Come moltiplicare ed estendere il valore dei nostri auguri

Per molti è ormai un’abitudine consolidata, soprattutto a Natale: lo spirito di questa ricorrenza ci porta a condividere qualcosa di noi con persone più svantaggiate in ogni parte del mondo, non solo attraverso il proprio singolo contributo ma coinvolgendo amici e parenti. Come? Ecco qualche idea.

ORGANIZZARE UNA CENA DI BENEFICENZA. È quello che stanno facendo, ad esempio, gli amici della provincia di Frosinone, che stanno preparando una cena a favore delle famiglie siriane sfollate per la guerra. “Il dolore – dicono – non fa distinzioni fra italiani e stranieri, ma ci unisce come fratelli di un un’unica famiglia.”

METTERE A DISPOSIZIONE I PROPRI TALENTI. Come Vincenzo Lamagna, compositore musicale italiano che vive e lavora a Londra: ha voluto donare la sua musica per aiutare Amatrice e la gente colpita dai recenti terremoti nel Centro Italia. Vincenzo dà la possibilità di acquistare la sua singola composizione (Requiem for Amatrice) a partire da 1 £.
Tutte le indicazioni a questo link: Requiem

I MERCATINI: ecco dove trovare i nostri.

Poche cose evocano l’atmosfera delle feste come i mercatini natalizi: vivaci e chiassosi si aprono nelle nostre città portando colori, suoni e odori inconfondibili. Passeggiando fra le bancarelle non è raro incontrare vecchi amici o intavolare lunghe conversazioni con perfetti estranei. Come tutti i mercati, anche quelli natalizi sono luoghi di scambio, ma con qualcosa in più che li rende speciali.

Alcuni ci riguardano direttamente perché ad organizzarli sono gruppi di amici e sostenitori dell’AMU. Mercatini diversi tra loro ma accomunati dallo stesso obiettivo: quello di condividere la gioia del Natale con chi si trova in necessità, che sia vicino a noi o dall’altra parte del mondo.

Dall’8 all’11 dicembre troveremo a Pignataro Maggiore (CE) il mercatino organizzato dall’Associazione Insieme per l’Unità dei Popoli. Saranno messi in vendita prodotti provenienti dalle zone del Centro Italia colpite dal terremoto. L’orario è dalle 17 alle 22 e l’appuntamento si ripete dal 16 al 18 dicembre e poi dal 23 dicembre all’8 gennaio.

Il 10 dicembre il gruppo AMU di Scarlino (GR) allestirà una bancarella in piazza Agresti, davanti alla Coop di Scarlino Scalo. In vendita biancheria per la casa e maglieria, tutta confezionata dalle volontarie del gruppo. Il ricavato andrà a beneficio dei terremotati.

Dal 20 al 21 dicembre a Trieste, in piazza Sant’Antonio, come negli anni scorsi saranno messi in vendita oggetti di artigianato palestinese. I proventi del mercatino saranno destinati in parte per aiutare famiglie palestinesi in difficoltà e in parte per i progetti in Burundi sostenuti dalla sede AMU di Trieste.

E se pensassimo semplicemente di regalare a qualcuno una donazione per un progetto a suo nome?

Scegli un progetto e regala il tuo contributo ad una persona speciale! Con un solo gesto avrai fatto gli auguri a lei, e insieme avrete donato i vostri auguri ad altre persone più lontane.

Hai altre idee da condividere o vuoi una mano per realizzare un evento di solidarietà? Contatta il nostro ufficio!
Per informazioni: Giuliana Sampugnaro

Sito: AMU Associazione Mondo Unito
sostenitori@amu-it.eu tel 06-94792170




E’ iniziata così la seconda fase della mia vita lavorativa . . .

Dopo circa due anni di lavoro in banca ho iniziato ad avere più di qualche scrupolo di coscienza, che mi faceva chiedere sempre più spesso, se ciò che facevo, fosse giusto oppure no.

E’ pur vero che, nella routine lavorativa, nell’andamento che ha sempre caratterizzato un certo modo di fare, tutto sembra normale, ma, nel momento in cui la banca aveva orientato il suo interesse, dal cliente al prodotto, in un’ottica di massimizzazione del profitto, i problemi sono aumentati. E con essi sono aumentati anche i miei scrupoli di coscienza nel seguire un andazzo che poco si adattava al mio modo di vedere, soprattutto nei rapporti con i clienti, con i quali cercavo di tessere rapporti umani veri.

E’ stato un periodo molto difficile nel quale non sapevo cosa fare e ho iniziato a pensare che quello del bancario non fosse il lavoro adatto a me.

Dopo poco tempo, confidando ad una persona questi scrupoli e chiedendo un parere, con sorpresa mi vedo proporre tre soluzioni: 1) adeguarmi senza pormi domande 2) andarmene cambiando lavoro 3) restare cercando, nel mio piccolo, di cambiare le cose.

Aggiungo anche che le prime due soluzioni non avrebbero risolto il mio problema:  adeguarmi avrebbe messo a tacere la mia coscienza fino al punto in cui sarebbe esplosa, nell’andarmene avrei ritrovato lo stesso problema anche altrove.

Ho deciso così di rimanere dov’ero, iniziando a guardare il mio lavoro di sempre, sotto una nuova luce e viverlo secondo una nuova prospettiva. Soprattutto, con l’ obiettivo che non fosse solo l’arrivo del 27 del mese!

Mi sono subito reso conto che, lavorare secondo principi di correttezza, di giustizia e di onestà costava, talvolta anche economicamente, per mancate promozioni e minori premi, e costava ancor più in emarginazione.

E questo è l’aspetto che fa veramente male, più ancora di quello economico! Non far parte del giro, significa perdere opportunità, non venire a conoscenza di notizie utili, non essere considerati… e allora che fare? Mi sono ricordato che una volta Chiara Lubich parlando con un giovane aveva detto che sul posto di lavoro dobbiamo cercare di far fruttare al massimo le nostre capacità. Non tanto per far vedere agli altri quanto sei bravo, ma per mettere a frutto i talenti che Dio dona nell’ aiutare chi gli sta intorno, partendo dai colleghi e via via sempre più in là.

Sono tornato a casa con le idee chiare!

E’ iniziata così la seconda fase della mia vita lavorativa, quella cioè, in cui ho cercato di conoscere a fondo ciò che la banca voleva da me, sia che si trattasse di prodotti di investimento che di analisi di bilancio per valutare affidamenti. Mi sono reso conto che essere professionalmente preparato mi apriva delle possibilità inaspettate e un po’ alla volta, soprattutto per i colleghi più emarginati, iniziavo ad essere il riferimento ed il portavoce.

La battuta ironica, il cercare di sdrammatizzare i momenti difficili, l’ atteggiamento di non allineato alla corrente di turno, mi aiutava ad essere me stesso davanti a tutti, senza distinzione di ruoli o gradi. E’ iniziato così un ulteriore periodo di crescita professionale che mi ha portato a lavorare per momenti più o meno lunghi a Padova, a Roma e a Milano.

Oggi, dopo trent’anni, sono contento del mio lavoro e continuerò a svolgerlo con coscienza e professionalità.

Giorgio




Catania, l’arcivescovo e l’imam insieme per la città

Appuntamento al popolare supermercato a pochi metri dalla Plaja. Un abbraccio amichevole e poi via, a fare la spesa insieme con tanto di carrelli e mantellina da volontari nella Giornata nazionale della colletta alimentare. L’arcivescovo metropolita di Catania, Salvatore Gristina, e l’Imam della Moschea della Misericordia di Catania (la più grande dell’Isola), Kheit Abdelhafid, stamattina hanno fatto incetta di cibi non deperibili, anche per neonati, da destinare ai più bisognosi. Insieme, per sconfiggere la povertà nel segno della fratellanza religiosa. “Sono particolarmente lieto quest’anno di essere insieme ai carissimi amici della comunità musulmana” – ha detto Gristina- “Catania è davvero una bella realtà dove abbiamo organizzato tanti momenti in comune; questo è particolarmente significativo. Immaginiamo se tutti i credenti, cristiani o musulmani, prendessero questa strada? Cosa potrebbe accadere di grande?”. Per l’Imam Abdelhafid “questa è una delle tante iniziative di volontariato che stiamo facendo, insieme, nella nostra città per chi ha bisogno di aiuto. Questo è il dovere di tutti e basta anche poco per partecipare alla vita sociale”. Oggi, inoltre, una decina di giovani della Moschea hanno partecipato da volontari alla Colletta in un altro grande centro commerciale alle porte della città. “È stato un gesto di integrazione e aiuto per tutti; un modo eccellente per festeggiare i nostri 20 anni di attività”, ha detto il direttore dell’ Associazione Banco Alimentare Onlus con sede a Catania, Domenico Messina. Il Banco Alimentare della Sicilia onlus e il Banco Alimentare della Sicilia Occidentale aiutano 222.192 persone attraverso le 785 strutture caritative convenzionate. Di queste 17.070 sono bambini di 0-5 anni, 187.365 sono persone dai sei ai 65 anni, 17.757 gli over 65. Numeri che si traducono in persone che troppo spesso non hanno le risorse economiche per poter fare giornalmente la spesa e nutrirsi adeguatamente.

Fonte:  http://palermo.repubblica.it

(testo e foto di Rosa Maria Di Natale).




“Mille Italie”, storie e sorprese del Belpaese nel mondo

mille-italieL’”altra Italia”, quella delle eccellenze e dei cervelli in fuga. Quella che adora l’italiano e il “made in Italy”. Quella che sogna di venirci o di tornarci. Quella che non dimentica le sue radici.

