Costruttori di pace in classe

Stamattina abbiamo accolto il ragazzo ucraino che d’ora in poi farà parte della nostra classe prima. In classe c’è anche un ragazzo di origine russa. Venerdì scorso avevo parlato con i ragazzi e detto loro che oggi sarebbe venuto il nuovo compagno e che la nostra classe avrebbe avuto la grande opportunità di costruire la Pace.

Approfittando anche del fatto che il ragazzo russo era assente avevamo parlato del fatto che nessuno doveva “tifare” per questo o per quello, ma che dovevamo essere costruttori di Pace nella nostra classe, e che avremmo dovuto avere delicatezza e attenzione per entrambi. Abbiamo fatto una specie di patto: i ragazzi erano entusiasti!

Stamattina eravamo tutti presenti ed ho fatto presentare i ragazzi uno per uno. Quando è toccato al ragazzo russo, il bimbo ucraino e la sua mamma (che è stata con noi tutta la mattina) hanno fatto un sobbalzo e mi hanno guardato sorpresi. Ho ripetuto loro quello che avevo detto ai ragazzi venerdì e, dopo la traduzione, tutta la classe è scoppiata in un applauso. Tutti erano contenti.

Il ragazzo russo mi ha fatto “ok” con il dito, e il ragazzo e la mamma ucraini un bel sorriso disteso. Casualmente (ma niente viene a caso) i due ragazzi si sono trovati accanto di banco, e il ragazzo russo si è messo subito a disposizione, per prestargli le sue cose e per tradurre perché capiva cosa diceva il bimbo ucraino. Insomma, anche se è una goccia nel mare, alla Scuola media di Piano di Conca, stiamo costruendo un ponte di Pace.

Elisabetta, Viareggio

 




In punta di piedi

Accompagnando dei separati

di Fiorella e Giovanni Gravina

Fonte: Ekklesía n.14 (2022/1)

In punta di piedi

«La separazione è come una bomba che esplode in una casa: sconvolge tutto; ciò che per anni hai costruito con sacrificio, pazienza e amore, crolla tutto insieme; tutto è sfasciato, nulla rimane al proprio posto, non sai più da che parte incominciare». (1) A descrivere così l’esperienza della separazione è una persona separata. Il suo dolore, e quello di tanti altri, ci ha coinvolti profondamente e ci ha portati a intraprendere un percorso di accompagnamento di chi vive sulla propria pelle questa realtà.

Gli inizi di un percorso

Un giorno di quasi nove anni fa abbiamo cenato insieme a una nostra amica separata. Durante la cena, ci ha aperto il cuore parlandoci del dolore di aver fallito il suo progetto di famiglia e del senso di colpa per non essere riuscita a salvare il suo matrimonio. Il marito aveva ormai un’altra relazione stabile e lei non si rassegnava a credere che non ci fosse più nulla da fare.

Siamo rimasti con lei fino a tarda sera, ascoltandola e consolandola. Il giorno seguente era domenica e alla Messa tutti e due, ognuno per proprio conto, abbiamo pregato per l’amica e davanti a Gesù Eucaristia abbiamo sentito il desiderio di svolgere in qualche modo un servizio per i separati. Alcuni mesi dopo aver condiviso questa nostra disponibilità, ci è stato proposto un corso di formazione organizzato dalla diocesi di Roma. È così che abbiamo iniziato.

Un grande aiuto è stato per noi conoscere il padre gesuita Paolo Bachelet che, ormai ultraottantenne, era tra i fondatori e il principale animatore a Roma del Movimento famiglie separate cristiane. Nei nostri incontri regolari, lui ci sosteneva e ci consigliava facendoci partecipi delle sue riflessioni. Padre Bachelet ci ha aiutati a capire che la nostra poteva essere un’accoglienza totale, di grande apertura verso tutti i separati, anche quelli che avevano intrapreso nuove unioni o nuove relazioni. Da lui abbiamo imparato a considerare ogni persona come fosse l’unica al mondo, destinata ad essere amata in un modo personalissimo.

L’inadeguatezza…

Per fortuna ci è stata compagna sin dall’inizio la consapevolezza di essere inesperti e inadeguati a trattare la piaga della separazione. Non dimenticheremo mai il primo incontro, nella nostra casa, con un gruppetto di persone separate, conosciute solo attraverso un primo contatto telefonico. Prima ancora di iniziare, una di loro ci ha chiesto a bruciapelo: «Ma voi come pensate di poterci capire e accompagnare se non avete mai vissuto la condizione dei separati?».

Era una domanda più che legittima: la realtà della separazione è molto complessa da capire. Noi abbiamo risposto che eravamo lì per amare, accogliere e ascoltare senza giudicare, col forte desiderio di stare accanto a loro in punta di piedi, di dare una mano come potevamo, di fare famiglia; e in nome di questo amore abbiamo proposto loro di fare un tratto di strada insieme.

Ricordiamo il silenzio che ne è seguito, quasi di sorpresa. Da quel momento è cresciuto un rapporto di fiducia reciproca che ha permesso a loro di aprirsi e a noi di cogliere e comprendere molti aspetti di questa realtà, sviluppando con il tempo una maggiore sensibilità e capacità di accoglienza verso queste situazioni.

… e l’abbraccio a Gesù che grida

Quando abbiamo iniziato questo percorso, c’era in noi il desiderio di aiutare questi fratelli, di non lasciarli soli. Nel tempo si sono stabiliti parecchi rapporti profondi e abbiamo vissuto con loro tanti momenti di famiglia, momenti anche forti. Molto è quanto abbiamo ricevuto da questa esperienza, sia umanamente che spiritualmente.

Se dovessimo indicare uno dei doni più sorprendenti, forse perché non pensavamo ci potesse arrivare da quel contesto, diremmo che è stato comprendere il valore profondo e la realtà mistica del sacramento del matrimonio. Vedere la testimonianza di fedeltà di alcuni di loro a questo patto con Dio, costatare quanto sia vero che gli sposi «sono una sola carne» è forte quando è testimoniato da una carne straziata dalla separazione.

Allo stesso tempo, e sempre di più, abbiamo capito quanto sia presente in questa realtà dolorosa il volto di Gesù che sulla croce grida l’abbandono. In molte situazioni, infatti, di fronte ad una famiglia spaccata, ci si rende conto che si può solo abbracciare lui in croce, che rimane inchiodato lì… fino alla morte. A volte abbiamo visto Gesù abbandonato in colui che non risponde, non riesce a farlo nonostante il nostro amore. Noi non possiamo farlo scendere dalla croce, pos- siamo solo star lì, come Maria, portare il suo silenzio, il suo amore.

Affidamento alla misericordia e concretezza

In questo rapporto con i separati e davanti alle loro difficoltà spesso la sensazione è di fare un tuffo nel vuoto, costretti ad un continuo esercizio di affidamento alla misericordia di Dio. In tanti momenti abbiamo sperimentato un senso di impotenza di fronte a situazioni che non possono cambiare o ai grossi problemi che spesso investono i figli di separati.

In queste situazioni pesanti, anche emergenziali, sarebbe necessario poter contare su una rete di specialisti con una specifica vocazione di “donazione” verso questa realtà. Parliamo di “donazione” perché il più delle volte le persone accompagnate non hanno la possibilità di pagare avvocati, psicologi, ecc… Dandoci da fare, per amore loro e con l’aiuto di Dio, piano piano abbiamo trovato degli aiuti: una psicologa, un avvocato, un sacerdote, ecc.

Spesso si prova anche un senso di solitudine: si vorrebbe che altri condividessero con noi la portata emotiva e il carico oggettivo della costruzione di rapporti personali che non si possono curare tramite WhatsApp, ma richiedono essenzialmente l’incontro, la condivisione, l’impegno a lunghi ed improvvisi colloqui, come pure ad aiuti concreti di vario genere. Il sentirci fratelli con loro, dopo i profondi momenti di condivisione vissuti, crediamo sia il sostegno che Dio ci dà per continuare

Accompagnare:non dare soluzionima camminare accanto

Ad un recente incontro con separati di varie città, una coppia che collaborava per la prima volta ci ha confessato: «Non immaginavamo una sofferenza tanto profonda nella vita dei separati con ferite così vive dopo magari dieci anni o anche oltre dalla separazione». Al termine dell’incontro questa stessa coppia ci ha espresso con parole che noi non avremmo saputo trovare il cuore più intimo e profondo di quella che è l’esperienza di accompagnamento.

