Come si è concluso il Campo di lavoro dei giovani a Sarsina?

Del Campo di lavoro dei giovani a Sarsina ne abbiamo già parlato in un predente articolo di alcuni giorni fa e lo potete leggere qui. Riportiamo quanto vissuto negli ultimi giorni e, se così si può dire, le conclusioni . . . 

Siamo dunque giunti al termine. Difficile condensare in poche righe una realtà tanto varia e coinvolgente. Al momento di partire qualcuno piangeva, altri nascondevano meglio la commozione, tutti erano consapevoli di aver fatto una esperienza unica che li ha segnati.

Il lavoro che hanno svolto è stato molto duro, altro che venire un giorno a spalare cantando ‘Romagna mia’. Sei giorni in cui non si sono risparmiati, specie le ragazze, che hanno fatto cambiare idea a Giovanni sul rapporto donne-legna, donne-trattore, donne- fatica. Il rapporto fra tutti è costantemente cresciuto; senza una sola sbavatura, un solo giudizio, un solo lamento.

Significativo il fatto che una sera, a tavola, ci siamo accorti che nessuno aveva con sé il cellulare; o che tutti partecipassero, senza che nessuno glielo avesse chiesto, alla sparecchiatura, lavaggio delle stoviglie e pulizia della cucina.

Eleonora, la buona e sorridente padrona di casa, diceva che la sua cucina non aveva mai brillato così tanto. Qualche eco giunto dai genitori dopo il rientro e al momento della partenza confermavano che vedevano i loro figli cambiati, sereni, maturati. Ringraziavano per aver fatto loro vivere questa esperienza.

Gli incontri con gli amici che salivano a portare la loro esperienza sono sempre stati seguiti con interesse e partecipazione, sia che si trattasse di un Imam che recita una sura con una religiosa cantilena, di un prete che ci propone una liturgia della Parola all’eremo di San Vicinio, di Claudio Di Filippo che ha tenuto una lezione di origami.

Tutto è servito . . . anche l’andare tutti insieme, dopo cena, in un paese poco distante per partecipare alla festa di compleanno di un cinquantenne e dormire poi all’aperto ammirando una splendida stellata; o visitare il Museo archeologico di Sarsina con una guida e poi la Cattedrale con la spiegazione dell’ex parroco e la successiva imposizione del Collare di San Vicinio; o l’uscita serale alle vicine Terme di Bagno di Romagna dopo una giornata di duro lavoro. Ne hanno approfittato per lavarsi a fondo, dato che l’unica doccia forniva acqua calda solo per i primi due fortunati. Simpatica la gentilezza con cui ognuno cedeva all’altro il privilegio di lavarsi con acqua calda.

Gli ultimi tre giorni hanno proposto la consueta varietà di interventi. Persone che si sono trovate bene con noi, quasi tutti si sono trattenuti per condividere il pasto e l’incontro con le loro differenti realtà ha avuto modo di approfondirsi in pranzi o cene all’insegna delle risate e della fraternità. Gli spazi lasciati ai momenti di relax e cultura non hanno inciso sulle ore di lavoro nei campi o nelle strutture della Fattoria. Erano lì per aiutare usando le braccia e nessuno si è tirato indietro.

Conclusione? Un’esperienza da riproporre, anche se, appare chiaro, che un Campo nato per venire incontro ad una ‘emergenza’ non potrà essere riproposto con tale formula, ma i campi di azione sono e potranno sempre essere tanti.

Antonio Pacchierini – Cesena

L’iniziativa è stata resa possibile grazie anche alla raccolta fondi del Coordinamento Emergenze del movimento dei Focolari coordinata da AMU/AFN a supporto della situazione di bisogno causata dall’alluvione dello scorso maggio in Romagna.

 




San Lorenzo

San Lorenzo, Io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Giovanni Pascoli X agosto 1896

E’ una delle notti più famose dell’anno, quella in cui veniamo rapiti dalla magia del Cielo e guardiamo in alto per cogliere quel guizzo, quello scintillio che sembra solchi il firmamento solo per noi. Se l’occhio cattura questa immagine ci sentiamo privilegiati, unici. Abbiamo ricevuto un dono.