L’Italia di quasi ottanta milioni di persone (tra emigrati recenti e pronipoti vari) sparsi in tutti i continenti. Con una lingua tra le più studiate al mondo e un marchio, Made in Italy, terzo assoluto per popolarità. Una storia lunga e spesso travagliata, di orgogli e pregiudizi, di successi memorabili e di tragedie, pubbliche e private.

Un libro per ripercorrere il senso dell’italianità, la storia della nostra emigrazione, la diffusione della nostra lingua e cultura nel mondo, le nostre eccellenze, le principali istituzioni impegnate sul campo, l’impegno della tv pubblica, i giovani e le nuove rotte dell’emigrazione tra passato, presente e futuro.

Ciascun capitolo contiene una intervista a protagonisti che incarnano l’eccellenza italiana nel mondo. Tra questi: Samantha Cristoforetti, Renzo Arbore, Carla Fracci, Dacia Maraini, Andrea Riccardi, Cristina Ravaglia e Piero Corsini.

Franz Coriasco è un giornalista torinese da anni trapiantato a Roma. Scrittore, dee-jay radiofonico, autore televisivo e teatrale, lavora attualmente per il programma “Community” di Rai Italia, un magazine televisivo per gli italiani all’estero. È stato inoltre autore e coordinatore artistico della syndication Radio InBlu e autore di grandi eventi televisivi per RAI Uno. Per “Città Nuova” ha pubblicato tra l’altro il saggio Di tutto un rock, musica giovani e società dal blues alla video-music e la biografia dedicata a Chiara Badano: Dai tetti in giù.

Editrice Città Nuova – Mille Italie




Gen Verde a La Spezia

Dal programma “Essere Chiesa oggi” trasmesso da Tele Liguria Sud La Spezia il 22 novembre 2016.




Progetto Mondo Unito – United World Project

Siamo i Giovani per un Mondo Unito, viviamo in 180 Paesi dei cinque continenti e siamo di culture, religioni e nazionalità diverse. Ci unisce la scelta di vivere per la fraternità universale.
Vogliamo che essa diventi il nuovo cardine della politica, dell’economia, del lavoro, della salvaguardia dell’ambiente, dello sport, della comunicazione, della scienza, dell’arte.

Ci impegniamo a vivere la regola d’oro:

“Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri ciò che non vuoi venga fatto a te”.

Essa è cuore di tante civiltà e tradizioni, perché il cambiamento comincia da ciascuno in prima persona. L’idealità che ci anima suscita svariate azioni a livello locale e mondiale: i “frammenti di fraternità ”.

A livello mondiale, interveniamo tempestivamente per assistere vittime di terremoti, alluvioni, carestie, guerre. A livello locale, attiviamo micro realizzazioni di tutti i generi
per costruire la fraternità nella nostra città, quartiere, università. C’è un fermento d’iniziative nei cinque continenti: opere a favore di bambini di strada, senzatetto, anziani abbandonati, carcerati, immigrati, secondo le necessità più urgenti del posto.

Sosteniamo la costituzione dello United World Watch che possa dare rilievo all’idea della fraternità anche attraverso studi, ricerche, e azioni di sensibilizzazione. Aperto alla più ampia collaborazione, dovrà monitorare e far conoscere, in tutto il mondo, le esperienze di fraternità messe in atto da singoli, gruppi e istituzioni.

Chiediamo il riconoscimento a livello istituzionale e internazionale della Settimana Mondo Unito, operativa dal 1996: sono sette giorni in cui si concentrano le più varie iniziative per incidere sull’opinione pubblica dei nostri Paesi, e testimoniare insieme che costruire un mondo unito è possibile. È una proposta alle città, alle istituzioni, a tutti, per promuovere la fraternità e la pace ad ogni livello.

http://www.unitedworldproject.org

http://www.milongaproject.org

 

 

 



GEN ROSSO: “Tour progetto Italia per”

Gen rosso Italia per

Lo spettacolo “Campus – the musical” nasca da un’idea originale di Chiara Lubich e si ispira a fatti realmente accaduti, tra i quali l’attacco terroristico alla stazione di Madrid. Arriva sulle scene dopo anni di ricerca contenutistica e artistica.

Le tematiche proposte dal musical toccano le grandi sfide del terzo millennio come il dialogo interculturale, i terrorismi di ogni tipologia, l’ingiustizia sociale e la non equa distribuzione delle ricchezze, i problemi ambientali quali, ad esempio, la deforestazione, la mancata integrazione tra razze e culture diverse. I contenuti del musical intendono offrire, più che risposte, delle proposte di riflessione e di percorsi inediti.

Il progetto, ideato per l’Italia, intende contribuire al comune intento portato avanti da istituzioni, enti pubblici e privati, associazioni e aggregazioni di ogni tipo per rimuovere le cause che favoriscono l’odio tra le diverse etnie, le religioni, le culture. Pertanto sul nostro territorio, ormai in ogni punto del Paese, “ITALIA per”diventa:

Italia per il dialogo, l’integrazione, la pacifica convivenza, la legalità, etc.

Campus - the musicalTuttavia, se la mission di riferimento può avere un carattere generale e valevole per tutta la realtà italiana, è noto che ogni regione, addirittura ogni città, può avere delle problematiche specifiche, delle accentuazioni disuguali, un sentire i problemi in maniera diversificata. Pertanto in una data località il Progetto “ITALIA per” si declina, ad esempio, in progetto Italia per l’accoglienza, oppure per il lavoro, oppure per la legalità, etc. Già in alcune città sono stati attivati dei progetti che vanno in questa direzione e che intendono proporre spazi di riflessione.

A Firenze l’associazione UNITI SENZA BARRIERE, nata nel contesto di persone disabili, ha realizzato presso il Mandela Forum un progetto finalizzato al superamento sia delle barriere fisiche e materiali, che delle barriere mentali, culturali e razziali.

A San Severo, il progetto è stato ideato dall’Associazione “SUNUTERRA” appositamente costituita in partenariato con tante altre associazioni e aggregazioni della società civile ed ecclesiale. L’associazione intende favorire l’integrazione di un folto numero di braccianti, in gran parte africani, presenti nel tristemente noto Gran Ghetto di Rignano sul Gargano.

Il progetto è partito a dicembre 2016 con Campus – the musical alla presenza di varie rappresentanze culturali presenti sul territorio in centri di accoglienza o di lavoro. Un inizio di tour privilegiato e diretto in primis a persone di etnie diverse partito dallo studio/teatro del Gen Rosso a Loppiano (FI).

Tappa 1: Il progetto culturale “ITALIA per” presentato presso l’Istituto Universitario Sophia a Loppiano (FI). L’evento avvenuto nel pomeriggio di venerdì 20 gennaio 2017 alla presenza di giornalisti e operatori dei media. 

Tappa 2: Il progetto artistico partito il mattino del 21 gennaio 2017 nell’Auditorium della Cittadella Internazionale di Loppiano con il coinvolgimento dei giovani delle scuole superiori del territorio limitrofo del Valdarno fiorentino e aretino.

Il tour Italia “ITALIA per” Campus – the musical il progetto prevede il suo svolgimento nel biennio 2017-2018. Rappresentanti di enti ed associazioni, comitati locali e aggregazioni di ogni tipo, in diverse località italiane ne hanno già chiesto la realizzazione del progetto in loco. Saranno esaminate con attenzione eventuali ulteriori richieste.

Il progetto si articola in:

– Un evento / convegno di apertura e presentazione del progetto unito ad una conferenza stampa.

– Lo svolgimento di 5 workshop: danza 1, danza 2, teatro, canto e percussioni presso scuole, università e associazioni giovanili.

– Rappresentazioni del musical integrato in alcune scene dai partecipanti dei workshop. Lo spettacolo serale sarà diretto al grande pubblico e il matinée agli studenti.

L’intera documentazione sarà a disposizione di studenti e docenti di ogni disciplina; inoltre costituirà un patrimonio culturale e artistico quale modello di riferimento per eventi e progetti analoghi. 

Il management del Gen Rosso è a disposizione per supportare i richiedenti e gli organizzatori del progetto in tutte le sue fasi.

Per maggiori informazioni:

Gen Rosso International Performing Arts Group

 Località Loppiano 50063 Figline e Incisa Valdarno (FI) 

Tel.+39 055 833 52 09 Fax +39 055 833 60 13  

franco.gallelli@genrosso.com    www.genrosso.com
cell. +39 3806592166

Il calendario del Tour italiano:
04 marzo Catanzaro – Teatro Politeama
11 marzo San Severo (Foggia) – Palazzetto dello Sport
18 marzo Firenze – Mandela Forum
05 maggio Pinerolo (Torino) – Palaghiaccio
17 maggio Fermo (Ancona) – Teatro dell’Aquila
06 luglio Monopoli (Bari) – Palazzetto dello Sport
15 dicembre Treviglio (Bergamo) – Palazzetto dello Sport




Metodo: “Sei tappe per un obiettivo”, un modo efficace di vivere nella propria comunità

SEI PER UNO è un metodo utile per vivere le attività in modo efficace assieme ai gruppi di ragazzi e con la propria comunità.

Rinforza in quanti vi partecipano la capacità di diventare cittadini attivi.

