Fuori orario

“Cavalcare il drago”, affrontare ogni difficoltà sapendo che c’è sempre da imparare qualcosa da queste esperienze. E’ nell’essere disarmati che possono farsi le scoperte, perché siamo spinti oltre i livelli di autosostegno e invitati a vivere nell’incertezza e nell’ignoto, che per altro sono anche gli unici posti dove si possono fare scoperte. (1)

Tra me e te c’è una difficoltà, mi è stato riferito che sei ostile e risentito per la scarsa attenzione che avrei riservato – così mi fai sapere – ai sintomi di tuo padre rendendo la sua situazione ancor più precaria.

Questa osservazione mi arriva – riportata – da un collega. E’ un po’ uno shock perché non corrisponde certo alle mie intenzioni e più che giustificare il mio operato, mi viene da pensare a quanto tu possa essere disorientato e arrabbiato ed avessi bisogno di qualcuno con cui prendertela. L’accetto ma ci sto male.

Il ritmo del lavoro non si ferma e proseguo ascoltando, sorridendo, con un amaro che resta dentro e che devo superare continuamente. Desidererei proprio rivederti e sentirmi dire personalmente cosa ti affligge.

Verso le 18 passo davanti alla porta di ingresso, le luci sono già un po’ abbassate, l’orario di visita dei parenti è concluso. Sono lì perché ho voluto accompagnare fino alla porta una paziente che mandavo in ospedale per accertamenti urgenti.

Incredibile, ti vedo infilare una mano tra i battenti della porta allungando un pacchetto di sigarette: “sono per mia madre, gliele può consegnare? Sono fuori orario.” “Entri la prego, come sta papà?” Esitante, mugugnando un po’, mi dici che stavi proprio arrivando dall’ospedale e che la situazione è sempre molto seria.

Ascolto, faccio silenzio, lo invito a portare direttamente lui le sigarette alla mamma. Ad un certo punto si gira e mi dice: ”E’ lei la dottoressa dell’altra sera?” “Sì sono io”. Credo che dentro avrebbe un torrente in piena da rovesciarmi addosso ma non lo fa. Lo lascio dalla mamma, sei fuori orario, ma ho potuto rivederti.

Paola Garzi

1 David Brazier (1997) citato in Ken Evans, Vivere con la morte, www.psicoterapia.it/forum/.




San Lorenzo

San Lorenzo, Io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Giovanni Pascoli X agosto 1896

E’ una delle notti più famose dell’anno, quella in cui veniamo rapiti dalla magia del Cielo e guardiamo in alto per cogliere quel guizzo, quello scintillio che sembra solchi il firmamento solo per noi. Se l’occhio cattura questa immagine ci sentiamo privilegiati, unici. Abbiamo ricevuto un dono.

Non è sempre è necessario scrutare la notte per vedere una luce brillare. Ci sono lampi di luce fugaci che si accendono per un attimo ed esserne stata testimone è un regalo speciale.

Sei sempre immobile nel tuo letto, quasi accartocciata su te stessa, e il tuo viso sembra quasi di cera, come non fossi più in gradi di comunicare, di provare emozioni. Sono le 5 di mattina di una notte faticosa, giro tra le stanze e per caso sono nella tua quando entra un OSS. Io ti saluto sempre, quando entro, ma a volte, per la fretta o la stanchezza non sono capace di cogliere la tua risposta.

Lui si avvicina piano e sussurra: “Teacher, good mornig..” ecco il dono che ricevo oggi, un sorriso che distende i tratti del tuo viso. E’ vero, tu sei una professoressa di inglese e questo saluto, quasi una carezza, ti arriva dritto al cuore. Grazie collega OSS che dopo un turno di notte sei ancora in grado di trovare quel tocco personale che dice alla persona la sua unicità, è una stella che si accende e non importa la sua breve durata, il Cielo si è riversato sulla terra.

Paola Garzi




Di sorrisi si vive

Una persona che ti sorride ti dimostra apertura e ti comunica che sta bene con sé stessa. Un sorriso da chi non te lo aspetti è come un raggio di sole improvviso che ti rasserena.

Parto da queste due frasi che sintetizzano un recente vissuto. In Cure Palliative uno degli aspetti fondamentali è la presa in carico globale della persona con particolare attenzione al sollievo del dolore e degli altri sintomi associati.

E’ gratificante per me rivedere al mattino una persona che la sera precedente è timorosa di come passerà la notte per il dolore che si ripresenta. Dolore temuto sia per la sofferenza che comporta, sia per il suo significato più nascosto di pericolo per l’integrità dell’esistenza. Gli oppiacei sono farmaci ancora temuti perché poco conosciuti ed è necessario – come sempre del resto quando si propone un piano di cura – un dialogo aperto. Il sorriso pieno, i tratti distesi, mi dicono ancor prima della risposta verbale che sì la notte è andata bene, ed anche io mi sento meglio.

Osservo la postura obbligata di un’altra persona, sono entrata varie volte nella sua stanza e non avevo mai pensato che potesse avere dolore; forse perché non parla e la sua mimica è ridotta a cenni degli occhi. Occorre un fatto evidente perché me ne renda conto. Ma signora, ha dolore? La chiusura delle palpebre è un assenso e mi chiedo: ma come non mi sono accorta prima? E’ vero, il dolore esiste anche fuori dell’ambito oncologico, ma occorre ricercarlo. Proposta ed accettata la terapia, l’espressione sempre corrucciata si distende, gli occhi sorridono.

Nel trovarmi ad affrontare ogni giorno il mio limite, sperimentato quanto più cerco di trascenderlo invece di accettarlo, può capitarmi di non sorridere. In quei momenti l’altro, un collega, un familiare, un operatore, mi fa da specchio e mi aiuta a guardarmi dentro. Ho bisogno di una buona dose di umiltà per imparare a starvi accanto. Di fronte allo specchio inevitabilmente cerco di domare i miei capelli ricci ma poi sorrido di come sono; di fronte a voi, transitata la nube, vedo la possibilità di ricominciare.

Paola Garzi




Il “gioco del limite”

Una nostra nipote ha iniziato da qualche anno un rapporto che le sembra serio e capace di “sostenere” una lunga vita a due. Giorni fa mi ha interpellata sulla fedeltà nel matrimonio quando si è già vecchi.

Le ho risposto che punti-forza della nostra vita sono il rispetto e la capacità di non risolvere subito qualche nube che richiede tempo per dissiparsi. Siamo cresciuti insieme ed ora nella vecchiaia ognuno si scontra ogni giorno con qualche nuovo limite. Allora, piuttosto che sorprenderci con qualche moto di insofferenza, abbiamo cominciato a dare il nome al limite che scopriamo in noi e a dircelo con umorismo.

Questo giochetto semplice e apparentemente banale ci permette di capirci meglio, di prevenirci negli errori, di aiutarci. Ma il vero dono di questo nostro impegno è la preghiera.

Preghiamo insieme in modo nuovo, come se l’esercizio di essere attenti l’uno all’altra sia la base del rapporto con Dio. E preghiamo per i vivi e per i morti. Non è richiesta di qualcosa, ma un essere presenti con la nostra vita a quanti amiamo e ci hanno amato

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno IX, n. 4, luglio-agosto 2023)

 




Con un berretto blu

«Il dialogo è tutto. Il dialogo è ascolto, è silenzio, è presenza» (1)

Con il berretto blu in testa sembri un soldato schierato sulla linea di difesa; l’espressione spesso corrucciata non facilita certo la conversazione…ma come si possono ascoltare i tuoi pensieri, tu che da 17 anni non puoi parlare per un intervento di cui ora purtroppo stai affrontando le conseguenze?

Qui si innesca un dilemma che spesso si ripresenta nella cura; quello del rispetto della tua volontà di paziente, anche quando ci comunichi scelte che sono in contraddizione con quanto noi faremmo per te.

Abbiamo provato a convincerti a scegliere modalità alternative di alimentazione, ora che non lo puoi più fare per bocca ma hai scoraggiato ogni nostra proposta, tranne quella delle flebo. Tu sei un infermiere in pensione e sai di cosa parliamo, occorre essere ancor più trasparenti con te. I nostri argomenti ci sembrano convincenti se non ovvi, ma tu resti fedele alla tua posizione e non l’abbandonerai finché ne avrai la forza. Ci sentiamo disarmati, in difficoltà, spunti le nostre armi.

Eppure un sorriso io l’ho visto. Quando arrivo i tuoi occhi diventano lucidi e mi segui con lo sguardo. Tra pochi giorni rientrerai a casa e lì non potremmo seguirti, sarà la tua famiglia a prendersi cura di te, così come glielo permetterai. Ti saluto e inaspettatamente mi dici: le voglio bene. Ti accarezzo e posso dire soltanto: anche io le voglio bene.

«D’altra parte, accompagnare qualcuno vuol dire camminare al suo fianco, lasciandolo libero di scegliere la sua strada e il ritmo del suo passo» (2).

Paola Garzi

1 – D. Tettamanzi, Nuova Bioetica Cristiana, Piemme, Casale Monferrato 2000, p.526.
2 – Flavia Caretta, Massimo Petrini, Accanto al malato, Città Nuova, Roma, 1995, pp. 50-53.

