La porta aperta

“Sono stata trattata male!”

Questa la prima reazione a chi mi ha praticamente chiuso il telefono senza rispondere alla mia richiesta di informazioni. Sì subito ho pensato: è come se mi avessero chiuso la porta in faccia, sbattendola pure. Calmata la prima reazione di rabbia, provo a pensare a chi c’era dall’altra parte: un operatore come me, dai toni esasperati, probabilmente esausto per una giornata di continue emergenze, frustrato dalla sproporzione tra le proprie risorse e le continue richieste di aiuto. Questa porta chiusa mi segnala il disagio di un collega, un campanello di allarme per chi è al limite. Chi si preoccupa di lui/lei? Chi si prende cura di chi cura?

Basta pormi da quest’altra prospettiva e la mia porta si riapre, alla comprensione, alla evidente necessità di tutelare la salute psicofisica degli operatori sanitari. Sì le nostre professioni sono iscritte tra i lavori usuranti, ma forse noi stessi, finché non siamo al limite, non ce ne rendiamo conto. Pensando alla mia realtà quotidiana, penso che il primo passo che posso fare è accogliere l’altro così com’è, facendo attenzione ai segnali di stanchezza.

In un incontro svoltosi ad Assisi nel settembre del 2016, il sociologo Bauman si rivolse a papa Francesco con queste parole: «Ho lavorato tutta la vita per rendere l’umanità un posto più ospitale. Sono arrivato a 91 anni e ne ho viste di false partenze, fino a diventare pessimista. Grazie, perché lei è per me la luce alla fine del tunnel».

Penso che qualcosa di simile possiamo dirlo anche noi, specie alla fine di giornate dure, quando vorresti solo lasciarti tutto alle spalle e non ci riesci.

Per aiutarci in questo percorso, trovo convincente ed attuabile, anche nel nostro contesto, l’invito di Papa Francesco a «iniziare processi più che a possedere spazi»(Evangelii gaudium, n. 223).

Cercherò di muovermi nel tempo più che nello spazio, facendo la mia parte per creare occasioni di distensione e clima di lavoro sereno; sono sicura che l’uno così custodirà gli altri.

Paola Garzi




Dio, la nostra roccia

Era una giornata piena di telefonate e lavoro in ufficio. Strilla di nuovo il telefono e dall’altra parte c’e un signore , a me sconosciuto, che chiede una alloggio per una famiglia giovane dell’Ucraina, con un bambino di 3 anni e una coppia di gemelli, nate due mesi fa….in una cantina…

Sto guardando il calendario e vedo che abbiamo affitate tutte le stanze del nostro Centro di Incontri….fino alla fine dell’anno…Mi sembra impossibile e chiedo aiuto a Dio, pensando alle esperienze dolorosi di questa famiglia in fuga. Voglio già rispondere che non possiamo aiutare, ma in cuore mio una voce forte: “No, no ,stai ferma, pensaci sopra” e cosi dico a questo signore, che lo richiamo qualche ora più tardi o in un giorno.

Parlo con la nostra responsabile di casa e troviamo una soluzione impensata. La madre di lei prende questa famiglia per qualche giorno a casa sua e poi, parlando con altre persone, possiamo mettere a disposizione un’alloggio adatto a questa giovane famiglia. In cuore mio sono felice, per me è una esperienza di Natala attuale….

Illes




Partecipazione, autorità e leadership: tre parole-chiave

C’è un filo rosso che attraversa questo numero di Ekklesía e che si snoda secondo tre parole-chiave. Innanzi tutto, l’emergere di una crescente prassi di partecipazione nel cammino del Popolo di Dio.

[…] Tale dinamismo di partecipazione, che con l’attuale processo sinodale mondiale è entrato in una nuova tappa, non abolisce il ruolo dellautorità. Sinodalità e ministero episcopale appartengono ugualmente alla natura della Chiesa, come riconosce anche il cammino sinodale tedesco, benché ciò traspaia ben poco dai media. Con un’efficace immagine Matteo Visioli, il cui articolo fondamentale pubblichiamo in due parti su questo numero (nel Focus e nella Sezione Buone pratiche), paragona il ruolo dell’autorità e quello dell’intera comunità ai due punti focali del colonnato di Piazza San Pietro: non si possono ridurre l’uno all’altro né privilegiare l’uno rispetto all’altro.

Il Cristo Risorto «è presente, tanto nella gerarchia, che guida la Chiesa mediante la struttura sacramentale, quanto nella comunione fraterna di tutto il Popolo di Dio, in particolare lì dove vi sono due o tre riuniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20)». Sta qui una discriminante della sinodalità rispetto alla semplice democrazia: essa non prescinde dall’autorità ma vi rinvia. E viceversa! Una presa di coscienza emersa pure nel dialogo anglicano-cattolico come illustra una breve nota di Callan Slipper e che fa riflettere a Piero Coda sul ruolo anche deliberativo degli organi di comunione.

Terza parola-chiave è il termine leadership che, alla luce di quanto detto fin qui, necessita di adeguati distinguo quando adoperato in ambito ecclesiale. Si tratta di sviluppare uno stile di guida che non sostituisca e mortifichi la partecipazione bensì la favorisca, anzi la sprigioni e la valorizzi. Una leadership di comunione pertanto, come spiega Jesús Morán, che non può essere identica a quella in atto in altre organizzazioni ma deve essere costitutivamente al servizio, e al servizio non solo dei componenti della comunità ma al contempo dell’ideale evangelico, ci fanno capire Eva Gullo e Alberto Frassineti. Una leadership “battezzata” quindi e pertanto pasquale, attraversata dalla reciprocità dell’amore e dalla dinamica del perdere e ritrovare, che spalanca lo spazio al Leader per eccellenza: Gesù, presente col soffio dello Spirito a pari titolo in chi svolge il servizio dell’autorità e nella comunità unita nel suo nome.

Perché, nella Chiesa e oltre (cf. l’articolo di Lucia Fronza Crepaz), si possa sempre più realizzare una simile leadership, ci sono degli atteggiamenti e delle linee d’azione da apprendere (da qui una precisa istanza di formazione!). Ne trattano i contributi di Tiziana Merletti e di Christian Hennecke, ma anche testimonianze di esperienze in atto: il vescovo filippino Gerard Alminaza, don Paolo Comba, parroco nella cinta di Torino, e Giulia Iotti – Roberto Ruini a proposito di un’unità pastorale nell’Emilia Romagna.

Il filo rosso di questo numero di Ekklesía si colloca però in un orizzonte che non può mai mancare e che deve dare l’indirizzo a tutto: la missione. Partecipazione, autorità, leadership, non sono fine a sé e non si possono esaurire all’interno della comunità ecclesiale. Dove queste dimensioni si articolano bene tra loro, si verificano infatti le condizioni per un salto di qualità. Il Vangelo non rimane allora affidato alla testimonianza e all’annuncio di pochi “professionisti”, ma vede soggetto tutti i componenti del Popolo di Dio nella quotidianità e così può penetrare in modo poliedrico e capillare in tutti gli ambiti del vivere umano. Ne parlano, fra l’altro, i contributi della Sezione Testimoni che ci portano in Germania, in Myanmar e in Argentina.

Fa pensare il fatto che questa modalità più partecipativa dell’essere Chiesa raccolga anche aspre critiche ed emerga in un momento in cui il ministero ordinato, a causa dello scandalo degli abusi, vive una crisi di credibilità e una dura purificazione. Non potrebbe essere però che tali travagli facciano parte delle doglie del parto di un nuovo avvento del cristianesimo al servizio dell’umanità intera

Hubertus Blaumeiser

Editoriale Ekklesía n. 17 (2022-4)

 




Il 2022 visto attraverso gli occhi del Gen Verde

Le emozioni e le vicende di un anno indimenticabile

Il riassunto di un 2022 pieno di concerti, workshop, nuove canzoni, tour, città, emozioni, persone ed esperienze indimenticabili, tutto raccontato dalle stesse componenti del Gen Verde.

Anche se il 2022 non è ancora finito, il Gen Verde ha appena pubblicato sul suo sito web un articolo dove ci racconta il suo 2022 pieno di concerti, workshop, nuove canzoni, tour, città, emozioni, persone ed esperienze indimenticabili. Attraverso le parole delle componenti della band, riviviamo le loro ultime vicende, ricche di testimonianze, emozioni e avventure!

Leggi l’articolo completo: https://www.genverde.it/il-2022-attraverso-gli-occhi-del-gen-verde/

Foto dal sito www.genverde.it




Padre ho paura . . . aiutami! La tromba d’aria e la fede di Sr. Angiola

2022/23 FOCUS SU PREGHIERA E UNIONE CON DIO: UN’ESPERIENZA.