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Per maggiori informazioni:




Percorso di educazione alla pace: “Living peace”

Vedi 2018 Living Peace Guida ITA

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2018 Living Peace Guida ITA




Reciprocità alla prova dei fatti

Quando in una parrocchia si condivide non soltanto l’Eucaristia…

(di Emilio Rocchi – tratto dalla rivista Gen’s n.3/2016 p.127/128)

Domenica 22 marzo 2015. Nella parrocchia di santa Maria Apparente – chiamata così a motivo di un’apparizione della Madonna il 5 giugno 1411 – alla periferia di Civitanova Mar- che, tanta gente si muove a donare oggetti, portare viveri, materiale diverso… per condividerlo con i più in difficoltà. Inoltre varie persone si dichiarano disponibili a dare del tempo per i “più piccoli” di cui parla Gesù. E’ il parroco stesso il narratore di quest’esperienza.

In parrocchia, dove mi trovo dal 25 ottobre 2014, vi sono diversi membri e aderenti del Movimento dei Focolari con i quali ogni mese cerchiamo di vivere una Parola biblica (frase a senso compiuto scelta in genere dal Nuovo Testamento). Nel marzo 2015, avevamo la frase: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8, 34). Nel commento di Fabio Ciardi si riportava una espressione di Igino Giordani che mi ha molto toccato: «La scalata, fatta in cordata, da molti, concordi, diviene una festa, mentre procura un’ascesa» (1).

Così, quando vennero Alessandro e Sonia a dirmi che volevano proporre a quel nostro gruppo di fare “il fagotto”, di mettere cioè in comune quello che uno ha di superfluo cosicché altri, nella necessità, potessero usufruirne, mi sono sentito spinto a dire: «E se questo lo proponessimo a tutte le persone che vengono alla Messa domenicale? Non potrebbe essere importante mettere a servizio di tutti quelle intuizioni che Dio ha dato a Chiara Lubich e che possono offrire soluzioni a tanti problemi di oggi?». E aggiunsi: «Ve la sentireste di dirlo nella Messa principale?».

Era immediata la loro adesione e così hanno preparato un invito che hanno poi letto in chiesa la domenica e appeso pure bacheca parrocchiale.

In quest’azione erano coinvolte, innanzi tutto, le persone impegnate a vivere la Parola di vita e le loro famiglie, e non ci si rendeva conto sino al giorno fissato di come la proposta avesse trovato accoglienza e intercettato la sensibilità di molti.

Un elemento si aggiunse ma che non ha creato disagio. Fui ricoverato in ospedale all’indomani dell’annuncio fatto in chiesa, per sostenere un’operazione e, a motivo della convalescenza, non ebbi modo di seguire gli sviluppi dell’iniziativa. Tornai in parrocchia poche settimane dopo, e lì venni messo a conoscenza di ciò che era accaduto: numerose persone avevano portato al mattino e nel pomeriggio oggetti, ma anche diversi erano andati a vedere se potevano trovare ciò di cui avevano bisogno.

E tutto vissuto in una grande semplicità cosicché non c’era né orgoglio in chi aveva dato né disagio in chi andava a prendere qualcosa. Nello stupore di tutti – a cominciare dal mio – si è visto come la comunità avesse vissuto la “cultura della reciprocità”.

Per diversi giorni si è trattato di distinguere e selezionare quanto era arrivato in modo da poterlo mettere a disposizione nel modo più armonioso e pratico possibile. Il molto che è avanzato, lo si è portato nel dispensario della Caritas cittadina e nella sede di quella diocesana.

1) Cf. I. Giordani, La divina avventura, Città Nuova, Roma 1966, pp. 149ss.




Insieme per Amatrice

A Ispica, nel ragusano, un’iniziativa a favore dei terremotati, diventa un’occasione importante per la rinascita del senso sociale e dell’appartenenza al territorio

Non ci ha lasciato indifferenti il terremoto dell’Italia Centrale dello scorso 24 agosto 2016, e così ci siamo interrogati su cosa fare. Le immagini viste in tv a volte paralizzavano, ma l’esempio e le notizie che ci arrivavano da tante altre comunità locali del Movimento dei Focolari che si erano attivate ci hanno suscitato alcune idee per contribuire anche noi ad alleviare le sofferenze di migliaia di persone vittime del terremoto. In un incontro di comunità ci siamo detti che potevamo incontrarci tra noi e invitare i nostri amici: un piatto all’amatriciana avrebbe allietato il momento di famiglia ed il contributo economico libero della serata sarebbe andato ai terremotati.

Questa l’idea di partenza. Poi, tra una proposta e l’altra, nella ricerca del luogo, ma anche nel passaparola ad amici e parenti, aderiscono a quest’idea via via gruppi di persone, ma anche la Caritas cittadina, associazioni culturali e sportive, piccole e medie imprese, la chiesa locale, la comunità islamica, ecc., ed anche il sindaco e l’amministrazione comunale, ben contenta di aderire e di patrocinare l’iniziativa. tutti-insiemeProviamo così a scrivere una bozza di progetto da condividere. Giorno dopo giorno le adesioni raggiungono 29 realtà.La data è per il 30 ottobre, così lavoriamo alacremente alle autorizzazioni.

Angelo del nostro gruppo viene indicato all’unanimità come coordinatore del Comitato cittadino e responsabile giuridico per le autorizzazioni. Tessiamo rapporti, sosteniamo i ragazzi a preparare il loro gazebo, c’è chi presta i locali del proprio studio professionale per gli incontri, chi si dàda fare in quanto amministratore al Comune, chi semplicemente si prodiga affinché tutto sia fatto bene e nella legalità, chi prega ed offre. Purtroppo il meteo nei giorni immediatamente il 30 ottobre non depone favorevolmente, così si decide di spostare la manifestazione alla domenica successiva, 6 novembre.

Per far questo ci diciamo tra noi che occorre stavolta aggiungere una forte azione di comunicazione. Così 5 mila volantini vengono distribuiti dagli immigrati del progetto SPRAR in città. Questi ragazzi normalmente fanno volantinaggio venendo retribuiti per questo lavoro da supermercati e negozi, ma per le persone colpite dal terremoto lo fanno gratis: è il loro modo di contribuire.

La sera precedente cominciamo a montare nella piazza principale della città i vari gazebo, la rete per il campo di pallavolo e calcetto, le tende delle due associazioni di Protezione civile, i gazebi del dolce e del salato, della pasta all’amatriciana, il mercatino delle pulci a cura dei ragazzi, lo stand della comunità islamica, e via dicendo.

gazeboLa piazza si riempie, il pomeriggio vede giocare i bambini, la tiepida serata favorisce il fluire della gente, i parroci a fine omelia invitano a partecipare: erano 10 anni che la piazza non si colorava di così tante realtà insieme! Gli amici della comunità islamica hanno anche il loro organizzato e ordinatissimo gazebo, il più bello, dove vendono un ottimo tè arabo alla menta servito in teiere e caraffe tipiche, assieme ad una fetta di torta fatta dalle loro mogli. Sono stati gli unici a non chiedere soldi o materiale vario al comitato organizzativo e hanno devoluto tutto il guadagno senza trattenere niente per le spese fatte.

Più di 2.000 persone transitano a vedere gli stand, ma anche a fermarsi a consumare un piatto di pasta all’amatriciana o le castagne arrostite. La gioia e la soddisfazione è palpabile in tutti, amministratori compresi. A fine serata insieme si rompono i salvadanai dei vari gazebo: 2.361 euro il ricavato netto, ma il guadagno più grande è aver ricostruito un tessuto di rapporti sociali condizionato negli ultimi anni da una politica litigiosa che nel 2013 aveva portato il Comune al dissesto finanziario.

Tanti i commenti positivi che ci siamo scambiati. Si parlava di un bel momento di integrazione tra il mondo arabo e quello nativo del posto; è cresciuto il senso di fare rete, in termini di qualità di rapporti, non solo tra istituzioni e associazioni varie, ma anche tra generazioni diverse; positivo il coinvolgimento diffuso della cittadinanza.

Il nostro sindaco, che aveva parlato col suo collega di Amatrice annunciandogli la manifestazione, si recherà prima di Natale con un gruppo di volontari nella città colpita dal terremoto per consegnare il ricavato.

Per dare continuità a quanto fatto finora, da una parte abbiamo subito chiamato il responsabile della Comunità islamica per vivere prossimamente insieme una giornata di fraternità e dall’altra abbiamo pensato di coinvolgere gli amici di Insieme per Amatrice per allestire una cena che vuol essere una festa per i più poveri e soli della città da fare nel periodo natalizio, con un metodo che coinvolga gli stessi poveri ed emarginati fin dall’inizio, per renderli protagonisti ovvero farla insieme.

Da ultimo sentiamo che la città ha ritrovato germi di speranza che lasciano intravedere luci oltre il buio sociale, economico e politico che comunque ci troviamo a vivere.




L’uomo dei miracoli – Una nuova raccolta di brani per la liturgia

Una raccolta di 12 brani che nasce, come sempre, dalla volontà di rendere, in maniera artistica, un servizio alla Chiesa Cattolica.

Scrivendo ciascuno brano ho pensato principalmente alla liturgia pasquale, ma tutti i canti del disco possono essere utilizzati in qualsiasi celebrazione del tempo ordinario. I testi, di facile comprensione e mai banali, traggono tutti ispirazione dalle omelie di Don Vincenzo Di Pilato, Rettore del Santuario Madonna delle Grazie di Corato (BA) e docente di Teologia Fondamentale nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Trani, durante le celebrazioni delle messe domenicali, alla cui animazione collaboro personalmente.