 




Ascoltare “quella voce” ed osare

La settimana scorsa ho partecipato in cattedrale ad un incontro con il Vescovo sul Cammino Sinodale, a questo incontro erano presenti anche diverse persone del Movimento dei Focolari.

Al termine dell’incontro il Vescovo ci ha sollecitati a portare nei diversi ambienti il messaggio del Cammino Sinodale per far comprendere il nuovo cammino intrapreso dalla Chiesa. Ci ha consegnati inoltre alcuni volumetti riguardanti la pastorale della salute per il Cammino Sinodale.

Tornando al parcheggio per riprendere l’auto, ho chiesto ad un membro del Consiglio Pastorale della nostra parrocchia, di portare ai medici di famiglia del nostro Comune i volumetti che il Vescovo ci aveva consegnati.

Inizialmente mi è sembrato titubante, ma dopo un’attenta riflessione ha sposato la causa. Oggi mi ha chiamata ed era felicissimo di aver consegnato otto dei volumetti ed ha aggiunto: ”Sai, quando ho consegnati questi libretti ho anche detto che l’idea era tua. Lo dobbiamo condividere con il Consiglio Pastorale, per far capire che le cose vanno fatte insieme”.

Questa esperienza mi ha fatto molto riflettere sull’importanza della condivisione: anch’io prima di proporla ero titubante, ma ho ascoltato “quella voce” e ho osato.




Fare tutto insieme

Per evitare i danni di troppa tv ai nostri bambini, più che obbligarli a spegnerla, ho capito di dover imparare a “perdere tempo” io con loro, proponendo altre attività. Anche se questo avrebbe richiesto un maggiore impegno. Dopo averne parlato con mio marito e con loro, abbiamo deciso di dedicare ogni sera a un’attività diversa: lunedì per scrivere, dipingere; martedì per giocare insieme; mercoledì tv; giovedì fare ordine in casa, venerdì passeggiata ecc.

Scopriamo giorno per giorno che abbiamo tanto da imparare per aiutare i figli a crescere, calandoci nella loro realtà. Da quando abbiamo cominciato così, vedo che i bambini aspettano quel momento per scrivere o leggere una storiella, per sistemare i cassetti, i giocattoli, e sono felici di farlo insieme.

Quanto alla sera- ta tv, dopo alcune settimane il nostro primogenito ha proposto di dedicare piuttosto quella serata a cucinare insieme. Così al posto del film ci divertiamo a preparare la cena, tutti con le mani infarinate e unte. Fare tutto insieme, perfino le pulizie, diventa occasione di gioco

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022)

 




Tuffo geniale! Winter School a Loppiano

Metti delle  giornate belle e assolate di fine dicembre, con un  cielo azzurro, terso, metti un gruppone di 30 ragazzi e ragazze provenienti da varie regioni di Italia, gioiosi, rumorosi, attenti, pieni di voglia di sperimentare e sperimentarsi, fare esperienze di vita . . .

Dal 27 dicembre 2022 al 2 gennaio 2023 si è svolta a Loppiano la prima edizione della Winter School, un laboratorio di formazione permanente alla spiritualità dell’unità per giovani dai 17 ai 23 anni, ovvero uno spazio aperto per formarsi e approfondire “la vita di unità”.

Il programma è stato molto vario, con momenti di approfondimento sulla spiritualità del Movimento dei Focolari, la visita alla cittadella di Loppiano e lo scambio con le sue diverse realtà, tra cui un pomeriggio energico e sorprendente col Gen Verde, e soprattutto tanta vita insieme!

Lo stare insieme tra tutti di diverse generazioni è stata un’esperienza nell’esperienza, facendo sperimentato la bellezza e la potenza dell’essere famiglia: con Gesù vivo che cammina tra noi!

Momenti molto formativi e importanti sono stati i due laboratori all’interno del programma: il primo quello “Sulle fragilità” curato da Tommaso Bertolasi, dove i giovani si “sono fermati” e si sono guardati dentro ed hanno scoperto e riscoperto la presenza di Dio proprio attraverso le loro debolezze, le loro solitudini.

Il secondo laboratorio è stato “sui talenti” con Jonathan Michelon coadiuvato da alcuni giovani appartenenti al Movimento. Il lavoro di Insieme è stata anche la nota caratteristica della preparazione del programma, portato avanti da continui confronti, proposte e impegno di un team intergenerazionale e inter-territoriale a livello Italia.

Il capodanno internazionale a Loppiano, è stato inoltre sperimentare come il Carisma dell’Unità opera, avvicina il mondo intero e ci fa toccare con mano l’essere un’unica grande famiglia umana.

Il clima di festa multietnica, e multiculturale della Cittadella ha accesso nel cuore dei giovani partecipanti il desiderio autentico di poter partecipare a nuovi appuntamenti ed eventi con giovani di altri paesi del mondo, come ad esempio la Giornata Mondiale dei Giovani a Lisbona.

Un grazie speciale va alle persone del Movimento dei Focolari delle varie regioni italiane per il sostegno anche economico che ha permesso di far sperimentare ai giovani partecipanti l’intervento tenero e previdente di un Dio Padre che conosce e interviene concretamente nelle nostre vite.

IMPRESSIONI DEI GIOVANI




Shomer

Sono di turno questa notte e le luci sono già abbassate. Agitato e confuso disturbi tutto il reparto gridando. Hai la pressione altissima e mi chiedo come calmarti visto che rifiuti le medicine. Mi avvicino con prudenza, già mi è capitato di dovermi difendere, per questo siamo in due vicini al tuo letto. Cerco di decifrare il tuo parlare ingarbugliato, ma è come una matassa aggrovigliata, non trovo il bandolo da cui dipanarla…parli e parli ed io penso preoccupata ai tuoi neuroni, al tuo cuore sotto stress, alla decisione se devo trattenerti o inviarti al Pronto Soccorso.

Ad un certo punto sono catturata dai tuoi occhi; è come se due fili elettrici facessero contatto ed una luce si accendesse: riesco a entrare in te e quel parlare senza senso, quasi un codice cifrato, trova la sua chiave di lettura. Con linguaggio fantasioso mi stai descrivendo sintomi reali ed io li riconosco! Ti accorgi che ho capito ed improvvisamente ti calmi; ti rassicuro che ti prescriverò il farmaco adatto e ti apri al sorriso, accettando le cure necessarie. E che eri veramente presente in quel momento me lo confermi nei giorni successivi, quando torno a trovarti e mi riconosci.

Questa esperienza mi fa riflettere; anche l’agitazione è un linguaggio che vuol comunicare un disagio: nel tuo caso, reduce da un ictus, è la vertigine che ti disturba. Andare al di là, sempre, della prima ipotesi. Lavorando si acquista una certa abitudine ed alla fine ci si appiattisce un po’ su certi standard di trattamento, ma per fortuna tu, come ciascuna e ciascuno di noi, sei un essere irripetibile e da vera sentinella, mi aiuti a vigilare.

Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte, se volete domandare, domandate, convertitevi, venite! (Is 21,11)

Paola Garzi




Che bello, sono felice!

Il giorno di Natale ho potuto partecipare con altre due focolarini, invitata della Comunità di Sant’Egidio, al pranzo di Natale con gli amici soli e poveri di Pescara: hanno partecipato un’ottantina di persone ed è stato un pranzo speciale per la bella esperienza fatta tra tutti.
Vi racconto un’esperienza fatta con M., anche lei è arrivata con tutti gli altri amici verso le undici: li abbiamo accolti con alcuni volontari nel piazzale davanti alla Chiesa di San Giuseppe.
M. aveva  un sacchetto  con sé (probabilmente la “sua casa”), le ho offerto un piattino con un pò di rustici e formaggio e qualcuno dei volontari le ha dato un bicchiere caldo di caffè. Poi abbiamo iniziato a conoscerci …ad un certo punto le ho chiesto se desiderava partecipare alla Messa  che si stava celebrando in Chiesa, ho capito che voleva andare ma era contenta di andare insieme.
Così siamo entrate (la Messa era già iniziata) e ci siamo sedute in fondo alla Chiesa. Al momento della Comunione le ho chiesto se le faceva piacere prendere Gesù Eucarestia e siamo andate insieme; lei nel frattempo ha messo il suo sacchetto sotto la panca dove eravamo sedute ed ogni tanto mi ripeteva “Che bello, sono felice!”.
Alla fine della Messa siamo andate davanti alla statua della Madonna e lei ha dato un’offerta per accendere una candela e si è fermata a pregare. Poi siamo andate a vedere il Presepio era felice! Mi ha detto che questo Natale era un bellissimo Natale per lei, diverso da quello triste che aveva passato lo scorso anno.
Alessandra



Gioia nel dare

Erano giorni che vedevo dei poveri che chiedevano aiuto nella metropolitana di Milano, ma ero sempre preso da tante attività e passavo sempre oltre, tornando a casa senza averli aiutati.

Ieri sera ho deciso di andare a mangiare con qualcuno di loro; sono andato a cercarli nel posto dove li vedevo di solito, ma non c’era nessuno, ho cominciato a girare in una grande piazza (piazzale Loreto) e non trovavo proprio nessuno.