«L’accompagnatore è simile a chi, giunto sul limitare di una terra sacra, resa tale dal dolore e dalla sofferenza del prossimo, sente la spinta interiore a fermarsi e togliersi i calzari. Egli è simile a un fondale di una scena ove il prossimo (separato) è l’attore protagonista, ciò non di meno con la sua presenza discreta crea casa, crea famiglia, crea quel silenzio pieno di partecipazione che attira comunione d’anima e confidenza. L’accompagnatore non offre soluzioni, piuttosto cammina a fianco a chi è nel dolore, perché egli stesso possa percepire dentro di sé ciò che lo Spirito Santo gli sussurra. La forte presenza del volto di Gesù Abbandonato nei partecipanti ha reso l’incontro straordinariamente intenso e profondo. Abbiamo sperimentato l’apporto prezioso che i separati danno alla vita della Chiesa col loro vissuto».

1 Cit. in P. Bachelet s.j., Da lacrime a perle. Un convegno di coniugi separati, in «Unità e Carismi», n. 2, marzo-aprile 2006.

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Amoris laetitia, e poi?
Maria do Sameiro Freitas

A cinque anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris laetitia, papa Francesco ha voluto indire un anno per rimettere al centro della vita della Chiesa l’identità e la missione della famiglia. Un anno che culminerà nel X Incontro mondiale delle famiglie, un evento mondiale e locale insieme, dal titolo L’amore familiare: vocazione e via di santità.

Il presente numero di Ekklesía dedica speciale attenzione a questo tema di così grande attualità, cercando di cogliere l’impatto che l’esortazione continua ad avere sulla vita delle famiglie e della Chiesa: Amoris laetitia, e poi?

  • A colloquio con la sottosegretaria del Dicastero laici famiglia vita, Gabriella Gambino, entriamo nella genesi e nella preparazione dell’Incontro mondiale, che si terrà dal 22 al 26 giugno 2022.
  • L’anno della famiglia è anche un’occasione per rileggere l’Amoris laetitia alla luce di una ricomprensione della teologia morale (Christian Hennecke, coordinatore dell’ufficio di pastorale di una diocesi in Germania) e per ricavarne impulsi innovatori per l’insieme della cristianità, evidenziati da Jens-Martin Kruse, pastore della Chiesa luterana.
  • Si offrono riflessioni esperienziali su alcune delle sfide indicate dall’esortazione apostolica: l’accompagnamento delle giovani coppie (Costruire il noi) e l’essere a fianco di persone separate e spesso anche in seconda unione (In punta di piedi)
  • Si presenta l’esperienza del centro internazionale di Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari, in dialogo con i responsabili internazionali, Maria e Gianni Salerno. Un centro che, con un’equipe internazionale di coppie, lavora in rete con le varie regioni del mondo, offrendo aiuto e supporto a molteplici attività nell’ambito della famiglia.
  • Non mancano le buone pratiche: dalla nascita di Consultori di famiglie per famiglie in America Latina alle sinergie creative della diocesi di Fermo nel campo della pastorale familiare, all’esperienza di una parrocchia in Brasile dove l’accoglienza si dimostra vincente anche per l’avvicinamento alla Chiesa.
  • Suggestiva l’intervista al Angelo De Donatis, vicario generale del papa per la diocesi di Roma, sul cammino della diocesi in questi ultimi anni, nell’ascolto del grido della città.
  • Padre Fabio Ciardi omi ci fa scoprire la santità quotidiana e altamente feconda di alcune coppie cristiane mentre padre Roberto Cabello Canalejo fsf, ci dà il cuore della vocazione dell’Istituto dei Fratelli della Sacra Famiglia: essere famiglia.
  • Una riflessione di Aldo Giordano, rappresentante della Santa sede presso l’Unione Europea recentemente deceduto, ci apre su un nuovo volto della Chiesa, quella che si rinnova continuamente per la presenza del Risorto grazie all’amore reciproco.

 




Vaccini: oltre le scelte di campo

Ci sono sempre delle ragioni dietro le scelte che ciascuno compie nella sua quotidianità, ragioni dovute a fattori culturali, familiari, personali. Il dibattito sulla pandemia ha suscitato a volte profonde lacerazioni all’interno delle stesse famiglie, comunità, luoghi di lavoro, gruppi di amici. Un tema importante è stato il fatto di decidere se vaccinarsi o meno e tutti noi siamo stati immersi nella burrasca che ne è venuta fuori.
Presentiamo la testimonianza di Cristina, medico, favorevole alla vaccinazione, che ha però puntato prima di tutto al dialogo con Laura, un’altra collega medico, contraria all’obbligo vaccinale,  riscoprendo l’importanza di vivere prima di tutto per costruire percorsi di fraternità.
«Sono un medico e mi sono vaccinata non solo per proteggere la mia persona ma anche la mia famiglia nei suoi componenti a rischio. Confesso che ho fatto fatica ad accettare chi rifiutava di vaccinarsi, non mi sembrava concepibile che molte persone potessero rinunciare alla possibilità di mettere in sicurezza la propria salute. Man mano mi rendevo conto però che stavo erigendo un muro tra me e gli altri, tra me e i miei amici, i miei familiari. Mi sembrava impossibile dividersi, discutere e sentivo di tradire anche tutti i miei ideali di vita. Ho pensato che potevo fare qualcosa e così ho preso contatto con Laura, anche lei medico, della mia stessa comunità dei Focolari, ma di opinione diversa dalla mia, la quale, giorni prima, mi aveva invitata a seguire online un convegno scientifico con esperti che riportavano molti dati, alternativi a quelli ufficiali, e chiedevano un confronto sul tema dell’obbligo vaccinale, non condividendolo, convegno che però non avevo ritenuto di ascoltare, se non  inizialmente.
Ci siamo quindi risentite ed abbiamo iniziato a parlarci, a raccontarci le nostre scelte, ho ascoltato il suo vissuto con un ascolto sincero e senza pregiudizi. Anche lei, come me, si sentiva schiacciata da questa situazione, dal dolore e dalle difficoltà nell’ambiente di lavoro, dal rischio di essere sospesa, come tanti altri colleghi, solo per non ritenere giusto un obbligo vaccinale per sé (portatrice di patologia congenita a rischio e per giunta già guarita dal covid due volte), e per altri, in particolare per i giovani.
È stato per noi un momento prezioso, le barriere in me erano cadute e abbiamo così potuto scambiarci serenamente alcune informazioni scientifiche, accogliendo ciascuna quanto poteva essere utile per continuare a svolgere il nostro lavoro. Sentivo una grande pace dentro di me, l’importante era continuare ad amare, a volersi bene al di là delle convinzioni personali».
A cura di Patrizia Mazzola



In ricordo di Carlo Casini

Il 23 Marzo 2020, al termine di una lunga malattia, si spegneva Carlo Casini, fondatore del Movimento per la Vita, tra i protagonisti del cattolicesimo italiano, magistrato, giurista, parlamentare, eurodeputato. L’avevano sempre supportato, come sempre durante la malattia, la moglie e i figli, tra i quali anche Marina, che ne ha raccolto il testimone nell’impegno alla guida del Movimento, del quale è presidente nazionale. A due anni dalla sua partenza per il cielo, ne vogliamo condividere il ricordo attraverso le parole della figlia Marina.

«È grande ricchezza il valore che ci muove: la vita umana che è Gloria di Dio! Il valore è vittorioso, ne sono sicuro. […] la lotta per il diritto alla vita non sarà vinta dai politici o dagli organizzatori o dai filosofi. Sarà vinta dai Santi. Perché se ciò che diciamo è vero, allora sulla vita dell’uomo la lotta è tra potenze che ci superano. Essa ha dimensioni trascendenti. Il nemico della gloria di Dio è nemico della vita umana. Come potremo vincerlo con forze umane? Ma come, allora, sperare di vincere se siamo  ̶  almeno io  ̶  così balbettanti sul piano spirituale? Ma stamani, durante la S. Messa […] ho sentito tutta la verità di un linguaggio tipico di un Movimento che a noi è stato sempre molto vicino, il Movimento dei Focolari: “Gesù in mezzo” essi dicono. Possiamo presentarci laicamente e cercare il dialogo con tutti accettando, fin dove è possibile, il linguaggio dei nostri interlocutori. Ma la nostra vera forza è e sarà solo quella che abbiamo sperimentato non astrattamente, ma con le vibrazioni della nostra carne, questa mattina».