Una particolare attenzione è posta alle linee melodiche: orecchiabili e sviluppate entro un range limitato, facilmente cantabili dall’assemblea, ma mai scontate. Sono state musicate le principali parti fisse. L’alleluia, ad esempio, si sviluppa attraverso tre salti di tonalità (Do, Re e Mi maggiore) e, come molte delle mie composizioni, nonostante tali cambi, rimane facile da suonare anche con la sola chitarra, mentre il “Gloria” è cantato tutto di seguito, in un’unica tonalità e con il ritornello che si ripete solo alla fine, così come indicato da alcune norme liturgiche. “L’hai scritta in me”, può non sembrare un brano prettamente pasquale ma l’ho pensato come una seconda possibilità di scelta del canto di ingresso, immaginando che Gesù stesso, rivolto al Padre dica “Io sono la tua Parola” si compia in me la tua volontà. Infine, ricorre in ogni brano, quale unico filo conduttore, l’ispirazione che il Signore è vivo, e quindi risorto in mezzo a noi, quando noi ci amiamo come Egli ci ama, infatti Gesù stesso dice “dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,15-20).

Chi c’è dietro al progetto

francesco-cioffi

Francesco Cioffi, musicista, cantautore, compone anche canzoni per la liturgia e per incontri giovanili. Voce solista e autore della band e compagnia teatrale pugliese “Medison” con la quale ha all’attivo numerosi concerti e spettacoli in varie regioni d’Italia, ultimo fra i quali “INdiVISIBILI”, tratto dalla storia di 3 ragazzi migranti, ospiti di un centro di accoglienza nella sua città.

 




Mai più la guerra. Riconvertiamo l’economia che uccide

mai-piu-la-guerra_striscioneIl Movimento dei Focolari in Italia scrive a papa Francesco al termine del Giubileo della Misericordia. Sarà in piazza San Pietro il prossimo 20 novembre per testimoniare l’impegno sui temi della pace.

Al termine dell’anno giubilare della misericordia abbiamo sentito l’urgenza di inviare a papa Francesco un segno di quel cammino interiore che siamo stati chiamati a compiere per purificare la nostra mente e il cuore superando le paure e i compromessi.

Come Movimento dei Focolari in Italia abbiamo inviato una lettera al papa in risposta al suo invito a prendere sul serio il no alla guerra, a partire dalla radice dell’economia che uccide perché invece di agire per ridurre le inaccettabili diseguaglianze, causa di tutti i mali sociali, fabbrica le armi da destinare ai Paesi attraversati da orribili conflitti. Non possiamo restare indifferenti e accettare l’atteggiamento di chi dice «a me che importa?», come ha detto papa Francesco quando, il 13 settembre del 2014, si è recato al cimitero dei caduti della Grande Guerra a Redipuglia e ha affermato, davanti alle tombe di tanti giovani mandati al macello un secolo addietro, che «anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!».

Nel marzo del 2016, dopo un incontro nelle aule parlamentari, abbiamo affermato che non potevamo accettare il fatto che dal nostro Paese partissero delle bombe destinate per il terribile conflitto in corso nello Yemen. Concordiamo con Rete Disarmo ed altre associazioni che, di fronte a troppi silenzi, hanno deciso di denunciare davanti alla magistratura la violazione della legge 185/90 sulla produzione, il commercio e il transito di armamenti verso Paesi in guerra o che violino i diritti umani. Rischia di rimanere disattesa, infatti, una legge nata grazie alla testimonianza e all’impegno della migliore società civile italiana, a cominciare da coloro che hanno rischiato il lavoro facendo obiezione di coscienza alla produzione di armi.

Per non restare davvero indifferenti e lasciare interi territori senza alternative, sappiamo bene che tutta la nostra economia è chiamata ad una conversione integrale capace di incidere sulle cause strutturali dell’inequità.

Su questo cammino, aperto a tutti come percorso di liberazione delle coscienze, vogliamo continuare ad andare avanti nel segno del vangelo di pace che abbiamo scelto di abbracciare.

Carlo Cefaloni (+39) 328 0531322

movimentofocolari.italia@focolare.org

bankmob@focolare.org

Segue il testo della lettera inviata a papa Francesco

  Caro papa Francesco,

il percorso di quest’anno giubilare ci ha radicato nella scelta di lasciare sempre aperta a Dio la porta della nostra coscienza per essere pronta ad abbattere i muri dell’indifferenza e dell’odio.

Sappiamo che non possiamo costruire ponti di pace senza aver rifiutato ogni compromesso con «l’economia dell’esclusione e dell’inequità».  Non possiamo dire «a me che importa?».

Non possiamo restare inerti di fronte alle tue parole che ci invitano a riconoscere l’esistenza dei «sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate».

Di fronte al grido “mai più la guerra!” che «si leva in ogni parte della Terra, in ogni popolo, in ogni cuore», restiamo sgomenti di fronte a chi giustifica l’orrore del fratricidio con le ragioni del cosiddetto realismo politico. Affermiamo invece che, non solo per i credenti, «Gesù Cristo è il più grande realista della storia» e vogliamo seguirti in questo cammino di edificazione della pace. Come ci ha insegnato Igino Giordani, «Non si fa male per avere bene. “Se vuoi la pace, prepara la pace”».  E gli operatori di pace, secondo Chiara Lubich, «non sono quelli che amano la tranquillità, non sopportano le dispute per non essere disturbati» ma «coloro che amano tanto la pace da non temere di intervenire nei conflitti per procurarla a coloro che sono in discordia».

Per essere credibili sappiamo, infatti, che non servono le dichiarazioni o le buone intenzioni. Come hai detto ai movimenti popolari in Bolivia nel luglio 2015, è «l’amore fraterno» che conduce a «ribellarsi contro l’ingiustizia sociale». Così oggi noi in Italia e nel mondo non possiamo accettare che si continuino a inviare armi verso i Paesi in guerra o che non rispettano i diritti umani. Come risposta al tuo invito, che conferma la scelta della nostra coscienza, ti dichiariamo che vogliamo contribuire a disarmare “l’economia che uccide” impegnandoci a lavorare per una riconversione integrale della produzione e della finanza. Adesso non domani.

Alcuni di noi saranno il 20 novembre in piazza San Pietro per confermarti questa scelta esponendo la scritta: “Mai più la guerra, riconvertiamo l’economia che uccide”.

Non resti inefficace la traccia del Giubileo della misericordia nel nostro cuore e nella nostra mente.

Il Movimento dei Focolari in Italia

Comunicato stampa 2016_18_11

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Congresso gen 2: “Una generazione inarrestabile”

Cinquant’anni di vita, ma la stessa freschezza e lo stesso ideale degli esordi. Sono i Gen, la nuova generazione dei Focolari che, dal 17 al 20 novembre, si riuniranno a Castelgandolfo per il loro congresso. Un migliaio, provenienti da tutte le latitudini del mondo, tanti dall’Italia. Non un congresso ordinario, ma una grande festa per celebrare il loro 50° anno di vita.

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Vedi articolo: Una generazione inarrestabile

 

Messaggio di Maria Voce ai giovani dei focolari




L’economia come comunione: povertà, comunità, IMPRESA

OBIETTIVI Formarsi, dialogare, fare rete, …. tra cittadini e operatori economici e culturali della città, per:

  • approfondire gli aspetti salienti dell’economia civile e di comunione;
  • ripartire insieme per generare nella città un’economia inclusiva, che ha come protagonisti principali “la comunità”, “l’impresa”, “i poveri”;
  • capire come migliorare l’esperienza lavorativa e la qualità di vita di ogni lavoratore;
  • creare un ponte tra università in uscita e città educante, arrivando a esprimere insieme questa nuova economia in quel prototipo di città nuova che è il “Villaggio per la Terra” di Roma (21-25 aprile 2017), che ospiterà il 3° evento del percorso formativo.

LUOGO: Roma c/o ACCADEMIA ALFONSIANA della Pont. Università Lateranense, via Merulana 31 (200 mt. da Metro “Vittorio Emanuele” e 100 mt. da Basilica S.M. Maggiore).

Primo incontro il 1 dicembre 2016 orario 17:00-18:30

Per maggiori informazioni e prenotazioni:

L’economia come comunione: una lettura della parabola del Buon Samaritano e del Padre Misericordioso




Carlo & Alberto: due come noi

26-02-2016 di Franz Coriasco
Fonte: Rivista: “Unità e Carismi” n. 3/2016 p. 47/50
La Diocesi di Genova ha iniziato nel 2008 una causa congiunta per la beatificazione di due amici, Carlo Grisolia e Alberto Michelotti, morti 36 anni fa, a 40 giorni di distanza l’uno dall’altro. Alberto, nato a Genova il 14 agosto 1958, animatore ACR, catechista, impegnato in parrocchia; con la Mariapoli del 1977, “Dio amore” entra nella sua vita. Carlo Grisolia, nato a Bologna nel 1960, da Chiara Lubich ha imparato la strategia del “farsi santi insieme”. Alberto e Carlo sono nello stesso gruppo gen della Val Bisagno. Lasciamo che ci racconti la loro storia uno che li ha conosciuti da vicino.

Tanto vale dirlo subito: questo ricordo è innanzi tutto la storia di un apparente paradosso. Anzi, di parecchi paradossi e di altrettanti azzardi, oltreché del mistero e degli smarrimenti che accompagnano gli umani quando si trovano a fare i conti con le dipartite troppo premature. Perché, tanto per cominciare, i due protagonisti di questa storia sono solo in parte “due come noi”, visto che è in corso la loro causa di beatificazione; eppure, per come li ho conosciuti, come noi lo erano davvero.

