia

Ad Arborea, in Sardegna, i Ragazzi per l’unità si ritrovano per un campus estivo. Qualche flash nel racconto di due di loro

Una vera e propria famiglia

Amicizia, altruismo, amore l’uno per l’altro… Sono queste le parole chiave di questo campus. Anche quest’anno, come ormai da circa vent’anni i ragazzi facenti parte del Movimento dei Focolari si riuniscono insieme per condividere esperienze, emozioni e per tornare a casa con il cuore un po’ più grande di prima. Per molti è stata la prima volta qui al campus e alle domande “come ti trovi?’” e “che ti aspetti da questo campus?”, le risposte più frequenti sono state semplicemente grandi sorrisi. Le aspettative sono alte … nuovi amici, amore reciproco e divertimento ma questo Campus le soddisfa tutte! C’è chi si lancia nel preparare biscotti, chi ha a cuore l’ambiente e prepara cartelli colorati per far comprendere che ciò che ci circonda è di tutti noi e sarebbe un gran peccato rovinarlo. C’è chi invece butta giù idee per scrivere canzoni che trasmettano gli ideali di cui ci facciamo portatori e poi … ci siamo noi … che vi parliamo di tutto questo. “Nonostante non ci siano legami di sangue, qui ci si sente come in una vera e propria famiglia”, dice Sara mentre ci si prova a conoscere un po’ meglio e si parla un po’ di sé.

E forse è bene chiudere quest’articolo così … Dicendo semplicemente che qui ci si sente a casa, ci si sente amati e protetti … in poche parole: “Questa è una famiglia!”. (Elena Masala)

Storie che lasciano il segno

Uno dei giorni del campus prevede la visita alla comunità “Il Samaritano”, centro di recupero e accoglienza situato nel territorio comunale di Arborea. Esso raccoglie una decina di ex detenuti che vi trascorrono l’ultimo periodo della pena dopo anni di carcere. Noi Ragazzi per l’Unità abbiamo avuto modo di conoscere queste persone e di farci raccontare parte delle loro storie. La comunità sta vivendo ultimamente un periodo difficile a causa di una indagine che ha coinvolto il fondatore ma gli ospiti si presentano sostanzialmente sereni e ben inseriti.

Luca, 36 anni, originario di Gergei, ci concede un’intervista e quando gli chiediamo come si trovi all’interno della struttura fa riferimento al suo passato in carcere, nel quale ha trascorso ben nove anni, mettendo in evidenza il grande salto di qualità tra le due situazioni. Ora lavora, trascorre la sua giornata con i compagni con i quali ha un bel rapporto di amicizia. Ha inoltre la possibilità di scegliere come trascorrere il suo tempo libero, e una volta alla settimana può andare a trovare la famiglia nel suo paese.

Tra un mese e mezzo potrà definitivamente chiudere questo capitolo della sua vita avendo scontato la pena ed essendo pronto a reinserirsi nel “mondo libero”. (Daniele Palla)




Lo “Spirito di Assisi” va avanti

Papa Francesco ad Assisi per ricordare i 30 anni della grande preghiera interreligiosa promossa nel 1986 da Giovanni Paolo II.

Nell’Angelus di domenica 18 settembre a piazza san Pietro, Francesco ha invitato tutti a dedicare un momento della giornata per chiedere a Dio il dono della pace e della riconciliazione fra i popoli.


assisi
APPELLO LETTO AD ASSISI IL 20 SETTEMBRE 2016

“Uomini e donne di religioni diverse, siamo convenuti, come pellegrini, nella città di San Francesco.
Qui, nel 1986, trent’anni fa, su invito di Papa Giovanni Paolo II, si riunirono Rappresentanti religiosi da tutto il mondo, per la prima volta in modo tanto partecipato e solenne, per affermare l’inscindibile legame tra il grande bene della pace e un autentico atteggiamento religioso.
Da quell’evento storico, si è avviato un lungo pellegrinaggio che, toccando molte città del mondo, ha coinvolto tanti credenti nel dialogo e nella preghiera per la pace; ha unito senza confondere, dando vita a solide amicizie interreligiose e contribuendo a spegnere non pochi conflitti.
Questo è lo spirito che ci anima: realizzare l’incontro nel dialogo, opporsi a ogni forma di violenza e abuso della religione per giustificare la guerra e il terrorismo.
Eppure, negli anni trascorsi, ancora tanti popoli sono stati dolorosamente feriti dalla guerra. Non si è sempre compreso che la guerra peggiora il mondo, lasciando un’eredità di dolori e di odi. Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori.

Abbiamo rivolto la nostra preghiera a Dio, perché doni la pace al mondo.
Riconosciamo la necessità di pregare costantemente per la pace, perché la preghiera protegge il mondo e lo illumina. La pace è il nome di Dio. Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso.

Ci siamo posti in ascolto della voce dei poveri, dei bambini, delle giovani generazioni, delle donne e di tanti fratelli e sorelle che soffrono per la guerra; con loro diciamo con forza: No alla guerra!
Non resti inascoltato il grido di dolore di tanti innocenti.
Imploriamo i Responsabili delle Nazioni perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di povertà, ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana.

Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli.
Si attui la responsabilità di costruire una pace vera, che sia attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaborazione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo.
Nulla è perso, praticando effettivamente il dialogo.
Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera.
Tutti possono essere artigiani di pace; da Assisi rinnoviamo con convinzione il nostro impegno ad esserlo, con l’aiuto di Dio, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà”.

img_0907Vedi anche articoli su Città Nuova online:

Da_Assisi_ad_Assisi_da_Francesco_a_Francesco

Solo_la_pace_santa_non_la_guerra

 




Associazione Città Fraterna – Genova

Città Fraterna è una Associazione Onlus, con sede Operativa a Genova Sestri Ponente e iscritta all’ Albo Regionale Ligure delle associazioni di Volontariato. Si occupa di raccogliere e distribuire generi alimentari a favore di persone disoccupate o in difficoltà economica.

DEPLIANT CITTA FRATERNA – GENOVA

PER SAPERNE DI PIU’

ASSOCIAZIONE CITTA’ FRATERNA

 




Ripensare la giustizia: via per il bene comune

screenshot-2016-09-26-12-05-51Venerdì 14 ottobre 2016 ore 15.00-19.00 si terrà a Parma, presso la Sede dell’Unione Parmense degli Industriali, il prossimo convegno promosso da Comunione e Diritto del Movimento dei Focolari, dal titolo: Ripensare la giustizia: via per il bene comune.

Nell’ambito di tale evento (aperto a tutti e rivolto in particolare a docenti, studenti, dirigenti della pubblica amministrazione, imprenditori, politici, avvocati, magistrati, notai ed altri operatori del mondo giuridico) verranno presentati gli atti del convegno Diritto in cerca di giustizia. Il “metodo” di Lionello Bonfanti, tenutosi a Parma il 28 novembre del 2014.

lionello-bonfantiLionello Bonfanti nasce a Parma il 10 ottobre del 1925. A 22 anni si laurea in giurisprudenza e a 25 entra in magistratura, diventando il più giovane Pretore d’Italia. Dopo alcuni anni aderisce alla comunità del Movimento dei Focolari lasciando l’incarico di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Parma, ma senza mai abbandonare il suo anelito di giustizia.

I relatori del convegno in programma (Dott.ssa Silvia Cipriani, Magistrato a Firenze, Prof.ssa Adriana Cosseddu, Docente di Diritto penale all’Università di Sassari, Prof. Stefano Zamagni, Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, Dott. Alberto Chiesi, Presidente Chiesi Farmaceutici S.p.A., Dott. Paolo Scarpa, Presidente Circolo culturale Il Borgo,) intendono proseguire il cammino di ricerca e di studio avviato ornai da alcuni anni e arricchito sempre da attuazioni concrete.