Dopo un bel po’, ho trovato una persona che non chiedeva da mangiare, ma era visibilmente sporco e in cerca di aiuto: mi sono avvicinato e gli ho offerto da mangiare (avevo una busta di cibo fresco preso in un supermercato, derrate in scadenza in giornata).

Ho mangiato quindi insieme ad un ragazzo della Germania, lui non ha mangiato tanto perché è vegano; abbiamo condiviso il cibo, parlato e poi l’ho salutato. Avevo ancora due hamburger di manzo, perciò mi sono avvicinato un altro ragazzo che era lì vicino, un bengalese: lui non ha voluto la carne perché non può mangiarla, ma mi ha ringraziato perché aveva visto quello che avevo fatto, non finiva di ringraziarmi ed era molto contento.

Ho continuato a cercare qualche altro povero per consegnare gli hamburger: alla fine ho visto un venditore ambulante egiziano nella metropolitana: gli ho chiesto se voleva la carne ed ha accettato, restando stupito e contento.

Per concludere, subito dopo ho sentito la spinta interiore ad andare in chiesa, non so perché: era tardi, ma ho trovato una chiesa aperta. Di fronte a Gesù Eucarestia, ho sentito dentro una gioia nuova, una felicità mai provata, una cosa che non sapevo spiegarmi e che mi ha emozionato; subito dopo la mia uscita, la chiesa è stata chiusa.
E’ proprio vero il Vangelo: c’è più gioia nel dare che nel ricevere!

Franco Micucci




La Regola d’Oro

LA REGOLA D’ORO
Non trattare gli altri in maniere che tu stesso troveresti dannose (BUDDISMO)
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge ed i profeti. (VANGELO DI MATTEO 7,12)
Una parola riassume tutta la base di una buona condotta: la bontà. Non fare agli altri ciò che tu stesso non vorresti fosse fatto a te. (CONFUCIANESIMO)
Questa è la sintesi del dovere: non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore. (INDUISMO)
Nessuno di voi è credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per sé stesso. (ISLAM)
Non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la torà, il resto è commento. Va e studia. (GIUDAISMO)

Sono all’ultima ora del turno di lavoro pomeridiano, ho quasi concluso il mio giro, la situazione sembra abbastanza tranquilla. E ’inevitabile, lo confesso, guardare all’orologio e vedere quanto manca! Non sono una persona superstiziosa ma certo mi auguro che tutto fili liscio fino alla fine; per questo quasi faccio finta di non sentire la moglie di un paziente che cerca un cardiologo…

Sento l’infermiera che le dice: a quest’ora signora…non c’è più nessuno…cosa si sente? Solo mi gira un po’ la testa… la pressione è appena un po’ più alta del normale; ok mi dico, è a posto, non mi riguarda.

Dopo qualche minuto entro nell’ultima stanza che mi mancava: oh no mi ritrovo proprio davanti quella signora! E’ giovanile, dinamica, all’apparenza sta bene e poi mi racconta sintomi così sfumati, trascurabili… penso di liquidarla dicendole: niente di urgente signora, si rivolga al suo medico.

Eppure, un medico ce l’ha davanti, non è una mia paziente ma è qui, mi sta chiedendo consiglio. Venga signora, mi racconti meglio…la visito…riscontro un grave disturbo del ritmo cardiaco, allerto il 118 e invio la paziente in codice rosso, impianto di pacemaker.

Signora quella dottoressa le ha salvato la vita… che impressione mi fanno quelle parole! Le 20.00 sono passate da un pezzo, ma che importa!

Paola Garzi




Ho amici in Paradiso

Come un film può ricordare il vissuto di Simonetta Magari, focolarina, psichiatra e psicoterapeuta

di Aurelio Molè

È raro che un film ricordi un’amica, non perché narra la sua storia personale, ma perché in quell’ambiente ha vissuto, lo ha permeato con il suo essere, cercando di comunicare i suoi ideali. Rivedendo su Raiplay, la pellicola Ho amici in Paradiso (2016), non può tornare in mente la testimonianza di Simonetta Magari, focolarina, psichiatra, psicoterapeuta e già direttrice del Centro Don Guanella di Roma. La storia nasce dall’esperienza reale del regista Fabrizio Maria Cortese che ha avuto un amico in cura nel noto centro di riabilitazione. A contatto con l’energia, la freschezza, l’assenza di filtri di persone diversamente abili Fabrizio Maria Cortese ha maturato l’idea della trama, non teorica, ma partendo da due anni di laboratorio teatrale con otto di loro che sono diventati i protagonisti del film. Era la prima volta che accadeva: un gruppo intero di persone diversamente abili che interpreta la loro vita reale, seppur in una trama di fantasia.

La vicenda narra la vicenda di Fabrizio Castriota, un commercialista salentino, attratto dal lusso e dai facili guadagni derivanti dal riciclaggio dei soldi della malavita. Colto in flagranza di reato, viene inviato al Centro Don Guanella, in affido ai servizi sociali, dove superando prove, crisi, conflitti potrà diventare una persona migliore guidato da una ricchezza, una bellezza incontrata per la prima volta fatta di relazioni autentiche, amicizia, amore e la scoperta che essere “privi di simmetria” è ciò che ci rende unici e irripetibili.

Divagando un po’, si può dire che in fondo ogni storia è il cammino di crescita di un eroe, un monomito – direbbe Joseph Campbell, saggista e storico delle religioni statunitense. Da uno stadio iniziale si passa ad uno successivo tramite il superamento di svariate prove. Il protagonista di ogni storia parte da un Mondo Ordinario – direbbe lo sceneggiatore Chris Vogler – ed entra in un Mondo Straordinario dove deve risolvere dei conflitti, con se stesso, con gli altri, con la società – direbbe Robert McKee, sceneggiatore. Ogni storia parte in media res, deve affrontare un evento dinamico iniziale, scavallare dei punti di svolta, fino al climax, con la risoluzione finale e il raggiungimento o meno di un obiettivo drammaturgico conscio e inconscio.

È anche la storia di tutti noi. Nella vita ci accade un fatto, un evento, un imprevisto che dobbiamo fronteggiare potenziando le nostre risorse, attuando, dalla crisi, un processo di cambiamento per diventare uomini e donne migliori.

Usando le metafore della montagna del Metodo Multisetting per leggere un film si potrebbe dire che la “valle” corrisponde al nostro passato e alla definizione delle coordinate essenziali della nostra storia che corrisponde grossomodo al primo atto del film, set up, l’ambientazione – direbbe lo sceneggiatore Syd Field. Attraversare un “guado” vuol dire percorrere la crisi fino ad un “crinale”, il momento delle ridecisioni, che accade nel punto di svolta alla fine del secondo atto di un film definito confrontation, il confronto. E si prosegue fino alla “vetta”, l’apice della storia dove realizziamo il nostro obiettivo nel terzo e ultimo atto di un film, chiamato resolution, la risoluzione.

Sarebbe interessante leggere il film Ho amici in Paradiso, secondo la struttura della sceneggiatura, secondo il monomito, secondo il viaggio dell’eroe, secondo il cammino di consapevolezza umana e di crescita psicologica del Metodo Multisetting, ma si può guardare il film partendo dal cuore, dai sentimenti, dalle emozioni che genera. Sarà la porta di accesso per entrare nel processo di cambiamento vissuto dal protagonista.

Quando è stato girato il film, la psichiatra Simonetta Magari, in una intervista a Città Nuova ha dichiarato: «Normalmente si affronta la disabilità in modo pietistico oppure sono attori che interpretano la disabilità, invece in questo caso sono i ragazzi che parlano di loro stessi e ne parlano per come sono. La disabilità intellettiva è un modo diverso di essere al mondo, non è una malattia o qualcosa da curare, ma semplicemente è un qualcosa da esprimere nella bellezza della diversità. Dal punto di vista riabilitativo, il film ci ha permesso di raccontare al grande pubblico quello che stiamo facendo da anni, allontanando lo stereotipo comune del disabile che non potrà mai fare nulla. Invece questi ragazzi possono fare molto e possono anche aiutarci. La trama del film è pensata proprio per mostrare quello che loro sono, cioè persone pronte, anche nella loro incoscienza, a voler bene a tal punto da rischiare tutto pur di salvare un amico».

Vedere il film è uno dei modi di ricordarla, per comprenderla in modo più profondo ed è stato uno dei modi di farlo durante il Congresso internazionale dal titolo Crossing the borders: psychological foundations of coexistence, organizzato da Psicologia e Comunione dei Focolari nel Centro Mariapoli di Castelgandolfo, realizzato in onore di Simonetta Magari, deceduta nell’ottobre 2021.

Tre attori diversamente abili protagonisti del film sono ora in Paradiso: con Simonetta Magari ne rideranno, ancora, a crepapelle.