Non è sempre è necessario scrutare la notte per vedere una luce brillare. Ci sono lampi di luce fugaci che si accendono per un attimo ed esserne stata testimone è un regalo speciale.

Sei sempre immobile nel tuo letto, quasi accartocciata su te stessa, e il tuo viso sembra quasi di cera, come non fossi più in gradi di comunicare, di provare emozioni. Sono le 5 di mattina di una notte faticosa, giro tra le stanze e per caso sono nella tua quando entra un OSS. Io ti saluto sempre, quando entro, ma a volte, per la fretta o la stanchezza non sono capace di cogliere la tua risposta.

Lui si avvicina piano e sussurra: “Teacher, good mornig..” ecco il dono che ricevo oggi, un sorriso che distende i tratti del tuo viso. E’ vero, tu sei una professoressa di inglese e questo saluto, quasi una carezza, ti arriva dritto al cuore. Grazie collega OSS che dopo un turno di notte sei ancora in grado di trovare quel tocco personale che dice alla persona la sua unicità, è una stella che si accende e non importa la sua breve durata, il Cielo si è riversato sulla terra.

Paola Garzi




“Avere un sogno a cui dare la tua fatica”

CANTIERE RpU Cittadella FARO – Križevci (Croazia) 16-23 Luglio 2023

Siamo partiti proprio con un grande sogno, come dice questa canzone dei THE SUN (C’è sempre un buon motivo per vivere – 2023) che ha dato il via alla nostra settimana di Cantiere, oltre a pale, rastrelli, pennelli e tanto entusiasmo, quello di poter aiutare e metterci al servizio delle tante realtà che avremmo incontrato, e questo sogno possiamo dire di averlo realizzato.

Per tutto l’anno ci siamo preparati, in weekend di formazione-azione conoscendo e collaborando con alcune associazioni, quali il Sermig, l’Oklahoma che accolgono ragazzi disagiati, Villa Luce una casa famiglia per giovani in difficoltà, Invetta che distribuiscono cibo ai senzatetto, …in attesa del Cantiere estivo!

Con destinazione Cittadella Faro – Croazia, 31 ragazzi dei territori della Lombardia Ovest e del Veneto, 8 accompagnatori, e una decina di adulti della cittadella abbiamo potuto TOCCARE, GUARDARE, ASCOLTARE, AMARE e AIUTARE tante, tante persone:

Un centro diurno di 25 disabili, l’asilo Raggio di Sole che accoglie circa 120 bambini utilizzando un rivoluzionario metodo legato ‘all’Arte di Amare’, 5 famiglie con diversi disagi, Lucy, una carismatica donna affetta da SLA che vuole realizzare un eco-camp, la nostra cittadella con alcuni lavori di manutenzione e Dijana che ci ha insegnato a costruire con materiale di riciclo, delle casette per gli insetti utili, per l’impollinazione e le colture.

Lavoro, gioco, formazione, divertimento, riflessione, questi gli ingredienti che hanno reso possibile questa sorprendente settimana di cantiere. Sì perché nonostante le sfide quali la fatica del ‘lavoro’, incontrare famiglie molto povere, incomprensioni tra ragazzi, la pioggia che cambiava i nostri programmi, non ci siamo scoraggiati e abbiamo cercato, dopo un momento di riflessione e verifica a metà settimana, di capire come potevamo ‘ricominciare’ fra noi e con quanto ci era stato affidato.

Tornando ci dicevamo con gli adulti accompagnatori che andavano dai 75 ai 22 anni quanto è importante guardare ‘A TUTTE LE FACCE DEI RAGAZZI DI OGGI’ quanto sono capaci di DARE, e come adulti non fermarci alle apparenze e ai pregiudizi che spesso possono emergere legati agli adolescenti e provare insieme a loro a misurarsi e mettersi in gioco.

La presenza di queste ‘generazioni’ così diverse anche fra gli accompagnatori, di cui un intero focolare, è stato un dono aggiunto per tutti, nel rispetto e nella semplicità dello stare insieme.

La cittadella Faro, ci ha accolto con grande gioia, resta veramente un ‘faro’ per i tanti che passano da diversi paesi e anche per la presenza del vescovo della Diocesi di rito greco cattolico che non hanno esitato ad accoglierci e farsi conoscere.