Il 19 agosto 2022 i giornali toscani titolano: “Bufera in Toscana: due morti e decine di feriti, centinaia gli evacuati. La Regione dichiara lo stato di emergenza” – “Devastazione dopo il passaggio della tromba d’aria. Si contano i danni: tetti scoperchiati, alberi caduti e stabilimenti balneari divelti”.

Ma, ‘dentro la notizia’ , ormai sorpassata da qualche mese,  Suor Angiola mi racconta qualcosa: qualcosa di più.

Mi sorride con fare cordiale. Gli occhi sprizzano intelligenza e franchezza. Appartiene alla Congregazione delle Figlie di Gesù di Verona, ed ha trascorso una vita a ‘prendersi cura’: della gente, dei ragazzi, della Chiesa:  in Angola, Ruanda, Brasile e varie città italiane. Dal ’97 a Verona nella casa Generalizia, “anima” della  Scuola  Primaria dell’Istituto proprio in centro storico, zona ZTL, tra l’Arena e la Casa di Giulietta.

Ci conosciamo bene, ma Sr Angiola si è avvicinata alla grande famiglia del Focolare molto prima di me.  “Faccio parte del Focolare dal 1967” – confessa orgogliosa. La circostanza decisiva una visita a Loppiano.

Dice lei stessa: “Quel viaggio a Loppiano, mi ha portato a consegnare al Padre quel SI’ che Lui attendeva da molto tempo”. Era una vocazione alla vita religiosa. E una chiamata al Carisma dell’unità. Me ne parla così:

“E’ stato Lui a sciogliere i fili dei miei legami rivelando la sua presenza così vicina da non avere dubbi. Stavo vivendo il periodo della giovinezza quando ci si sente grandi, capaci, e si vuol fare di testa propria. Ma è proprio qui la mia esperienza con Lui, il Padre. Tenerezza e Luce. Pace. Quel giorno, capivo che Egli si era preso cura di me. Lui: quello che sarebbe diventato “il mio Fedele Compagno di viaggio”.

Con uno sguardo eloquente Sr. Angiola mi fa intendere che molte esperienze e vicende si sono susseguite nella sua lunga ‘convivenza’  con Lui.

“Ma la scorsa estate” – afferma con un fremito –  “è accaduto qualcosa che mi ha lasciato senza fiato.  Ero a Marina di Carrara con un gruppo di bambini, vari giovani e adulti per una vacanza spensierata in una delle case della Congregazione. Quindici giorni splendidi e nello stesso tempo formativi, durante i quali i ragazzi hanno goduto tutto quello che avevamo costruito insieme nei mesi precedenti. Un programma semplice che, come sempre, ci tengo a preparare nelle settimane precedenti  con i ragazzi stessi. Quest’anno avevamo scelto di identificarci con gli ‘aquiloni’: i ragazzi erano entusiasti.

I giorni sono passati  in fretta ed improvvisamente è arrivata  la data della partenza. Mi sono svegliata di soprassalto alle quattro del mattino con una strana agitazione. Una sorta di presentimento.  Alle 7:45 colazione per il gruppo. Tutto era pronto e l’animazione per la partenza era alle stelle.

Ma il mio cuore non si calmava.  Ho invocato nel silenzio il Padre: avevo bisogno della sua forza e della sua tenerezza. Sentivo che i ragazzi dovevano partire il più presto possibile pur non capendo perchè. Il cielo era plumbeo e l’aria stranamente sospesa.

D’istinto ho chiesto a Paolo, l’autista del pullman, se era possibile anticipare la partenza visto che il gruppo era pronto. Così, dopo i saluti,  abbiamo iniziato il riordino della colonia e della nostra spiaggia. Io mi sono avviata a rassettare le cabine dove di solito i ragazzi depositavano i loro oggetti.

Ad un certo punto ha preso a sibilare un fortissimo vento: centoquaranta chilometri orari, ho saputo poi. Le raffiche raccoglievano e sparavano palle di sabbia ghiacciata, sassi, ombrelloni, pattini per salvataggio e tutto quello che incontravano.  Mi sono immediatamente rifugiata in una delle cabine tentando di chiudere la porta che, per la forza degli spostamenti d’aria faceva resistenza e sbatteva contro di me… niente da fare…!    Ho gridato. Ho gridato: ‘Padre salvami!’.  Ho afferrato allora  la scopa che avevo portato con me e ne ho infilato il manico nella griglia della porta quasi fosse un ordigno da guerra e sono rimasta così … letteralmente a combattere le spinte per venticinque minuti.

Nel frattempo era salita dal mare una nuvola bianca a forma di tronco di fungo sormontato da una formazione nera che, allargandosi inesorabilmente, aveva coperto la luce del sole. Sembrava notte fonda, un’eclisse surreale. ll pavimento della cabina ondeggiava paurosamente: ‘Padre, Padre aiutami, stringimi a Te, ho paura!’

Gridavo con tutto il fiato che avevo: ‘Non abbandonarmi!’.  La spiaggia era deserta ed io ero sola, in una delle 12 fragili cabine dipinte di verde chiaro. ‘Padre, non ce la faccio più, non ho più forza!’ Gridavo e piangevo. Piangevo e stringevo le mani alla griglia della porta. Mi rendevo conto che Il buio e il rumore del vento non permettevano a nessuno di vedermi o  sentire le mie richiesta di aiuto. ‘Padre resta qui con me, sono nelle tue mani!’

A tratti si sentivano alberi che si spezzavano come stuzzicadenti. La tempesta  sembrava non finisse più. Poi mi sono acquietata. Dentro di me ho cominciato a sentire un senso di consolazione e di pace. La bufera era durata cinquanta lunghissimi  minuti. Il fungo si era inabissato quasi completamente nel mare, il vento piano piano si stava indebolendo. Ho deposto la mia spranga improvvisata. Avevo il fiatone e le nocche delle dita bianche. Ero stremata. Incredula. Mi sono inginocchiata, commossa per la  gratitudine al mio Fedele Compagno di Viaggio.”

Ci siamo abbracciate: grazie, Sr. Angiola.

A cura di Andreina Altoè




Marcello, il gelato di Cancello

Un carretto di gelati rimette in moto la città

Che l’iniziativa sia originale è evidente dai nomi e i relativi gusti dei gelati. Giuseppe Alberti, Marco Claudio Marcello, Manfredi di Svezia, Giovannella Stendardo, S. Alfonso Maria de Liguori, rispettivamente per ricotta stregata, ricotta e pera con glassa al cioccolato bianco, pistacchio variegato al mandarino con glassa al cioccolato verde con mandorle pralinate, fior di latte con glassa al cioccolato e granella di nocciole, fragola, vaniglia con limone e zenzero con glassa alla vaniglia. Lo scrivente, che è diabetico, è costretto a non dilungarsi sull’elenco perché già si sente male al solo dolce e immaginifico pensiero.

I lettori lo avranno intuito da soli: i nomi si riferiscono a personaggi della storia locale che hanno avuto a che fare con il territorio, i gusti sono quelli di un tempo, quando esistevano solo i prodotti a chilometri zero. Ça va sans dire: genuini, naturali, veraci.

Siamo a Cancello Scalo, sei mila anime di una frazione di San Felice in provincia di Caserta, e il principale luogo di ritrovo, la piazza, è dedicata al «Console Romano Marco Claudio Marcello – ci spiega uno degli ideatori dell’iniziativa Enzo Gagliardi – che in questo territorio accampò le sue legioni prima di attaccare le truppe di Annibale a Nola. Nei pressi della piazza c’era la chiesa di S.Pietro in Vinculis, in cui il Re Manfredi di Svevia nel 1255 ricevette gli ambasciatori della città di Napoli in segno di resa. Il castello medievale che sovrasta la collina, dono di matrimonio del Conte Tommaso d’Aquino per la sposa Margherita di Svevia».

L’idea nasce nel ménage familiare. La piazza è vuota, non ci sono iniziative, non è più un luogo di socializzazione, incontri, gioco, chiacchiere.

«Che fai esci?» – chiede la mamma Giusy Lollo al figlio. «E dove vado? – la risposta – in piazza non c’è neanche un gelataio!». Detto fatto. A Giusy con il marito Enzo si accende la lampadina di una nuova idea. Sono impegnati nel volontariato, in un’associazione culturale, ma cosa possono fare per i figli, per il paese, per valorizzare il patrimonio culturale, la conoscenza della storia e dei personaggi locali? Soprattutto per le nuove generazioni perché, chi per lavoro o per studio, lasceranno presto il loro paese.

Ed ecco a voi l’uovo di Colombo: Marcello il gelato di Cancello. Una dolce idea, un gelato artigianale fatto ad hoc da un produttore del luogo con i nomi e i gusti storici locali. Mangiando un gelato si ha un’occasione di andare in piazza, di parlare con gli amici, di passare una serata spensierata e al tempo stesso conoscere le radici della propria città. L’utile e il dilettevole.