Ciascuno, per il proprio profilo professionale, tenterà di declinare giustizia e bene comune e, nel contempo, rifletterà su come il binomio diritto-giustizia – e il divario che a volte vi si riscontra – non pare sia attinente esclusivamente al mondo giuridico ma possa, in qualche modo, essere traslato nel campo dell’imprenditoria, della finanza, della pubblica amministrazione. Anche in questi ambiti – le cronache di tutti i giorni ce lo confermano – si constata che, se non si persegue il “valore” della giustizia, il diritto non può essere efficacemente assicurato.

invito-ripensare-la-giustizia




Loppianolab 2016 Powertà

LOPPIANOLAB 2016 – POWERTÁ

Jesus Moran_L’umanità_ha_tre_sfide_da_affrontare_ma_può_vincerle

www.loppianolab.it

Loppianolab 2016 programma generale

La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà

Loppiano (FI), 30 settembre – 2 ottobre 2016

  • Com’è l’Italia vista da quel milione e mezzo di famiglie “assolutamente povere”?
  •  I risultati dello studio di Confcommercio del 9 giugno scorso mettono allo scoperto dati indegni di un Paese civile, come sono stati definiti da molti. Un’Italia dunque che stenta a ripartire, che non può pagarsi cibo e cure mediche, dove i cosiddetti poveri assoluti sono aumentati del 130% in sette anni.
  • La settima edizione di LoppianoLab, laboratorio economico, culturale, politico e sociale nazionale propone il tema delle “Powertà”, in aperta sfida con un significato a senso unico di questi dati: è un cambio di prospettiva che se da un lato evidenzia la tossicità di un sistema che produce ricchezza a danno dell’ambiente, della società e delle persone; dall’altro intende mettersi a fianco di chi l’indigenza la vive sulla propria pelle, facendo emergere le tante forme di ricchezza di cui spesso la povertà è portatrice per i singoli, le società, i popoli.
  • Anche quest’anno i promotori della manifestazione – Gruppo Editoriale Città Nuova, Istituto Universitario Sophia, Polo imprenditoriale Lionello Bonfanti e Centro internazionale Loppiano assieme ad altri soggetti attivi della società civile – propongono incontri con grandi personalità dell’attualità e società civile, laboratori, dibattiti e tavole rotonde per scorgere e offrire le tante forme di ricchezza di cui spesso la povertà è portatrice.
  • Molti i temi in cantiere: innovazione tecno-scientifica, modelli di sviluppo, economia civile, la questione ecologica, le periferie, le migrazioni, il dialogo tra le Religioni, l’arte come riscatto sociale, giovani e partecipazione politica, scuola e povertà, ecc.
  • Varie anche le proposte e le performances artistiche a margine della manifestazione: show musicali, workshop, eventi letterari.
  • Dalla prima edizione nel 2010, l’appuntamento annuale coinvolge migliaia di cittadini, imprenditori, operatori della comunicazione, studenti e docenti dei diversi livelli della scuola e dell’università, politici impegnati in vari ambiti, genitori e membri dell’associazionismo, tanti giovani, di tutte le regioni italiane, impegnati a rilanciare il Paese, ad alimentare la speranza e salvaguardare la coesione sociale.

Gli appuntamenti principali:

  • “POWERTÁ. La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà” (1 ottobre ore 15.00), il convegno centrale di LoppianoLab che darà voce alla società civile, alla politica, all’economia e alla cultura.
  • “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri”. Innovazione tecno-scientifica, sviluppo e povertà” (30 settembre ore 21,00) a cura dell’Istituto Universitario Sophia e del Gruppo editoriale Città Nuova.
  • Il 25° dell’Economia di Comunione e il 60° di Città Nuova.
  • In programma laboratori: Ecologia e povertà. Stare nelle periferie. Rifugiati e migranti. Dialogo interreligioso. Dis-Abilità. Giornalismo e migrazioni. Arte come riscatto.

Approfondimento n. 1 Povertà e partecipazione in Italia

Approfondimento n. 2 Povertà e ricchezze dell’Italia di oggi

Vedi anche sito Polo Lionello: http://www.pololionellobonfanti.it/cs4-ll-poverta-manifeste-ricchezze-sconosciute-loppianolab-2016-scena-la-societa-civile/

 Ufficio stampa LoppianoLab:

Elena Cardinali – mob: 347/4554043 – ufficiostampa@cittanuova.it

Stefania Tanesini- mob: 338/5658244 – sif@loppiano.it

Blog: http://www.loppianolab.blogspot.it Facebook: www.facebook.com/loppianolabTwitter: @LoppianoLab

Promotori: Polo Lionello Bonfantiwww.pololionellobonfanti.itGruppo Editoriale Città Nuovawww.cittanuova.it Istituto Universitario Sophiawww.iu-sophia.orgCittadella di Loppianowww.loppiano.it

 

 

 




Il concorso

Avevo già superato l’esame scritto di un concorso presso il ministero. Ora dovevo sostenere l’orale. Era l’occasione che tutti aspettavano in famiglia, dove vivevamo solo con la pensione di papà, per trovare il mio primo lavoro. I miei insistevano perché mi rivolgessi a delle persone in uenti per avere una forte raccomandazione. S’erano offerti anche dei parenti per “pagarla”.

Ma io continuavo a fare il sordo, convinto che, se avevo superato lo scritto senza l’aiuto di nessuno, avrei superato anche l’orale. Ma un giorno, davanti alle lacrime di mia madre, stavo per crollare. Facendomi forza, le ho risposto che cercavo di vivere coerentemente col Vangelo ed ero fiducioso che, se era per il mio bene, Dio mi avrebbe fatto superare il concorso.

La mamma, anche lei credente, era fiera della mia fede; però in questo caso le sembravo fanatico ed egoista. Ho fatto comunque tutta la mia parte per prepararmi e la prova orale è andata bene. Ho vinto il concorso ed ora avrò il tanto sospirato posto di lavoro.

G.E. – Italia

Fonte: Il Vangelo del giorno, Città Nuova, Settembre 2016, p.78




Acquisto solidale “Familygas”

Lavorare nella città e per la città – intervento di Adriana Billò Viara, Gruppo di acquisto solidale “Familygas”, Mondovì (CN)

Il nome che ci siamo dati, “Familygas”, vuole sottolineare che è un’esperienza di famiglie, ma anche un’esperienza di FAMIGLIA. È un gruppo informale di persone che si associano per imparare e mettere in atto uno stile di acquisto e consumo più responsabile e critico.

Critico, vuol dire “ che giudica, che sceglie”.

Leggi l’intervento: FamilyGas

Fonte:OnCity: reti di luci per abitare il pianeta




Giovani e cultura alla scoperta della città

La partecipazione motore di una cittadinanza attiva

Giovani e cultura alla scoperta della città – Moreno Orazi, Architetto coordinatore Cantiere Oberdan, Spoleto (Italia)

Sono nato nella verdeggiante Umbria, terra natale di S. Benedetto e S. Francesco. Sono felicemente sposato, ho due figli e vivo a Spoleto. Dal 1982 esercito la professione di architetto presso la Abaco, società che opera nel campo della progettazione e nella pianificazione territoriale ed urbanistica, di cui sono cofondatore.

Dal 1994 ho partecipato alla redazione di programmi integrati economici e urbanistici per la riqualificazione urbana e territoriale. Attualmente sono impegnato, tra l’altro, in progetti di ricostruzione nei territori aquilani colpiti dal terremoto del 2009. Mi sono occupato anche dei linguaggi artistici e delle estetiche contemporanee, perché nella civiltà delle immagini le arti visuali occupano una posizione centrale nel sistema della comunicazione.