Abbiamo potuto conoscere la comunità ‘Cenacolo’ che accoglie circa 25 giovani con diverse dipendenze e che con una grande forza di volontà e una nuova o ritrovata fede, provano a riprendere in mano la loro vita e ricominciare. Sono state preziose le loro esperienze che ci hanno fatto ‘entrare’ nelle loro vite, ora illuminate da una nuova Luce, attraverso la loro guida Madre Elvira.

Anche la piscina, la gita a Zagabria, ci hanno permesso momenti di svago e divertimento, sempre occasioni per crescere nel rapporto di reciprocità.

La canzone che ci ha accompagnato durante il cantiere conclude così:

“Sarà così, sarà bellissimo

Sarà davvero la vita, la vita che ci voleva

Sì, sarà così, sarà bellissimo

Anche se sarà difficile sarai quel che ci voleva

C’è sempre un buon motivo per vivere”

Ora possiamo veramente dire che è stato bellissimo, ognuno è stato quel che ci voleva, con i propri talenti, presenza e testimonianza, e SI’ dopo questa settimana di servizio possiamo dire che ci sono sempre tanti buoni motivi per vivere, ognuno di noi può fare la differenza lì dove è!

Arrivederci a settembre, quando riprenderemo questo sempre speciale cammino con i ragazzi, per continuare a sognare e a vivere con loro perché ciascuno si senta protagonista della propria vita.

Mauricio, Marina, Antonio, Barbara, Amata, Sara, Federico, Mariangela e l’equipe dei ragazzi per l’Unità dei territori




Vacanze geniali 2023 a Falcade (BL)

Eccoci di ritorno dalle splendide Vacanze Geniali! A Falcade (BL) eravamo in 148, una trentina di giovani famiglie con circa 70 tra bambini e ragazzi dalle diverse città della Toscana. Il titolo creato da alcuni ragazzi era: “Senza arrendersi”, quasi una sfida ancora prima di cominciare, e ce ne siamo accorti da subito. Un popolo variegato, alcuni venivano per la prima volta invitati da amici, qualcuno di altri Movimenti, fra noi alcuni focolarini e Padre Fabio Ciardi, presenza preziosissima che ci ha accompagnato giorno dopo giorno con le sue “storie” e le specialissime messe dove tutti si sentivano accolti, credenti e non credenti, grandi e piccoli.

E proprio P. Fabio sul suo blog ha espresso in modo sintetico ed efficace “La mistica di quella marea un po’ caotica”, cioè l’esperienza vissuta, servendosi delle parole di Papa Francesco (vedi Blog di Fabio Ciardi)

Ogni giorno un motto, declinato in forme diverse, dalla canzone, al cruciverba, al post-it, ecc.
Domenica: senza arrendersi
Lunedì: stimarsi a vicenda
Martedì: supportarsi l’un l’altro
Mercoledì: non giudicare l’altro
Giovedì: cercare sempre il bene l’uno dell’altro Venerdì: accogliersi l’un l’altro
Sabato: salutarsi con un bacio santo

E così fra tutti sì è costruito qualcosa di bello, un’amicizia diffusa, un aiuto concreto, e anche qualcosa di più, a quanto sembra:

“Grazie ancora a tutti, alla dolcezza dei bimbi e alla simpatia e accoglienza degli adulti. È stato bello condividere un pezzo di cammino insieme, conciliando il fresco della montagna col calore umano”.

“E anche quest’anno ci portiamo appresso un pezzo di ciascuno di voi… Una piccola gentilezza, il calore di un sorriso, la dolcezza dei bambini, l’attenzione e la premura nel bisogno, la gioia della condivisione, l’allegria di una risata, gli occhi pieni di meraviglia…

Saranno gli appigli a cui aggrapparsi per risalire le difficoltà del quotidiano perché abbiamo sperimentato che è possibile volersi bene nella diversità…”.  

“I giorni passati insieme… una famiglia di famiglie. Ci sentiamo rigenerati dall’amore che è circolato fra tutti. E adesso andiamo avanti insieme”.




Il “gioco del limite”

Una nostra nipote ha iniziato da qualche anno un rapporto che le sembra serio e capace di “sostenere” una lunga vita a due. Giorni fa mi ha interpellata sulla fedeltà nel matrimonio quando si è già vecchi.