Come realizzarlo se non mettendosi insieme, in rete? Ci vogliono risorse, persone e il carisma dell’unità di Enzo e Giusy che coinvolgono le tante associazioni locali impegnate nei campi più disparati, dal trekking al giardinaggio, con un autofinanziamento diffuso senza scopo di lucro per comprare un carretto da gelataio stile anni ’80. In un mese raccolgono la cifra necessaria, ottengono l’autorizzazione sanitaria dell’Asl per la distribuzione degli alimenti e l’entusiasmo di tante persone coinvolte.

L’incasso del venduto, detratte le spese, sarà subito reinvestito in nuove iniziative culturali. A chi generosamente ha partecipato alla sottoscrizione, ha avuto ben 20 gelati gratis. La fattura di acquisto del carretto da gelataio è pubblicata sul sito dell’associazione “Fatti per volare” (https://www.fattipervolare.org/ ) per la trasparenza assoluta che crea fiducia. Da maggio in poi, per tutta l’estate tre sere a settimana, venerdì, sabato e domenica, dalle 20 in poi, giovani e adulti sono stati protagonisti della vendita.

Anche il sacerdote del paese si è messo il grembiule e ha distribuito il gelato. Come non ricordare don Tonino Bello quando scriveva: «Io amo parlare della chiesa del grembiule che è l’unico paramento sacro che ci viene ricordato nel Vangelo. “Gesù si alzò da tavola, depose le vesti si cinse un asciugatoio”, un grembiule l’unico dei paramenti sacri».

La proposta è andata bene, ha coinvolto tante persone, altre frazioni hanno richiesto il carretto del gelato e soprattutto con la vendita sono state finanziate tante piccole serate culturali per valorizzare i talenti locali. La piazza si è allargata e riempita di tavolini, sedie, di nuovo luogo di ritrovo. Si sono esibiti cantanti, attori, musicisti con violino e fisarmonica.

Un’occasione anche per conoscere la canzone napoletana, fare un laboratorio artigianale sui giocattoli in legno e sull’importanza delle api per l’ecosistema, imparare a fare la pasta, la pizza e i biscotti. Insomma, il gelato che promuove la cultura, il bene comune, l’unità nella comunità per dare nuova vita alla Civitas.

Aurelio Molè




Un carisma donato, un carisma vissuto. Gocce di spiritualità per tutti

Sono circa le 14.00 di domenica ed il programma è terminato. Anche il buon pranzo è terminato … ma si cercano ancora piccoli pretesti per non lasciarsi: un cenno affettuoso, uno scambio dei contatti, l’immancabile caffè ai distributori.

Si desidererebbe rimandare la partenza per  fissare nel cuore le emozioni e gli istanti che nel fine settimana  hanno allargato l’anima e fatto brillare gli sguardi. Forse, dire ai ‘compagni di viaggio’  ciò che si prova intimamente, fare un appunto in un foglietto da lasciare alla reception o esprimere verbalmente la propria gratitudine, dà la certezza che è accaduto davvero … E’ così infatti che ci si saluta quel giorno senza dimenticare di accertarsi che tutti ritornino per l’appuntamento successivo.

Dove siamo? Al centro Mariapoli “Chiara Lubich” di Cadine, a Trento. Siamo al termine del primo weekend del percorso ‘Gocce di Spiritualità’  riproposto dal 21 al 23 ottobre dopo l’apprezzamento dell’edizione dello scorso anno. Circa sessanta  persone provenienti da un ampio raggio territoriale: Monza, Ferrara, Bologna, Treviso, Mestre, Bolzano, Rovereto, Trento e altri centri della regione ‘ospitante’.

La proposta trentina di ‘Gocce’, in virtù degli eventi di cui la città è stata teatro negli anni ’40, contiene uno sguardo inedito sulla ‘piccola storia’(cfr. “Memoria e Presente“ di Lucia Abignente):  la vita del Movimento in città, a Trento  nei primissimi anni, quasi una ‘cronaca’  storica ed esperienziale di quel ‘cortocircuito’  che ha immesso, nel tempo, dinamiche inconsuete (oppure ‘nuove’): cortocircuiti appunto (come li ha definiti Giovanni Delama, storico e scrittore trentino nel suo intervento introduttivo).

Se normalmente la ‘causa-violenza’ genera un ‘effetto-violenza’, a Trento il  ‘Tutto crolla’ … ha prodotto un effetto diverso: ha innescato la scoperta che  “Dio ci ama immensamente” …  e una rivoluzione d’amore nelle persone e in città.

“Gocce” ha messo in luce che – se le circostanze sono diverse –  la ‘qualità’ dei tempi di allora e di oggi è molto simile. In questo senso la visita ai luoghi della città che appartengono a questa storia non ha avuto nulla di nostalgico o di distante dai nostri vissuti. Anzi!

Ma, in più, c’è quello che si è creato lì, ‘tra’ i convenuti. Una sorta di contenuto spontaneo di valore aggiunto. Le affermazioni che si colgono qua e là  sono significative. La narrazione dal cuore caratterizza il rapportarsi e il dialogare di quei giorni. Se si potesse stilare una statistica delle espressioni in base alla loro frequenza avremmo in testa gioia e scoperta, ma anche energia, sollievo, consolazione, pace. E poi: esperienza indelebile, polla d’acqua pura, sorgente generosa, rinascita interiore.

Devo dire che mi ha colpito il termine ‘rimedio’ usato con convinzione da una delle partecipanti per definire l’efficacia di ‘Gocce di spiritualità’. Rimedio è una parola che mi piace molto: sa di cura e prendersi cura: anche di sé stessi. Sa di qualcosa di molto umano, non prodotto in laboratorio. E’ rassicurante, guarisce, risana come l’amore, fa ritornare all’ordine naturale della creazione, dell’anima. Fa stare bene e guardare avanti. Dice molto, dice tutto.

Il vangelo si percepisce come attualizzato e anche parlare di ‘fioretti’ perde completamente la connotazione pietistica che …  Ritornare a erano tempi di guerra, incipit di ogni narrazione della storia dell’Ideale, ci dice che questo ‘oggi’ così complicato, frammentato e buio ritorna ad essere il nostro ecosistema di vita – bonifica – . Potere del … rimedio.

Un saluto tra i molti ma al tempo stesso  una promessa è stato “Sempre lì, nella Piazza”. Bello, vivo, vero. Certo, ci si riferisce a Piazza Cappuccini (indirizzo del primo focolare)  ma ora ad ogni ‘piazza ‘ nella vita dell’uomo.

Andreina Altoè

 




Loppiano: “Formato Famiglia” 29-30 ottobre 2022

Il 29 e 30 ottobre si è svolto  a Loppiano il primo week end di “Formato Famiglia”, al quale hanno partecipato 26 famiglie per un totale di 84 persone di cui 26 bambini/ragazzi da 1 anno a 16. Tra queste famiglie 10 hanno inaugurato, con i propri camper,  la nuova area campeggio situata nei pressi del Salone San Benedetto, in posizione centrale per raggiungere a piedi i vari luoghi della  cittadella.

Alcuni camperisti sono già arrivati il venerdì sera e, come si usa fare nei campeggi o nelle aree di sosta, si è subito fraternizzato parlando di camper e di luoghi visitati. Argomento del week end  “L’arte di amare: proviamoci in famiglia”.

Il sabato mattina il ritrovo era presso l’Auditorium: ci siamo conosciuti dicendo i nomi e sottolineando una caratteristica della propria famiglia. Poi la presentazione della cittadella attraverso la testimonianza di Enrico e Daniela Borello, un video di presentazione della cittadella e l’esperienza di un focolarino.

Nel pomeriggio, dopo una tappa all’Atelier di Hung e alla Bottega di Ciro, Enrico, Daniela e Loredana hanno organizzato per i ragazzi un’attività di costruzione casette per uccellini per la quale hanno lavorato di sega, martello, colla e pennello, mentre i genitori affrontavano la passeggiata per raggiungere la Scuola Loreto

Nella nuova “Sala G” Meri Cibra e Maddalena Triggiano hanno  presentato la Scuola Loreto con un pò di storia, un breve video e la testimonianza di una  famiglia ungherese da poco arrivata alla scuola. Grande attenzione e ascolto da parte di tutti.

Santina e Pier Luigi hanno poi introdotto l’Arte di Amare, tema centrale del week end, con parte del discorso di Chiara a Taipei del 1997. I vari punti dell’arte di amare sono poi stati ripresi declinandoli nella vita di famiglia e corredati da esperienze concrete.