La famiglia è il bene più prezioso che possiedo. Le esperienze che considero più significative nella mia formazione umana e culturale sono quelle sviluppate in comunità. Concepisco il rapporto con gli altri in modo attivo e scambievole. Sento il diritto/dovere di fare fino in fondo la mia parte, di apprezzare l’apporto degli altri e di concorrere con le mie idee e con il mio impegno al loro progredire.

Negli anni ’80 ho animato insieme a una decina di amici un circolo culturale dell’A.R.C.I., un’associazione collegata al Partito Comunista Italiano che ha rappresentato un’esperienza sociale, culturale e politica fondamentale nella mia formazione umana e civile.

Il mio rapporto col Movimento risale al 1994 ed è dovuto all’amicizia di Elio e Letizia, due focolarini sposati. Sono qui perché ho risposto all’invito di partecipare ad uno dei primi congressi del “Dialogo con persone di convinzioni non religiose”. Il resto è venuto da se.

Sono stato incaricato dall’Erica, Associazione collegata al Movimento dei Focolari, di coordinare le attività del Cantiere Oberdan, spazio aggregativo gestito da quattro associazioni laiche. È una specie di “oratorio” (circolo) laico. Proprio per il mio approccio laico alla vita e, al tempo stesso, per l’adesione al Movimento e la condivisione dei valori etici e spirituali del Carisma dell’Unità, sono stato designato come coordinatore dell’iniziativa.

Il Cantiere Oberdan è uno spazio polifunzionale dedicato ai giovani: in questi anni è stato frequentato da compagnie teatrali amatoriali e gruppi musicali informali. Vi si svolgono eventi nell’ambito del famoso festival dei Due Mondi di Spoleto dedicato al Teatro d’Avanguardia. Vi si tengono corsi di musica, danza africana, Yoga ed educazione alimentare. Il Cantiere ha come scopo la promozione del lavoro creativo dei giovani; il confronto e la collaborazione tra soggetti associativi diversi nella gestione di uno spazio comune al servizio della vita culturale cittadina, vista comune strumento di elevazione e di crescita civile; realizziamo progetti educativi rivolti alle scuole, finalizzati alla conoscenza di problematiche sociali scottanti attraverso il coinvolgimento diretto di insegnanti, alunni e studenti.

Il primo di questi progetti, dal titolo emblematico “La città siamo noi” aveva come oggetto proprio la conoscenza della città come luogo fisico organizzato e come spazio relazionale che costruisce l’identità della persona e determina la qualità delle relazioni sociali.

Il Cantiere si propone di contrastare l’atomizzazione delle comunità urbane. Nello spazio disperso della città contemporanea conduciamo una vita nomade che indebolisce la coesione sociale, generando solitudine, sofferenze psichiche e comportamenti devianti.

La Rete supplisce in qualche modo al senso di solitudine, ma non può sostituirsi al bisogno delle persone del contatto umano diretto.

Come architetto durante questi anni, con i miei colleghi di studio, abbiamo restaurato diversi edifici storici di Spoleto, ad esempio la Biblioteca municipale, il Teatro Comunale, la Sede del Comune ed abbiamo voluto illuminare le buie pareti del passaggio sotterraneo che collega la parte bassa della città con quella alta, riproducendo i colori della natura, per rendere più gioioso il passaggio dei nostri cittadini e visitatori.

La mia famiglia negli anni della mia prima infanzia viveva in condizioni di estrema indigenza. Da bambino e poi nella adolescenza, a scuola ed in altri ambienti sociali ho subito molte mortificazioni a causa della povertà che si palesava attraverso il modo di esprimermi, di vestire, nelle amicizie, nella casa dove abitavo, fredda scarna e disadorna.

Questo mio vivere tra gli ultimi, essere stato io stesso uno di questi ultimi, non me lo sono mai dimenticato in tutte le circostanze della mia vita, nel mio lavoro, nella famiglia, nei rapporti di amicizia ed in quelli di vicinato.

Quando vedo le sofferenze dei profughi e le difficoltà degli extracomunitari, sulla strade della mia città, sento una grande vicinanza, mi vedo, in un certo senso, rispecchiato in loro.

Cerco di manifestare concretamente la mia solidarietà verso le persone che vivono ai margini ricorrendo a piccoli gesti umanamente molto intensi (con un cenno di saluto, pagando qualche bolletta, con gesti concreti di accoglienza). Tengo un comportamento rispettoso nei confronti delle maestranze operaie nei cantieri che conduco, nel condominio cerco di stabilire buoni rapporti di vicinato, nello studio tecnico divido alla pari con i miei colleghi i frutti del lavoro comune e nel mio rapporto con i committenti cerco di soddisfare le loro richieste evitando di imporre il mio punto di vista. Stiamo facendo fronte alla crisi grave che travaglia il settore edilizio e che ha determinato una forte contrazione del lavoro ridividendo in modo paritario le esigue entrate tra tutti, indipendentemente dalla condizione lavorativa e dal ruolo professionale, cercando di garantire comunque un minimo stipendio senza procedere a licenziare nessuno.

So che è poco, davvero troppo poco. Sicuramente non salverò il mondo come pensavo quando, dopo aver letto il Manifesto del Partito Comunista di Carlo Marx, diventai seduta stante comunista, ma così facendo penso di onorare la dignità degli altri e la mia. Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Il comandamento dell’Amore è la soglia limite della mia adesione al cristianesimo, un cristianesimo etico ed immanente.

Moreno Orazi

Fonte:OnCity: reti di luci per abitare il pianeta




La regola d’oro




Chiara Lubich alle Nazioni Unite 1997




Osare una nuova era. L’amore reciproco tra i popoli




Le potenzialità del dialogo

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

5 logo

Le potenzialità del dialogo nelle situazioni di conflitto: processi globali e personali

La relazione educativa come “luogo” di dialogo tra generazioni per affrontare, trasformare e superare il conflitto – Annelisa Vecchione, Formatrice, Potenza (Italia)

“Il rapporto educativo è puramente dialogico” (Martin Buber)

LA STORIA – L’idea: Sogno e Realtà –

La mia esperienza di educatore comincia nel 1999, con l’ideazione, insieme ad alcuni miei colleghi, di un laboratorio di narrazione per lo sviluppo di un progetto inserito nell’ambito della realizzazione di centri ludici per l’infanzia e l’adolescenza sul territorio della Basilicata (Italia).

I centri ludici furono realizzati nel 2001 ed io, insieme al mio gruppo di lavoro, cominciai a costruire un laboratorio della fiaba per i bambini del mio territorio. Laboratorio che è diventato poi, nel tempo, una metodologia educativa che definisco “Educazione Socio – Emotiva Integrata”, che ha preso forma in maniera più chiara nel 2005, quando abbiamo proposto questa esperienza ad un istituto comprensivo di un comune lucano (Viggiano), nel quale ho lavorato per sei anni come esperta nella conduzione di laboratori socio – emotivi in classe, durante le ore curriculari come supporto ai docenti, nella scuola dell’Infanzia e Primaria.

I laboratori di educazione socio emotiva integrata si costituiscono come piccole comunità educanti, alle quali partecipano i bambini, gli insegnanti, i genitori, che a turno, vengono ospitati in classe per condividere le attività di laboratorio, cercando di costruire relazioni in cui ci si impegna a generare un’accoglienza incondizionata, non giudicante dell’altro, nello sforzo costante di valorizzare il positivo di ciascuno, per realizzare una consapevole reciprocità.