Le ho risposto che punti-forza della nostra vita sono il rispetto e la capacità di non risolvere subito qualche nube che richiede tempo per dissiparsi. Siamo cresciuti insieme ed ora nella vecchiaia ognuno si scontra ogni giorno con qualche nuovo limite. Allora, piuttosto che sorprenderci con qualche moto di insofferenza, abbiamo cominciato a dare il nome al limite che scopriamo in noi e a dircelo con umorismo.

Questo giochetto semplice e apparentemente banale ci permette di capirci meglio, di prevenirci negli errori, di aiutarci. Ma il vero dono di questo nostro impegno è la preghiera.

Preghiamo insieme in modo nuovo, come se l’esercizio di essere attenti l’uno all’altra sia la base del rapporto con Dio. E preghiamo per i vivi e per i morti. Non è richiesta di qualcosa, ma un essere presenti con la nostra vita a quanti amiamo e ci hanno amato

(Tratto da Il Vangelo del giorno, Città Nuova, anno IX, n. 4, luglio-agosto 2023)

 




Focolari e migranti: Cooperativa “Una Città Non Basta”

Gianni Caucci, imprenditore appassionato di musica, dirigeva il coro della parrocchia quando ha deciso con i componenti di allargare i rapporti positivi che si erano creati tra loro alla comunità circostante. Nel tempo si sono avvicinati agli altri, venendo a conoscenza di tante situazioni diverse, anche di grandi difficoltà economiche, così hanno iniziato a raccogliere beni, cibo, soldi e tempo, per donarli a chi ne aveva bisogno.

Si è creata una rete che è diventata un’associazione di volontariato chiamata “Una città non basta Onlus”, allargatasi sempre di più fino a far nascere l’esigenza di rendere un “servizio” più concreto alla comunità e avere una soddisfazione personale, visto che bisognava dedicargli sempre più tempo e aumentavano le richieste di aiuto e sostegno.

Nasce quindi la Cooperativa “Una Città Non Basta impresa sociale”, in cui ora lavorano operatori come psicologi, assistenti sociali, operai, muratori e avvocati. Infatti, oltre alla necessità di figure professionali per gestire situazioni delicate, un aiuto importante arriva dall’ambito lavorativo, che dona agli assistiti dignità e libertà.

La Presidente, Maria Rosaria Calderone, si dedica interamente alla Cooperativa, che ha una sede a Marino, dove si coordinano tutte le attività ed è attivo il  PIS (Pronto intervento Sociale), servizio per senza fissa dimora nei Comuni di Marino e Ciampino, con accoglienza serale/notturna insieme ad un N. Verde per l’aiuto e l’assistenza  Sociale.  Altra sede sul territorio è a Velletri, un edificio che apparteneva al Don Orione, diventata casa per famiglie migranti da dieci anni. Inoltre “Una Città non Basta” ha dato impulso ad un ulteriore progetto, ristrutturando una casa che verrà adibita all’accoglienza di donne vittime di violenza, a seguito di un bando indetto dal comune di Roma, vinto dalla cooperativa che tuttavia è stata l’unica ad aderire.

L’accoglienza è verso tutti coloro che sono emarginati, come ex tossicodipendenti in buone condizioni fisiche e mentali che ancora non vengono ufficialmente accettati dalla società. La Cooperativa affianca e sostiene le persone, diventando molto importante per le vite che incontra. Una signora che si trovava in grandi difficoltà, racconta Gianni Caucci, gli disse che nessuno nell’ultimo periodo l’aveva cercata, neanche i suoi familiari, se non le persone della Cooperativa.

Una famiglia afgana numerosa è accolta a Marino. Tra i componenti un bambino a cui Gianni ha aggiustato la macchinina telecomandata, che è arrivato in Italia con la mamma e la sorella tramite i ponti aerei del 30 agosto 2021. Con tante altre persone accolte, stanno imparando la lingua grazie al lavoro di docenti volontari che si recano periodicamente al centro. Si cerca di capire quali siano i sogni, i desideri e le capacità di queste persone, in modo che possano un giorno uscire dai centri di accoglienza e rendersi indipendenti.