Il pomeriggio si è concluso con un invito al dialogo di coppia sulla base di alcuni spunti: “Provate a  raccontarvi di quella volta che avete vissuto uno o più punti dell’arte di amare  e che cosa avete provato” e “C’è un punto dell’arte di amare che vi ha colpito in particolare e che potrebbe essere un passo in più per la vostra famiglia?” Una mezz’ora che è stata molto apprezzata durante la quale le coppie hanno potuto regalarsi un pò di tempo per parlarsi e confrontarsi.

Un momento speciale è stata la cena: un gruppo di famiglie della Romagna aveva dato la disponibilità a procurare e cucinare per tutti piadine con affettati e formaggio squacquerone. E’ stato un vero momento di “famiglia di famiglie”, che ha consentito di conoscerci di più, di intrecciare relazioni più profonde, sia per gli adulti che per i ragazzi che, dopo il bellissimo pomeriggio insieme iniziato con un pò di diffidenza, si sono sentiti tra amici.

Tocco finale della serata è stata la presenza di Lode che ci ha offerto la sua storia e alcuni suoi “caffè” nei quali ha presentato la genesi di alcune canzoni del Gen Rosso poi ascoltate insieme gustandone i testi in modo nuovo!!

La spesa della cena è stata suddivisa tra tutti, con la decisione comune di lasciare per le esigenze della cittadella l’eventuale avanzo, in parte per la Scuola Loreto e in parte come piccola goccia per la riparazione del tetto della chiesa (in totale 408,00 euro).

Un momento semplice ma intenso è stata anche la buonanotte tra i camperisti : davanti ad un bicchierino di mirto, limoncello  o genepy hanno recitato insieme la “preghiera del camperista” scritta da papa Giovanni Paolo II.

La domenica mattina i ragazzi hanno offerto a tutti un momento di risveglio muscolare e poi hanno presentato il frutto del loro lavoro: c’erano fermento e trepidazione perché subito dopo avrebbero  sistemato sugli alberi le casette per uccelli costruite.  Con l’aiuto di un esperto hanno poi percorso il sentiero “Laudato Sii”, ascoltato i rumori del bosco, sperimentato il camminare sull’erba bagnata e altre  piccole esperienze straordinarie che la natura offre e che hanno suscitato in molti di loro una richiesta  ai genitori: “Ma quando ritorniamo a Loppiano?”

Con gli adulti si è ripreso il tema dell’arte di amare con una risposta di Chiara ad un gruppo di religiose, data a Loppiano nel 1989. E’ seguito un momento di comunione e condivisione tra tutti molto profondo curato da Joao e Soraia: alcune coppie hanno aperto veramente cuore e anima e donato esperienze e sentimenti toccanti. Si è creato un silenzio sacro, di profondo ascolto e partecipazione.

Sapevamo di una coppia in difficoltà che da tempo non si parlavano tra di loro: ad un certo punto sono usciti dalla sala e abbiamo visto che stavano parlando tra loro in modo serio e pacato, con qualche lacrima da parte di tutti e due.

Non è stato facile salutarci al termine del week end, perché ognuno sentiva che partiva una parte di sè,  e il distacco era difficile per l’esperienza di famiglia e di gioia vissuta insieme.

Per noi è stata un’esperienza molto bella, ci è sembrato un piccolo miracoletto per il “clima” che si è creato fin da subito. Nei giorni precedenti abbiamo sentito personalmente tutte le famiglie prenotate e quando ci siamo incontrati ci sembrava di conoscerci da tempo e di volerci già bene. Ci sembra che le famiglie cerchino e abbiano bisogno di momenti di stop per ricaricare le batterie, come qualcuno ci ha detto, per confrontarsi e la formula del week end full immersion nella cittadella di Loppiano con un tema specifico possa essere una buona risposta, anche se alcuni aspetti ci sembrano da rivedere e da migliorare.

Santina e Pier Luigi Crocchioni




Quello che ci torna da quel poco che abbiamo donato non ha prezzo!

“Dopo i 2 anni di “pausa” Covid ci sentivamo impoveriti, più protetti tra le mure di casa che fuori. Quanta fatica nel provare a ricominciare…ma incoraggiati dal cammino sinodale e da un invito di una parrocchia, a riprendere un progetto per bambini già fatto per tre anni prima del Covid, abbiamo detto il nostro “si”, grazie anche alla rivista BIG di Città Nuova che ci aiuta.

Abbiamo cominciato a ristudiare un percorso che quest’anno è proprio sulle emozioni, un appuntamento quindicinale sostenuto dalla comunione dei beni della comunità, mentre la parrocchia ci mette a disposizione gli ambienti. Ovviamente questo comporta impegno studio e fatica, anche fisica, e riuscire con le parole a raccontare le nostre emozioni sarebbe riduttivo.

Proverò a farlo raccontandovi quello che è successo a me: proprio ieri abbiamo avuto l’incontro con i bambini che prima non conoscevamo; dopo il laboratorio di lettura mi sono spostata un attimo per prendere velocemente il materiale per cominciare il laboratorio creativo e, nel girarmi, mi accorgo che due bimbi senza essersi messi d’accordo hanno iniziato a correre verso di me e sono venuti ad abbracciarmi forte.

Quell’abbraccio, che ancora fisicamente sento, mi ha sciolto la mente e il cuore! Nonostante la fatica, la stanchezza della giornata, sono tornata a casa piena di gioia perché è stato in quell’abbraccio spontaneo che ho colto il loro dirci grazie per esserci spogliate dal ruolo di “signore “ e esserci messe in gioco, in quell’abbraccio ho colto il grazie per il tempo che stiamo dedicando loro, perché si sentono liberi di parlare , di raccontarsi, di sollevarsi dai propri pesi anche se piccoli, e di giocare in libertà.

Nonostante tutti i nostri limiti sento di dover dire a tutti “rimettiamoci in gioco “, perché quello che ci torna da quel poco che abbiamo donato non ha prezzo!

Un caro saluto dalle “zie “ del laboratorio Isa, Lina,Giovanna, Lina, Maria ,Teresa e Manuela

(Comunità di Andria)




Papa Giovanni Paolo I sarà beato il 4 settembre

Domenica alle 10 e 30 con una celebrazione presieduta da Papa Francesco sarà beato Albino Luciani. Ripercorriamo alcune tappe della sua storia.

Sulle Dolomiti, a Canale D’Agordo, a 976 metri sul livello del mare e a 45 chilometri da Belluno, nasce Albino Luciani il 17 ottobre 1912. Il padre, Giovanni Battista, ogni anno è costretto a emigrare all’estero, in Svizzera, Francia, Germania, Argentina, alla ricerca di un lavoro stagionale come operaio. Ha idee socialiste ed è attivo nel sindacato. Per il suo primogenito sceglie il nome di Albino in ricordo di un collega bergamasco morto sul lavoro in Germania a causa di una colata d’olio.

La madre, Bortola Tancon, è una donna di una fede profonda e educa il figlio a «mettere Dio al primo posto e a pregare». Dopo la Grande guerra, durante la quale patisce un anno di fame, Albino inizia la sua formazione scolastica e cristiana.

A 11 anni, nel giorno del suo compleanno, entra in seminario e il padre gli scrive: «Spero che quando tu sarai prete starai dalla parte dei poveri perché Cristo era dalla loro parte». Il giovane Albino, vivace e allegro, spicca per le sue qualità intellettuali sin dalla prima infanzia e prima del tempo stabilito dal diritto canonico, a 22 anni, diventa sacerdote.

Nonostante studiasse molto, per lui l’essenza del cristianesimo restò sempre quello che gli insegnò la mamma e che si riassume nei tre atti di fede, speranza e carità. A Belluno notano la sua ampia preparazione e sebbene avesse 25 anni diventa vicerettore del seminario e docente di teologia dogmatica per 17 anni. Studi che approfondisce ulteriormente durante la Seconda guerra mondiale alla Pontificia Università Gregoriana con un dottorato in teologia e una tesi su L’origine dell’anima umana secondo Antonio Rosmini.

Fino al 1958 è professore in seminario, studioso, predicatore, giornalista, animatore culturale e protagonista della vita pastorale e di governo della sua diocesi, quando viene nominato vescovo di Vittorio Veneto da Papa Giovanni XXIII. Sceglie il motto episcopale Humilitas, umiltà, tratto da quello di San Carlo Borromeo. A Venezia una ulteriore svolta. Nel 1969 Paolo VI lo nomina Patriarca e nel 1973 cardinale.

Si distingue per la sua attenzione ai poveri, ai lavoratori, ai giovani, ai sacerdoti e per la vicinanza alla gente comune. Dopo la morte di Paolo VI scrive alla sorella Antonia che non avverte il pericolo di poter essere il suo successore. Eppure, in sole 26 ore, è eletto quasi all’unanimità dai 111 cardinali votanti al Conclave.