Il link del film https://www.raiplay.it/video/2017/07/FILM-Ho-amici-in-paradiso-70021b84-b0e4-4dff-a32d-de8fd1526718.html




Si può fare di più

La comunità dei Focolari di Roma in aiuto di una famiglia afgana

di Aurelio Molè

15 agosto 2021: una data che non si dimentica. L’Afganistan è di nuovo nelle mani dei Talebani. L’aeroporto di Kabul diventa l’unica via di fuga dal Paese. Migliaia di civili si accalcano per partire. Una folla impressionante. Tra loro la famiglia afgana Khrosh che, tramite la mediazione della Nunziatura vaticana, può imbarcarsi alla volta di Kiev con il corpo diplomatico ucraino. Gli accordi prevedono che, una volta atterrati nel Vecchio Continente, i profughi afgani saranno distribuiti in vari Paesi europei. Ma c’è un intoppo per la famiglia Khrosh: mancano dei documenti per Mehin, 4 anni, la figlia di Zabi, un medico, e Aqela, un’ostetrica, e non può partire. Aqela è incinta all’ottavo mese, estrae alcuni indumenti per il marito che parte da solo, con una busta di plastica e pochi vestiti. «Ci rivedremo!» – è la promessa e il commiato di Aqela.

Nel febbraio del 2022 la comunità di Roma dei Focolari organizza una apericena per conoscere e far conoscere tra di loro i vari afgani presenti nella capitale. Nell’occasione incontrano Zabi e decidono di aiutarlo. Vive in un centro di accoglienza, non ha lavoro, la famiglia è scappata in Iran ed è nata una seconda figlia, Barin. Ma come fare?

Tiziano Binaghi, uno dei volontari, pronuncia uno stentato «proviamo!», anche se è forte il senso di inadeguatezza per la mancanza delle competenze necessarie. Con l’aiuto di alcune docenti della facoltà di Lingue e scienze orientali dell’università La Sapienza raccolgono fondi per coprire le spese dei visti e dei biglietti aerei per il ricongiungimento che avviene nel settembre del 2022. «Ricordo ancora – racconta Tiziano – la forte emozione di Mehin che correva sul molo di Fiumicino per guardare per la prima volta il mare che non aveva mai visto». Nel frattempo, poco prima, a giugno, era avvenuto il primo miracolo: Zabi trova lavoro, non come medico, ma per una ditta che lavora alla sterilizzazione dei ferri chirurgici per il Policlinico Umberto I di Roma. Dapprima, dopo l’insistenza di Tiziano, in prova per una settimana, poi per periodi più lunghi, ma sempre a tempo determinato.

Ora il lavoro c’è, poco e precario, ma manca una casa dove accoglierli. A Tiziano e a sua moglie Paola viene in mente la casa disabitata a Casperia (RI) dei genitori di lei, ormai in Cielo. È l’unica soluzione concreta e non funziona. Per Zabi diventa un’impresa impossibile raggiungere il lavoro. La stazione di treno più vicina è a Poggio Mirteto e, a turno, persone dei Focolari, parenti e amici, devono recarsi a Casperia e portare Zabi alla stazione. Un trasferimento a Poggio Mirteto, ospiti a casa di una loro cugina, dovrebbe ridurre il tempo di percorrenza per il lavoro, ma non di molto. Anche questa soluzione è temporanea. A Paola viene un’idea. A Roma è impossibile comprare una casa, con i loro risparmi, aggiungendo quelli di sua sorella e della sorella di Tiziano acquistano un piccolo appartamento a Monterotondo. Dal giugno 2023 la famiglia Khrosh abita lì.

Altro scoglio il permesso di soggiorno. L’ associazione “Una città non basta” lo indirizza, ma Tiziano è incerto sul da farsi quando accompagna Zabi all’Ufficio Immigrazione e non sa a che santo appellarsi. Gli viene, però, in mente il santo del giorno, san Francesco: è il 4 ottobre. «Ho pregato san Francesco – racconta Tiziano con la sua carica di simpatia – anche se ho pensato che cosa c’entra? Poi, però, mi è venuto in mente che è il patrono degli italiani. San Francesco pensaci tu, io non so che fare. Al cancello ho avuto l’impressione di un miracolo». All’ingresso incontra Simone. «Lo conosco perché i suoi genitori e quelli di sua moglie sono di Casperia e d’estate danno una mano per la festa della Madonna della Neve, ma non sapevo fosse un poliziotto. Mi è sembrato di vedere un angelo: si è messo a disposizione, ha cercato il mediatore culturale e ci ha aiutato in tutti i modi per completare l’iter della richiesta». Ad agosto del 2023 hanno ottenuto il permesso di soggiorno.

La provvidenza si manifesta in molti modi. Un giorno Tiziano passeggia, da solo, e una telefonata lo avverte che Zabi è stato assunto. Pensa sia il solito rinnovo del contratto, invece è assunto a tempo indeterminato. Non è semplice trattenere la commozione.

Da sin: Tiziano, Mehin, Zabi, Paola, Aqela e Barin

Il lavoro di accompagnamento continua e non è possibile enumerare i piccoli e grandi atti di generosità compiuti dalle persone più diverse che contribuiscono con vestiario, denaro, viveri, visite gratuite da parte di un ortopedico, un dentista, un pediatra.

«Con questa esperienza – chiosa Tiziano – ho scoperto tanti segni della provvidenza. Come se Dio mi dicesse: “Buttati, rischia!”. La mia impressione è che potremmo fare molto di più, per renderli autonomi e metterli nelle condizioni di portare il loro contributo alla società. Anche così costruiamo un pezzetto di mondo nuovo, in pace».

La speranza per il futuro è che Zabi possa avere riconosciuto in Italia il suo titolo di studio e così poter lavorare come medico, professione che esercitava già da vari anni.




La festa del Genstella (1974-2024): 50 anni insieme

Un concerto a Lamezia Terme (CZ) ripercorre la storia di un complesso musicale nato nel solco del Movimento Gen

di Aurelio Molè

Si può raccontare una vita, spiegare una melodia, trasmettere l’emozione di una amicizia, comunicare l’esperienza della presenza di Dio tra gli uomini? La reunion del complesso musicale Genstella ci ha provato, in occasione del suo cinquantesimo, al Teatro Grandinetti a Lamezia Terme lo scorso 23 marzo davanti a 600 persone.

Correva l’anno ’74, in piena contestazione giovanile, con bande armate di terroristi rossi e neri che imperversavano nel Belpaese, l’impennata dei prezzi con l’inflazione al 20%, gli attentati di piazza della Loggia e dell’Italicus che alimentavano la strategia della tensione, il referendum sul divorzio e, allo stesso tempo cresceva, nel solco del Vangelo, del comandamento dell’unità e dell’amore scambievole, il carisma del Movimento dei Focolari. La musica era il veicolo, come oggi i Social, per narrare la propria esperienza nel mondo giovanile e non solo. C’era la passione per la musica, il mettere in gioco i propri talenti, la forza del gruppo per poter donare l’incredibile scoperta di un Dio vicino e innamorato dell’uomo, il rapporto di amicizia che ne scaturiva, la profonda partecipazione gli uni alla vita dell’altro.

Il Genstella nasce a Reggio Calabria da un gruppo di giovani attratti dalla musica e dalla spiritualità del Movimento Gen, cioè Generazione nuova. Il nome “Stella” lo attribuì direttamente la fondatrice dei Focolari Chiara Lubich che in una missiva scriveva: «È così che (per la fede) nacque una posterità numerosa come le stelle del cielo». La band crebbe, maturò, si affermò coinvolgendo 120 giovani tra cantanti, musicisti, mimi, tecnici. In 50 anni sono più di 250 gli spettacoli, 200 mila le persone che hanno partecipato, 70 mila i chilometri percorsi tra Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Lazio, Polonia, quattro le audiocassette, due le compilation incise su CD. Incontri reali, personali, nei luoghi più impensati, in grandi città e nelle periferie esistenziali e geografiche del nostro Paese. Spettacoli divulgati senza Social, cellulari, mezzi di comunicazione di massa, ma con il passaparola, l’entusiasmo e la convinzione di avere qualcosa da dire e che valeva di più accendere un fiammifero piuttosto che imprecare contro il buio.

Una citazione particolare merita lo spettacolo di Gibellina, nella Valle del Belice, distrutta dal terremoto del 1967, davanti alle baracche di 2 mila terremotati attentissimi. Sui loro volti dipinti il terrore, la paura e la speranza del messaggio cristiano in cuori sensibili perché provati dalla sofferenza. Tra le esperienze più toccanti i due concerti svolti a Gela (CL) e nel carcere di Noto (SR) perché inseriti in contesti in cui, la criminalità organizzata, esercita la sua azione vessatoria sul territorio in modo costante e violento.

Poteva sembrare ingenuo, idealistico, ma l’esperienza era autentica come quando si fa una nuova scoperta. Non importa che si sia inventato solo un grammo di penicillina, ma che si possa moltiplicare per guarire i mali del mondo. O almeno per fare la propria parte per un mondo più unito.

Lo stesso spirito di fratellanza si è respirato sul palco di Lamezia Terme dove si sono alternati i componenti del Genstella tra storie, ricordi, aneddoti divertenti, avventure e brani musicali del loro repertorio. Un concerto che sa di un piccolo miracolo per essere riusciti a mettere insieme 40 persone provenienti da 20 città diverse, che hanno fatto le prove del concerto solo tramite una piattaforma online e che sono riusciti a coinvolgere la platea per più di due ore di spettacolo con il loro entusiasmo e la condivisione di quell’essenziale che è invisibile agli occhi, ma che si respirava tra loro. La commozione era palese nell’esplosione finale con il brano “Resta qui con noi” cantato da tutti. Non sono mancate le profonde esperienze di vita, come quella di Salvatore Ignaccolo che da oltre 30 anni vive come focolarino in Africa e di don Piero Catalano, un sacerdote focolarino che si è speso per i bambini abbandonati, per i malati di AIDS e per il recupero di molti giovani dalla dipendenza della droga.