Non avendo scelto di venire in Italia, a volte mostrano difficoltà nell’accettare la loro situazione. Una ragazza accolta dalla cooperativa continua ad avere il desiderio di tornare nel paese di origine, forse perché ha lasciato degli affetti quando è partita, sebbene la situazione sia molto complicata.

Altro episodio di cui ci rende partecipi Gianni: un giorno Maria Rosaria è entrata in ufficio lamentando che i bambini accolti avevano bisogno di giubbotti. Dopo qualche remora presentata dalla contabile, che le mostrava i pochi fondi a disposizione, comunque comprarono queste giacche, per una spesa di circa trecento euro. Il caso ha voluto che tornate in sede, alla visualizzazione dell’estratto conto, avessero ricevuto una serie di bonifici di una somma più o meno corrispondente a quella spesa, fatti da persone che liberamente donano per sostenere i progetti.

Far funzionare la Cooperativa è un lavoro impegnativo, portato avanti con fatica e speranza per il futuro. Gianni Caucci racconta come si sia ispirato al pensiero di Chiara Lubich: rendere concreto l’amore. Dopo la sua morte si è sentito in dovere di agire: “Forse non sono la persona più adatta a esprimere il pensiero di Chiara a parole, ma sento il dovere di provare a metterlo in pratica, per quanto ho ricevuto nella vita”. Ha parlato della libertà di esprimersi, di donare ed essere ricambiati: “Anche un caffè può essere mezzo di felicità e relazione, oltre che un segno di parità, se è un dono”.

Sia Gianni Caucci che Maria Rosaria Calderone hanno insistito sul tema dell’integrazione, sotto una prospettiva capovolta: dobbiamo pensare non solo alle persone che vengono accolte ma anche a chi accoglie. Non si è sempre pronti al diverso, anzi se ne ha paura, è importante perciò creare dei ponti tra le comunità locali e le realtà di accoglienza, mettendo in relazione le persone nella quotidianità.

Lavorare nella cooperativa dà soddisfazione e gioia, proprio in virtù dei legami che si creano. I volontari insieme ai lavoratori sono sempre in fermento, impegnati e totalmente dediti alla loro attività. Gianni Caucci, persona molto gioviale, aperta e desiderosa di raccontarmi le vicende della Cooperativa, non nasconde che ci possano essere degli scontri perché si è di culture diverse, si vive in tanti e insieme. L’importante è confrontarsi per cercare di raggiungere un “sentire” comune. Così conclude, mentre beviamo un caffè.

Miriana Dante

SITO WEB UNA CITTA’ NON BASTA

SITO COOPERATIVA




Diario di Fango – L’alluvione del 16 e 17 maggio 2023 a Faenza

Dopo più di due mesi dall’alluvione che il 16 e 17 maggio 2023 ha colpito l’Emilia Romagna e, in parte, le Marche, ecco il racconto di quei giorni e di ciò che ho vissuto nelle settimane successive.

Non è un’inchiesta giornalistica, ma una testimonianza. In questo video parlo di quello che ho vissuto in prima persona, delle mie riflessioni su ciò che questo evento ha messo in luce del perché l’umanità meriti una seconda possibilità.

Claudio Di Filippo – Faenza

Link al video: https://youtu.be/tFETQDRoTgM




Il fiume, l’alluvione, la fuga sul surf: cronaca di un salvataggio a Faenza

Cinque anni fa ci siamo trasferiti in via Carboni a Faenza, che per noi era sconosciuta prima di incontrare la nostra casetta. Ora è una delle vie più famose d’Italia. Nel mezzo c’è il 16 maggio, il fiume, l’alluvione e la nostra fuga sul surf, salvati da un cugino.
Quel martedì pomeriggio avevamo scelto di rimanere in casa, installando pompe e sacchi di sabbia per cercare di arginare l’acqua, che due settimane prima ci aveva colto assolutamente impreparati. Non ci illudevamo di restare all’asciutto, ma il primo piano della casa ci dava la tranquillità di vivere lì dentro, semmai isolati, con le provviste necessarie per alcuni giorni. Lo studio sarebbe diventato la cucina e dall’interno avremmo continuato a gestire le pompe per tenere il livello dell’acqua il più basso possibile.