In continuità con i suoi predecessori, Giovanni XXIII e Paolo VI, e le istanze del Concilio Vaticano II, vuole un ritorno alle radici del Vangelo, una rinnovata dimensione missionaria, la collegialità episcopale, il servizio nella povertà ecclesiale, la ricerca dell’unità dei cristiani, il dialogo interreligioso e con la cultura contemporanea, la giustizia e la pace. Per questo sceglie il nome di Giovanni Paolo I.

Dopo 34 giorni di Pontificato, il conteggio secondo il diritto canonico parte dal giorno dell’elezione, improvvisamente, a causa di un infarto al miocardio, torna alla casa del Padre. Era il 28 settembre 1978. Domenica 4 settembre sarà proclamato beato non perché pontefice, ma per le sue virtù non comuni, per la sua semplicità, nonostante la sua erudizione, perché la santità è imitabile, fatta di gesti quotidiani nel compimento dei propri doveri. Anche da Papa.

Aurelio Molè

 




Concluso il convegno di Cadine: al lavoro, in rete

Il cammino sinodale prende carne e ossa, assume nomi, volti, luoghi: quando il convegno-laboratorio di Cadine – Verso uno stile sinodale: sinodalità perché? – entra nel vivo, e i motori sono scaldati, fiocca la condivisione di esperienze. Sia in plenaria che nei gruppi di lavoro emerge e si condivide la vita che c’è.

In alcuni casi si tratta di anni di paziente tessitura, in altri si muovono i primi passi, ma comune è la sensazione che gli inviti e le riflessioni condivise nei giorni precedenti, in particolare con gli interventi del Segretario Generale della CEI, Stefano Russo sulla realtà della Chiesa italiana, e del teologo Piero Coda sul “discernimento comunitario” siano cascati su un terreno ricettivo. Su menti e cuori che quotidianamente si confrontano con la fatica di costruire rapporti veri, di unità profonda, nelle realtà ecclesiali e sociali in cui operano.

Si passa così al setaccio l’Italia, da nord a sud e isole: con le esperienze di lavoro nei Sinodi diocesani, come in quello recentemente concluso di Matera-Irsina, o quello di qualche anno fa di Bolzano-Bressanone, o quello attualmente in corso della Diocesi di Como. Filo comune si potrebbe dire da una parte “la fatica e soprattutto il lasciarci toccare da una chiesa che ha stili e cammini differenti”, dall’altra l’impegno ad un “ascolto profondo e totale degli altri”, perché “l’esperienza sinodale è soprattutto un’esperienza di unità, non sempre raggiunta, ma certamente ricercata, spesso faticosa e non esente da sofferenza, ma preziosa”.

Un altro percorso condiviso è stato quello di Piemonte e Valle d’Aosta, dove da un gruppetto di 15 “appassionati” per la Chiesa, partecipanti a un corso di formazione nel 2018 è nato un effetto domino che ha coinvolto 450 persone, in una serie di appuntamenti formativi dal titolo “Passione per la Chiesa, speranza per l’Umanità”.

Altre esperienze hanno toccato l’impegno personale o di gruppo, come la collaborazione in un oratorio di Imola; l’incontro con alcune famiglie della Chiesa evangelica presenti nel proprio condominio che ha portato a pregare insieme durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani; di un medico di base che accoglie tra i pazienti persone di ogni cultura e religione; una vacanza estiva con ricadute “vocazionali”, sorta grazie ad una casa canonica messa a disposizione in Val Formazza; la collaborazione e la stima tra movimenti in una stessa diocesi; il dialogo interreligioso con un gruppo di Milano e con Religioni per la Pace a Varese; l’approfondimento della Fratelli tutti.

Sono solo alcuni flash della miriade che potrebbe essere raccontata, per dire quanto impegno c’è già, e quanto desiderio che tutto sia sempre più collegato e in rete, per rispondere meglio ai bisogni che incontriamo.

“Un convegno di questo tipo può aiutarci a formare una nuova “generazione sinodale” – ha commentato uno dei partecipanti; “una bellissima opportunità di unità, di dialogo e soprattutto di formazione che per un giovane come me è fondamentale”, ha scritto un altro. Ma concretamente, a sipario calato, e a zoom spento, come andare avanti?

Un suggerimento arriva da Gianfranco De Luca, vescovo di Termoli-Larino, presente per tutta la durata del convegno, di persona, a Cadine, proprio per sottolineare l’impegno anche dei Vescovi a questa conversione sinodale, definita un’avventura “in cui papa Francesco ci ha coinvolti con una strattonatura”. Per mons. De Luca si tratta di fare “esercizio di una spiritualità sinodale”, per la quale “di solito mancano gli strumenti, mentre è qualcosa che abbiamo imparato dalla prima ora nell’incontro con Chiara Lubich: ascoltare, saper perdere, far spazio all’altro, e così far venir fuori il dono di Gesù. E’ questo che possiamo donare alla Chiesa, testimoniandolo come vita nostra”, perché “il carisma dell’unità è un carisma di popolo a servizio della Chiesa”.

Nella mattinata conclusiva del 27 agosto gli interventi di don Vincenzo Di Pilato e don Sergio Pellegrini hanno provato a tracciare alcune piste. Un filo rosso ha condotto all’incontro di questi giorni, a partire dai primi passi, alcuni anni fa, di quella che sarebbe poi diventata una rete ecclesiale di persone che vivono la spiritualità dell’unità in Italia.

Due parole chiave riassumono questi giorni: “gioiosa consapevolezza” del servizio che si svolge e della chiamata ad animare responsabilmente il cammino sinodale lì dove siamo; necessità di “formazione”, e la possibilità di usare più e meglio alcuni strumenti esistenti, come la rivista Ekklesia, il Centro Evangelii Gaudium (CEG), le scuole per operatori pastorali

In chiusura, i delegati dei Focolari in Italia, recentemente nominati, Cristiana Formosa e Gabriele Bardo, hanno invitato ciascuno dei partecipanti a farsi promotori di questo cammino nei loro territori, senza attendere input o direttive dall’alto. E coscienti che questi percorsi si intrecciano con altri, come ad esempio adesso con l’accoglienza dei profughi afghani per la quale anche i Focolari in Italia si stanno attivando, insieme a parrocchie, strutture ecclesiali e gli altri movimenti.

Si continua, quindi, con più consapevolezza, e – come ha ricordato papa Francesco all’Azione Cattolica – sempre sotto la guida dello Spirito, perché “la sinodalità non è guardarsi allo specchio. Non è guardare la diocesi o la conferenza episcopale. Non è questo. È camminare insieme dietro al Signore e verso la gente, sotto la guida dello Spirito Santo”.

Maria Chiara De Lorenzo

VEDI ANCHE:

https://www.focolaritalia.it/2021/08/25/percorsi-sinodali-per-litalia/

https://www.focolaritalia.it/2021/08/25/la-parola-allo-spirito-santo/

https://www.focolaritalia.it/2021/08/23/verso-uno-stile-sinodale/

Video intervento Piero Coda




Una domanda che si ripete

«Dio, dove sei?», mormorava piangendo un’anziana profuga ucraina. Quando le ho offerto un tè caldo, ha voluto prima stringermi la mano. «Vedi, figlio mio, la guerra ci mette in ginocchio… Tutti appaiono nemici. Ho perso un figlio, mio marito è rimasto in ospedale, i nipoti fuggiti con la madre non so dove siano. Chi rimetterà insieme la famiglia?

Ero bambina ai tempi della Seconda guerra mondiale ed ero convinta che certe scene non le avrei più riviste… Ed eccoci nella stessa brace di odio. Dio vede queste cose? Gli arriva il pianto dei bambini?».

L’ho aiutata a prendere il tè. Non sapevo cosa dire. Cosa dire quando regna l’assurdo? Piangere con lei era consolatorio anche per me. Eppure in quel mare di disperazione la sensazione che siamo un’unica famiglia era forte. Sì, come dice papa Francesco, siamo tutti nella stessa barca. Come me sono tanti i giovani che hanno lasciato la scuola o il lavoro per mettersi a disposizione dei profughi, senza altro progetto che star loro accanto, in silenzio. E veramente non c’è altro che si possa fare

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 4, luglio-agosto 2022)

 




Il campanello della scuola

Oltre la separazione tra vita spirituale e vita lavorativa.

Esperienza di Stefano Pilia tratta dalla rivista Ekklesia 2022/3

L’autore, insegnante e padre di famiglia, si riferisce alla meditazione di Chiara Lubich che apre questo numero:L’attrattiva del tempo moderno. Sin da ragazzo ha visto nelle parole dei primi versi – «penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo» – un orizzonte di spiritualità affascinante: vivere profondamente la spiritualità evangelica e avere come prospettiva la quotidianità, l’ordinarietà della vita.