Il processo di insegnamento/apprendimento nei laboratori socio emotivi integrati, è finalizzato all’acquisizione di comportamenti che tentano di genera il “Ben–stare” insieme. Gli strumenti utilizzati sono i contenuti disciplinari e l’educazione al riconoscimento e alla gestione delle emozioni primarie, attraverso la decodifica dei comportamenti, spesso conflittuali tra pari, ma anche tra genitori e insegnanti e tra questi e i bambini o i ragazzi. L’esperienza è stata poi replicata in diverse scuole della Basilicata, circa una decina, fino a trasformarsi nel 2014 in un Progetto di Comunità, finanziato dai fondi europei, per la valorizzazione del territorio e della memoria, realizzato nel comune di Sarconi, in provincia di Potenza in Basilicata.

IL METODO – Leggere e decodificare la realtà

COME costruire relazioni che si trasformano in “luogo di dialogo”, che possano consentire di affrontare la conflittualità, trasformandola in incontro?
Lavorando per diversi anni con i bambini ho imparato, ascoltando le loro narrazioni con attenzione, molte cose che mi hanno aiutata a mettere insieme lo studio, la conoscenza, con la realtà dei rapporti umani, la teoria con la pratica. Senza questo connubio, il processo educativo non può realizzarsi e i bambini con i loro bisogni, spesso inascoltati, mi hanno “suggerito” la necessità di coinvolgere, nonostante le difficoltà organizzative, burocratiche, gli adulti nelle attività laboratoriali.

Coloro che sono stati coinvolti nelle attività, non potevano essere destinatari di questo processo, ma partecipanti, costruttori del dialogo.
I laboratori sono strutturati in modo da dare valore alle persone, capovolgendo le logiche diffuse in una società competitiva, edonistica, consumistica. Lo spazio laboratoriale diventa luogo per acquisire e sviluppare competenze che si realizzano in un clima altruistico di collaborazione, che richiede il sacrificio del “mi piace”, oggi molto usato nelle chat, intervallandolo con altri atteggiamenti, come ad esempio: “provo ad ascoltarti”,“provo a mettermi in gioco”, “mi fido di te”, “ti chiedo aiuto”, “ti racconto una storia …”.

In classe si lavora quasi sempre in coppia, in gruppo, mettendo in comune lo spazio, gli strumenti, le conoscenze, la pazienza, il fastidio, a volta il disordine, l’inevitabile scontro, con lo scopo di mediare, di “ascoltare” il disagio provocato dalla frustrazione del limite che l’altro mi pone con la sua presenza. L’educatore educa attraverso la sua carne e il suo sangue, non solo attraverso le parole e le spiegazioni. Spesso, incorriamo nel verbalismo, rischio che tutti gli educatori, oggi corrono, focalizzando il proprio impegno educativo in una serie di spiegazioni teoriche; ma non posso educare all’altruismo e alla collaborazione, al rispetto e all’ascolto, se non predispongo i banchi in un certo modo, se non favorisco l’utilizzo comune degli strumenti e dei materiali, e così via.

Nei laboratori di educazione socio emotiva integrata rivolti agli adulti (realizzati nelle biblioteche comunali, nei centri per le famiglie, nelle scuole ecc), non si ascolta una lezione in modo distaccato, ma si sta in cerchio, si partecipa ai giochi di pedagogia creativa, si sente il fastidio o l’imbarazzo del decostruire per ricostruire, dando un senso condiviso alle parole “RELAZIONE”, “DIALOGO”, “CAMBIAMENTO”, “DARE VALORE”, “EDUCATIVO”.

LE ESPERIENZE – tendere verso la realizzazione di un FINE indefinitamente perfettibile, ma concretamente realizzabile –
“I luoghi dei legami e della memoria”) – 2014 –
Partecipanti:

  •   gruppo studio e ricerca (15 – 25 anni);
  •   4^ e 5^ primaria e 1^, 2^, e 3^ secondaria di primo grado;
  •   adulti, famiglie, anziani in pensione;
  •   Enti e associazioni del territorio (Comune, Parrocchia, Ass. culturali, turistiche e divolontariato).

Il progetto sviluppato a Sarconi, dall’associazione Ca.Tali.Te e dalla Pro Loco, relativo ai Luoghi della Memoria, è stato un viaggio emotivo – sensoriale nell’immaginario collettivo, di quanti, hanno voluto partecipare alle attività proposte.
L’iniziativa progettuale, ha dato vita ad una rete culturale che ha messo in relazione persone, enti, istituzioni e infrastrutture, favorendo una circolarità di iniziative che ha spinto la comunità a prendere coscienza del patrimonio esistente e a condividerlo come bene comune, vivendo l’appartenenza ad un territorio non come semplice fatto geografico, ma nel senso di avere intessuto con esso un “legame emotivo”, costruito attraverso le persone, il contatto di mani e di piedi che hanno toccato, camminato, accarezzato volti, strade, muri e pietre.

“Abitare il Sogno” (Potenza) – 2014/2016 – Partecipanti:

  •   i giovani allievi di diverse scuole secondarie di secondo grado (15 -18 anni) del capoluogo potentino impegnati in 7 laboratori creativi ( pittura, scrittura, graffiti, teatro, musica ecc.);
  •   di cui uno dedicato ai ragazzi del Carcere minorile di Potenza;
  •   un laboratorio dedicato agli adulti educatori (genitori, insegnanti, allenatori, catechistiecc.).Il Progetto, di cui è promotore il Rotary Club di Potenza in collaborazione con la Regione Basilicata, si è posto l’obiettivo di costruire con consapevolezza una comunità educante; una comunità di persone disponibili ad allearsi per formarsi e confrontarsi. La comunità educante è un modo di essere e di vivere, in cui non ci si limita ad affermare l’importanza della collaborazione e della condivisione in linea di principio, ma si tenta di creare occasioni di scambio e di comunicazione, spazi per il sostegno e la formazione dei diversi soggetti coinvolti, attraverso il quale generare il bene comune, un sistema che garantisce le condizioni per cui ciascuno può impegnarsi per realizzare i propri sogni, specialmente le giovani generazioni alle quali, spesso, il mondo adulto nega il futuro non svolgendo adeguatamente nel presente la propria funzione educativa.

Alcune affermazioni conclusive degli adulti che hanno partecipato al percorso, parole incarnate, frutto dei mesi trascorsi insieme:

  • “si insegna soltanto se si impara”;
  • “educare è amare: la parola che nasce dal cuore arriva al cuore”;
  • “Educare è cambiare se stessi”;
  • “Educare è comunicare il messaggio abbi fiducia in te”;
  • “ho acquisito una maggiore consapevolezza dell’atto educativo e ciò mi stainducendo ad una riflessione prima dell’azione che mi conferisce serenità e capacità di autocontrollo”;CONCLUSIONI COME INIZIOAffermava Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, a Washington, durante la Lectio Magistralis tenuta in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in Pedagogia:
    “Ogni pedagogia autentica è portatrice di una tensione utopica, da intendersi come idea regolativa a costituire tra noi, quel paese che ancora non c’è, ma che dovrebbe esserci. L’educazione, in tale prospettiva è vista come mezzo per avvicinarsi al fine utopico[…]. L’utopia non è un sogno, né illusione, né una meta inavvicinabile, essa è tra noi[…]”.

    Allora potremmo dire che il fine utopico dell’educazione socio – emotiva è costruire una comunità educante, in cui è la memoria la mappa di una comunità, espressa attraverso il dialogo nei legami tra generazioni, per insegnare e imparare a progettare e realizzare, con impegno, il cammino per abitare il proprio sogno, educando al difficile, all’incarnazione della parola, con il contributo di tutti coloro che partecipano.