Non è andata così. Quando il fiume ha rotto l’argine, proprio in cima alla via, in venti minuti siamo rimasti intrappolati con l’acqua che già stava salendo di sopra. È stata una lotta contro il tempo. Telefonare ai soccorsi, stare alla finestra con le torce, i figli che angosciati controllavano il livello dell’acqua salire di gradino in gradino. Poi indossare scarpe e piumini per il freddo, salvare i documenti, fare uno zaino, cercare di pregare ma non riuscire a farlo, mandare messaggi per chiedere che altri preghino per noi. In tutto questo ricevo una telefonata: mio cugino Massimo ha saputo che l’argine ha spaccato proprio lì e chiede se ho bisogno. Gli dico di non fare pazzie, la situazione è pericolosa, ma abbiamo allertato i soccorsi, ma la mia voce mi tradisce e lui decide di venirmi a salvare con la tavola da surf e l’aiuto di un altro cugino. Così, nuotando in via Lapi a 4-5 metri d’altezza, tra alberi e cassonetti galleggianti, ci salva uno alla volta, partendo dai nostri tre figli. Oltre alla vita, ogni figlio salva un peluche, compagno di quell’ora di terrore, mentre noi adulti un beauty con spazzolini, portafogli e chiavi. Il resto viene inondato

Io, Maria Chiara, sono l’ultima a partire e rimango alcuni minuti da sola, seduta sulla balaustra del terrazzo, con l’acqua che già mi arriva alla vita. Non abbiamo lucernari e arrampicarsi sul tetto sarebbe stato impossibile. Stiamo scappando proprio per non morire, l’hanno capito anche i nostri figli. Eppure, in quel momento, sentendo le chiavi in tasca, penso alla mia casa. Abbandonarla è triste. Quanti migranti avranno già fatto questa esperienza. Sento che nessuno lascia la propria casa se non per un pericolo grave. Guardo il cortile che attraverserò di lì a poco a bordo del surf, prima di immetterci nella corrente della via. Se mi cascano le chiavi di casa lì, forse quando l’acqua sarà scesa le ritroverò, ma quante chiavi sono nel fondo del Mediterraneo, e nessuno le troverà mai più. Ringrazio per questa esperienza così forte, che mi permette di immedesimarmi davvero con quella parte di umanità nata a sud del mare.

Con il surf veniamo portati alle mura della città, che assaliamo con una scaletta come nel Medioevo. Un’amica, che abita di fronte, uno alla volta ci accoglie nel buio di casa sua. Ci siamo svestiti, asciugati, e ci ha prestato nuovi abiti per non morire di freddo. Anche il centro della città inizia a essere in pericolo e così scappiamo dalla suocera in campagna, salvando anche la macchina nuova. Il primo pensiero è stato telefonare a Chiara, la moglie di Massimo, per ringraziarla e avere sue notizie. Dopo aver messo in salvo altre persone è rientrato a casa, stremato ma vivo. Li ringraziamo entrambi, lui ci ha davvero salvato la vita, e lei lo ha lasciato fare, pur essendo consapevole del pericolo che avrebbe corso (anche loro hanno due figlie). Ci ritorna la frase del Vangelo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Massimo e Chiara sono stati davvero pronti a metterla in pratica per noi.

Marco e Maria Chiara Bubani

FONTE: IL PICCOLO DI FAENZA

Vedi altri articoli sull’alluvione:

https://www.focolaritalia.it/2023/06/07/tre-giorni-a-spalare-fango-diario-dalla-romagna/

https://www.focolaritalia.it/2023/05/26/in-soccorso-degli-alluvionati/

https://www.focolaritalia.it/2023/05/19/emergenza-alluvione-in-emilia-romagna-e-marche-raccolta-fondi/

 




Ascoltare “quella voce” ed osare

La settimana scorsa ho partecipato in cattedrale ad un incontro con il Vescovo sul Cammino Sinodale, a questo incontro erano presenti anche diverse persone del Movimento dei Focolari.

Al termine dell’incontro il Vescovo ci ha sollecitati a portare nei diversi ambienti il messaggio del Cammino Sinodale per far comprendere il nuovo cammino intrapreso dalla Chiesa. Ci ha consegnati inoltre alcuni volumetti riguardanti la pastorale della salute per il Cammino Sinodale.