È stato possibile seguire l’evento anche online e sono molti i riscontri positivi arrivati al Genstella. «Anche a 1.000 km di distanza è arrivato l’amore di tutti voi. È stata una festa bellissima per donare a tutti l’unità che scaturisce dall’amore scambievole che mi ha fatto partecipe della famiglia del Genstella». «Non è la fine di una storia, perché nella vita di ogni giorno dobbiamo continuare a realizzare l’Ideale che ci ha preso il cuore». «Tempo fa, in una situazione molto dolorosa in casa, senza la fiamma che avete acceso in me e che mi ha legato all’amore di Dio, non so che fine avrei fatto. Grazie!». «La sera parlando con mio figlio e i suoi amici quattordicenni, li ho visti con negli occhi una luce diversa». «La musica e i testi sono stati per l’anima carezze di persone rinnovate dall’Amore ricevuto e donato». Tra i presenti anche il vescovo di Lamezia Terme, mons. Serafino Parisi: «Sono felicemente sorpreso – ha commentato – da questa comunicazione gioiosa del Vangelo. Ci sono state parole di pace, da costruire nel nostro piccolo. I temi dell’amore, della fraternità, dell’amicizia ci hanno trascinato con la forza della musica, in modo empatico e coinvolgente per diventare tutti come il Genstella cantori della pace».

Un bell’incoraggiamento e un passaggio di testimone per i giovani di oggi in vista del Genfest che si svolgerà in Brasile dal 12 al 24 luglio 2024. (qui il link). Il Genfest si svolgerà non solo in Brasile ma anche con dei collegamenti in diverse parti del mondo: uno dei punti sarà proprio a Lamezia Terme (qui le varie informazioni).




“Progetto carceri” in Italia

La presenza di Città Nuova tra i detenuti: progetto carceri

Negli ultimi anni la rivista Città Nuova ha promosso una “rete carceri”, un gruppo spontaneo di persone attive in vario modo in quest’ambito, che si ritrova via zoom con una certa periodicità. Si condividono esperienze, difficoltà, progetti, prospettive. Per non sen- tirsi soli nel prendersi cura di quest’umanità ferita. Dagli adulti ai più giovani. Nei prossimi mesi partirà infatti anche un progetto per gli istituti penali minorili con la rivista bimestrale fatta dai ragazzi per i ragazzi Teens.

La rivista Città Nuova raggiunge numerosi istituti penitenziari in tutta Italia e accompagna diversi progetti, grazie alla generosità di tanti lettori. Così, tenuti da volontari, sono nati gruppi di lettura che offrono ai carcerati la possibilità di dialogare, riflettere, raccontarsi; oppure utilizzare la rivista per imparare l’italiano; o ancora per fare da ponte con istituzioni, studenti e cittadini grazie ad eventi aperti alla città, legati a concorsi letterari e artistici.

 

Da circa due anni, poi, alla rivista si è aggiunto un libro speciale: Liberi di cadere, liberi di volare, di Fernando Muraca. Sono tante le carceri italiane cui è stato possibile fare questo dono e gli istituti dove l’autore è stato chiamato per incontrare i detenuti. Momenti intensi in cui tanti hanno ritrovato sé stessi e il senso della propria vita.

 

 

 

Cartina dalla Rivista Città Nuova

Per maggior informazioni:

Aurora Nicosia anicosia@cittanuova.it

Vedi: https://www.cittanuova.it

 




Maria Orsola Bussone: “Quanto è bello amare Dio”

Maria Orsola Bussone è il frutto maturo di una comunità parrocchiale: una ragazza come tante altre, che incontra Dio e si butta a testimoniare la bellezza di amarlo, pienamente impegnata insieme alla sua comunità, aperta al mondo. All’età di 16 anni viene chiamata in modo improvviso da Dio all’altra vita. Si è iniziato nel 1996 il processo di beatificazione e nel 2015 è stata dichiarata venerabile.

«Sarei disposta a dare la vita perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio». Questa la frase detta un giorno da una sedicenne al suo parroco, parole che san Giovanni Paolo II ha ripreso nel 1988, parlando a Torino a sessantamila giovani, indicandola come modello per fare della propria vita un dono.

Questa ragazza è Maria Orsola Bussone, nata il 2 ottobre 1954 a Vallo Torinese in una famiglia unita e serena: il papà Umberto, artigiano nell’officina in proprio, la mamma Luigina, sarta, e il fratello Giorgio, di tre anni più giovane, con cui condividerà per tutta la vita un profondo rapporto spirituale.

Tappe decisive

Maria Orsola Bussone

L’esperienza in famiglia sarà per Maria Orsola la prima palestra di vita cristiana, ma durante il periodo delle scuole medie due eventi particolari segneranno il suo cammino spirituale.

Il primo è il ritiro predicato, nell’aprile 1966, dal suo parroco, su “La gloria di Dio”. Questo messaggio la affascina profondamente, tanto che diventa per lei un motto costante e motivo della sua vita: «Tutto per dare gloria a Dio», anche nelle cose più piccole.

Appunta sul suo diario: «Domenica mattina ero tutta indaffarata per prepararmi ad andare all’incontro; a un certo punto però mi sono accorta che non stavo facendo le cose per Dio, ho cercato allora di fare le cose bene, affinché anche il vestirmi e il prepararmi servisse a dare gloria a Dio» (12.10.1969).

L’altro momento – sempre su invito del parroco – è il primo Congresso del Movimento parrocchiale del Movimento dei Focolari nel giugno 1967 a Rocca di Papa (Roma). Maria Orsola vi partecipa insieme alla sua famiglia e ad altre 44 persone di Vallo Torinese.

L’impatto con la spiritualità dei Focolari suscita in parrocchia un cammino di rinnovamento personale e comunitario che concorre efficacemente ad attuare le novità del Concilio Vaticano II e gli indirizzi pastorali dei vescovi.

La parrocchia si apre a un più concreto e intenso impegno di apostolato nei contatti con altre comunità parrocchiali, con gruppi giovanili, incontri con sacerdoti, seminari, comunità religiose e diocesane.

Costruita dalla comunione

«Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire lungo questa strada» (1). Questa intuizione del teologo Karl Rahner spicca evidente nel cammino che Maria Orsola ha intrapreso a contatto con gli amici della sua parrocchia e un gruppo di coetanei.

Insieme alla sua famiglia e alla sua comunità, è come un terreno fertile nel far proprio il carisma dell’unità da cui trae aiuto per dare un’anima alle attività della parrocchia, nella ricerca costante, gioiosa ed entusiasta di costruire la Chiesa comunione.

Non si spiegherebbe Maria Orsola senza l’inserimento attivo ed evangelico nella sua comunità parrocchiale e il coinvolgimento in più ampie esperienze ecclesiali, anche a livello internazionale. L’aver incontrato all’età di tredici anni un carisma nuovo nella Chiesa, una spiritualità comunitaria, collettiva, le ha permesso di entrare nel cuore del Vangelo più profondamente e di esserne rinnovata.

Intervistata sulla comunità parrocchiale afferma: «A noi giovani serve, e molto, perché sentiamo l’esigenza di avere una famiglia in cui tutti si vogliono bene e capiscano i nostri problemi. Non parlo della famiglia naturale, chiaro: parlo di una famiglia spirituale dove le nostre difficoltà trovino risposta, aiutandoci a vicenda a vivere la Parola di Vita e ad amare Gesù crocifisso e abbandonato».

Testimoniare e portare Dio

È in questa realtà di parrocchia che nascono diversi gruppi con lo scopo di aiutarsi a vivere il Vangelo e per crescere in quell’amore reciproco che fa sperimentare la presenza di Gesù tra due o più uniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20). Per fare esperienza di quest’unità, è necessario un buon allenamento.

«Ho voluto buttarmi – scrive Maria Orsola sul suo diario – e lasciar perdere completamente i giudizi e le cose del passato riguardanti noi ragazze, cioè ho detto: devo vederle nuove, quindi non le ho mai conosciute e di conseguenza non conosco i loro difetti o le loro virtù, so solamente che sono persone che vogliono amare Dio» (12.10.1969).

Nell’aprile del 1968, a Rocca di Papa, Maria Orsola partecipa al 1° Congresso europeo del Movimento Gen. Il messaggio di Chiara Lubich la tocca profondamente. Sente il bisogno di ringraziarla e di consegnarle il suo programma di vita: «Ho capito che la chiave della gioia è la croce, è Gesù Abbandonato. Sai Chiara, voglio amare, amare, amare sempre, per prima, senza aspettarmi nulla, voglio lasciarmi adoperare da Dio come vuole lui e voglio fare tutta la mia parte, perché quella è l’unica cosa che vale nella vita e perché tutti i giovani conoscano che cos’è la vera felicità e amino Dio».