Così concludeva mio padre, Carlo Casini, la relazione all’assemblea del Movimento per la Vita italiano il 13 maggio 1990.

Il suo impegno – sempre condiviso con la moglie, Maria, e i figli  ̶    senza soste, ad ampio raggio, sotto ogni aspetto, in Italia, in Europa, ma anche oltre Oceano, era radicato nella convinzione della centralità politica del diritto alla vita; era convinto che la forza è nella verità e non nei numeri; che è indispensabile benevolenza e misericordia verso tutti; che l’impegno per il riconoscimento del concepito come uno di noi non è di retrovia, in trincea, ma sul fronte dell’avanzata propositiva per costruire una nuova cultura della vita; che portare lo sguardo della società sull’uomo concepito rende vero il fondamento dei diritti umani spinti verso derive individualistiche; che il valore della vita è la prima pietra di un generale rinnovamento civile e morale e porta a compimento il moto storico dell’uguaglianza; che stare dalla parte dei più poveri dei poveri (così la Santa di Calcutta chiamava i bambini non nati) significa stare dalla parte di tutti gli ultimi della terra; che esiste una profonda alleanza tra la donna e la vita nascente e che l’amore verso la vita si manifesta in primo luogo con la solidarietà concreta verso le persone: è indispensabile anche la parola che salva e che moltiplica la solidarietà, ma, a sua volta, la parola è resa credibile dalla solidarietà concreta; che l’impegno per il diritto alla vita costruisce ponti per l’incontro e varchi per il dialogo; che il linguaggio e le azioni per la vita devono suscitare simpatia per la verità nella fiducia che il valore della vita è presente, nonostante ogni contraria apparenza, nella mente e nel cuore di tutti; che riconoscere il valore della vita dal concepimento alla morte naturale ricostruisce in termini corretti il concetto di laicità. Diceva: «Chi è contro l’aborto per amore dell’uomo non può non amare ogni uomo» e «Per vedere tutto l’uomo bisogna vedere solo l’uomo». No, non era “attivismo”. «Proprio il Vangelo di oggi – scriveva in una lettera – ci ricorda l’essenzialità della vita interiore: non è l’apparenza che conta ma il cuore che deve restare fisso in Gesù […] Prego il Signore di poter continuare a lottare per la vita fino all’ultimo istante che Egli vorrà concedermi di esistere sulla terra».  E in un’altra identificava «l’impegno “per la vita”» con l’impegno «per l’amore di Dio che si materializza in ogni nuovo essere umano che compare nell’esistenza, fino alla fine».

Nella relazione intitolata “Per Cristo e per ogni vita d’uomo” tenuta il 21 marzo 2014 al convegno promosso dalla Compagnia delle Sante Croci di Brescia sul tema “L’avete fatto a me: la sofferenza interpella l’amore”, si pone alle radici della sua missione civile: «In Cristo tutto l’Universo, in particolare tutta l’umanità, sono riassunti. La liturgia della Chiesa lo ripete: “tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui non è stato fatto niente di ciò che è stato fatto”. Cristo è al centro della creazione. Lo scopo di tutto è Cristo. L’uomo è […] l’opera d’arte di Dio e Dio ha voluto renderla così infinitamente grande da farsi lui stesso uomo finito e sofferente. Il senso della Croce è anche questo. […] Si capisce allora che ogni impegno per la vita è obiettivamente un impegno per Cristo, anche se gli argomenti e le azioni devono spesso non riferirsi a Lui in modo esplicito. Ma si capisce, allora, anche, che l’impegno perché la vita umana sia sempre riconosciuta e accolta si colloca ultimamente ad un livello superiore a ciò che è sperimentabile. Lo ha detto bene, ancora una volta Karol Wojtyla, al termine della sua Enciclica sulla vita. Dopo tanto ragionare alla fine, ricorda la scena drammatica rappresentata nel capitolo 12 dell’Apocalisse dove, di fronte ad una donna che geme nelle doglie del parto, sta un orribile mostro dalle molte teste e dalle molte corna in attesa di divorare il figlio appena venuto alla luce. Parlando della vita e delle aggressioni contro la vita […] si parla del bene e del male nella dimensione dell’assoluto: la vittoria della vita esige perciò anche “una grande preghiera”».

Ecco il senso, tutto il grande respiro, lo spessore, la profondità, lo slancio verso il futuro, l’ampio orizzonte della “battaglia” per la vita e la ricca eredità lasciata da Carlo Casini a tutti noi. È molto bello che il Movimento dei Focolari sia legato a questa storia.

 




È il nostro maestro!!

Constatare quanto siano straordinari gli adolescenti, mi sorprende sempre!
Insegno alla scuola elementare, la mia classe è una realtà veramente speciale. Ogni volta essa si compone come un caleidoscopio, infatti, in base a chi e quanti arrivano a scuola, organizzo le ore di lezione. ( Sono di sostegno ai ragazzi/e di Culture Rom e Sinti).
Avevo finito le mie ore mattutine, quando, incamminandomi verso l’uscita, ho visto venirmi incontro i ragazzi della IV. Mi sono fermato per salutarli; ‘batti 5’ e altri modi con i quali ognuno preferisce manifestare il suo originale saluto.
Le due maestre, sorprese di quel siparietto, rivolgendosi a loro chiedono chi fosse questo signore. “È il nostro maestro!” esclamarono in coro. Rimasi sorpreso da quella loro dichiarazione.
Proprio la settimana prima, avevo sostituito una loro maestra, in classe o nel campetto a giocare, quelle poche ore del pomeriggio a loro erano bastate per annoverarmi tra i loro maestri. Basta veramente poco per far sentire l’altro amato, e i più piccoli lo sanno fare da veri… maestri!!!
Grazie, affiderei il mondo a voi!
Agostino Spolti



Il momento presente

Del film tv su Chiara Lubich L’amore vince tutto mi aveva colpito soprattutto come lei, a causa della guerra, aveva imparato a vivere in pienezza il tempo presente, l’unico realmente suo. Viceversa, il mio modo di vivere era diventato una corsa continua; impaziente con i figli quando dovevo attenderli per accompagnarli a scuola, lo ero anche con mia moglie quando perdeva tempo a prepararsi prima di uscire. Ed ecco – imprevedibile e disturbatore dei miei ritmi – arrivare il Covid-19!

Per giorni ero stato nervoso e agitato, mentre vedevo mia moglie approfittare delle limitazioni dovute alla pandemia per fare ciò che non era riuscita a fare in tempi normali, come riprendere contatti con amiche e compagni di università. Insomma, sembrava felice. Una ulteriore spinta l’ho avuta dal parroco, che in una riunione via Internet ha proposto di sfruttare questo tempo come un’occasione per “fermarsi” con sé stessi e vivere le azioni della vita, anche se ripetitive, come se fossero un capolavoro da compiere

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Il positivo del cambiamento

Mentre passo in rassegna la vita di un intero anno segnato dall’imprevisto della pandemia, ho l’impressione di assistere a un film d’azione che ha ci scombussolato un po’ tutti, genitori e figli. Dover cambiare programmi e ritmo di vita è stato spesso duro, faticoso, ma è anche vero che ha portato una ventata di novità nella nostra famiglia. Ci siamo accorti, infatti, di nuove possibilità di rapportarci fra noi, di bisogni ai quali prima non facevamo caso.