Alberto Michelotti è morto cadendo in un canalone alpino il 18 agosto 1980, quando aveva solo ventidue anni, e Carlo Grisolia ha lasciato questa vita appena qualche settimana dopo, stroncato a vent’anni da una malattia terribile, tanto rapida quanto incurabile. Un tragico intreccio a guardarlo dal basso, e tuttavia per molti, capaci di guardarla da un’altra prospettiva, una storia “a lieto fine”. S’era agli inizi degli anni Ottanta, la decade più cialtrona e sensazionalista del Novecento, e oggi mi vien da pensare che quei due c’entravano con i nascenti “anni di panna” quanto un praticello di primule con un caterpillar.

Li avevo conosciuti entrambi, qualche anno prima: due amici in mezzo a tanti altri, come avviene spesso in quell’età di mezzo che separa le ebbrezze dell’adole- scenza dalle impervie responsabilità dell’età adulta. Alberto e Carlo: due creature a loro volta in antitesi o complementari, a seconda dei punti di vista. Certo in- finitamente diverse per carattere, temperamento, background culturale, gusti. In comune avevano una città, Genova, che per noi torinesi ha sempre rappresentato una specie di mistero, affascinante e pericoloso insieme: a immagine e somiglianza di quel gran mare che l’accarezza e la schiaffeggia da millenni.

Genova, così ben raccontata da quella progenie di cantautori così creativa e particolare da venir definita “scuola”. A noi torinesi, seccava un po’ che a manco duecento chilometri di distanza ci fosse un tale campionario d’artisti, e da noi quasi nessuno in grado d’arrivare alla ribalta nazionale. Forse per questo li vede- vamo sempre con una punta d’invidia e mezza di circospezione, questi genovesi: così caldi nel loro essere amici, così esageratamente sentimentali secondo noi altri sabaudi, sempre così riservati, iper selettivi e talvolta algidi perfino nelle nostre amicizie. Certo s’era tutti parte del medesimo Movimento gen, ma i rispettivi imprinting apparivano agli uni e agli altri più lontani della luna.

Carlo e Alberto, due storie che qualcuno ha voluto unire e scandagliare insieme per valutare se, per caso, fossero il segno, o meglio le prime avanguardie, di un nuovo tipo di santità: una santità collettiva, diversa dai cliché consueti. Come dicevo, il processo di beatificazione è in corso, sicché tocca sospendere il giudizio. Del resto non son certo qui per esprimere pareri in proposito (per un agnostico sarebbe davvero imperdonabile), quanto piuttosto per sorvolare un vecchio sentiero: non solo per il piacere di raccontarlo e raccontarli, sia pure da un angolino alquanto marginale, ma fors’anche per ritrovare panorami e sensazioni antiche, epperò credo ancora necessarie, specie in tempi ansiogeni e smarriti come questi.

Ora che ci penso, un’altra cosa avevano in comune quei due: la loro generazione (che per molti versi è anche la mia), quella vagamente ibrida di chi, all’epoca, era troppo giovane per inebriarsi sulle tenere e già svaporanti illusioni del Sessantotto, ma già troppo vecchio per immergersi nell’individualismo più o meno edonista che avrebbe segnato quella seguente. Una generazione “di mezzo”: ancora conta- minata dai radicalismi stradaioli dei nostri amici più grandi, ma che già si portava addosso e nel cuore il sospetto della loro ingenuità o deteriorabilità. E tuttavia sì, Alberto e Carlo erano diversi. E tali apparivano, perfino per chi, come me, li incrociava di rado. Ma bastava guardarli e stare con loro una mezz’ora per capire quanto. L’uno così perfettino, determinato e attraente (da intendersi nel senso più letterale e profondo dell’aggettivo), l’altro così fragile, inquieto, introverso e aggrovigliato. Un pragmatico con propensioni mistiche, il Michelotti; un poeta dilaniato dai dubbi, il Grisolia; così mi sembravano: l’uno un involontario trascinatore di folle, e l’altro un cercatore d’oro; l’uno sempre pieno di risorse e d’attenzioni per tutti, l’altro spesso rinchiuso in quel suo idealismo romantico e sovente solitario. Come abbiano fatto a volersi così bene e a condividere i passi salienti delle loro rispettive vicende è presto detto: un’amicizia fondata, prima ancora che sulle affinità elettive, sul sentirsi parte di un progetto grande e incorruttibile che li trascendeva. Entrambi avevano scelto di fare del vangelo la loro stella polare. Entrambi sentendosi inadeguati a incarnarne fino in fondo le regole e le logiche, ma entrambi convinti che per farcela occorresse procedere “in cordata”, dandosi una mano l’un con l’altro. E anche questo ci dice qualcosa su una spiritualità capace di superare in qualche misterioso modo qualunque barriera caratteriale e tempera- mentale, oltreché quelle culturali, religiose, razziali, o di ceto sociale. Questo era, e sostanzialmente è ancora oggi, il nocciolo duro dell’essere gen.

Quando i due si conobbero erano entrambi già formati, e stavano attraversando quella decisiva stagione della vita dove solitamente gli obiettivi e i valori di riferimento affratellano ben più delle complementarità. Per onestà aggiungo che, se anch’io, come quasi tutti, ero affascinato da Alberto (dalla sua gentilezza, dal suo carisma, dalla sua simpatia estroversa), da Carlo invece giravo quasi alla larga: un po’ perché riconoscevo in lui i miei stessi difetti, un po’ perché non era uno che lasciasse entrare nel suo mondo chiunque gli si affacciasse. Ciò detto, era chiaro a chiunque li conoscesse che le loro rispettive essenze e consistenze erano alquanto difformi, e nessuno – tanto meno loro – avrebbe mai potuto supporre che un giorno si sarebbero intersecate così intimamente da renderli quasi parte uno dell’altro.

Io e Alberto siamo nati a poco più di un mese distanza. Carlo era di due anni più giovane. Con Alberto, avevo occasione di vedermi più spesso e devo ammettere che ogni volta restavo regolarmente affascinato non solo dalla coerenza della sua radicalità evangelica, ma anche dal candore con cui sapeva ammorbidire un’intelligenza e un intuito davvero fuori dal comune.

Anche se non dava l’impressione d’esserne cosciente, sembrava star lì solo per dimostrarti implicitamente quanto ancora ti mancasse per poterti considerare un cristiano autentico. Viceversa, Carlo mi faceva spesso pensare a qualcosa tipo “se ce la fa uno così, allora ce la posso fare anch’io”. Ricordo perfettamente quella mattina d’agosto quando arrivò la notizia della morte di Alberto, nello stesso giorno in cui Carlo venne ricoverato in ospedale per non uscirvi più. Ricordo quella struggente Signore delle cime, cantata con le lacrime agli occhi, ancora incapaci di credere che fosse davvero successo. Alla “partenza” di Carlo arrivammo solo un po’ più preparati, ma non meno sorpresi: soprattutto da quella straordinaria quarantena ospedaliera che aveva segnato per lui un’escalation mistica impressionante, e grazie alla quale, anche quell’idiota del sottoscritto arrivò finalmente a rendersi conto quale fosse davvero la sua “cilindrata spirituale”.

Molte cose di loro le avrei scoperte solo molti anni dopo. Come gli affettuosi “pizzini” che amavano scambiarsi, i loro grovigli sentimentali e spirituali, i passaggi più delicati e privati delle loro esistenze, le loro intimità con quel Dio così reale e tangibile, specie nei loro ultimi scritti. Tempo fa ho avuto modo di rincontrare i loro amici più intimi e le loro madri, e molte delle mie sensazioni primigenie si poterono finalmente accordare con una più oggettiva realtà dei fatti. Ma sono sensazioni così difficili da esprimere per me oggi, che preferisco lasciare al lettore l’intuirle dalle loro parole. Pochi mesi prima di morire, Alberto scrive a Carlo, appena partito per il servizio militare:

Sono in questa splendida chiesa di S. Siro. Sono solo, e sul tetto di legno sento picchiare dolce la pioggia. È un momento tutto particolare, bellissimo. Quasi non vorrei andarmene più. Sono passato di qui per mettere nel Suo Cuore tutte le infinite cose che io non so fare, che magari rovino soltanto. Tra le tante, in questi giorni ci sei tu… Quasi sento nella mia carne, nel mio cuore, il momento delicato che stai attraversando, che sto attraversando. In questo silenzio così bello mi sta rispondendo che non ci possiamo fermare; amare, amare tutti, spaccarci il cuore per fare uscire il vero amore, quello nato dal dolore…

Facile immaginare quale fu lo strazio di Carlo quando seppe della morte di Alberto, ma pochi giorni prima di raggiungerlo dall’altra parte del cielo, confidò a un gen venuto a trovarlo in ospedale, una sorta di “consegna”, probabilmente la stessa che avrebbe espresso Alberto se ne avesse avuto il tempo:

Sono alla fine. Volevo dirti di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro in questo momento… Offro la mia vita per tutti voi, ma soprattutto per l’umanità che soffre, per i ragazzi del mio quartiere, per tutti quelli che ho conosciuto… So dove vado, sono pronto al tuffo in Dio.