Scoprire l’amore di Gesù fino a sperimentare l’abbandono del Padre le dona uno sguardo universale che spalanca il suo cuore al desiderio costante di testimoniarlo e di portarlo agli altri, specialmente ai giovani.

Per lei la missione del cristiano è «dare Dio agli altri» e lo fa diventare suo programma di vita da realizzare con l’esempio, con la parola, con lo scambio epistolare e attraverso le varie attività parrocchiali.

Un campo particolare d’impegno è il complesso musicale, di cui Maria Orsola fa parte come voce solista. Scrive all’amica Maria: «Noi con il complesso continuiamo a gironzolare e ad andare in diversi posti per portare, per donare agli altri quel Dio Amore che abbiamo scoperto e cerchiamo di vivere» (10.4.1969).

E ancora: «Quando abbiamo cantato “Resta con noi” e precisamente: “Ti porteremo ai nostri fratelli lungo le strade”, ho capito che niente doveva più fermarmi, neanche il rispetto umano, quindi anche portarlo in classe tra i compagni e non aver paura di essere giudicata, perché se noi doniamo loro Dio puro, così com’è, non contraffatto, un giorno ci ringrazieranno di aver fatto conoscere loro questo “TUTTO”» (Diario, 10.12.1969).

In mezzo alla normalità

Maria Orsola è una ragazza come tutte le altre, ama la musica, lo sport, il mare, la montagna, gli amici, si innamora, ha i suoi momenti tristi, si arrabbia, cade, ma la familiarità con Dio la aiuta sempre a non arrendersi agli sbagli e a rialzarsi ricominciando con nuovo slancio.

Ne scrive all’amica Enrica: «Certamente è difficile ricominciare, però basta avere un po’ di fede in Dio Amore, cioè nell’amore che Dio nutre continuamente per noi. Perché anche se noi sbagliamo, anche se non amiamo Dio per giorni e giorni, anche se siamo dei vigliacchi, delle meschine creature, Dio ci ama in modo straordinario» (5.4.1970).

«Ma posso ricominciare», è quanto disse nel tardo pomeriggio del 10 luglio 1970 all’in contro sulla Parola di Vita con gli altri giovani e ragazzi presenti al campo-scuola della parrocchia a Treporti (Venezia). Si era accorta, infatti, di non aver amato troppo.

Poche ore dopo, la fulmina la scarica elettrica di un phon difettoso mentre si asciuga i capelli per poi partecipare alla messa. Ha 16 anni.

Nel maggio 1996 prende il via la fase diocesana della causa di beatificazione. In quell’occasione l’arcivescovo di Torino, il card. Saldarini, esalta la modernità, la normalità, la fedeltà e l’esemplarità gioiosa di questa giovane, affermando tra l’altro:

«Maria Orsola, se verrà proclamata beata, sarà uno degli esempi preclari, e credo importanti, specialmente per il nostro tempo, di santità parrocchiale». 19 anni dopo, il 18 marzo 2015, viene dichiarata venerabile da papa Francesco.

Santificarsi in una parrocchia

Maria Orsola testimonia che è possibile santificarsi nella realtà di una parrocchia animata da una forte spiritualità, eredità raccolta non solo dai suoi coetanei di allora, ma che ancor oggi continua nei volti e nei cuori di tanti, mettendo insieme trasversalmente generazioni di adulti e giovani con gli stessi ideali.

«Seguire l’esempio di Maria Orsola è facile e impegnativo allo stesso tempo. Il programma lei l’aveva scritto su quel foglietto trovato accanto al suo lettino in campeggio, in quell’ultima estate quaggiù. Tre punti, tre passi verso l’Alto, altrettanti scalini verso il Cielo: Vedere Gesù negli altri, dare Dio agli altri, fare la volontà di Dio. Non è un testamento. È un programma di viaggio per raggiungere il Paradiso. La santità passa anche da qui. Anche per una ragazzina di sedici anni, innamorata della vita» (2)

Claudio Malfati

1 K. Rahner, Elementi di spiritualità nella Chiesa del futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi – B. Secondin, Queriniana, Brescia 1983, pp. 440-441.
2 Gianni Bianco, Evviva la vita, San Paolo, Torino 2006, p. 193.

Articolo tratto dalla rivista Ekklesia n.22 – 2024/1




Il ponte tibetano

Gettare il seme: non trattenerlo per sé, ma seminarlo con larghezza e fiducia. Di notte o di giorno: il regno cresce silenziosamente anche nel buio delle nostre notti (1).

Mi sento come se fossi su un ponte tibetano: due anni da quando sono arrivata al san Vitaliano, due anni alla pensione.

Guardo indietro o guardo avanti? Se guardo indietro vedo il percorso fatto fin qui: i primi passi incerti su un panorama tutto nuovo, contraddizioni e conferme, crisi e riprese.

Se guardo avanti intravedo un orizzonte di sollievo ed incertezza in cui il futuro tremola un po’ come l’aria nelle giornate torride dell’estate.

Il mio ponte oscilla sotto la spinta delle emozioni contrastanti, della tensione tra passato e futuro. Mi afferro alle corde del presente, di oggi, nuovo giorno che si affaccia dopo una notte quieta.

Chi mi tiene in equilibrio? Io ho paura dell’altezza ma il ponte è fatto di assi solide: passo dopo passo procedo tranquilla perché c’è una forte intesa con chi divide le ore di lavoro con me: è una sintonia di intenti, di modalità di reazione, un confronto costante che mi mette in discussione e mi fa crescere (ancora!).

Il mio cammino è fatto anche di momenti di sosta, per raccogliere le forze e ripartire, per ascoltare e condividere, è fatto di lacrime lasciate scorrere e dell’abbraccio di una OSS che mi sorprende come il sole che nonostante tutto sorge ancora.

Qualcosa in questi due anni è stato seminato, al termine del mio ponte, forse qualcuno raccoglierà.

Paola Garz

1 Letizia Magri e team Parola di Vita

 




Vedere il tutto dal punto di vista dell’anello più debole

Mi è capitato di ascoltare l’esperienza di una comunità che raccontava il processo non facile e anche abbastanza lungo per prendere una decisione sul come aiutare una famiglia di immigrati.

Le idee di ognuno non coincidevano con le idee dell’altro. Era una situazione che creava anche qualche difficoltà nei rapporti. Ma il fatto di voler cercare la volontà di Dio mantenendo l’unità, unito al consiglio di una persona che invitava a vedere il tutto dal punto di vista dell’anello più debole della catena (in questo caso i bambini), ha portato la luce necessaria per arrivare ad un consenso.

In questo tempo di sinodalità, ascoltare questa storia mi è parso illuminante e di grande aiuto per capire che vale sempre la pena di cercare l’unità, anche quando sembra difficile.

Matteo




Congresso Essere sempre famiglia

Dal 10 al 12 maggio 2024 si è svolto al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo il Congresso del Movimento dei Focolari dal titolo: “Essere sempre famiglia.Oltre confini e categorie, verso l’inclusività”. Vi hanno partecipato circa ottocento persone da ogni parte dell’Italia e dall’Albania (come Movimento dei Focolari legata territorialmente all’Italia).

L’esigenza di un Congresso comune, tra le varie realtà, diramazioni del Movimento dei Focolari – di diverse vocazioni, intergenerazionale, con diverso impegno nel sociale ed ecclesiale ecc. . . – è nata durante un Consiglio del Movimento stesso in cui i vari membri hanno deciso di concentrare le forze – tralasciando alcuni altri appuntamenti specifici – per radunarsi su un argomento che fosse trasversale, che accomunasse tutti (cosa ci poteva essere di meglio della famiglia!) e che aiutasse a fare un’esperienza di unità con la “famiglia” completa.

Il Congresso nazionale di maggio si è ripetuto e se ne stanno riproponendo altri in alcune regioni italiane, quindi più a livello locale, per coinvolgere ancora più persone.

Oltre al Congresso Essere sempre famiglia, in questo anno 2024 verrà proposto un secondo appuntamento dal 8 al 10 novembre, sempre al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo in cui, nel solco del secondo anno del Cammino sinodale ed in vista del prossimo Giubileo 2025, le tematiche affrontate saranno più di carattere ecclesiale (a breve ulteriori e maggior informazioni).

Centro Mariapoli Castel Gandolfo

Ma com’è andato questo Congresso? Come si è vissuta la sua preparazione? Chiediamo a Sara Fornaro, giornalista di Città Nuova e facente parte della commissione preparatorio del congresso, di raccontarci qualcosa.

«Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto –: “Siate una famiglia”». A novembre 2023 siamo partiti da questa frase di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, per preparare il Congresso.

In questo gruppo ci siamo ritrovati in 14, diversi per provenienza ed età, in rappresentanza delle varie realtà del Movimento: dalle famiglie ai volontari, dai consacrati ai gen, dai separati ai dialoghi. Io rappresentavo, insieme a Miriana, il Gruppo editoriale Città Nuova.