Tornando al parcheggio per riprendere l’auto, ho chiesto ad un membro del Consiglio Pastorale della nostra parrocchia, di portare ai medici di famiglia del nostro Comune i volumetti che il Vescovo ci aveva consegnati.

Inizialmente mi è sembrato titubante, ma dopo un’attenta riflessione ha sposato la causa. Oggi mi ha chiamata ed era felicissimo di aver consegnato otto dei volumetti ed ha aggiunto: ”Sai, quando ho consegnati questi libretti ho anche detto che l’idea era tua. Lo dobbiamo condividere con il Consiglio Pastorale, per far capire che le cose vanno fatte insieme”.

Questa esperienza mi ha fatto molto riflettere sull’importanza della condivisione: anch’io prima di proporla ero titubante, ma ho ascoltato “quella voce” e ho osato.




“In carcere mi sento libero”

Tanti volti, tanti nomi ma soprattutto tante persone incontrate con le loro storie, il bisogno di farsi ascoltare, di non sentirsi soli, moltissimi di loro non hanno nessuna famiglia alle spalle e trovare un volto amico che non li giudica che li ascolta e offre loro una parola buona, diventa motivo di sollievo e speranza nella loro sofferenza.

ma come potremmo chiederci ?? Come è possibile essere liberi in un carcere??

scopre di avere un talento per la scrittura e per dare un senso alle sue giornate incomincia a scrivere gialli fino ad arrivare a scrivere due libri.

Condividiamo con lui, la presentazione di uno di questi libri e anche i progetti di un nuovo lavoro, suggerendogli i valori di una economia solidale.

un conto è uscire dal carcere e un altro è uscirci da uomo libero”.

.. molto spesso di un viaggio l’importante non è la meta finale, ma il percorso fatto per raggiungerla e chi lungo questo percorso ci ha accompagnato.

Ed allora non possiamo che ricordare i nostri compagni di viaggio e soprattutto i nostri Volontari che vogliamo ringraziare per la grande umanità e attenzione mostrata nei nostri riguardi, ma soprattutto perché in ogni momento trascorso con loro ci hanno sempre fatti sentire uomini e non detenuti, consegnandoci una dignità che a volte la vita ed i nostri errori ci hanno negato.

Ed allora grazie anche ai volontari “portatori di speranza”, ci lascia credere che il nostro futuro sia ancora tutto da scrivere ed è possibile ricominciare una che a volte la vita ed i nostri errori ci hanno negato.

Per noi volontari è il miglior riconoscimento della bontà del nostro operare.

Franca per il gruppo dei Volontari del Carcere di Lodi




Dopo il divorzio, di nuovo il matrimonio

La nostra famiglia è composta da 6 tra fratelli e sorelle, cresciuti con una educazione cristiana vissuta nei fatti, magari poco capace di esprimere con le parole che ci volevamo bene; ognuno di noi si è formato una sua famiglia e abbiamo avuto dei figli.

Fra tutti, mia sorella più piccola ha sempre manifestato insofferenza nel rapporto col marito e negli anni, nonostante la presenza di due figlioli, gli attriti e le diverse idee su tanti aspetti della vita, hanno creato ferite profonde; nel tempo ha anche manifestato un disturbo psicologico importante. La sua fragilità era a volte visibile, a volte no, ma è stato comunque difficile negli anni poter essere di supporto in qualche modo proprio per la scarsa capacità da parte di noi fratelli di comunicare e di condividere.

L’aiuto maggiore lo ha potuto dare mia sorella più grande che abitava vicino ed era più a stretto contatto con lei. Quando tra noi si parlava di lei spesso non sapevamo cosa dire se non che la vita matrimoniale è fatta anche del sopportarsi e di lasciar perdere…. poi mio cognato era sempre rimasto in famiglia e mai aveva lasciato intendere di volersi separare.

Quando invece tutti e due i figlioli sono divenuti maggiorenni è stata mia sorella a prendere l’iniziativa dicendo che non intendeva continuare questa farsa e che lei si sarebbe separata. Nel frattempo nostra madre era morta, era rimasto solo nostro padre che non aveva mai espresso idee al riguardo ed era molto anziano.