Se con i figli la fede s’era rivelata un tabù (meglio evitare di parlarne!), eccoci ora davanti alle nostre fragilità, a paure di dimensioni planetarie, a interrogativi prima sopiti…

Il vero cambiamento però è iniziato quando ci siamo chiesti il senso di quello che stava accadendo. Abituati ad avere risposte ad ogni domanda, stavolta rimanevamo interdetti davanti al mistero, all’ignoto. In breve, ci siamo trovati più solidali non solo fra noi in famiglia ma abbiamo allargato lo sguardo sugli altri, oltre la nostra cerchia ristretta. Ci siamo ritrovati a considerare l’umanità come una sola famiglia

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Esperienza Parola di Vita ragazzi Febbraio 2022




Un artista e la pandemia

In quanto musicista, questo periodo di pandemia risultava particolarmente disastroso per la mia attività artistica. L’annullamento degli spettacoli e l’insicurezza del domani erano diventati l’unico argomento di cui discutere in famiglia. Mia moglie invece, donna di grande fede, si rivelava in questa situazione più forte di me, al punto che più volte mi sono sentito come il suo quinto “figlio”.

Su questa base, anche i nostri discorsi hanno cominciato a prendere un tono più aperto alla speranza; affrontare un futuro pieno di incognite non mi è sembrato più una mostruosità da cui fuggire, ma una reale opportunità. Quando poi mi è stato offerto di occuparmi in un supermercato, più che la novità del tipo di lavoro mi ha colpito subito la diversa qualità dei rapporti.

Ero stato un uomo applaudito, ammirato, ora ero uno qualunque, come gli altri. Che dire? È cresciuta la mia fede, un tempo quasi appendice ad una vita di successo. Anche il rapporto con i figli è cambiato. Insomma la tragedia che ci ha colpiti è diventata occasione per un nuovo inizio

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Papà a casa da noi

Quando la salute di papà è peggiorata, è stato necessario accoglierlo da noi. Per mio marito e per i nostri figli era la soluzione più ovvia. Le mie sorelle comunque facevano la loro parte per agevolarci le cose. Volevamo ricambiare tutto l’amore che lui aveva sempre avuto per noi figli. Per non disorientarlo abbiamo trasferito a casa nostra il suo letto, la sua poltrona, i suoi quadri; abbiamo perfino applicato lo stesso linoleum nella sua nuova stanza affinché non si rendesse conto del trasloco.

Per tutto ciò abbiamo anche ricevuto critiche da qualcuno secondo il quale la presenza del papà ammalato avrebbe potuto avere conseguenze negative per la famiglia. Io invece replicavo: «Certo si tratta di dare tanto, ma ciò che si riceve è incalcolabile». Tante persone, venendo a trovarci, hanno capito che lui, nonostante le condizioni nelle quali si trovava, occupava un posto importante nella nostra famiglia. Dopo la morte di papà, una signora incontrata per strada mi ha detto: «Vorrei ringraziarla per ciò che ho visto e sentito: questo è cristianesimo»

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Grazie Paolo

Ci ha lasciato improvvisamente il 23 gennaio 2022 Paolo Abati, 75 anni, originario di Sorbolo, in provincia di Parma e da qualche tempo in focolare a Portici (Napoli). Molti gli amici increduli alla notizia che hanno scritto sui social e che lo ricordano con affetto. Era stato in focolare in varie parti d’Italia, da Parma, dove ha conosciuto il Movimento dei Focolari, a Roma, e poi Abruzzo, Grottaferrata, Sicilia e infine Portici (Napoli).

In alcuni suoi scritti lui stesso racconta, con il suo tipico humor, la sua storia, quella della sua famiglia, del suo incontro con il carisma di Chiara Lubich. Ne trascriviamo alcuni stralci:

«Era il primo dopoguerra e, come tutte le famiglie del vicinato, la mia cercava di sbarcare il lunario facendo bastare quei pochi soldi dei magri stipendi di allora. Io portavo tutti i vestiti smessi da mio fratello di due anni più grande di me, ma era cosa comune per tutti i bambini del vicinato. […] Anche se in tutto il “parentado” c’era solo qualche donna che frequentava la chiesa, la parte adulta maschile si vedeva solo per matrimoni, funerali e battesimi, ma non me ne scandalizzavo: era così per tutti. Qualcosa però era entrato e sentivo di voler bene a Gesù, un bene che poi si traduceva nel non raccontare bugie, d’essere obbediente, di fare il dovere di scolaro, non litigare coi compagni oltre all’andare a Messa la domenica. Ricordo una domenica mentre stavo entrando in chiesa per la Messa e, vedendo tutti gli uomini in piazza e nessuno che entrava in chiesa, ho avuto un pensiero nitido: “Io, anche quando diventerò grande, non ti abbandonerò”».

Non volendo più proseguire gli studi, Paolo inizia subito a lavorare, conquistandosi subito la fiducia dei datori di lavoro che lo inseriscono in ufficio. Impara anche il francese per motivi di lavoro. Intanto il fratello maggiore, dopo varie opposizioni da parte della famiglia, entra in seminario. «Questa partenza venne a scombussolare il mio vivere di quel tempo in cui mi si prospettavano nuovi problemi esistenziali: vale la pena di vivere una vita fatta di lavoro, di fatiche, di preoccupazioni, di difficoltà in famiglia e fuori, per che cosa? Tutta questa fatica per chi? Per arrivare al traguardo della pensione con una casa propria (sogno rimasto tale di mio padre) e qualche soldo per fare qualche viaggio con i pensionati benestanti? Quel che vedevo intorno mi diceva che non ne valeva la pena».

Inizia così a leggere Dostoevskij, Tolstoj e altri autori russi, americani e francesi  che gli suscitano tante domande esistenziali. Tutte le settimane andava a trovare il fratello in seminario e vedeva con stupore quanto fosse contento e realizzato in quella scelta. Voleva capirne il segreto. «Nacque così in me il desiderio di scoprire questo segreto ma non sapevo come fare e lui non mi diceva nulla a parole: era una presenza che parlava. Un giorno capii: non posso pretendere di capire stando a guardare da fuori, devo mettermi dentro, e non in modo critico. Detto e fatto. Presi un appuntamento con il viceparroco della mia parrocchia che si occupava dei giovani e chiesi di far parte di un gruppo. Cominciai a leggere il Vangelo e altri libri che mi procuravo o da mio fratello o da questo giovane viceparroco. Mi riavvicinai ai sacramenti e mi buttai in questa ricerca».

In parrocchia conosce un giovane, Marco, che gli porta la rivista Città Nuova e lo invita ad un incontro nel gennaio 1965. Paolo inizia così a frequentare il focolare. Nel dicembre 1966 partecipa a un convegno dove conosce Chiara Lubich. Il mese dopo parte per il servizio militare: anche questa un’esperienza di donazione, di tanti rapporti costruiti, di un clima di serenità e di gioia costruito in caserma che rafforzerà Paolo nella sua futura scelta. «Avevo avuto senza alcun dubbio una grazia straordinaria in quei 15 mesi passati in caserma e ne venivo via con la certezza che l’ideale era vero e che Gesù mi chiamava a lasciar tutto per Lui».

Nel 1969 Paolo parte per Loppiano, nonostante l’incredulità dei colleghi di lavoro e del padre, che comunque gli dà la sua benedizione. Dopo, si recherà a Roma, viaggiando per alcune città del Lazio e in Abruzzo. L’esperienza continua a Grottaferrata, dove aiuterà nella segreteria dei Vescovi. La storia scritta da Paolo si ferma qui. Dopo Grottaferrata, andrà in Sicilia e poi nel focolare di Portici dove conclude la sua vita terrena.

Grazie Paolo per questo tuo percorso nel quale hai lasciato tanto amore concreto per i tanti che ti hanno conosciuto, toccati dalla tua profonda umanità e nello stresso tempo dalla tua fedeltà a quel Dio che hai scelto e per il quale hai vissuto.

Patrizia Mazzola




Un ponte per il Libano: intervista a Elisabetta Mei

In Italia numerosi gruppi di persone, alcuni aderenti al Movimento dei Focolari, cooperano per raccogliere medicinali per malattie croniche e altri elementi di prima necessità in Libano. È un’iniziativa in continua evoluzione chiamata “Un ponte tra Italia e Libano”, che crea reciprocità e incontro tra persone lontane sia geograficamente che culturalmente. Tutto nasce dall’amicizia tra Elisabetta Mei e Danièle Richa, una donna Libanese.