Parole semplici, prive di qualunque zavorra retorica perché in loro erano divenute parte di una concretissima grammatica esistenziale.
Per uno strano scherzo del destino, nella mia vita ho avuto la ventura di incrociare e di conoscere un bel po’ di persone “in odor di santità”: da Maria Orsola che fu la mia maestra di catechismo, a Chiara Luce Badano, per non dire di Madre Tere- sa e Chiara Lubich, solo per citare quelle più o meno certificate da santa romana Chiesa. Ebbene, se è vero che le vie che portano a questo misterioso status sono veramente infinite, e se esso è – per esprimerlo laicamente – un’ansia di perfezione, d’eternità, d’assoluto portata a compimento, allora devo sospettare che Alberto e Carlo ne rappresentino, almeno per come li ho conosciuti – due estremi: l’uno mi pare che ci sia quasi nato, l’altro che lo sia diventato “in zona Cesarini”, o per usare un’espressione più consona, come “un operaio dell’ultima ora”. È una sensazione personale beninteso, ma che anche oggi, a trentasei anni dalla loro di- partita, non riesco a levarmi dalla testa. Ma non è questo il punto, né può esserlo per chi come me non può o non sa più credere. Quel che piuttosto questa vicenda mi ricorda e continua a insegnarmi è che alla fine dei conti è davvero solo l’amore a non svaporare nelle infinite notti del tempo e nei fiati delle chiacchiere: quel che abbiamo saputo dare, e quello che si è ricevuto.




Spazio Città Nuova

Aurora Nicosia, direttore del mensile Città Nuova, presenta la rivista.

 

Presentazioni di libri e del Gruppo Editoriale Città Nuova

 

 

 




L’amore per l’altro deve pur costare qualche cosa!

Dopo la laurea ho trovato un lavoro interessante fuori città. Si parte presto in treno e si ritorna tardi la sera. Di tempo per me resta solo il sabato, perché la domenica ho diversi impegni in parrocchia. So che mia madre desidera partecipare alle mie scelte. Così per farla contenta mi faccio accompagnare nelle mie compere.

E’ qui che scopro un suo atteggiamento che non va: la commessa non ha neppure il tempo di mostrare l’oggetto richiesto che la mamma già ne chiede un altro e poi un altro ancora senza neppure guardare. Leggo dapprima il disappunto in faccia alla commessa, poi il nervosismo, che mi coinvolge e rovina questi momenti piacevoli. Decido di non interpellarla più ed esco sola. 

Ma non sono contenta.  Trascorre qualche sabato, le parlo ed usciamo di nuovo insieme. Lei non è cambiata, ma l’amore per l’altro deve pur costare qualche cosa!




Erminio Longhini: bravo medico, grande uomo

10-11-2016 di Silvano Gianti
fonte: Città Nuova

Un ricordo di questo professionista, scomparso nei giorni scorsi, medaglia d’oro al merito per la Sanità e fondatore, insieme alla moglie Nuccia, dell’associazione volontari ospedalieri, Avo

«Ringrazio l’Eterno Padre perché nella mia vita ho avuto molto più di quanto immaginavo. Ringrazio Maria, e tutte le sere concludo le mie preghiere dicendo: “Visto che sono alla fine della mia vita fammi morire a casa, se possibile con il conforto di un sacerdote, ma soprattutto sii Tu a venirmi a prendere e sarà piena letizia: ti sentirò e ti vedrò”». Concludeva così una sua testimonianza data davanti ad un gruppo di amici all’inizio dell’estate scorsa, il professor Erminio Longhini già primario nel reparto di Medicina interna presso l’ospedale di Sesto San Giovanni a Milano.

L’età avanzata, gli acciacchi che ultimamente si erano fatti sentire in maniera molto forte, gli avevano prefigurato un quadro clinico che lui da medico aveva ben capito. «Quando mi chiedono come mi sento mi viene istintivamente di rispondere: come una foglia d’autunno in una giornata di vento. Sembrerebbe più desiderabile il venire della sera della vita. Poi capisco che si nasconde una tentazione e al mattino, al risveglio, capisco che mi viene donato un altro giorno di vita e che la vita è vivere il momento presente – la misericordia per quanto riguarda il passato e la speranza per l’avvenire».

E la sera della vita, per Erminio è sopraggiunta come una carezza di Maria. Materna, serena. Lui l’aveva invocata: «sii Tu a venirmi a prendere e sarà piena letizia: ti sentirò e ti vedrò». Erminio Longhini, la nostra rivista ne ha parlato più volte – è stato un medico particolare. Un grande uomo della medicina che ha saputo chinarsi sulle ferite delle persone e a sollevarsi solamente quando da quelle ferite era riuscito a trovarvi un rimedio. Una soluzione. Per lui la persona è sempre stata al centro di tutto il suo agire.

Per un paziente raccontava, studiava ore ed ore, faceva ricerca, provava soluzioni, finché otteneva quanto desiderava. Serio, scrupoloso, esigente e intransigente. E tenero. Sì, a Michela hai rivelato la tenerezza del papà per la figlia e lo hai fatto a modo tuo. Non tutto, non subito, ma alla fine dei tuoi giorni in un gioco di carezze, di sguardi, di gesti e di intese che rivelano il grande cuore di un grande medico, ma ancor più di un grande papà, che da piccolo avrebbe voluto diventare ingegnere minerario, ma per accondiscendere ai genitori si era iscritto a medicina. Ma appena laureato lo spauracchio: «non pensavo di riuscire a sopportare il peso dei problemi dei malati e tentai delle scappatoie».

Poi guardando la Madonna a Lourdes, una sera, «mentre pregavo, fui illuminato da un pensiero: “Nella vita non occorre essere il vangatore, ma occorre essere una buona vanga”. Mi sembrò un vero patto: avrei avuto nell’esercizio medico l’aiuto di Maria se avessi fatto completamente il mio dovere di preparazione». Erminio prende con sé stesso l’impegno che a qualunque punto della sua carriera fosse arrivato, avrebbe sempre dedicato allo studio almeno due ore giornaliere.

Nuccia fu una sposa e una moglie straordinaria: «Lavoravo dalle 7 del mattino all’1 di notte per le esigenze del lavoro e della ricerca. Quando tornavo a casa spesso non riuscivo ad aprire la porta perché Nuccia si stendeva su una coperta per terra, in modo che al mio arrivo obbligatoriamente la svegliassi e così potesse riscaldarmi la cena». Dal matrimonio nascono tre bambini, Stefano, Michela e Matteo, e il culmine della carriera arriva con la nomina a primario a Sesto San Giovanni.

Grazie a generosi contributi di una imprenditrice, mette in piedi un reparto di medicina interna con apparecchiature all’avanguardia ed accoglie giovani laureati italiani e di paesi in via di sviluppo che possono formarsi. Riesce a motivare colleghi ed infermieri e la divisione medica da lui diretta diviene una delle migliori, sia come rapporto umano che tecnico, con centinaia di ricerche pubblicate. Capisce che non basta curare la malattia, ma occorre prendersi cura della persona.

Coinvolge la Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica per una ricerca in 40 ospedali lombardi, da cui emerge che il maggior disagio dei malati è la perdita di autonomia, il dover dipendere da un altro. «Mi viene un’idea che comunico a mia moglie e ad alcuni collaboratori: perché i nostri amici non donano un po’ del loro tempo per instaurare un rapporto umano, uno scambio d’amore con i nostri malati? Ebbene, non senza ostacoli e mille complicazioni riusciamo a portare i primi 30 volontari in corsia, disposti ad occuparsi dei malati oltre le cure».

Da questo piccolo gruppo di volontari, e con l’operosità e tenacia di Nuccia, nel 1976 nasce l’Avo (Associazione volontari ospedalieri). «È lo Spirito Santo, bisogna andare avanti così», lo incoraggia il cardinal Martini, e lo stesso papa San Giovanni Paolo II: «Sono contento, dica ai suoi amici di continuare così». L’Avo si diffonde in tutta Italia e conta oggi 25.000 volontari in 250 ospedali. E Longhini continua a formare spiritualmente i volontari con scritti e videomessaggi fino alla fine.

Per questo suo impegno, nel 2004 è insignito con la medaglia d’oro al merito della Sanità dal presidente Ciampi. In questi ultimi anni si affina in lui la mitezza, l’abbandono in Dio, la gratitudine per i doni ricevuti e per il rapporto costruito con tanti nel Movimento dei Focolari. «Grazie a voi fratelli, perché se tante realtà mi sono entrate in cuore è frutto di aver vissuto con voi ciò che poi ho cercato di diffondere».

Nel comunicato dell’Avo inviato a tutte le sedi italiane dal suo attuale presidente si legge: «Ci lascia un grande uomo, capace di cogliere con la sua sensibilità, con l’umanità e con la sua fede quell’essenziale che spesso gli occhi non vedono e nemmeno le menti. Non ci lascia però soli, anzi, ognuno di noi lo ritroverà nel proprio servizio se saprà mettere a frutto tutto il sapere, la saggezza, la profondità che Erminio ci ha sempre comunicato ed insegnato».

Vedi anche articolo: il-ricordo-di-erminio-longhini




Non sarà un impegno breve

Il racconto di un sacerdote dai luoghi del terremoto. Il numero ingente degli sfollati richiede interventi efficaci e rapidi.

In questi giorni stiamo vivendo tutti una nuova esperienza riguardo al terremoto che sta da mesi colpendo le nostre terre. Ad ogni nuova scossa viviamo nell’apprensione e si allarga la zona di risentimento, con ingenti danni alle strutture e alle case. 

don-paoloUn fenomeno che ci coinvolge sempre più direttamente, sia perché nell’entroterra ci sono sempre più case, chiese e strutture inagibili, sia perché sulla costa si è chiamati a dare ospitalità ad un numero crescente di sfollati, ospitati in strutture, hotel o in famiglie. 