    Affermava Monsignor Romero in una sua riflessione, di cui vi lascio solo alcune righe stralciate:
    “[…]Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo. Ci dà la forza di fare qualcosa e di farla bene. Può rimanere incompleta, però è un inizio, il passo di un cammino […]”.

E’ il nostro inizio quotidiano che costruisce la via per raggiungere la meta prefissata, e il cammino è la parte reale e concreta del nostro fine utopico.

Annelisa Vecchione

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Accogliamo i profughi respinti

A Como, città vicinissima al confine italo-svizzero, un’intera comunità vive un’esperienza di accoglienza

La città di Como è salita alla ribalta delle cronache nelle ultime settimane grazie al notevole afflusso di profughi che, costretti da muri e filo spinato a deviare da altre rotte, tentano di attraversare la Svizzera, per raggiungere i Paesi del nord Europa alla ricerca di fortuna o del ricongiungimento con familiari e conoscenti che li hanno preceduti. Il tragitto da percorrere, a piedi o con i mezzi, è assai breve; in quattro minuti si arriva a Chiasso.  Ma al confine i controlli sono rigorosi ed i respingimenti la regola. Cresce cosi il numero di persone accampate nei dintorni della stazione ferroviaria di Como, in attesa dell’occasione propizia per eludere i controlli: sono uomini e donne, famiglie con bambini piccoli, minori non accompagnati, il cui numero varia quotidianamente in seguito ai nuovi arrivi e alle partenze con mezzi ed esiti ignoti. Sono alcune centinaia gli ospiti che colorano la città con la loro presenza, impossibile da ignorare.

Il nostro vescovo, mons. Coletti, con un appello rivolto alla città ha chiesto a tutti di raccogliere la sfida dell’accoglienza e, in particolare rivolgendosi alla comunità ecclesiale, di mettere in pratica le opere di misericordia, in questa che potrebbe essere un’opera-simbolo del Giubileo della Misericordia e un’occasione di condivisione e di crescita comune.

Abbiamo sentito rivolto anche a noi questo invito e ci siamo subito mobilitati, mettendoci a disposizione della Caritas diocesana in prima linea nell’organizzazione degli aiuti. Attraverso la rete della nostra comunità locale è emersa una risposta corale, a cascata, che coinvolge persone vicine al Movimento dei Focolari, familiari, amici, conoscenti che si vogliono aggiungere. Si tratta di raccogliere alimenti, coperte ed altri generi di prima necessità, di coprire i turni di servizio dedicati all’accoglienza dei migranti, all’accompagnamento alle docce ed alla mensa, alla distribuzione delle vivande, alla cucina, alle pulizie; di sera si servono fino a cinquecento pasti.  Si incrociano sguardi spaesati, spaventati, riconoscenti, a volte ancora diffidenti. Difficile comunicare con chi parla idiomi sconosciuti; ma anche il solo essere lì, stanchi e sudati come tutti, a porgere un piatto col sorriso, cercando di capire a gesti se è gradito, gomito a gomito con altri volontari che si scopre magari provenire da tutt’altra esperienza ma che come noi si sono messi in gioco per i fratelli profughi, ci fa sentire parte di una famiglia grande e ci fa crescere come persone e come comunità.

Una persona della comunità scrive: «Che gioia incontrare qualcuno della nostra comunità, tra i corridoi, nella mensa, nella pulizia delle docce». Un’altra ancora al servizio mensa: «Mi ha colpito la fede, l’intensità dei cristiani copti nella preghiera di ringraziamento prima e dopo il pasto; davvero che grande dono è il fratello». E poi: «Nel fratello profugo che accompagniamo alle docce e che serviamo a tavola, guardandolo negli occhi e battendo un cinque, riconosciamo Gesù che ci ricambia: “sono io…!».  E ancora: «Dopo una serata trascorsa semplicemente a servire, condividendo l’esperienza con altri volontari delle più varie estrazioni, si esce con il cuore gonfio di sentimenti e di propositi».

Nella festività del santo patrono della città di Como si è vissuto un pomeriggio speciale in una basilica affollata, alla presenza del vescovo e delle autorità cittadine, con la partecipazione dei migranti cristiani eritrei, etiopi, somali ed una rappresentanza degli oltre 500 volontari. La lettura del brano evangelico del giudizio universale, in italiano, inglese e tigrino, ha suscitato una grande emozione. Padre Claudio, Missionario Comboniano della nostra comunità, che ha trascorso più di 30 anni in quei Paesi e ne conosce lingue e dialetti, ora a riposo nella nostra città, da settimane si prodiga per assistere le persone accampate nei pressi della stazione. A lui il vescovo ha affidato ora ufficialmente l’incarico di seguirle spiritualmente, mettendo per questo a disposizione la stessa basilica.

Gesù è venuto oggi a visitarci in questi fratelli migranti. Anche noi ci sentiamo interpellati, come ci ha ricordato il nostro vescovo, e vorremmo rispondere anche con una certa progettualità.




Lavorare nella città e per la città

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

Lavorare nella città e per la città

Intervento di Stefania Biagini Ghiotti, Referente Comunoteca di Torino (Italia)

Ciao a tutti. Sono Stefania. Da quasi diciotto anni sono sposata con Saverio ed abbiamo due figli: Maddalena, di 15 anni, e Nicolò di quasi 12.

L’arrivo dei figli è stato per noi un vero “cataclisma” dal punto di vista della comunione dei beni. Non era ancora nata la nostra prima figlia che già avevamo ricevuto tutto quello di cui avevamo bisogno, persino dei ciucci nuovi che non potevano essere più venduti, in quanto un’alluvione aveva rovinato la scatola di cartone che li conteneva e la plastica che li proteggeva non era sufficiente per garantirne la vendita. La situazione ci ha stimolato a mettere anche noi tutto in circolazione, una volta terminato l’uso delle cose.

Abbiamo iniziato con un ristretto gruppo di amici; poi la voce si è sparsa così rapidamente, che in pochi anni abbiamo creato una rete di circa 400 famiglie che si tengono in contatto via e-mail e si comunicano esigenze e possibilità circa i beni di prima necessità relativi alla gestione di bimbi piccoli: abbigliamento, passeggini, carrozzine, seggioloni, seggiolini auto, culle… Chi ha bisogno ci segnala via e-mail la propria necessità; noi giriamo a tutte le famiglie tali esigenze e, non appena ci arriva la disponibilità delle cose da parte di qualcuno, mettiamo in contatto chi dà con chi riceve, per effettuare il passaggio delle cose. Cerchiamo di tracciare il percorso dei beni, in modo da saper recuperare le cose in caso ci vengano richieste indietro dal proprietario. Nel caso siano state date a fondo perduto, le facciamo girare finché…non cedono! Tutti sanno che si tratta di cose “in comune”, per cui le si usa finché servono, mantenendole nel miglior modo possibile per chi le userà dopo, e poi si mettono di nuovo a disposizione di chi ha bisogno.

In questi quindici anni sono circolate migliaia di cose ed ogni volta rimaniamo stupiti della grande generosità di chi ci è accanto. Abbiamo sperimentato veramente che più si dona generosamente, più si riceve perché si mette in moto una rete di persone che tirano fuori il meglio di loro in generosità, disponibilità, sensibilità…

Questa grande comunione dei beni ci aiuta singolarmente e come famiglia su tre differenti livelli: il livello personale, perché ci aiuta a vincere il consumismo, a domandarci ogni volta se l’acquisto di un bene è veramente necessario, oppure può arrivare dalla comunione dei beni; a livello educativo con i figli, perché ci aiuta a trasmettere loro il valore della condivisione, della sobrietà e del riuso. In particolare i figli hanno una capacità di viverla anche con allegria. Ricordo una volta che Maddalena doveva svolgere un testo per la scuola. Una delle domande alle quali doveva rispondere chiedeva “Hai mai utilizzato cose di seconda mano, di altri?”. Maddalena, dalla sua camera, parlando forte mi chiede: _Mamma, devo rispondere sempre o quasi sempre?_. Questa sua semplice espressione mi ha dato tanta gioia!