Elisabetta Mei, docente, coordinatrice del progetto “Un ponte per il Libano”, la conosce nel ‘99 quando la ospita un anno a Firenze. Danièle diventa parte della sua famiglia. Oltre che conoscere la bellezza del popolo libanese, Elisabetta inizia a cogliere  le sue contraddizioni: “Prima il Libano era considerato la Svizzera del Medio Oriente, poi la situazione è peggiorata e ho sofferto con Danièle per le problematiche politiche, economiche…”, racconta.

Nel 2020 la pandemia arriva in una realtà già molto delicata. Un giorno, durante il lockdown, Elisabetta chiede a Danièle in videochiamata: “Se fosse possibile inviarti qualcosa, cosa desidereresti?”. La donna dopo una riflessione risponde che la cosa più utile sono le medicine. Attualmente infatti i medicinali scarseggiano, persino il paracetamolo. Spedire delle medicine al pari di qualsiasi altra cosa è molto difficile. Danièle comunque invia una lista di medicinali impossibili da procurarsi in Libano, principalmente per malattie croniche, destinati a persone umili o di ceto medio, molte costrette ad abbandonare le cure.

Elisabetta cerca di capire come raccogliere le medicine in Italia, chiamando farmacie, chiedendo a medici e amici. Capisce che diversi medicinali si possono acquistare, così con una sua amica italiana raccolgono dei fondi e nell’estate 2020 sono pronte a procurarsi le medicine. Per superare il problema della spedizione viene l’idea di intercettare persone che vanno a Beirut ed affidargli i pacchettini di medicinali, secondo le regole vigenti.

Grazie all’aiuto di Carlo Ambrosini, un amico di Viareggio che aveva rapporti con il Banco Farmaceutico, la rete di reperimento delle medicine diventa sempre più efficiente. L’incontro con Anna Ward, amica italiana volontaria del Movimento dei Focolari, sposata con un libanese ma che abitava provvisoriamente a Roma, è stato poi provvidenziale: la sua conoscenza della realtà italiana e libanese ha permesso di contattare tante persone che venivano e tornavano in Libano. Così si cominciano ad organizzare staffette in modo che le medicine arrivino a Roma da Anna, che ne cura l’impacchettamento e l’affidamento a persone che partono per il Libano.

La rete in Libano come quella in Italia si allarga e diventa necessario un coordinamento più ampio. A Beirut sia con associazioni che sostengono pazienti cronici, sia con gruppi di volontari, che censiscono nei quartieri i bisogni dei pazienti fragili e poveri, assumendosi la responsabilità della distribuzione dei farmaci raccolti. In Italia, dopo l’appello del Vicario Apostolico di Beirut Mons. Cesar Essayan per la richiesta di farmaci e latte, con l’aiuto del medico Luigi Triggiano di Arezzo, nascono e si intensificano i rapporti tra la fondazione Giovanni Paolo II e il Movimento dei Focolari, alla cui operatività si è aggiunta la disponibilità solidale dell’Aeronautica militare (dell’UNIFIL) per il possibile trasporto aereo. Una prima spedizione è partita il 16 dicembre 2021 con un carico di medicinali, seguita da un secondo invio il 23 dicembre 2021, contenente alcune tonnellate di latte in polvere per i bambini. L’Aeronautica militare ha garantito 4 voli nell’arco di un anno, il primo a inaugurare il 2022 dovrebbe avvenire entro febbraio. Il contributo dell’APS Nuove Vie Per Un Mondo Unito è stato importante perché l’associazione ha curato gli aspetti organizzativi e tecnici delle spedizioni, fornendo al gruppo una tutela legale e amministrativa.

Si cercano nuove collaborazioni (singoli cittadini, medici, farmacisti, banchi del farmaco ecc..) per la raccolta dei farmaci in altre regioni. Oggi sono dodici quelle coinvolte. Nel frattempo è cresciuta anche la lista dei farmaci richiesti, circa trecento principi attivi, che vengono stoccati a Loppiano con il latte, in attesa di essere spediti.

È un’esperienza comunitaria, ognuno potrebbe raccontare il proprio vissuto. Un’iniziativa di arricchimento reciproco, per i suoi protagonisti in Libano così come in Italia. Le persone dal Libano ringraziano per le medicine ma anche perché non ci si dimentica di loro. “Impossibile per me scordare che Danièle non possa avere delle medicine, così come non lo concepisco per una persona della mia famiglia”, riflette Elisabetta. Attorno a questa iniziativa si sono innescate una serie di azioni pro-Libano: in Campania i gen3 fanno dei gemellaggi o ci sono incontri tra le famiglie via zoom, camminate, giornate di informazione sul Libano. In Piemonte è in preparazione uno spettacolo in piazza sul tema. “Bello il filo diretto nelle regioni – dice Elisabetta – c’è una vitalità incredibile, l’Italia si sta attivando”. Alla mia affermazione, “avete creato una cosa molto grande”, risponde: “Non ci penso che sia grande, penso soprattutto che siamo insieme, c’è unità per lo stesso obiettivo e mi affido”.

Miriana Dante

Leggi gli altri articoli:

Conclusa la campagna di solidarietà per il Libano

Un “Ponte per il Libano”

DAL COLLEGAMENTO DEL 29/01/2022




Stefania ce l’ha fatta!

Si avvicinava il Natale. Stefania mi chiese se l’avrei potuta aiutare a incartare per bene i regalini per tanti bimbi di cui si sentiva “zia” ed io accettai volentieri. Il giorno fissato squillò il telefono. Era Stefania che, desolata, mi avvisava che non sarebbe venuta, aveva un gran mal di gola e andava a letto. Trascorsi alcuni giorni mi arrivò un messaggio: “Mi stanno portando in ospedale”. Tentai di rispondere e richiamare, ma non ricevevo risposta, perciò, attraverso un cugino, riuscii a sapere che Stefania era ricoverata all’ospedale del capoluogo, nel reparto Covid.

Seguirono giorni di silenzio, poi arrivò un mail con la sua foto: Stefania non poteva parlare né muoversi, era con il respiratore e le servivano diverse cose. Mio marito Aldo, era turbato: “Non andrai in casa sua…c’e il virus, e poi in ospedale? Ma sai cosa rischi? Prendi almeno i guanti …e come farai a raggiungere la città e guidare? Non portarmi a casa il Covid”. Lo rincuorai, anche se io pure avevo un po’ di timore; ma Stefania viveva sola, ed ora era Gesù abbandonato e aveva bisogno di tutto, non potevo lasciarla; l’amore non deve temere nulla.

Andai a recuperare le chiavi del suo appartamento, presi alcuni indumenti e con coraggio mi misi alla guida: faticavo, avevo dolori alle gambe, ma nel silenzio andavo avanti e mi sentivo pronta a tutto. Ogni giorno le inviavo messaggi gioiosi, facevo acquisti di cose intime e igieniche, e cercavo di raggiungerla per non privarla dell’indispensabile. Alcune sue amiche mi consegnavano pensieri: era un’occasione per costruire un rapporto amichevole con persone sconosciute.

Dopo vari giorni Stefania iniziò ad alzarsi, a mangiare, e desiderava un pezzo di pane speciale. Un’amica voleva portarglielo, perciò mi chiese come doveva fare; le descrissi il percorso e alcune regole come il Green Pass, ma qui crollarono le speranze: non l’aveva, come pure tutte le altre amiche. Chiara si mise in contatto con me e preparò il pane che Stefania gradiva, poi io l’avrei portato.

L’appuntamento era alla stazione e fu una bella conoscenza, lei giovane ed io anziana; mi chiese se fossi una zia o una cugina di Stefania. No -rispondo – non sono una parente. – E perché allora va? – Io la conosco da quando è nata, ed ora sono una nonna e le voglio bene. Aprimmo così il nostro cuore ad un piccolo dialogo . E’ stato un far nascere Gesù tra noi e ci salutammo con un sorriso.

Dopo alcuni giorni mi giunge un messaggio “Oggi pomeriggio torno a casa! Grazie Carletta!” . Che gioia! Corro a casa sua, appendo nell’atrio dei palloncini colorati e sul tavolo lascio un pensiero di Natale con dei disegni e un dolce, mentre con lo sguardo osservo i vari regali per i “nipotini” ancora sparsi ovunque per la casa, che la “zia” con il tempo avrebbe consegnato; perché ogni giorno è Natale. Chiudo la porta, consegno le chiavi alla vicina di casa e assieme condividiamo questa felicità: Stefania ce l’ha fatta.