 Quando a soli 22 anni ebbi il primo incarico di insegnamento della religione in una scuola media, ricordo che, in un consiglio di classe, affrontammo il caso di alcuni ragazzi problematici e delle loro famiglie (altrettanto problematiche): rientrando a casa ebbi la netta – gioiosa – sensazione che il servizio educativo fosse un veicolo potente per entrare in relazione con i colleghi, i ragazzi, genitori. Un modo per far passare uno stile di relazioni fondato sull’accoglienza, l’ascolto, la prossimità, l’accompagnamento. Un modo per condividere le piaghe e le difficoltà sociali dei ragazzi e delle famiglie. Quella gioia era data dalla percezione, luminosa, che ciò che stavamo facendo per il bene di quei ragazzi, quelle ore passate a cercare soluzioni, mi unisse anche profondamente a Dio dispiegando con chiarezza il mio dover essere.

[…]

Nel secondo capoverso di questo testo, la Lubich parla di un perdersi nella folla, per informarla del divino usando una metafora efficacissima: come s’inzuppa un frusto di pane nel vino. Ho sempre intravisto in queste parole e in quelle che seguono: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità, segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie, una sorta di “metodo” – nuovo – di evangelizzazione; metodo che segue propriamente la condizione del laico cristiano e spiega meglio la sua indole secolare.

Lo spiego con le parole di un documento-sintesi per la teologia del laicato, la Christifideles laici di Giovanni Paolo II, scritta nel 1988: ai laici viene affidata una vocazione intramondana, perché chiamati dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo. Un “luogo” non visto come dato esteriore e ambientale – continua il documento – bensì una realtà destinata a trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato perché è nella realtà mondana che Dio rivolge loro la sua chiamata (n.15).

Una via di ascesi laicale

Chiara Lubich ha scritto questo testo nel 1958, prima del Concilio e ben prima degli approfondimenti che a livello magisteriale hanno seguito le intuizioni conciliari sulla teologia del laicato, prova che lo Spirito Santo era all’opera – in virtù di quell’ufficio profetico ricevuto nel battesimo, ma ancor più per un dono carismatico che nella Lubich Dio offriva alla sua Chiesa e al mondo.

Questa comprensione del laicato della Lubich mi porta alla memoria un altro episodio che è stato davvero decisivo per la mia vita personale. Il 25 febbraio del 1989, non avevo ancora 28 anni, in un convegno a Castel Gandolfo, Chiara rispose a una mia domanda proprio sul rapporto fra impegno lavorativo e vita spirituale: fu una pioggia di luce! Facendomi notare che la distinzione netta fra vita spirituale e lavorativa, in sé già evidenziava una separazione fra i due piani che sicuramente andava (da me) armonizzata, delineò quella che, personalmente, ho sempre definito una “via di ascesi laicale del quotidiano”.

Tra l’altro mi disse: Voi non dovete, per farvi santi, obbedire al campanello della superiora o del superiore che chiama alla preghiera. Voi dovete obbedire alla sirena della fabbrica, al campanello della scuola: quello è il vostro campanello. E precisò: La campanella del superiore cappuccino dice la volontà di Dio per il frate di andare a pregare; la sirena dice la volontà di Dio per quell’operaio: di andare a lavorare. Ma è volontà di Dio. Del resto, Gesù per trent’anni ha lavorato, non predicato. […] Quindi dovete vedere il vostro lavoro tutto nuovo. Sarà pesante, lo capisco, sia come lavoro, sia come rapporti. Ma è lì che vi santificate, […]: quello è il vostro crocifisso missionario con il quale voi vi santificate: la penna per il professore, lo scalpello per lo scultore. Quindi buttarvi dentro senza nessun dubbio.

Un rovesciamento di paradigma

Spesso, nella storia della Chiesa, nello sforzo di aiutare i fedeli a incarnare la spiritualità evangelica, i Padri hanno avuto come paradigma proprio l’ascesi della vita monacale e della vita religiosa di coloro che, per scelta, si erano consacrati a Dio: i laici sembravano dover come “adattare” (almeno il più possibile) quelle modalità ascetiche, comunitarie e personali, alla vita di famiglia o alla vita nel mondo.

Nelle parole che ho appena riportato e che mi riguardano personalmente, noto un rovesciamento di paradigma. Chiara ha sottolineato una via alla santità che è intrinsecamente legata alla vocazione laicale. Una via originale, scandita dai tempi della quotidianità, che usa metodi e strumenti propri, altrettanto efficaci per un’ascesi personale, coniugale, del mondo del lavoro, tipiche di una vocazione intramondana. Per un dono speciale di Dio, Chiara ha come sdoganato la via alla santità: non strappandola ai conventi e alla vita religiosa che rimangono sempre un punto di riferimento per i diversi carismi che Dio distribuisce alla sua Chiesa e al mondo, ma mostrando che è prima di tutto l’adesione a Dio che può trasformare la persona dal di dentro e, per la fedeltà alla chiamata di ciascuno, trasformare la storia umana.

Personale risposta a Dio,
con gli strumenti del quotidiano

Posso dire che guardare sé stessi, la propria realtà familiare e lavorativa, con la prospettiva di cui ho appena parlato, ha dato un significato completamente diverso alla mia vita individuale, coniugale, relazionale, professionale. Non so se, come dice la meditazione, ho mai segnato sulla folla – quella della mia quotidianità – ricami di luce, ma confermo che questo rimane il mio profondo desiderio, la mia risposta personale a Dio, con gli strumenti del mio quotidiano: la penna, i libri, la cultura, lo studio, le relazioni umane e professionali. Sicuro che, come dice Chiara: l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi, è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare: Gesù e Maria, il Verbo di Dio, figlio d’un falegname, la Sede della Sapienza

Leggi l’articolo completo sul nuovo numero di Ekklesia sulla generatività.

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La santità della porta accanto

 Maria do Sameiro Freitas

Uno dei documenti più espressivi del pensiero di papa Francesco è l’esortazione apostolica del 2018 Gaudete et exsultateche propone la santità come dono di Dio a ogni persona nella sua vita di tutti i giorni: la santità della porta accanto, appunto!

Il presente numero di Ekklesía non si propone di presentare o studiare il documento già abbondantemente approfondito in altra sede, ma si pone nel solco delle prospettive ivi tracciate, prendendo in considerazione due filoni del pensiero sulla santità venute in rilievo con il Vaticano II: rovesciare la mentalità che ci sia solo un’élite di persone chiamate alla perfezione – difronte ad una massa che non lo è – ed esplorare la dimensione quotidiana e comunitaria della santità, come presupposti della riuscita dell’attuale processo sinodale mondiale.

  • Si parte da una riflessione del biblista Gérard Rossé, che rilegge alcune pagine delle Scritture sulla chiamata alla perfezione (in particolare quella del giovane ricco secondo Mt 19, 16-22) proponendone una rilettura in sintonia con tutto il contesto del Primo e del Nuovo Testamento.
  • Theo Jansen ofm capp e Carlos G. Andrade cmf ci offrono un succinto excursus storico, cercando di capire l’evoluzione del concetto di santità lungo la storia della Chiesa fino al Vaticano II e ai nostri tempi.
  • Un pioniere della santità per tutti è Igino Giordani, prolifico scrittore che ha tanto studiato i Padri della Chiesa e che già prima del Vaticano II si è fatto promotore di una santità di popolo. Ce ne parla Elena Merli.
  • Jens-Martin Kruse – pastore e teologo luterano che ci ha ormai abituati alle sue riflessioni molto concrete – riflette sulle sfide e opportunità della sequela di Gesù nel mondo di oggi.
  • L’esperienza di Domenico Mangano, servo di Dio, raccontata da Fabio Ciardi omi, ci apre a una santità nella vita pubblica, impegnata in politica, mentre Stefan Pilia ci narra come anche il campanello di una scuola possa essere tra gli strumenti di una santità laicale.
  • L’intervista al João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per la vita consacrata, ci mostra come la Chiesa sia attenta ai segni dei tempi e cerchi di aprire il suo pensiero per rispondere alla realtà che trova lungo i tempi.
  • In un periodo in cui l’Europa è alle prese con una nuova crisi causata dall’arrivo di rifugiati, nella sezione Buone pratiche abbiamo due testimonianze forti di accoglienza: in Olanda, a rifugiati ucraini, da parte di qualcuno che ha vissuto gran parte dalla sua vita in Russia; a minori non accompagnati da parte di famiglie italiane; la terza esperienza ci racconta la vivacità di una parrocchia in Brasile, frutto dell’interazione tra adulti e giovani che lavorano e costruiscono insieme progetti e iniziative.
  • Nella sezione Testimoni presentiamo la figura di san Francesco di Sales, che già 400 anni fa propugnava una santità del quotidiano e quella di Valeria (Vale) Ronchetti a 10 anni dalla sua morte. Molto espressiva la testimonianza del futuro cardinale Lazzaro You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il clero, in un’intervista su “Il sacerdote oggi: uomo del Vangelo e del dialogo”.
  • Una novità che ha inizio con questo numero è la sezione dedicata al Percorso sinodale in cui tutta la Chiesa cattolica è impegnata dal 10 ottobre 2021. Si presentano alcune esperienze di sinodalità e in particolare Teo & Kery, due personaggi in fumetti creati da Agostino Spolti per accompagnare i più giovani nel Percorso sinodale.