Un impegno duplice: quello della prevenzione e della messa in sicurezza da un lato, e quello dell’accoglienza e dell’assistenza dall’altro. 

Come si sa, a Porto S. Elpidio, presso il camping Holiday, è stato istituito un centro operativo della Protezione civile per questa parte della zona costiera. In città sono ospitate oltre 1000 persone, famiglie intere con bambini e anziani, che da alcuni giorni hanno trovato accoglienza nei tre camping della città e negli hotel. Tutto questo prima della forte scossa di domenica. Sono persone di Ussita, Castel Sant’Angelo sul Nera, Visso, ecc… che erano state colpite dalle precedenti due scosse. In pochi giorni attraverso il centro di accoglienza sono transitate oltre 3000 persone, reindirizzate in altre strutture, a Civitanova Marche e lungo tutta la nostra costa. Purtroppo, a seguito della scossa di domenica la situazione si è improvvisamente aggravata, con un progressivo esodo dai paesi dell’interno, come Camerino, San Severino, Tolentino, ecc… per citare solo i maggiori. 

aiuto-ai-terremotatiSubito si è attivata una rete di solidarietà, anche se ancora in modo molto spontaneo, e pian piano si sta cercando di capire cosa possiamo fare e cosa serve davvero. 

Personalmente, sono stato più volte (ogni giorno) nel centro di accoglienza presso l’Holiday, rispondendo ad alcune richieste concrete espresse anche dal sindaco. Inoltre è giunta la richiesta da parte di un Camping, “La Risacca”, di cose molte concrete da reperire per i 280 sfollati accolti dal camping. Abbiamo pensato di dare una risposta immediata acquistando il necessario, attingendo al fondo diocesano che avevamo raccolto per il terremoto e che non avevamo ancora versato in quanto attendavamo di poterci incontrare e mettere insieme ancora alcuni contributi di alcuni gruppi che mancavano. 

Questo per far fronte alle primissime necessità, in quanto gli aiuti tramite la Protezione civile erano ancora insufficienti. Già nei giorni successivi si è registrata una maggiore organizzazione. Inoltre, in vari luoghi si è attivata una raccolta di indumenti e generi di prima necessità. La Caritas diocesana e quella regionale, presente anche quella Ambrosiana (di Milano) si sono trovate per fare il punto della situazione e capire come muoversi in concreto nei giorni successivi.
Il direttore del camping “La risacca”, anch’egli presente, ha ringraziato per il contributo concreto dato dal Movimento dei Focolari in tale circostanza. Molti di noi sono impegnati su più fronti. Penso ai tanti parroci che hanno tutte le chiese inagibili (d. Samuel, fra Andrea) o solo alcune (d. Sandro, d. Pierluigi, Leandro…) e quelle comunità dove oltre le chiese anche le strutture parrocchiali sono state lesionate (come Corridonia). Penso a Donatella che in questi giorni ospita i suoceri sfollati da Tolentino, e chissà quanti altri casi simili. Da domani anche noi sacerdoti di Porto Sant’Elpidio ospiteremo il parroco di Ussita e Castel Sant’Angelo, per permettergli di stare vicino alla sua comunità sfollata. Anche lui ha perso chiese e casa parrocchiale, o meglio un intero paese. Ieri, infatti, dopo aver consegnato il mio ultimo carico al camping, ho conosciuto la tabaccaia di Ussita. Subito mi è venuto di ricordare i campiscuola e le uscite che tutti noi penso abbiamo fatto in quei luoghi. Lei, con grande dignità mi ha detto: «Lo sai che tutto questo non c’è più». Lo sapevo, ma sentirlo dire con chiarezza e lucidità da lei è stato un tuffo al cuore. E mi ha detto che anche il paesaggio è cambiato, perfino il Monte Bove. Credo che ancora facciamo fatica a comprendere i cambiamenti che questo terremoto sta imponendo alle nostre vite e a quelle di tanti. 

Queste dunque alcune prime esperienze. 

aiuto-terremotatiCerto, in queste ore, tutti ci stiamo chiedendo: cosa possiamo fare in concreto e quale contributo possiamo dare come Movimento? Si sente l’urgenza di fare qualcosa. Dunque, ecco alcune indicazioni condivise anche nella riunione di oggi con la Caritas. 

Come prima cosa, occorre informarsi su cosa serve davvero. Sembra scontato, ma non lo è, in quanto in questi primi giorni c’è anche una mancanza di informazioni (le notizie arrivano a fatica e spesso non attraverso canali ufficiali) e ciò è comprensibile, perché si è impegnati su una prima accoglienza e la situazione è in continua evoluzione. Quindi occorre fare la fatica di chiedere direttamente alla Protezione civile del proprio paese, o alla Caritas, o se si conoscono le strutture di accoglienza, a qualcuno del posto. 

Agire in modo concreto e, possibilmente, mettendosi insieme. Occorrerà ancora qualche giorno, superata la prima emergenza, per capire quali progetti si potranno attivare in ogni zona più a lungo termine, per l’animazione dei bambini o il sostegno agli anziani, l’aiuto scolastico, ecc… Anche qui il consiglio è di verificarlo sul proprio territorio. 

In questa prima fase, è da evitare l’azione isolata o invadente, per non intralciare i soccorsi e soprattutto per permettere il consolidarsi dell’organizzazione di chi è chiamato a farsene carico. Ho potuto constatare come la presenza a volte di troppi volontari può essere anche controproducente. Inoltre, il coordinamento sta passando direttamente alla Protezione civile nazionale e questo richiede una maggiore attenzione.

La Caritas nazionale e quella regionale inoltre hanno garantito il loro contributo e presto, dopo una prima fase di raccolta delle informazioni e di comprensione dei bisogni, saranno attivati progetti mirati di aiuto. 

La consapevolezza è che non sarà una cosa breve, e che anche la ricostruzione richiederà tempo e pazienza. Viviamo un tempo speciale che ci chiede uno sforzo di carità e di perseveranza, come ricordato dal messaggio del Vescovo di oggi: «Vi incoraggio a perseverare perché nella fragilità dell’esistenza e delle strutture risplenda la compattezza di una Chiesa di pietre vive, che siamo noi».

Altra esperienza:

http://www.cittanuova.it/c/458159/Le_caprette_di_Marco_e_Jessica.html

 

 




Sinodalità stile di vita

A Sassone (Rm), seconda tappa del “percorso ecclesiale” della Chiesa in italia a un anno dal convegno di Firenze. Incontro con mons. Galantino, segretario generale della Cei

Lo scorso 11 ottobre, anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, una quarantina di sacerdoti del Movimento dei Focolari, ritrovatisi a Sassone, vicino Roma, per il secondo appuntamento di un percorso che vuole dar vita ad un “cantiere ecclesiale”, hanno vissuto un momento particolarmente significativo: il dialogo con mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo l’incontro dell’aprile scorso (vedi Un cantiere in cui operare insieme su Città Nuova online del 2 maggio), si era fortemente auspicata questa seconda tappa come l’occasione di metterci in ascolto di ciò che lo Spirito dice alla Chiesa e cogliere ciò che in questo momento storico è più urgente alla missione in Italia.

img_3741Ed è stato così! Abbiamo avvertito infatti – grazie all’intervento del vescovo – che le urgenze di questo tempo sono un appello a cui dare una risposta responsabile; pongono la necessità di vincere l’irrilevanza nella quale cade la Chiesa quando è contagiata da «malattie mortali» come il cadere nei luoghi comuni e nella retorica, l’usare un linguaggio politicamente corretto, che però è incapace di convertire «cuore, mente e mani». Per questo mons. Galantino ha invitato a far emergere lo «specifico» della comunità cristiana: la Vita che scaturisce dalla Parola di Dio e dalla preghiera e alimenta quello stile sinodale più volte richiamato da papa Francesco; «perché la sinodalità, prima che una struttura ecclesiale, è stile di vita che prende sul serio i verbi indicati nel capitolo ottavo della “Amoris laetitia”: accompagnare, discernere e integrare la fragilità. Perché la vita interiore è possibile solo nella comunione».

Le domande e le risposte che ne sono seguite hanno ancor più evidenziato l’importanza di fare di più e meglio perché la Chiesa per la presenza del Signore contagi le persone e moltiplichi luoghi e ambienti in cui vivere la comunione e l’unità.

Su cosa lavorare dunque nei prossimi mesi? Diverse erano le proposte: sinodalità, situazioni di difficoltà e fragilità dei preti, rapporto preti-laici, una formazione adeguata ai tempi, la Parola di Dio nella vita e nella formazione, valorizzare di più le esperienze pastorali, identità e dialogo con il mondo, attenzione alle nuove generazioni, unità nella diversità, la profezia nella Chiesa, scuole di comunione e fraternità… All’unanimità si è pensato di partire dal tema della sinodalità, che, come per i discepoli di Emmaus, è l’esperienza dell’incontro con il Risorto.

Don Emilio Rocchi – Don Mario Benedini – Don Sergio Pellegrini

 

 




I bambini ci raccontano come vivono il Vangelo

  • In questo periodo la mia mamma lavora tanto e non mi dedica tante attenzioni come faceva prima. Stiamo meno tempo insieme e pensando che in casa manca anche il papà… Nella preghiera ho parlato con Gesù di questa situazione e gli ho detto che volevo unire questa piccola sofferenza alle sue. Ho provato una gioia speciale.
  • In classe è arrivata un supplente per il quale non provo simpatia e così ho parlato male di lui. Quando ho parlato con Gesù nella preghiera mi sono vergognata di quello che avevo detto. Purtroppo la cosa era già fatta. Allora ho pensato di unire la sofferenza per questo mio errore a quelle di Gesù, ed ho ritrovato la pace nel mio cuore.

bambino

 

  • Una mia compagna di classe non riusciva ad aprire la bottiglietta dell’acqua. L’ho aiutata appoggiando la bottiglietta sul banco, ma lei l’ha fatta cadere. La colpa era sua e toccava a lei pulire. Ma mi sono presa io la colpa e l’ho aiutata a pulire.