Il terzo importantissimo livello di crescita, caratteristico di questa comunione dei beni, riguarda la relazione con le persone. La condivisione è trasversale ad ogni età, credo, ceto sociale. Per il passaggio dei beni incontriamo e conosciamo le persone più svariate. Un’esperienza significativa, che amiamo raccontare, è successa un sabato mattina. Ricevo la telefonata di una amica che mi dice che mi avrebbe mandato una famiglia che necessitava di alcune cose per il loro bimbo. Acconsento volentieri, sapendo di non avere impegni fino a metà pomeriggio. All’ora di pranzo tuttavia, questa coppia non era ancora arrivata ed io butto la pasta per i miei figli. Suona il campanello. Erano loro. Sospendo ogni attività in cucina e li accolgo. Tra le presentazioni e la visione degli oggetti con loro si fanno le due. A quel punto mi viene spontaneo domandare loro se avevano piacere di pranzare con noi, avendo praticamente tutto pronto. Loro acconsentono e ci ritroviamo intorno al tavolo, tutti noi con loro tre. Nicolò, seduto vicino a me, ad un certo punto mi chiede: _Mamma, ma chi sono queste persone?_. Gli rispondo: _Non lo so, ce li ha mandati Maria, ma non ti preoccupare. Va bene così_. E così, da questo semplice gesto, è nata una bella amicizia che continua a distanza di svariati anni! La comunoteca, dunque, fa aprire le porte di casa, favorisce i legami tra le persone e le avvicina! E’ una caratteristica che sentiamo fondamentale e che non vorremmo si perdesse mai.

Siccome ne sono nate varie, sparse in tutta Italia (e sicuramente anche all’estero), una équipe di persone sta studiando come ampliare questa realtà, perché arrivi a sempre più persone e favorisca una rete sempre più ampia. Si sta studiando una formula informatica che velocizzi i contatti. La cosa fondamentale, che ricordiamo in questo lavoro, è di non perdere il legame con le persone, elemento che la contraddistingue e fa la differenza!

Grazie.

Stefania Ghiotti

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Città in azione

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

Progetto Officine di fraternità – Alessandra Picariello e Roberta Formisano, Movimento Giovani per un mondo unito Campania (Italia)

Roberta Formisano: Il progetto «Officine di Fraternità» è nato diverso tempo fa, con un duplice scopo: offrire ai giovani la possibilità di mettersi in gioco e di lavorare, e realizzare delle attività concrete in Campania, soprattutto nelle periferie e ferite presenti in diversi territori.

Con questi presupposti, il progetto è stato presentato e approvato nell’ambito dell’Avviso pubblico “Giovani per il sociale” del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile e Nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il titolo del progetto non è a caso: la cultura della fraternità ha fatto da sfondo all’ideazione dei vari laboratori, portando con sé tutte le sfumature da essa derivanti (legalità, solidarietà, impegno civico e partecipazione attiva nelle problematiche sociali, sostegno alle fasce più deboli e disagiate, rispetto delle regole e dei diritti altrui…). Il progetto ha visto circa 25 giovani, esperti e tutor, per la formazione dei beneficiari, tra i 18 e i 35 anni; mentre più di 150 ragazzi tra i 14 e i 30 anni hanno partecipato attivamente come beneficiari del progetto. Il tutto in una cornice che ha visto il coinvolgimento di 8 realtà associative presenti e attive su tutto il territorio campano (Aps Focus Focolari, Associazione di volontariato Fare Comunità, Arcidiocesi di Benevento, Associazione SNC Libero Pensiero, Comitato Caserta Città di Pace, Cooperativa sociale NeWhope, Associazione Centro Vita onlus, Associazione Mondo Unito Giovani).

Ciascuna associazione ha presentato una o due “officine” per rispondere al meglio alle esigenze giovanili e sociali dei diversi territori.

11 officine di fraternità, 11 realtà diverse, 11 attività diverse ma un unico filo conduttore: la fraternità. Ognuna delle officine ha lavorato singolarmente ma c’è stato un momento di incontro tra tutti i 150 giovani coinvolti dal progetto.

Il momento cruciale, infatti, si è tenuto dal 1 al 4 maggio 2015 a Benevento, con “Forti senza Violenza” – il progetto portato avanti da anni dal gruppo internazionale Gen Rosso, sul tema della legalità, dell’amicizia e di una scelta giusta di unità. Si è trattato di una vera sfida: preparare da zero il musical “Streetlight” in soli tre giorni, e al contempo condividere la quotidianità con persone sconosciute.

È stato l’apice del progetto, il momento più ricco e formativo per tutti i ragazzi, dove hanno potuto sperimentare questa fratellanza universale non più solo con i giovani del proprio gruppo ma con tutti i 150 giovani delle officine e con ogni membro del Gen Rosso.

Alessandra Picariello: Non è stato sempre tutto facile, c’è stato molto lavoro da fare di organizzazione e soprattutto di coesioni tra queste realtà così diverse tra di loro, ma ne è valsa la pena.

Per chi tra noi gen è stato “protagonista” di quest’esperienza è stato un momento di crescita veramente importante. Questo progetto ci ha permesso, grazie all’aiuto degli adulti che ne hanno permesso la realizzazione, di creare qualcosa più grande di ogni nostra aspettativa. È stata davvero una scia di luce per le nostre città, siamo sicuramente riusciti a seminare tanti germogli di fraternità e molti di questi stanno già dando i primi frutti.

Le officine si sono concluse ma i rapporti creati non possono finire.

C’è anche chi sta continuando con le attività dell’officina, a Ponticelli ad esempio dopo la realizzazione di “Life Love Light”, ci si sta impegnando nella costruzione di un altro spettacolo; il percorso di quest’anno è incentrato sulla Pace, con tutte le sue sfaccettature perché non possiamo smettere di vivere la fraternità e quale mezzo migliore della musica per lanciare messaggi in luoghi purtroppo non sempre semplici.

Personalmente, quando ho raccontato ad amici e parenti quello che stavo vivendo molti mi hanno subito detto di stare attenta, che quelle zone sono pericolose ( le periferie di Napoli), che lì uccidono… lì come chissà di quale città lontana stavano parlando, ma in realtà quella è la MIA nonché la loro. Non mi sono mai fatta fermare da queste paure (che non ho mai avuto in realtà), quei ragazzi ci vivono ed io non posso andarci una o due volte a settimana?!

Con la mia famiglia abbiamo iniziato ad andare a messa lì ogni domenica per rafforzare quei rapporti creati durante l’anno e questo ci aiutato molto a conoscere meglio i ragazzi e le loro famiglie. Siamo stati invitati a pranzo da molti di loro; io sono andata a pranzo a casa di uno dei ragazzi, in una di quelle case popolari che mettono molta tristezza a vederle, ma entrando l’amore con cui sono stata accolta mi ha resa felicissima.

Ci sarebbero tante storie da raccontare su ognuna delle persone che ho incontrato ma posso sicuramente testimoniare che una rete di fraternità tra tutti coinvolti dal progetto è stata creata e spero che continui.