“Immagini d’estate”. Buone vacanze!

“Immagini d’estate” di Dori Zamboni

Ai primi calori d’estate si aspira ad uscir fuori dal cemento e dal traffico di città. Persino il cielo e il sole sembrano più belli fuori dall’abitato.

Ero in viaggio: nel nord d’Italia mi fermai alla ricerca di un angolo di quiete vera, perché anche nei boschi, in campagna, le radioline e le motorette ti perseguitano.

Dovetti girare molto prima di trovare. Scorsi un piccolo angolo verde, ombreggiato, al limite di una strada senza sbocco. Quale distensione al contatto con l’erba! Osservavo un bottone giallo, davanti al mio viso, tutto ritto sul suo stelo, un fiore semplice di cui non conosco il nome. Un insetto si posò lievemente sulla sua corolla e con le zampette si fece strada per poter penetrare fin nel cuore e succhiare.

Riflettevo quanto era docile quel fiore che si lasciava mangiare, dal primo insetto di passaggio, tutto il meglio di sé, ciò che con la cura di tutta la sua esistenza aveva prodotto ed immagazzinato. Mi accorsi come noi uomini siamo diversi, così poco in accordo con la natura, col creato tutto.

La natura vive la legge dell’amore e del dono, non immagazzina, non tiene nulla. Non solo dà, ma si lascia prendere. Mi trovai a fare un esame di coscienza e mi vidi tanto lontana.

[…]  Nella natura tutto ha un fine: il fiore si lascia succhiare, ma solo così è moltiplicato. Se noi pure ci donassimo nello spirito a chi ci viene accanto, come le piante, chissà cosa accadrebbe. Se le mie conoscenze, il mio studio, le mie scoperte, le mie capacità, il mio buon umore li offrissi, li lasciassi prendere da chi vuole, tutti accrescerebbero le proprie capacità.

La natura è un tutt’uno, tutto è il rapporto d’amore con tutto, riceve perché dà […]. Anche gli uomini sono un tutt’uno, un corpo: l’umanità. Non è vero che si perde, donando. Forse che un padre, un maestro è menomato se comunica il suo sapere al figlio, al discepolo? Anzi, si realizza!

Così è in tutti i rapporti umani, anche se a tutta prima non sembra: può sembrare una perdita ed è un guadagno. Come il seme che diventa pianta solo se accetta di andare sottoterra di annientarsi. E’ una legge così difficile da realizzare per noi uomini; eppure, se una volta provassimo con costanza, ne vedremo gli effetti.

Chi ama domina, si espande senza imporsi e senza armi.

Dori Zamboni, Il dialogo delle ginestre, Città Nuova, 1992, pp.105/107




Egli è vivo

In occasione di una tombola parrocchiale, ho vinto Egli è vivo, un libro che parla della presenza di Gesù tra quanti sono riuniti nel suo amore e dove gli autori spiegano che la condizione per vivere bene con gli altri è una relazione di carità senza interessi, senza pregiudizi.

Libri come quello non ne avevo mai letti, ma con la pandemia me lo son trovato tra le mani e, pagina dopo pagina, mi si è confermata l’idea che era il tassello mancante per comprendere la Chiesa, la mia stessa vita e come vivere in modo costruttivo.

Quando si parla di cambiamento di mentalità, sembra che sia necessario acquisire nuove idee; invece per me si è trattato di perdere tante convinzioni che mi ero fatto fin dai tempi della scuola, al lavoro e nella militanza in un partito.

Ora sì ho il mio punto di riferimento: non è una dottrina, è una strada che non conosco bene, ma che è sicura: Gesù. Hanno notato il cambiamento non solo mia moglie e i figli, ma anche tanti amici della nostra grande cerchia, che ora sono interessati a sapere cosa mi succede. Tutto concorre al Bene.

Serafino – Italia

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 3, maggio-giugno 2022)




Disorientamento

Con la comunità parrocchiale ci eravamo messi a servizio dei poveri della città: un’azione che, coinvolgendo l’intera nostra famiglia, manteneva vivo il senso del nostro essere cristiani. Purtroppo, da quando è iniziata “l’apocalisse” dei misfatti compiuti da persone di Chiesa, giorno dopo giorno le dolorose rivelazioni di abusi ci hanno fatto sentire defraudati di un bene.

I figli, ormai tutti e due maggiorenni, si sono allontanati dal servizio che prestavano. Quanto a me e mio marito, ci sembra di vivere su sabbie mobili. Nella nostra esistenza di credenti si è insinuata una crisi che non immaginavamo: le basi sicure, i valori certi in cui abbiamo creduto assieme a molti, sembrano vacillare.

In occasione della giornata dei poveri, papa Francesco ha detto che il dolore di oggi è la speranza del domani e che sanare le ferite di oggi mette le fondamenta di un futuro migliore. Dietro la spinta di queste parole ci siamo impegnati a vivere secondo lo “stile di Dio”. Pare si stia aprendo un nuovo orizzonte

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 3, maggio-giugno 2022)

 




La vittoria più grande

Con le restrizioni della pandemia che mi avevano costretto a lavorare a casa, fumare per me era diventato un problema. Per amore di mia moglie, convalescente dopo un intervento chirurgico, ho deciso di smettere.

Non è stato facile. Ma ogni giorno mi è sembrato di scoprire in me possibilità non ancora sperimentate. Penso che la vittoria più grande sia stata quando nostra figlia minore ci ha confidato che con le compagne di classe era entrata in un giro di droga: «Vedendo l’impegno messo da papà a vincere la dipendenza dal fumo, mi sono impegnata anche io a non usare certe sostanze».

Questa confessione mi ha messo in crisi: quante volte avrei potuto fare dei passi che non ho fatto? Da un colloquio con la preside della scuola frequentata da nostra figlia, ho saputo che il problema era più esteso di quanto sembrasse. Invitato da lei a incontrare altri genitori con problemi simili, ho accettato. Con loro non si è parlato tanto di droga quanto dell’esempio che possiamo dare ai nostri figli. È nata tra tutti un’amicizia che ci sostiene e che ci ha aperto gli occhi.

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 3, maggio-giugno 2022)

 




Cene-dialogo

Papa Francesco parla di sinodalità, di cammino insieme… Siamo una famiglia credente, abbiamo letto il documento preparatorio con i nostri due figli ormai adulti e abbiamo concluso che, perché sia valido l’impulso che il papa vuol dare alla Chiesa, dobbiamo cominciare da noi stessi.

Preso quest’impegno, una sera a settimana ci ritroviamo a cena per verificare cosa abbiamo fatto a riguardo. Non è stato affatto semplice cominciare, sia per i vari programmi di ciascuno, sia perché andare in profondità nei rapporti di famiglia esige una nuova misura di misericordia e volontà di ricominciare.

Anche se sono passati solo pochi mesi, il risultato è che tra noi si è raffinato il modo di comunicare. Dacché il figlio maggiore ne ha parlato a un amico che ha chiesto di prendere parte alle nostre cene, la serata cominciata soltanto in famiglia sta vedendo un numero crescente di persone con le nostre stesse esigenze di contribuire a un mondo migliore. Il papa, aiutando le famiglie a trasformarsi, sta trasformando il mondo.

D.L. – Italia

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 3, maggio-giugno 2022)




Mensa aziendale

Lavoro da tanti anni in un’azienda dove mai avevo avuto il coraggio di manifestare la mia fede. Ritrovo comune la mensa, fra discorsi in genere superficiali. Quella volta però ho colto l’occasione di dire qualcosa di diverso dando l’annuncio che mio figlio aveva fissato la data del suo matrimonio e che io stavo già pensando al discorso che mi sarebbe toccato fare al brindisi.

A chi, incuriosito, ha voluto sapere che cosa avrei detto, ho risposto così: avrei augurato agli sposi di vivere l’impegno preso, facendo crescere l’amore attraverso tutti gli avvenimenti della vita, dolorosi o gioiosi.