Carla




Ciao Michel

Ci ha lasciato improvvisamente il 19 gennaio 2022 Michel Vandeleene. Nato a Bruxelles nel 1957, si era laureato in psicologia e teologia dogmatica presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio), prima di proseguire il dottorato in teologia spirituale presso l’Istituto di Spiritualità “Teresianum” di Roma. Viveva a Rocca di Papa e lavorava presso il Centro internazionale del Movimento dei Focolari.

Lo vogliamo ricordare attraverso un suo articolo scritto di recente per la rivista Città Nuova. L’articolo illustra la mostra del pittore Michel Pochet, in occasione del centenario della nascita di Chiara Lubich, ospitata nel Complesso Museale di San Domenico Maggiore a Napoli.

………

«Adesso devi illustrare il Paradiso di Chiara». Questo richiamo aveva sentito dentro di sé Michel Pochet, il 30 dicembre 2018. Aveva appena ultimato un lavoro durato 7 anni, il cui intento era stato di rendere testimonianza della sua esperienza artistica con Chiara Lubich. Riflettendo su questa, aveva preso ancora maggiormente coscienza di quanto fosse stato segnato e plasmato per anni dal rapporto con centinaia di artisti, pure molto diversi tra loro, tra i quali Picasso, Malévitch, Rembrandt, Leonardo da Vinci… Ognuno di essi l’aveva arricchito, tanto che ora li ritrovava dentro di sé e, volendo raccontare la sua storia, non poteva fare a meno di interpretare delle loro opere.

È la luce del carisma dell’unità, messagli nel cuore sin dall’estate del 1959, che l’aveva reso sempre più sensibile alla bellezza e il suo seguire Gesù, quale primo focolarino francese, l’aveva condotto poi anche a viaggiare in diversi continenti, dove il suo ricco mondo/museo interiore si era ulteriormente allargato».

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Esperienza Parola di Vita ragazzi Gennaio 2022

 




Come uscire dall’oppressione

In poltrona, inerte, ero così giù di morale che non rispondevo alle chiamate. Intanto i coinquilini del piano di sotto, come al solito, stavano litigando. Altre volte avevo cambiato stanza per non sentirli. Ma stavolta mi sentii spinta a fare qualcosa e ricordando che in quel- la famiglia c’era stato un anniversario, presi una bottiglia di vino ricevuta in regalo e in vestaglia com’ero andai a bussare da loro.

Sorpresa, momenti di incertezza, poi mi invitarono a prendere un caffè. Non ricordo cosa ci dicemmo, ma nella gran voglia di parlare che m’era venuta arrivammo alle risate. Di nuovo a casa, mi sentivo diversa: dov’era la tristezza? Mi sentivo “abitata” dal bene

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 6, novembre-dicembre 2021)

 




L’unico che non tradisce

Incredibilmente, un amico di vecchia data aveva su di me e sulla mia famiglia espresso un giudizio causa di incomprensioni nel giro degli altri amici. Non mi davo pace, non ci dormivo la notte. Un giorno, durante la messa, venne letto il versetto di un salmo: «Sei tu, Signore, l’unico mio bene».

Per giorni ci pensai e lentamente si fece strada in me una fede nuova in Dio, l’unico che non tradisce. Quella frase, che aveva avuto su di me l’effetto di un ritiro spirituale, mi aiuta in tanti situazioni. Si presenta qualche contrarietà? «Sei tu, Signore, l’unico mio bene». Vorrei che questa scoperta passasse ai miei figli come legge della vita, come strada di libertà.

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 6, novembre-dicembre 2021)

 




Durante un viaggio

Un lungo viaggio in auto è l’occasione per parlare dei nostri figli. Con rammarico però scopriamo di avere idee contrastanti, rimanendo ciascuno rigido sulle sue posizioni. Cambiamo discorso, ma qualsiasi argomento affrontiamo non ci troviamo d’accordo. Così ci rassegniamo a tacere. Nel silenzio pesante che s’è creato provo un acuto dolore: dopo anni di matrimonio mi sembra di trovarmi accanto uno sconosciuto.

Poi mi attraversa la mente: «Tu vuoi imporre il tuo pensiero perché sei sicura di essere nel giusto, fingi di ascoltare tuo marito. Non ti sforzi per niente di capire le sue ragioni». Lo guardo di sfuggita e lo vedo assorto. Indovino in lui i mei stessi pensieri.

Pian piano ricominciamo a parlare, riconosciamo ciascuno i propri limiti. Ascoltandoci a vicenda, il muro che si era creato fra di noi si sbriciola. Il nostro amore si alimenta e si rinnova nel rapporto personale con Dio e questo riempirà le lacune e i difetti. Quando riprendiamo gli argomenti che prima sembravano dividerci scaturiscono soluzioni impreviste che ci soddisfano entrambi

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 6, novembre-dicembre 2021)




Immedesimarsi nella situazione degli altri

La ragazza col peluche

Lavoro in una comunità che accoglie ragazze straniere vittime di tratta. Un giorno mi viene segnalata una minorenne dell’Est europeo scappata di casa. Quando ho modo di contattarla, mi trovo davanti una diciassettenne dallo uno sguardo triste e impaurito, che abbraccia un piccolo peluche.

L’aiuto a sistemarsi; poi le offro da mangiare, ma lei rifiuta. Cerco di immedesimarmi più che posso nella sua situazione e, pensando di farle cosa gradita, le preparo una cioccolata e gliela porto in camera. Questo gesto scioglie subito il ghiaccio. Lei ha sempre quello sguardo triste quando iniziamo a parlare.

Pian piano, in un italiano stentato, mi racconta la sua storia di povertà e di sofferenza. L’in- domani continuo ad andare a trovarla in camera sua. È sempre avvinghiata al suo peluche e insiste nel rifiutare il cibo. Le chiedo di seguirmi in cucina e mi accorgo che solo se le resto accanto riesce a mangiare qualcosa. Quando la ragazza, dopo mesi, decide di tornare al suo paese, trovo sulla scrivania il suo peluche con scritto «Non mi dimenticare!»

Vaccini e giudizi

Dopo aver parcheggiato l’auto, accompagnai un’anziana, che camminava a fatica, fino al luogo dove doveva vaccinarsi, che era anche il mio. Durante tutto il tragitto, lei non aveva fatto altro che parlar male del medico che l’aveva messa in lista, sfoderando tutta una serie di improperi. Conoscevo quel medico e di lui io avevo tutt’altra opinione.

Ascoltai le rimostranze della nonnina, ma quando lei mi lasciò spazio per parlare le feci notare che in tempi difficili come questi della pandemia i medici si rivelano degli eroi, non si risparmiano, rischiano la vita… Al che lei rimase in silenzio per un po’.

Quando riprese a parlare, ricordò ancora qualche momento in cui non si era sentita trattata bene, ma aggiungendo: «Sì, come lei dice, sono loro che stanno rischiando per noi. E poi so che quel medico ha dei grossi problemi in famiglia». Quando arrivammo a destinazione la nonnina riconobbe di aver sbagliato. Le offrii di prendere il mio posto, e lei: «Forse era necessario questo sbaglio perché lei mi ha insegnato che devo frenare la lingua e non giudicare».

Emarginato

Da pochi giorni ho cambiato azienda. Nel nuovo ufficio non ho tardato a notare, tra i miei dipendenti, un collega emarginato dagli altri, al quale nessuno rivolge la parola e vengono affidate le mansioni più umili, che nessuno intende fare.

Riconoscendo in lui un Cristo sofferente da scegliere e prediligere, lo avvicino con delicatezza e gli affido compiti sempre più di responsabilità, infondendogli fiducia. Qualche giorno dopo una signora bussa alla porta dell’ufficio e si presenta come la moglie di quel collega. Con mia sorpresa vuole conoscere colui che ha fatto sì che suo marito abbia ripreso a dialogare in casa

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 5, settembre-ottobre 2021)

 




Niscemi, la santità dei giovani: Chiara Luce Badano e Santa Scorese

Due “sante giovani” leader dei giovani a Niscemi. Una comunità parrocchiale in festa per ricordare Chiara Luce Badano e Santa Scorese, due giovani cristiane dalla vita esemplare: Chiara Luce Badano è già beata, per Santa Scorese, serva di Dio, il processo di beatificazione è già avviato.