Roberta Formisano e Alessandra Picariello

Video Officine di fraternità

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Città in dialogo

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

 

Potenzialità del dialogo nelle situazioni di conflitto: processi globali e personali

Buone prassi Città in dialogo

Intervento di Milvia Monachesi, Sindaco di Castel Gandolfo, Presidente dell’associazione “Città per la fraternità”

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject

Sito Associazione città per la fraternità




Città in arte

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

oncity concertoConcerto testimonianza

Città_in_arte_Alessandro_Cappella

Ascoli Piceno – Teramo

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Tra i ciliegi: fiori e . . . frutti

Dall’ “invasione” alla condivisione. Succede in Puglia.

Al turista che desidera visitare la Puglia in aprile, alcune agenzie turistiche propongono un particolare percorso nella famosa terra dei trulli, delle  grotte di Castellana, nelle campagne di Conversano e Turi, per assistere ad un meraviglioso spettacolo: una distesa di candidi ciliegi in fiore, inframmezzati da verdi macchie di ulivi, che lascia rapito l’ignaro osservatore. A metà maggio, poi, lo scenario viene affrescato di nuovi colori, il bianco cede il posto al verde delle foglie che, al soffio del vento, lasciano occhieggiare rosse e gustose ciliegie, le più premiate d’Italia.

ciliegioE’ questa generosa campagna la terra della ciliegia ‘’ferrovia’’, il cosiddetto ‘oro rosso’ che ha dato una svolta determinante all’economia di gran parte del territorio, di cui Turi è parte rilevante.

Nel periodo della raccolta di questo prezioso frutto, a metà maggio, questa cittadina è ‘’invasa’’ da un gran numero di lavoratori stranieri, immigrati. Per gli agricoltori è un’invasione benedetta, indispensabile per l’insufficiente mano d’opera locale e per un raccolto che occupa un numero limitato di giorni ad un ritmo incalzante.

Il tam tam  di questa richiesta raggiunge l’interland barese e perfino i campi di accoglienza della Calabria. Gli immigrati ormai sanno di poter contare su alcuni giorni di lavoro sicuro e spesso retribuito a norma sindacale, riducendo sensibilmente le situazioni di sfruttamento e lavoro in nero.

Per mancanza di strutture d’accoglienza, i lavoratori sono costretti a ricoveri di fortuna, dalle auto alle panchine dei giardini pubblici, sotto gli archi o nei pressi delle stazioni di servizio, con le comprensibili conseguenze di degrado a livello igienico e dell’immagine stessa di un paese civile. Quest’anno, finalmente nuovi e giovani amministratori hanno accolto le voci di protesta levatesi in particolare dal mondo del volontariato e si sono adoperati in tempo per cancellare questo obbrobrio, offesa alla dignità della persona umana e al decoro di un popolo che nel passato ha vissuto, come emigrato, situazioni di emarginazione e rifiuto.

Collocata a breve distanza dall’abitato, con l’intervento della Prefettura di Bari, con la collaborazione della Protezione civile ed alcune associazioni, una tendopoli, con servizi igienici, ha accolto circa cento lavoratori marocchini, in numero inferiore agli anni scorsi, per la ridotta produzione dovuta all’inclemenza del clima. Un’attenzione particolare è stata rivolta al rispetto delle norme stabilite: ordine del campo, orari, documenti di soggiorno ed un controllo continuo dell’assessore ai servizi sociali, dei carabinieri e vigili urbani.

Alcuni momenti di questo ‘’soggiorno’’, sono stati particolarmente significativi.

Alle 20,30 circa, dopo la preghiera dei musulmani, spesso la vita del campo si è animata ed arricchita di nuovi volti e idiomi. Odori e sorrisi hanno dato uno slancio, un guizzo di ‘’felicità’’ a volti stanchi che hanno visto e subito chissà quante angherie e soprusi. Scouts, giovani di organizzazioni e di partiti, adulti di associazioni di solidarietà come Umanità Solidale Glocal e un gruppo del Movimento dei Focolari, ciascuno con il proprio stile, in men che non si dica, hanno allestito una cena al campo. Se non è mancata talvolta la pasta al forno, più spesso sono arrivate minestre di verdure e legumi, nell’osservanza della fede dei musulmani, sollievo alle membra stanche di lavoro, ma soprattutto espressione d’ interesse umano per la condizione di persone che fame e guerra hanno costretto ad abbandonare la propria terra. Momenti di condivisione e fratellanza in cui vengono espressi anche altri bisogni: le scarpe numero 43 e 44, indumenti per i bimbi o le mogli, medicinali o la cura di una ferita, un frigo,  una lavatrice….A tutte le richieste si è cercato di dare risposta; anche un amico medico di Acquaviva è venuto più volte e il loro ‘’grazie Italia’’, comunicato con gli occhi oltre che con le parole, esprimeva un vissuto di dolore ma anche di speranza.

Era iniziato da due giorni il Ramadan, quando il prof, Daneo di ‘’Religions for Peace Italia’’, invia la lettera di saluto ed augurio del vescovo mons. Spreafico, Presidente della Commissione per il dialogo interreligioso della CEI a tutti i musulmani per la sacra ricorrenza.

Un’attenzione importante per costruire rapporti di conoscenza più profonda, anche sotto l’aspetto religioso, aspetto a cui a Turi Ausg  è particolarmente attenta con incontri di conoscenza delle altre fedi, per vincere l’ignoranza, causa spesso di paure e rifiuti.

Con gli assessori comunali Orlando e Caldararo, delegati alla Cultura e al Welfare,  si preparano fotocopie per ciascuno, aggiungendo anche gli auguri personali e della cittadinanza. Si va al campo dove si legge il contenuto. Un giovane si offre per la traduzione in arabo ed è prezioso il suo intervento per la presenza di giovani che non conoscono affatto l’italiano.

Perchè non scriviamo anche noi al Vescovo per ringraziarlo? È la proposta di alcuni giovani, accolta da tutti e, accanto ad una foto che ricorda il momento di particolare condivisione, una lettera ci viene recapitata qualche giorno dopo che inviamo con premura.

E’ la testimonianza visibile che, coniugando economia, solidarietà, accoglienza, con l’impegno delle Istituzioni e la collaborazione di cittadini attivi, anche in un momento storico di particolari tensioni, è possibile promuovere una nuova vitalità della città e costruire nuovi percorsi di civiltà. La vittoria sulla paura e la diffidenza, per passare dal timore alla fiducia reciproca.

 




Più gioia nel dare

Cercavo la felicità in modo sbagliato: pessime compagnie, discoteca, alcol e fumo. Il mio ragazzo faceva uso di droga e spacciava. Scontrosa e ribelle sia a scuola che a casa, mi vestivo in modo strano, sempre di nero e con abiti pieni di borchie. Ed ero totalmente indifferente nei confronti di Dio.

Quando mi sono accorta di aver toccato il fondo, con la forza della volontà ho lasciato quel ragazzo e abbandonato le vecchie amicizie. Ma come risolvere la tristezza e il senso di vuoto che provavo?

Nel ricominciare l’anno scolastico, il nuovo professore di religione mi ha ispirato fiducia. Dai colloqui con lui ho ricevuto il dono della fede. L’incontro col Dio di misericordia mi ha cambiata totalmente, appagando il mio bisogno d’amore. Ho iniziato a pregare e a cercare il Signore, a spendermi nel volontariato, sperimentando quanto è vero che «c’è più gioia nel dare che nel ricevere». Vivo una vita normale: studio e faccio tutto ciò che fa una ragazza della mia età, con la differenza che ora ho Dio nel cuore.