Vedendo aumentare la curiosità, ho aggiunto che in base alla mia esperienza non era tanto importante affermare le proprie idee, quanto essere capaci di accogliere sempre l’altro anche se crediamo di conoscerci; di aiutarsi nelle difficoltà e gioire insieme dei successi… che la sacralità del momento era dovuta all’inizio di un cammino di realizzazione umana e spirituale che determina tutta la vita.

Detto ciò, s’è creato attorno un grande silenzio, seguito poi da un applauso

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 3, maggio-giugno 2022)




Saper perdere

La pandemia aveva gettato tutta la famiglia nell’insicurezza. Mia moglie aveva sul comodino un libretto di Chiara Lubich dal titolo Saper perdere e mi diceva che questa lettura le dava forza nel saper rinunciare ad ogni progetto e programma. Ogni giorno mi raccontava come si era comportata in una certa situazione e come aveva fatto per sfruttare anche il negativo.

Comunicarci il vissuto fra noi è diventato quasi una necessità e col tempo ci siamo resi conto che il Vangelo insegna soprattutto a non essere condizionati da ciò che sappiamo o vogliamo, ma a stare al progetto di Dio. A tavola abbiamo raccontato ai figli quello che ci comunicavamo.

Al che il più grande, amante delle filosofie orientali, ci ha citato una frase del Dalai Lama: «Quando perdi, non perdere la lezione». Giorno dopo giorno, nonostante la situazione creata dalla pandemia, la nostra famiglia ha preso a muoversi su un binario diverso: eravamo più attenti alla vita, a quello che accadeva. Anche quando le cose sono andate meglio, questo scambio non è terminato. Avevamo imparato la lezione.

 

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




La carità che ci unisce

Con il signor Walid, mussulmano, il rapporto è molto buono già da diversi anni. Giorni fa l’ho visto arrivare in parrocchia: desiderava lasciare un contributo in denaro per i bisogni della comunità e in quell’occasione mi ha chiesto di ricambiare il dono andando a cena a casa sua. Ho accettato con gioia.

Una cena semplice, quella offertami, in una casa piuttosto ricca. Ho conosciuto la moglie italiana e i quattro figli, che il papà vorrebbe fossero educati secondo la cultura del nostro Paese. Ho avuto modo, senza averlo neppure previsto, di raccontare qualcosa della mia vita, del distacco dalle ricchezze e specialmente l’esperienza della comunione dei beni che cerco di portare avanti insieme ad altri cristiani.

Ad un certo punto l’ho sentito commentare: «Dio è con voi». Al momento di salutarci, accompagnandomi al cancello, ha aggiunto: «Se conosce qualche famiglia che si trova in difficoltà, me lo dica. Anch’io posso impegnarmi a versare un contributo mensile»

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Fare tutto insieme

Per evitare i danni di troppa tv ai nostri bambini, più che obbligarli a spegnerla, ho capito di dover imparare a “perdere tempo” io con loro, proponendo altre attività. Anche se questo avrebbe richiesto un maggiore impegno. Dopo averne parlato con mio marito e con loro, abbiamo deciso di dedicare ogni sera a un’attività diversa: lunedì per scrivere, dipingere; martedì per giocare insieme; mercoledì tv; giovedì fare ordine in casa, venerdì passeggiata ecc.

Scopriamo giorno per giorno che abbiamo tanto da imparare per aiutare i figli a crescere, calandoci nella loro realtà. Da quando abbiamo cominciato così, vedo che i bambini aspettano quel momento per scrivere o leggere una storiella, per sistemare i cassetti, i giocattoli, e sono felici di farlo insieme.

Quanto alla sera- ta tv, dopo alcune settimane il nostro primogenito ha proposto di dedicare piuttosto quella serata a cucinare insieme. Così al posto del film ci divertiamo a preparare la cena, tutti con le mani infarinate e unte. Fare tutto insieme, perfino le pulizie, diventa occasione di gioco

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




L’ex preside

Un giorno, per strada, incrociai il preside dell’istituto dove insegnavo: proprio lui che tempo prima, con un pretesto, mi aveva licenziato. All’epoca era ancora sacerdote, poi aveva lasciato il ministero e si era sposato. Quando mi riconobbe, cercò di evitarmi, ma io gli andai incontro. Per rompere il ghiaccio gli domandai sue notizie. Mi disse che viveva in un’altra città, sposato con una vedova madre di due figli, ed era venuto in cerca di lavoro.

Ottenuto con difficoltà il suo indirizzo, ci salutammo. Il giorno dopo, tra i miei amici sparsi la notizia che stavo cercando un lavoro di un certo tipo per uno che ne aveva bisogno. La risposta non tardò e mi venne segnalato qualcosa che poteva rispondere a tale richiesta. Presi tutti i dati, andai a casa di quell’ex-sacerdote. Quando seppe di una offerta di lavoro, quasi non riusciva a crederci! Lo accettò profondamente grato e commosso che proprio io mi fossi interessato a lui. A me arrivò poi il “centuplo” perché mi furono offerti due lavori sempre desiderati sin da quando avevo incominciato l’università

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Un progetto per salvare il mare

Abbiamo raccolto la testimonianza di Piero De Santis,  imprenditore di Porto Sant’Elpidio  che, insieme ad un gruppo di persone, ha avviato un progetto per la salvaguardia del mare e della salute delle persone.

“L’anno scorso (2020-2021), quando il governo ci ha imposto la chiusura del locale nel periodo del lockdown, sono stato parecchio tempo con mio fratello Giuliano, presidente di Assoittica, un’associazione che riunisce i commercianti di pesce a Civitanova Marche, sede del più grande mercato ittico della zona. L’associazione ha quasi 90 associati che acquistano il pesce dell’Adriatico tutte le settimane da circa 37 motopescherecci locali.

immagine dal sito assoittica.it

Egli era da tempo scoraggiato a causa di diversi problemi legati all’attività professionale e aveva intenzione di dimettersi dalla carica di presidente. Ne abbiamo parlato a lungo ed è venuto fuori come questo lavoro, quello del pescatore, era importante e non si poteva trascurare il fatto che avevamo la possibilità di dare il nostro contributo affinché il nostro mare potesse sempre di più ricevere le attenzioni e le cure adeguate per un vero risanamento ambientale. L’enorme quantità di plastica che si trova in mare, il tema legato al consumo di pesce a km zero – perché l’80% del consumo in Italia è di pesce proveniente dall’estero -, il problema della legalità nei mercati ittici, erano tutte problematiche che ci toccavano da vicino.

Abbiamo pensato così con i nostri amici di Agorà, un’associazione di Macerata che si occupa di diritti civili, cittadinanza attiva e formazione politica, a un progetto che abbiamo chiamato “Mare Pulito”, articolato su tre punti: la pulizia del mare, il consumo del pesce e la legalità.

immagine dal sito assoittica.it

Una legge statale, emanata l’anno scorso, autorizza e promuove dei tavoli di coprogrammazione che partono dalla base. Abbiamo organizzato il primo incontro a Civitanova Marche, all’interno del mercato ittico, con il Comune, WWF, Legambiente,  Adiconsum, la grande pesca, la piccola pesca, le parrocchie e abbiamo parlato del primo tema che è la pulizia del mare. L’11 maggio 2022 è stata una giornata storica per il mare perché è stata approvata in via definitiva dal Senato la cosiddetta “Legge Salvamare”. In pratica ai pescatori  sarà consentito di portare a terra la plastica recuperata con le reti, che veniva scaricata in mare, perché costituiva reato il trasporto illecito di rifiuti.

Dopo questo incontro iniziale si è costituito il primo tavolo di lavoro alla presenza della Capitaneria di porto, del Cosmari Mc, l’ente che fa la raccolta differenziata nel maceratese, della piccola pesca e grande pesca.

Si proseguirà con altri progetti che riguarderanno il Comune, la Regione e lo Stato per ottenere finanziamenti. Sentiamo che il nostro compito è quello di mettere in rete persone e associazioni per poter incidere di più sull’ambiente e la salute delle persone. Inoltre si è già in contatto con una cooperativa di Ascoli Piceno, che ha anche la gestione del museo del Mare a San Benedetto del Tronto, con alcuni amici di Cesena e abbiamo intenzione di arrivare fino a Rimini.

Si stanno coinvolgendo anche le scuole, come il Liceo Scientifico di Civitanova, che ha una sezione dedicata all’ambiente marino e il Politecnico delle Marche.

Stiamo lavorando affinché le nostre mense scolastiche delle scuole primarie forniscano agli studenti, almeno una volta alla settimana, il pesce fresco dell’Adriatico. Coinvolgere le parrocchie è stato un passo importante soprattutto per la presenza dei giovani”.

Patrizia Mazzola

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