Niscemi, in questi anni, ha dedicato un parco cittadino a Chiara Luce Badano e ogni anno la sua festa liturgica, che cade il 29 ottobre, è un momento importante.

La parrocchia Sacro Cuore di Gesù, guidata dal parroco, don Giuseppe Cafà, ha organizzato la festa, giunta alla sua 10^ edizione, per ricordare la Beata Chiara Luce Badano, con un triduo che inizierà il 26 ottobre per terminare il 29, giorno dedicato dalla chiesa alla memoria liturgica a lei dedicata. Da qualche anno, ascoltando le parole di Papa Francesco sulla “santità della porta accanto”, hanno pensato di “affiancare” alla figura della Beata Chiara Luce, alcune figure di “santi” giovani, talvolta bambini, per fare risaltare la “santità di tutti i giorni”.

Quest’anno hanno invitato a Niscemi Rosamaria Scorese, sorella della Serva di Dio, morta per mano del suo persecutore con 14 coltellate, la notte del 16 marzo 1991 a Palo del Colle in provincia di Bari: per la sua storia, per la sua vita, è in corso la causa di beatificazione. Rosamaria Scorese è a Niscemi per offrire la sua testimonianza.

Il triduo è affidato alla predicazione di don Angelo Galioto, sacerdote della diocesi di Siracusa.

Approfittando della presenza di Rosamaria Scorese e del messaggio forte che la sua testimonianza lanciato dalla sua testimonianza, la parrocchia Sacro Cuore di Gesù, il Comune di Niscemi, i club service femminili, FIDAPA, Inner Wheel, Soroptmist International club di Niscemi, e la comunità del Movimento dei Focolari di Niscemi, hanno organizzato una giornata contro violenza sulla donna presso il Centro Socio Culturale “Totò Liardo” di Niscemi il 26 ottobre. Il programma prevede l’incontro di Rosamaria Scorese con gli studenti del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Niscemi e la sera, un incontro/dibattito aperto alla città, moderato da Paola Sbirziola, psicologa e psicoterapeuta. Partecipano l’attore Nunzio Bonadonna e gli allievi del laboratorio teatrale.

Continuiamo a presentare la figura della Beata Chiara Luce Badano, come modello di Santità “giovane” la quale si affida a Dio in modo completo, totale, ponendo in Lui piena fiducia, accettando la Sua volontà su di lei, nonostante sia stata dolorosissima, dimostrando una maturità superiore alla sua età, quella maturità che coglie l’essenziale del cristianesimo. Lei stessa, dirà che si preparava alla festa per l’incontro con Gesù, scelto come “Suo” sposo, felice di correre tra le sue braccia. La storia della vita della Beata Chiara, lascia dietro di se, una scia “Luminosissima”.

Giovanni Lionti (comunità del Movimento dei Focolari – Parrocchia Sacro Cuore di Gesù Niscemi)

Programma: Chiara Luce Badano 2021- Festa




Come bambini

Come ogni mattina, sono uscito di casa per passare dalla mamma a vedere come stava e a fare colazione con lei. Mi ferma un ragazzo che mi chiede una sigaretta. Gliela do, ma poi lui, un po’ imbarazzato, mi chiede se posso offrirgli la colazione: aveva dovuto pagare il posto dove aveva dormito e non gli bastavano i soldi.

E’ stato spontaneo per me andare subito al bar e fare colazione con lui. Questa semplice esperienza mi ha dato gioia, perché ho potuto farmi “piccolo con i piccoli”.




Tommaso Sorgi è stato un uomo che ha incontrato l’Amore di Dio passando per l’Amore per il prossimo

Tommaso Sorgi è stato un uomo che ha incontrato l’Amore di Dio passando per l’Amore per il prossimo. E’ questa una delle riflessioni, tra le tante impresse nella memoria di chi lo ha conosciuto, che hanno segnato gli eventi per la celebrazione del centenario della nascita di Tommaso Sorgi.

A Teramo il 18 e 19 settembre 2021 è stata dedicata una due giorni alla celebrazione del Centenario della nascita di Tommaso Sorgi (nato il 12 ottobre 1921), evento promosso dall’Associazione Culturale” Il Raggio”, in collaborazione con il Comune di Teramo che ha inserito la manifestazione nell’ambito del programma “Teramo natura indomita”.

L’evento si è sviluppato in tre momenti, ben integrati tra loro:

– sabato 18 settembre l’inaugurazione di un’interessante mostra fotografica (aperta fino al 25 settembre 2021 dalle 17,00 alle 20,00) con immagini e foto della vita di Tommaso Sorgi nei vari ambiti della famiglia, della sua formazione, dell’impegno nel campo sociale ed ecclesiale

– domenica 19 settembre, nella mattinata, la presentazione del libro di autori vari dal titolo Tommaso Sorgi, Sulle orme di un uomo che ha segnato il suo tempo

nel pomeriggio dello stesso giorno un convegno organizzato presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Teramo, di cui Tommaso è annoverato tra i fondatori, e dove ha insegnato Sociologia dal 1966 al 1990.

Personaggio ecclettico, coerente, indomito ma umile, capace di realizzare tante opere sociali per la sua Teramo e, nel suo impegno in Parlamento, di essere firmatario di proposte di legge innovative per il periodo, anticipando i temi di riforme che vedranno la luce solo negli anni seguenti, come ad esempio quella per gli ospedali psichiatrici.

La presentazione del libro su Tommaso Sorgi di fronte ad una platea attenta che ha riempito la sala polifunzionale della Provincia di Teramo, ha avuto un’approfondita relazione da parte di Flavio Felice, professore ordinario di Storia delle Dottrine Politiche all’Università del Molise. “E’ un uomo che ha dato tanto alla cultura teramana, italiana ed internazionale, ha esordito Felice, evidenziando che Sorgi non è “solo” teramano. Il “prossimo” da amare per Sorgi, ha sottolineato Felice, soprattutto dopo l’incontro con il carisma dell’unità di Chiara Lubich, è diventato da un’entità astratta una persona concreta, vicina. Diversi i punti trattati su Tommaso Sorgi: dalla politica come impegno dell’anima, alla teoria sociologica del personalismo metodologico al rapporto, per Sorgi, tra religione e società alla luce del carisma dell’unità, alla persona umana artefice del sociale.

Sono seguiti brevi interventi di alcuni degli autori del volume, con riflessioni a margine della relazione introduttiva: Antonio Lo Presti, Giulia Paola Di Nicola, Attilio Danese, Pietro Cocco, Gianguido D’Alberto, Marcello Mazzoni, Claudio Appicciafuoco, Roberto Ricci, Sandro Melarangelo artista e membro del Partito Comunista perciò “avversario politico” per antonomasia, che, raccontando con emozione la fine della guerra a Teramo, ha avuto per Tommaso espressioni di grande stima.

E’ seguito il saluto di Donna Kempt, focolarina, delegata da Margaret Karram, presidente dell’Opera di Maria, a rappresentarla in occasione dell’evento.

Dopo una visita al bellissimo Duomo di Teramo, con la guida attenta del parroco don Adamo Varanesi, nel pomeriggio il convegno all’Università ha concluso il trittico di eventi nel cuore dell’istituzione formativa della città di Teramo, nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza una platea varia per provenienze sociali e culturale.