Abbiamo cominciato ad incontrarci via Zoom una volta a settimana, dalle 21 fino (spesso) a notte fonda (sì, abbiamo superato anche la mezzanotte!). Non ci conoscevamo e non c’era un responsabile. Avevamo una “commissione di supporto”, ma era l’unità tra noi a dover metter giù un programma formativo, ma incarnato nella realtà. Soprattutto i giovani avevano chiesto di trattare tematiche di stretta attualità. Chiedevano alla “famiglia di Chiara” di vivere l’unità con testa, mani e cuore, secondo la consegna che ci ha dato Papa Francesco qualche anno fa a Loppiano.

Non doveva essere un Congresso per famiglie, ma un Congresso sull’essere famiglia, secondo le parole di Chiara Lubich. Su alcune cose ci siamo trovati sin da subito tutti d’accordo: nessuno doveva sentirsi escluso, nel Movimento c’è posto per tutti.

Quando abbiamo messo su carta le tematiche proposte la lista sembrava infinita. Come scegliere? Ci siamo lasciati guidare dalla traccia che ci era stata data: Essere famiglia, a cui abbiamo aggiunto la parola “sempre”.

Dopo lunghi confronti, abbiamo immaginato un percorso lungo tre giornate, ognuna delle quali arricchita da momenti artistici. Anche i bambini sono stati protagonisti con giochi ed esperienze, grazie ad un gruppo di animatori davvero speciali.

Siamo partiti da “siate una famiglia” di Chiara: dalle relazioni nella società, nelle famiglie, tra religiosi, sui social, per arrivare al conflitto. In ogni rapporto ci sono conflitti, che possono rivelarsi una risorsa per costruire relazioni più vere e profonde. Si è dunque parlato del superamento del conflitto tra persone di fedi religiose e politiche diverse e in famiglia e delle difficoltà delle coppie. Il secondo giorno si è aperto con l’arte di amare di Chiara: amare tutti, amare sempre, amare per primi, amare il nemico, farsi uno con l’altro, che «significa far propri i loro pesi, i loro pensieri, condividere le loro sofferenze, le loro gioie».

I giovani avevano chiesto di parlare di identità di genere e orientamento sessuale. Con gli esperti intervenuti abbiamo pensato innanzi tutto di capire i termini, a partire dall’acronimo LGBT, perché per parlare di qualcosa, bisogna conoscerne il significato. C’era il desiderio di parlare di tutto, come si dovrebbe fare in famiglia, provando ad ascoltare con il cuore.

Nel pomeriggio il tema è stato articolato in parità di genere, alleanza uomo-donna, la

donna nella Chiesa. Come diceva l’ex presidente dei Focolari Maria Voce: «Il maschile e il femminile sono due modi umani di essere persona. Ad ognuno dei due non manca nulla per essere persona, sono due persone piene, ognuna contiene l’altra, ma sono diverse. Per questo effettivamente l’uomo contiene la donna in sé, ce l’ha dentro, e la donna contiene l’uomo. Due esseri diversi, ma pieni… Insieme fanno qualcosa in più. Sono generativi».

Il terzo giorno c’è stato l’incontro con Silvia e Ray del Centro internazionale del Movimento dei Focolari, il video del Papa che ricordava che nella Chiesa – e potremmo dire nel nostro Movimento – «c’è posto per tutti, tutti, tutti», e un ricco dialogo con i partecipanti.

La cosa più bella di questo congresso, per me, è stata la condivisione con gli amici di viaggio, con i quali – nonostante le diversità – abbiamo avviato un dialogo intenso e costruttivo, col desiderio di dare un contributo, speriamo fruttuoso, al Movimento.

Per gli approfondimenti degli argomenti trattati, vedere il Dossier Essere famiglia edito da Città Nuova ed altri articoli apparsi (e che appariranno) sulla rivista cartacea e sul sito web

ad esempio https://www.cittanuova.it/amore-orientamento-sessuale

https://www.cittanuova.it/amore-tra-sfida-opportunità

https://www.cittanuova.it/educazione-alla-genitorialità

https://www.cittanuova.it/al-cuor-non-si-comanda

https://www.cittanuova.it/relazioni-abusanti




Daniele Ricci: esperienze in canzoni

“Vivere la Vita… inabissarti nell’amore… fare insieme la tua strada verso Lui”…

Quell'”a solo” è diventato un coro sonoro risuonato in tutta la Chiesa. La richiesta di un bis, con altre note, un coro ancora più “sentito”. Così si è conclusa l’ora di canti e esperienze di un cantautore per passione, Daniele Ricci,  per la seconda volta, ieri sera,  alla parrocchia di s. Marco a Roma. E’ il parroco che gliene ha fatto richiesta per “la forza di evangelizzazione” sperimentata da chi vi aveva partecipato.

Al cuore della serata un’esperienza forte: … giovane ingegnere, cerca x mesi lavoro… poi l’offerta di una grande industria… proprio quel lavoro che faceva al caso suo…  ma scopre… è una fabbrica di armi…!!! Caso di coscienza… lotta…

Lui stesso narra: “Di cavilli cerebrali e anche morali per accettare questo lavoro me ne venivano in mente a bizzeffe. Di questa mia angoscia ne parlavo con gli amici che condividevano con me la vita del Vangelo. Mi ascoltavano con amore, ma non mi davano soluzioni, perché la decisione, dicevano, spettava a me solo. Era lo sfondo silenzioso che mi permetteva di sentire chiara la voce della coscienza: tanti lo faranno, ma io no!

E’ stampata nel mio cuore un’immagine, di me che sto in macchina e scendo dai Castelli dove sono andato a vendere enciclopedie. Ho il sole dietro di me che illumina le macchine che procedono in senso inverso. Ed ecco, il sole in faccia a un mio collega che sale su. E’ un collega che il lavoro l’ha trovato. Lui sì, io no.  La narrazione si trasforma in canto:

E mi ricordo lacrime che scendevano mentre guidavo.
Ancora una volta niente nelle mani…
con quelle lacrime usciva dal cuore mio un grazie a Dio
E più non era dolore,  ma gioia, la gioia di avere per me Lui.
E mi ricordo lacrime che zampillavano pure dal cuore:
c’era una gioia immensa dentro me.
E non avevo perduto niente certo, io,
ma avevo fatto un altissimo volo in Dio,
avevo tutto perché ero figlio Suo, ero figlio di Dio, ero io.
E mi ricordo,  ricordo gli alberi che s’inchinavano lungo la strada,
io mi ricordo il sole che illuminava…
E  non sapevo nemmeno che alla fine del viaggio
m’attendeva un inimmaginabile messaggio,

era l’amore di Dio che guidava i miei passi
io stavo con Lui, stavo con Lui.

“Torno a casa, e c’è una notizia. Mi hanno cercato da una scuola dove ho fatto domanda di supplenza. Non sono più senza lavoro! Avrei poi vinto un concorso per la motorizzazione delle Poste… e la storia continua. Dio non si fa battere in generosità!”

E’ stato questo il momento più toccante. Firmato da un applauso scrosciante.

LE CANZONI DI DANIELE RICCI SI TROVANO SUL SUO CANALE YOUTUBE




In ricordo di Daniela Zanetta

38° ANNIVERSARIO DELLA PARTENZA PER IL CIELO DI DANIELA ZANETTA: 14 APRILE 2024

Si è da poco celebrato l’anniversario della partenza per il Cielo di Daniela Zanetta, la giovane di Maggiora dichiarata “venerabile” dalla Chiesa: esattamente 38 anni dal momento in cui ha lasciato il suo corpo terreno, piagato sin dalla nascita da una rarissima malattia – l’epidermolisi bollosa distrofica -, per nascere a nuova vita.

Chiara Bonetti, presidente del Comitato, precisa: “Sin da subito ma anche e soprattutto in questi ultimi anni, giungono a Lucia, la madre di Daniela, o ai contatti del nostro Comitato, attestazioni di grazie chieste e ricevute, testimonianze particolarmente toccanti di come, nel silenzio dei cuori, la ‘nostra’ Danielina operi conversioni, guarigioni del corpo e dei cuori. Già dal 2021 abbiamo raccolto in viva voce i ricordi e il vissuto di chi l’ha conosciuta sia a scuola, sia in parrocchia, sia con le Gen del Movimento dei Focolari (testimonianze che si possono ascoltare sul sito https://danielazanetta.webnode.it/ e sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/groups/137911955121/?ref=share). Ora vorremmo poter far altrettanto con chi si è sentito ‘toccato’ in modo particolare, attraverso la meditazione e la preghiera, dalla forza spirituale della ‘venerabile’. Per questo lanciamo un appello: chiunque abbia ricevuto una grazia per intercessione di Daniela, può contattarci e scriverci agli indirizzi sopra citati. In attesa di un miracolo che possa dare slancio alla Causa di beatificazione, tali attestazioni sono quanto mai preziose”.

Lucia Zanetta aggiunge: “Di recente mi è arrivata dal Nuovo Continente una lettera, piena di affetto e gratitudine, per quanto Daniela ha operato nel cuore della persona che ha scritto e che ha conservato di lei un fervido ricordo. Capita sovente anche di trovare biglietti con richiesta di intercessioni o con un ringraziamento presso la sua tomba, mentre continua incessante la visita da parte di singoli o di gruppi di preghiera o di giovani degli oratori alla sua cameretta, dove si respira aria di Cielo, perché lì, ogni venerdì, negli ultimi anni, Daniela era solita stare in adorazione per tre ore davanti al Santissimo”.