 

  • Mia sorella mi dice spesso parole offensive che sono difficili da sopportare. Adesso però ho imparato che posso unire questa sofferenza a quelle di Gesù , che è infinitamente buono e tutto mi diventa più facile. Così sono libera nel cuore ed è più facile aiutare le persone che mi circondano e questo è molto importante.
  • Qualche giorno fa il mio papà mi ha offeso e mi ha trattato male. Io mi sono sentito inutile e non amato da una persone che per me è importantissima! L’ho perdonato anche se sono ancora un po’ ferito. Sono certo che dentro di lui c’è Gesù.

 

 




Bando Premio “Chiara Lubich per la fraternità”

BANDO 2017 – PREMIO INTERNAZIONALE “CHIARA LUBICH PER LA FRATERNITÁ”

“Chiunque, da solo, si accinge oggi a spostare le montagne dell’indifferenza, se non dell’odio e della violenza, ha un compito immane. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto della fraternità universale il movente essenziale della vita.” CHIARA LUBICH

PREMESSA

Il 4 Dicembre 2008 nasce a Rocca di Papa (Roma) l’Associazione “Città per la Fraternità”.

L’Associazione vuole essere un’esperienza di dialogo e confronto ed una rete tra Comuni ed altri Enti Locali che intendono promuovere, nell’ambito del più vasto e complesso lavoro di tipo politico-amministrativo, un laboratorio permanente di esperienze positive da mettere in rete e moltiplicare, dove vengano in rilievo la pace, i diritti umani, la giustizia sociale e specialmente la fraternità universale.

Vi possono aderire Comuni di ogni parte d’Italia e di ogni dimensione. In qualità di membri onorari possono richiedere l’iscrizione anche Comuni e municipalità di ogni parte del mondo. Altresì possono richiedere l’iscrizione anche altri Enti Locali quali Province e Regioni.

L’Associazione Città per la Fraternità vuole essere innanzitutto un punto di riferimento, autonomo ed indipendente, e una sede di raccordo, una “rete”; non intende essere una semplice organizzazione, ma un luogo agile e flessibile di idee, verifica e progettazione comune.

L’Associazione, in questa luce, vuole favorire la conoscenza reciproca, lo scambio di informazioni e lo sviluppo della collaborazione tra quanti intendono lavorare per la fraternità.

L’Associazione vuole essere anche luogo d´unità: un luogo dove il movimento delle città per la fraternità possa definire un programma di attività e un´agenda comune, attivare e alimentare processi, non solo realizzare eventi.

L’articolo 4 dello Statuto dell’Associazione prevede l’istituzione del Premio internazionale ispirato a Chiara Lubich, che ha sviluppato in tutta la sua vita il disegno della fraternità universale, Premio che verrà selezionato ed assegnato da parte di una giuria di esperti individuata annualmente e presieduta dal Presidente dell’Associazione.

REGOLAMENTO DEL PREMIO

Art. 1

Il premio

Il Premio, consistente in una originale scultura artistica raffigurante un simbolo di fraternità, è assegnato ad un Ente Locale (o eventualmente a più amministrazioni che presentano un progetto unico, individuandone, comunque, uno capofila), valutando l’attuazione di un progetto che, lungo il suo ciclo di vita, rappresenti la declinazione di uno o più aspetti del principio della fraternità applicato alle politiche pubbliche, realizzato in sinergia tra Amministrazione Comunale, Comunità locale e società civile organizzata (associazioni, gruppi, comitati, ecc.) o altresì da Persona con ricadute comunitarie.

Il progetto può essere esposto con:

a) elaborati di testo
b) elaborati ipertestuali e/o multimediali
c) elaborati audiovisivi
Riconoscimenti Speciali o Menzioni D’onore

La giuria potrà attribuire uno o più riconoscimenti speciali e/o menzioni d’onore ad altri progetti che si siano particolarmente distinti, come esperienze di fraternità universale nella comunità cittadina.

Art. 2

Partecipanti e caratteristiche

Al concorso possono partecipare Enti Locali (Province, Regioni, Comunità Montane, ecc.) italiani e di qualunque altra parte del mondo e dimensione.

Progetti e iniziative possono concorrere se:

Istituiscono e/o diffondono, nel territorio principalmente locale, ma anche nazionale e internazionale, pratiche di fraternità universale, secondo le diverse accezioni di significato di tale principio;
Stimolano i cittadini a impegnarsi per il bene comune e a partecipare alla vita della comunità civile,
Favoriscono la crescita di una cultura della cittadinanza attiva e inclusiva.
Il progetto deve essere rappresentativo di un modo di amministrare non episodico e sempre più consapevole del valore del principio della fraternità universale.

Da parte di amministrazioni pubbliche e altri soggetti sociali, economici, culturali, è possibile sia auto-candidarsi, che segnalare progetti altrui. Tutte le segnalazioni devono essere inviate entro e non oltre il 10 gennaio 2017 alla Presidenza dell’Associazione “Città per la Fraternità”, c/o Comune di Castel Gandolfo, Piazza Libertà, 7 00040 Castel Gandolfo (Rm).

Se il materiale fosse esclusivamente scritto, o comunque con allegati di dimensioni non eccessive, può essere anche inviata via mail agli indirizzi e-mail:

associazionecittafraternita@gmail.com

info@cittaperlafraternita.org

Nella domanda di partecipazione vanno indicati:

Nome del Comune, dati del Sindaco pro-tempore, indirizzo completo, telefono, fax, indirizzo e-mail
Nome del progetto o dell’iniziativa e abstract di massimo di tre cartelle A4
Allegato (nelle forme previste dall’art. 1) che descriva dettagliatamente il progetto e il suo processo.
Il materiale trasmesso non verrà restituito.

Art. 3

La giuria

Tra tutte le segnalazioni ricevute, la giuria, composta dai membri del Comitato dei Garanti dell’Associazione, sceglierà il miglior progetto.

La decisione della giuria è inappellabile e insindacabile dai partecipanti, che ne accetteranno senza condizioni i contenuti.

Ai vincitori sarà data comunicazione ufficiale via posta e/o posta elettronica, con anticipazione per via telefonica.

Art. 4

Proclamazione dei vincitori e premiazione

La premiazione avverrà, presumibilmente a Roma, nel febbraio 2017 in data, luogo da specificare e confermare.

Art. 5

Modifiche al regolamento

La presidenza dell’Associazione si riserva il diritto di integrare il presente regolamento.

Per ogni informazione, contattare la segreteria organizzativa ai numeri 3404182127 – 3474573988, o per e-mail: associazionecittafraternita@gmail.com info@cittaperlafraternita.org




Giornalismo e migrazioni

Vedi articolo sull’evento: http://www.cittanuova.it/c/458020/Mediatori_culturali_e_mediatori_mediatici.html

Rassegna stampa: rassegna-migranti-e-giornalismo

Simposi del progetto: giornalismo-e-migrazioni

Tappa di Pozzallo: cs_netone_pozzallo

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L’appuntamento a Pozzallo di sabato pomeriggio 5 novembre, dalle 16 alle 19, è rivolto a giornalisti, esperti di comunicazione, operatori del settore, personalità civili e religiose, politici ed amministratori e rappresentanti di ONG, accademici ed operatori sociali, cittadini coinvolti e interessati a vario titolo al fenomeno delle migrazioni. Vuole essere un’occasione di approfondimento e di dialogo a partire dalla sfida quotidiana dell’accoglienza.

Il metodo è quello dell’ascolto ed interesse reciproco (tra giornalisti, tra giornalisti ed esperti, tra giornalisti, migranti e cittadini).
Pozzallo, dove si trova la sede del Centro mediterraneo di studi e formazione “Giorgio La Pira”(Via S.Giovanni, locali Chiesa S.Giovanni), realizzato dalla cooperativa “Fo.Co.” di Chiaramonte Gulfi e dal Centro internazionale “Giorgio La Pira” di Firenze, è l’unica tappa italiana dell’iniziativa di NetOne.
GIORNALISMO E MIGRAZIONI

Migrazioni nei Paesi di partenza e di arrivo: narrativa e interpretazioni. Natura dialogica del giornalismo e sua applicazione al fenomeno.

Pozzallo, Centro mediterraneo di studi e formazione “Giorgio La Pira”, via San Giovanni.

Palko Toth, giornalista, responsabile internazionale NetOne (Ungheria):

“Giornalismo e migrazioni nei Paesi del Gruppo di Visegrad. La chiusura e l’identità”

Michele Zanzucchi, giornalista e scrittore, direttore Città Nuova (Italia):

“Giornalismo dialogico e migrazioni. Il dovere di raccontare esaustivamente e il diritto di essere raccontati correttamente”

Stefania Tanesini, giornalista, responsabile comunicazione Loppiano – Firenze (Italia),

Giulio Meazzini, giornalista Città Nuova (Italia)

Cristina Montoya, sociologa della comunicazione, Ist. Univers. Sophia di Loppiano, (Colombia):

“Raccontare le migrazioni: la “cassetta degli attrezzi”, le basi sociologiche, la pratica