E’ toccato a Gino Mecca, curatore del libro, aprire il convegno. “In ogni ambito in cui Tommaso Sorgi è stato impegnato, ha esordito il giornalista teramano, ha lasciato delle tracce importanti: come cristiano, politico e cattedratico. L’elemento unificante delle iniziative realizzate per ricordare Tommaso Sorgi è stato il tempo che ciascuno è chiamato ad attraversare e durante il quale ciascuno costruisce la sua storia. Tommaso Sorgi”, ha sottolineato Gino Mecca, “ha vissuto il suo tempo dall’inizio alla fine, guardando sia Cielo che Terra, due dimensioni mai disgiunte. La sua memoria ci interpella e chiede gesti di amore concreti”. Toccanti gli interventi del Sindaco di Teramo, Gianguido D’Alberto per il quale ci sono persone che possono essere ricordate, e altre che devono essere ricordate e tra queste c’è Tommaso Sorgi, come aveva già espresso con vigore durante la conferenza stampa ai giornalisti, il 10 settembre “in un momento storico nel quale mancano i punti fermi, solidi, stabili, che consentono di abbracciare tutti gli aspetti del vivere civile e del vivere sociale (…). Di Tommaso Sorgi (…) l’aspetto fondamentale (…)aver mantenuto la coerenza dell’essere, dei comportamenti, del vivere quotidiano,(…) in ogni aspetto del suo agire”

Anche per Diego Di Bonaventura, Presidente della Provincia di Teramo, Tommaso Sorgi è un esempio di politico da seguire…”Uno che ha vissuto la politica come atto d’amore; che ha lavorato concretamente per l’altro” ed a cui si è ispirato per le sue candidature e prassi politica.

Il vescovo di Teramo-Atri, Mons. Lorenzo Leuzzi, ha invitato il Movimento dei Focolari a fare un passo in avanti: il mondo ha bisogno di un cristianesimo protagonista, individuando (cfr.Paolo VI) nella politica la forma più alta di carità. Dobbiamo rispondere alle domande della società di oggi a partire dall’esperienza di essere battezzati.

Moderati da Maria Chiara Ferro, docente di Lingua e Letteratura Russa all’Università Gabriele d’Annunzio Chieti-Pescara, i relatori hanno tracciato alcuni aspetti del profilo umano, cristiano, sociale e politico di Tommaso Sorgi. Pietro Cocco, con lo sguardo acuto dell’esperto cronista ha letto la storia del nostro Tommaso sin dalla sua fanciullezza, dalla vocazione ad entrare in seminario a quella di impegnarsi nella vita politica e sociale. Marcello Mazzoni, medico teramano, ha portato in evidenza l’impegno concreto e controcorrente di Sorgi nel settore medico durante i quattro anni in cui è stato presidente della più grande istituzione medica della città abruzzese, con forti innovazioni soprattutto nell’ospedale psichiatrico, segno della forte attenzione per i più deboli.

Iole Teresa Mucciconi, giurista, ha tratteggiato le principali attività di Sorgi nei 19 anni di impegno politico parlamentare, dalla commissione istruzione a quella della sanità, nelle quali ha speso il suo impegno per quanti sono più nel bisogno e per la sua terra. Teresa Serra, docente di filosofia politica e collega di Sorgi per alcuni anni all’università di Teramo, ha colto nella coerenza e nella capacità di saper dialogare con tutti le più grandi virtù di Tommaso, anche nel periodo degli anni settanta in cui la contestazione infervorava gli animi di studenti e docenti. Sorgi ha lasciato un’eredità viva nella società sui temi della democrazia partecipativa. “E’ stata una di quelle persone, ha concluso nel suo intervento la Serra, che è ho avuto il privilegio di conoscere”.

Alberto Lo Presti, docente di dottrine politiche alla LUMSA, nonché collaboratore di Sorgi al Centro Igino Giordani e suo successore alla guida del centro, ha affermato come Tommaso, alla fine del suo percorso lavorativo non si è messo a riposo, come spesso avveniva all’epoca per i grandi uomini politici, ma, con passione e tenacia, ha invece portato avanti tante attività nell’ambito politico nazionale e internazionale, ed ha lavorato al percorso di beatificazione di Igino Giordani. “Sorgi, ha concluso Alberto Lo Presti, è la testimonianza di come si possa far politica attiva, ed ad alto livello, senza alcun attaccamento, pronto a lasciar tutto per “seguire la volontà di Dio”. In ultimo Vitek Vltr, in rappresentanza del Movimento dei Focolari, ha partecipato alla vasta platea come il lascito di Tommaso Sorgi sia immenso: il patto eletto-elettori ha generato, e genera tuttora, esperienze piccole e grandi in tutto il mondo, così come anche il suo contributo alla nascita dell’Economia di Comunione, di cui si presume abbia suggerito a Chiara Lubich il nome, quale espressione imprenditoriale e civile della cultura del dare vissuta da grandi e bambini del Movimento dei Focolari ed oltre. Il seme di Tommaso continua nella vita di tante persone impegnate nell’economia, nella politica, nel sociale.

Come segno evidente dell’impegno concreto per gli ultimi e i poveri, al termine del convegno l’associazione il Raggio, dalle mani del suo presidente Amedeo Lisciani, ha consegnato alla responsabile della Caritas cittadina Anna Di Eustachio, un primo assegno per contribuire alla costruzione della Cittadella della Carità, un luogo dove poter accogliere le persone con difficoltà, creare una nuova mensa ed ospitare coloro che sono più fragili.

A conclusione del convegno, a nome della famiglia Sorgi, la figlia Chiara ha raccontato come il centenario abbia permesso anche alle figlie di riscoprire l’uomo Tommaso, padre, politico, studioso, focolarino. Sorgi aveva la sua città nel cuore tanto da far stampare un timbro Ter-Amo, amore da triplicare e moltiplicare, segno dell’innata vocazione comunitaria della città di Teramo all’impegno sociale per i poveri e gli ultimi. Le celebrazioni per il centenario della sua nascita non potevano concludersi che con un atto concreto, d’amore per la città.

Vedi anche:

https://www.cittanuova.it/tommaso-sorgi-uomo-segnato-suo-tempo/?ms=002&se=005

https://abruzzoweb.it/teramo-centenario-nascita-tommaso-sorgi-luomo-il-suo-mondo-il-suo-tempo-in-una-mostra/




Un modellino innovativo

Ultimo anno di Odontoiatria, il più impegnativo. Dovrei non pensare ad altro per laurearmi in fretta, invece ho accettato di dare ripetizioni a Fabio, che non va bene a scuola, per favorire la madre, una signora incontrata per caso. Gratis, perché le sue finanze non sono buone.

Un giorno in cui faccio ripetizione di scienze al ragazzo, devo spiegargli – guarda caso – proprio i denti. Per fargli comprendere meglio il capolavoro che è il nostro apparato masticatorio, senza rendermene conto m’invento un modellino con un accorgimento tecnico, semplice ma molto pratico per la didattica.

Comunico la scoperta al professore della tesi. Ne è addirittura entusiasta. Non solo, mi propone di illustrarla ad una lezione che terrà all’Università di Caserta, specificando non solo l’aspetto tecnico, ma anche la circostanza che me l’ha fatta intuire. Nei mesi seguenti, mi viene data anche l’opportunità di parlarne a 70 studenti. L’ultima notizia avuta dal prof è che sulla mia scoperta verrà pubblicato anche un libro. E tutto perché ho ascoltato la richiesta di una madre

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021)




La nostra “prossimità”

Quando papa Francesco parla di “prossimità”, sembra che annulli tutte le regole che ci siamo fatti riguardo ad un certo stile di vita. Per lui vale l’altro e la nostra capacità di accoglienza. Ne parlavo una volta in ufficio, contrastato da una collega secondo la quale è proprio questo atteggiamento senza regole che sta rovinando la Chiesa.

La ascoltavo stupito e scoraggiato dalla sua sicurezza nel condannare il Papa, nonostante fosse una donna intelligente e, a modo suo, cattolica praticante. Da quel giorno ho evitato di tornare sull’argomento e ogni qualvolta lei mi attaccava con qualche articolo sul Papa, cercavo di sviare il discorso.

L’altro ieri, al telefono, mi ha avvisato che non poteva venire al lavoro per problemi con la figlia anoressica. Appena ho potuto, sono andato da loro. In effetti, la ragazza rischiava la vita. Mia moglie è psicologa e, con trucchi vari, siamo riusciti a frequentarci. Ora la figlia sta meglio, spesso è a casa nostra. La collega mi scrive un messaggio: «Ora capisco cosa intende il Papa con la parola “prossimità”»

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VII, n. 4, luglio-agosto 2021)