A.R. – Italia

Fonte: Il Vangelo del giorno, Città Nuova, settembre 2016, p. 32




I frutti della Parola

Anni orsono, in tre, chiedemmo al nuovo parroco di approfondire la Parola di Dio. Prese così il via un incontro che precedeva la liturgia domenicale. Più ci impegnavamo a mettere in pratica la Parola, tante più persone ci chiedevano di partecipare. In pochi mesi eravamo un gruppo numeroso; tra i più assidui i rapporti erano come quelli di una vera famiglia. E in parrocchia si cominciava a respirare un’altra aria. Ora non ci bastava più la sola preghiera e lo sforzo individuale per essere dei bravi cristiani; ci sentivamo coinvolti in un cammino comunitario in cui ognuno s’impegnava a raggiungere la meta della santità insieme agli altri. Gesù lo sentivamo vicino, tra noi, e questo aveva delle conseguenze: oltre alla gioiosa scoperta di una nuova immagine di Chiesa, nasceva l’esigenza di condividere anche i beni materiali con chi era meno fortunato, di sostenere famiglie in difficoltà, giovani disorientati, persone bisognose di riscoprire l’amore di Dio. E non solo nell’ambito parrocchiale.

Lucio – Italia

Fonte: Il Vangelo del giorno, Città Nuova, Settembre 2016, p.25




Il sorriso di Elisa e i suoi coetanei

La testimonianza di una famiglia colpita duramente dal terremoto.

«La prima settimana di agosto con un centinaio di persone dei Castelli romani e dintorni ci siamo ritrovati a Carpegna, nelle Marche, per vivere l’esperienza della Mariapoli. Con noi c’erano anche Elisa, Irma, Rita. Erano felici, sempre in donazione, a organizzare attività come in cucina. Quando abbiamo saputo che il terremoto di Amatrice le aveva “portate da Gesù”, insieme a Gabriele, un cuginetto, come ci hanno fatto sapere Anna Maria e Carlo, i genitori di Elisa, ci siamo subito stretti alla famiglia». Così raccontano Gianni e Maria Grazia Caucci di Marino alla fine di una Messa in ricordo delle vittime del terremoto e dei nostri quattro amici in particolare. La commozione è forte, ma più lo è la testimonianza di questa famiglia che seppur colpita dalla tragedia è presente e parla della vita che è più forte della morte.

Toccanti le parole – affidate a WhatsApp – dedicate ad Elisa dai fratelli, che vengono condivise con la comunità presente.

Edoardo: «Mi piace ricordarla così la mia anima gemella, lei che mi ha sempre dato gioia negli attimi di forte tristezza, che mi ha sempre trattato come un re. Rimpiango ora tutte le cose brutte che le ho detto, tutti i dispetti che le ho fatto. Mi manchi amore perché solo tu sapevi farmi ridere come nessun altro poteva. Ti scrivo questa lettera, qui in macchina, perchè sto venendo lì a salutarti per l’ultima volta. Ti ricordi quando stavamo a casa di nonno e ti prendevi tu la colpa al posto mio? E adesso piango come un bambino perché le macerie di questo terremoto mi hanno allontanato da te perché il destino ha voluto che il nostro amore non fosse più concreto ma astratto. Ti prego mio amore, mio angelo, proteggimi da lassù. Ti amo sorellina».

Emanuele: «Buongiorno angioletto del mio cuore, sei arrivata? Come si sta lì su? Nonna Rita, nonna Irma, Gabri, stanno tutti bene? Volevo solo dirti che mi manchi sorellina mia, sei volata in cielo troppo presto, volevo dirti che se Dio ha bisogno di te altrettanto ne ho bisogno io su questo sputo di terra, ho bisogno dei tuoi abbracci, dei tuoi baci, della tua voce, del tuo profumo.
Sai piccola mia quando ho saputo la notizia non volevo crederci davvero, mi si è stretto il cuore. E poi il crollo. Si sono crollato perché io ho perso 4 pilastri fondamentali di me.
Ho pianto tanto vedendo le due bare bianche, pure, come te e Gabri, e quelle delle nostre nonne.
E sai perché ho pianto? Non tanto perché non ci siete fisicamente, ma per il rimprovero che mi faccio di non aver vissuto appieno i momenti bellissimi, seppur pochi con voi.
La verità è che non si dovrebbe perder tempo a litigare, bisticciare, arrabbiarsi, non parlarsi… a cosa serve tutto ciò? Perdere del tempo per l’orgoglio? No, non è questo, e non lo deve essere. Perdiamo solamente del tempo prezioso che potremmo impegnare divertendoci, amandoci, stando insieme.
Purtroppo ci accorgiamo di tutto questo quando le persone a noi care vengono a mancare. Ed è questo che mi fa più rabbia e tristezza. Quindi vorrei lanciare un “appello” a tutti quelli a cui voglio bene e che considero tutti fratelli e sorelle in questo momento.
Non fatevi vincere dall’orgoglio, siate misericordiosi con i vostri prossimi, amateli come amate voi stessi e soprattutto cogliete l’attimo, perché l’attimo per fare le cose per qualcuno si trova sempre, NON RINVIATE AL DOMANI, PERCHÉ IL DOMANI È IMPREVEDIBILE, STATE NEL PRESENTE. Un bacione a tutti voi che ci siete stati e che ci siete vicini. SIETE FANTASTICI
A presto amore mio, ti amo infinitamente sorellina mia!».

«Sapete, Elisa era la mia migliore amica – scrive una ragazza, Elisa pure lei -. Non ricordo il giorno in cui ci siamo conosciute. Avremo avuto si e no pochi mesi e già da così piccole eravamo inseparabili. L’una c’è sempre stata per l’altra. Ricordo che da piccole mi difendeva sempre dai bambini che magari mi offendevano o mi facevano qualche dispetto. Spero che anche da lassù lei riesca a proteggermi come un angelo, il mio angelo custode. Elisa è sempre stata un punto fondamentale nella mia vita e per sempre lo sarà. So che mi sto contraddicendo da sola piangendo. Ma Elisa in questo momento non vorrebbe vederci così tristi. Lei con la sua gioia e la sua felicità sicuramente troverebbe il modo per farci trovare il sorriso. Quindi adesso mettete da parte la tristezza e fate un bel sorriso. Per lei. Per Elisa e per tutte le vittime di questo disastro».

«Mamma io spero di riuscire ad andare sempre alle Mariapoli perché sono delle esperienze che segnano nel cuore e sono cose che rimangono», aveva scritto Elisa in risposta ad un WhatsApp dei genitori che le auguravano di portare quest’esperienza «come un bellissimo ricordo». Inevitabile pensare che per i nostri amici l’esperienza vera di amore reciproco, tipica della Mariapoli, adesso continui per sempre.

Vedi anche quest’altro articolo

 




I nonni del terremoto

Il racconto di Roberto, rientrato da qualche giorno dai luoghi del terremoto dove si è recato con la squadra del Soccorso Alpino e Speleologico Toscano.

Molti i ricordi e le emozioni che hanno segnato questa esperienza: le scosse di assestamento (quelle più forti) che mi hanno svegliato anche nel cuore della notte, l’immagine di interi paesi letteralmente polverizzati dal sisma, le lacrime, il dolore, lo sgomento e la disperazione sui volti dei sopravvissuti.
Quella che però meglio simboleggia il dramma vissuto da questa gente è l’immagine di due anziani, lui con una mano sorreggeva una vecchia e logora cartella di cuoio, con l’altra teneva per mano la moglie appoggiata ad un bastone, si muovevano con passo incerto tra le macerie del borgo che da sempre aveva costituito la loro casa e dal quale probabilmente non si erano mai allontanati; nei loro occhi si poteva leggere un misto di incredulità e sgomento quasi non fossero ancora pienamente consapevoli della portata della tragedia che li aveva coinvolti. Li chiamano i “nonni del terremoto”, una vita sospesa, come tante da quelle parti, quella di chi non ha più la forza di reagire, di lottare e nemmeno, forse, quella di sperare.

Roberto Celli