Il Comitato prosegue nella sua opera di diffusione della figura e dell’esperienza della “venerabile” con pubblicazioni come “Inno alla vita”, (il libro illustrato pensato per i più giovani ed edito dalla Velar) e attraverso i suoi scritti, raccolti nel libro “I segreti del cuore”, edito da Città Nuova.




L’ambasciatore del Baskin, il BASKet INclusivo

Federico Vescovini, noto imprenditore del settore metalmeccanico e la sua esperienza con un modo nuovo di praticare lo sport

In principio fu Cremona. Correva l’anno 2001. Antonio Bodini è un ingegnere di professione, padre di cinque figli, tra cui Marianna, una ragazza disabile nata prematura. L’invenzione è semplice come l’uovo di Colombo, ma è una rivoluzione copernicana, l’uomo e la donna e non il gioco sono al centro di ogni attività sportiva.

La persona sia essa normodotata, talentuosa o con limitazioni di qualsiasi genere e neofita, nella condizione in cui si trova può essere messa in grado di giocare in modo competitivo a baskin insieme agli altri. Il campo è lo stesso, le regole cambiano, si adattano e s’immedesimano con le persone per permettere a chiunque una reale partecipazione competitiva al gioco. È come se l’uomo vitruviano, simbolo dell’arte rinascimentale, fosse stato disegnato al centro di un pallone da basket.

Nelle nuove regole, nate dalla sperimentazione e dai suggerimenti dei ragazzi, si aggiungono, ai due canestri tradizionali, ulteriori quattro canestri a metà campo e i ruoli dei giocatori, che compongono una squadra di uomini o donne che siano, riflettono le abilità al gioco in funzione di esperienza, capacità atletica e presenza di limitazioni fisiche o cognitive. Il regolamento funziona e tutti possono o meglio debbono dare il proprio contributo alla squadra per la vittoria.

Si chiama Baskin proprio perché è BASKet INclusivo e possono giocare uomini, donne, disabili, normodotati, anziani e bambini. La partecipazione è aperta a chiunque. L’idea ad Antonio Bodini nasce in casa, si sviluppa con Fausto Cappellini, professore di educazione fisica e si afferma ai massimi livelli mondiali in termini di applicazione concreta di inclusività e democraticità.

Federico Vescovini

Federico Vescovini è un affermato imprenditore di Sbe Varvit SpA un’azienda leader mondiale nella produzione di giunti meccanici di fissaggio di alta qualità che sono di fondamentale importanza per molti settori industriali. Decisivi sono gli incontri. A Udine, dove vive, conosce un professore di educazione fisica che l’anno seguente subisce un grave incidente che lo costringe in carrozzina. Il professore gli scrive una mail per fargli una proposta. La mail viene cestinata e poi recuperata.

L’imprenditore, infine, incontra il professore. «Mi introduce al Baskin – spiega Federico Vescovini -, il primo sport inclusivo e competitivo allo stesso tempo capace di mettere insieme tutti nella stessa squadra. Comprendo subito che è uno sport candidato a contribuire in modo fondamentale a quel mondo di fraternità che sa includere e valorizzare le differenze, quel mondo unito, che ho in cuore e che sognava Chiara Lubich».

Fatti e non parole, così si ama il prossimo. Federico Vescovini non perde tempo, finanzia la start up Zio Pino Baskin. A distanza di un anno ci sono già due squadre a Udine. Dopo quattro anni, le squadre salgono a 12 nella Regione Friuli-Venezia-Giulia.

Quest’anno la grande soddisfazione. La Zio Pino Baskin di Udine vince il campionato italiano e Antonio Bodini diventa Ufficiale al Merito della Repubblica.

L’ambasciatore del Baskin, così ama definirsi Federico Vescovini perché il suo lavoro lo porta in molti Paesi e, dovunque si trovi promuove in Slovenia, Croazia, Serbia, Albania, Egitto, il basket inclusivo, superando non pochi ostacoli e pregiudizi.

E ora una nuova iniziativa: il sogno di portare gli sport inclusivi al comitato dei Giochi del Mediterraneo del 2026 a Taranto. «Inserire oltre alle competizioni per normodotati e per diversamente abili anche gli atleti appartenenti agli sport inclusivi come il Baskin. Sarebbe la prima volta in una manifestazione internazionale e sono convinto che i valori universali insiti in questi sport rappresentino un segnale importante di fraternità per il Mediterraneo».

Due discorsi lo hanno ispirato. Il primo è di Papa Francesco a Marsiglia, del settembre del 2023. Citò l’esempio del “sindaco santo” Giorgio La Pira che vide il Mediterraneo non solo come un luogo di conflitti, ma come una opportunità per «l’inizio e il fondamento della pace tra tutte le nazioni del mondo». Tutte le grandi visioni, profezie, non si fermano all’esistente. Partono dal reale, ma sognano di «allargare le frontiere del cuore, superando barriere etniche e culturali». Il Mediterraneo può diventare un mare che unisce.

È anche il sogno di Margaret Karram, presidente dei Focolari, nata e cresciuta ad Haifa in Israele che, nel settembre del 2023, disse che «un Mediterraneo della fraternità dimostra come le differenze ci facciano progredire e ci permettano di superare le frontiere (…) È un’utopia? Il passato ci insegna che non lo è. Lo conferma anche lo storico inglese David Abulafia che ha spiegato che per la maggior parte dei secoli passati, anzi dei millenni, la caratteristica del Mediterraneo è stata “integrativa”».

Integrazione e inclusività sono tipiche del Baskin che oggi è presente in 18 regioni Italiane con 182 Associazioni Sportive Dilettantistiche con oltre 6300 tesserati di cui circa 3400 atleti con disabilità. La crescita della disciplina è stata accompagnata inizialmente dall’Associazione Baskin fino ad arrivare a strutturarsi nel 2019 nell’Ente di promozione paralimpico EISI.

Fu il Presidente Mattarella venuto a conoscenza di questo sport inclusivo e approfondendo le difficoltà incontrate per riuscire a classificarlo idoneo ad entrare a tutti gli effetti parte di una federazione sportiva che fondò nel 2019 la EISI, l’ente nazionale degli sport inclusivi, la prima federazione sportiva del suo genere a livello mondiale. La fondazione di questa nuova federazione ha favorito l’ideazione e sviluppo di altri sport inclusivi quali il calcetto, le bocce ed altri ancora.

Baskin in Slovenia

Anche a livello internazionale, proprio per il suo approccio universale ed inclusivo, il Baskin si è rapidamente diffuso e oggi conta più di 20.000 atleti in tutta Europa. Oltre all’Italia, il Baskin viene regolarmente praticato in Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio, Inghilterra, Slovenia, Croazia, Serbia, Albania, Grecia e Senegal.

Il Baskin sarà presente nella piazza sant’Antonio di Trieste fino al 5 luglio per le Settimane Sociali dei cattolici in Italia come buona pratica di impegno civile, di dedizione al bene comune, di partecipazione e di testimonianza dei valori repubblicani.

«È il sogno – conclude Federico Vescovini – di attivare processi tentando di costruire “dal basso” un mondo migliore, che valorizza le diversità per una società che viva nella quotidianità concrete azioni di inclusione e di pace».

Aurelio Molè

https://www.ziopinobaskinudine.it

https://www.baskin.it




Dammi tutti i soli

Ultimamente ricordo spesso la meditazione di Chiara Lubich: “Signore, dammi tutti i soli”.

Questa mattina, dopo la Messa in centro a Genova, sotto i portici di Via XX Settembre, davanti a me vedo un signore cadere. Subito si fanno attorno delle persone che lo aiutano ad alzarsi; gli offrono una sedia, ma lui rifiuta dicendo che sta bene. Riprende a camminare ma con un passo incerto.

Mi affianco e chiedo dove deve andare, se vuole che lo accompagni; mi dice che deve andare alla stazione. Mi offro di andare con lui, visto che devo andare da quella parte. “Qualche giorno fa mi è successa la stessa cosa – continua – sono solo, le assistenti sociali mi vogliono far ricoverare…sono senza mangiare da due giorni”.

“Forse è per questo che si è sentito male – gli dico – vuole prendere qualcosa?”
Si schernisce: “No grazie”. Insisto, pensando che è senza forze perché digiuno. “Prendiamo un caffè insieme?” Accetta! Prende un cappuccino e un dolce, io il caffè.

“Grazie, quanta gentilezza…ma oggi non c’è più amore da nessuna parte”.
Gli dico che un’amica mi ha insegnato che: ‘Dove non c’è amore metti amore e troverai amore’. “E lei ci crede? – mi dice. “Sì rispondo, perché è l’unica cosa che rimane nella vita”.

Mi guarda e mi dice: “E’ vero! Grazie – continua – grazie per quello che ha fatto per me”.
Per toglierlo dall’imbarazzo gli dico: “Lei l’avrebbe fatto per me?” “Certo! – risponde con un sorriso – un giorno spero di poter ricambiare questo momento”.Lo saluto mentre sta ancora sorseggiando il cappuccino. In me è forte la sensazione di avergli riscaldato un po’ il cuore.

Natalina