La sua decisione ci ha sorpreso perché, nonostante la sofferenza che percepivamo, credevamo che lei non sarebbe stata in grado di essere autonoma sia dal punto di vista economico che dal saper stare senza di lui. E invece si sono separati con tante fatiche e ripicche che i figli hanno cercato di smorzare, essendo quasi sollevati dalla decisione della mamma.

I contatti con nostro cognato che è uscito di casa ed è tornato ad abitare con la madre si sono fatti via via più radi. Solo nostra sorella maggiore è riuscita a non perderlo completamente di vista e anche i figli hanno cercato a modo loro di tenere un rapporto con lui.

Sono passati altri dieci anni e forse più, la separazione è diventata divorzio, i figli di mia sorella hanno messo su famiglia, mia sorella quattro anni fa è diventata nonna prima di un bellissimo bimbo e poi di una bimba. Negli anni l’abbiamo vista riacquistare una certa stabilità emotiva, unico argomento che la amareggiava era sempre quello dell’ex marito.

Finchè, un anno fa, veniamo a sapere che lui è ammalato e che sta curando un tumore piuttosto aggressivo. Mia sorella ha reagito in modo distaccato, dicendo che la cosa non la riguardava, al massimo che era dispiaciuta come lo si può essere per qualunque altra persona. Come non darle torto?

Negli anni aveva lasciato intendere a più riprese di quanto fosse stato negativo per lei il rapporto col marito, di quanto avesse sofferto. Io e un mio fratello, con cui condivido la Spiritualità dell’Unità del Movimento dei Focolari, abbiamo pensato di pregare intensamente sia per nostro cognato che per la nostra sorellina (l’abbiamo sempre considerata più fragile e bisognosa di amore) e anche per i figli che si stavano facendo carico della malattia del loro papà.

In breve tempo la situazione di nostro cognato è precipitata. I medici gli hanno comunicato che oramai le cure non facevano più effetto e che gli restavano pochi mesi di vita. Gli consigliarono il ricovero in un hospice. Lui ha manifestato il desiderio di incontrare nostra sorella e lei, dopo giorni di dubbi, ha accettato.

Nella prospettiva della morte vicina sono riusciti a comunicare in modo nuovo e chiarificatore, ammettendo vicendevolmente difetti e incapacità del passato. Mio cognato ha insistito per sposare di nuovo mia sorella per poter trovare una pace nuova e per lasciare a lei, sempre in difficoltà economiche, la reversibilità della sua pensione che da poco percepiva: ha accettato e anche lei si è sentita con una serenità inaspettata.

Il giorno successivo al matrimonio, avvenuto in casa, coi figli vicino, mio cognato ha accettato di trasferirsi all’hospice dove tutti noi, a turno, lo abbiamo visitato e dove è morto pacificato, esprimendo sentimenti affettuosi verso tutti.

Pensiamo che tutto questo sia un piccolo, grande miracolo, il frutto del pregare insieme e del credere che tutto vince l’Amore.




Il terzo discepolo di Emmaus

C’era un altro discepolo che decise di mettersi in cammino verso Emmaus e partì qualche tempo dopo di loro, era più giovane e più veloce e arrivò in vista degli altri due nel pomeriggio.

Li vide da lontano in discussione con un terzo personaggio che non riusciva a distinguere bene; decise di tenersi a prudente distanza, pronto ad intervenire nel bisogno.

Quando arrivarono in vista di Emmaus accelerò il passo in tempo per scorgere la casa dove erano entrati quei tre.

Decise di entrare e trovò il pane spezzato e i due fratelli pieni di luce e di gioia nel volto, non gli rivolsero alcun rimprovero, ma gli dissero: “Era Gesù, il Signore Risorto!”.

A quanti in questi due anni si sono tenuti “a prudente distanza” dal Cammino Sinodale noi possiamo solo annunciare: “Era Gesù in mezzo a noi, il Signore Risorto!”

Cesare Ciancianaini




Come mi hanno cambiato la vita i disabili

Non sempre siamo noi a dar vita a “buone pratiche”. A volte sono piuttosto le circostanze e le persone con cui ci troviamo a vivere e a lavorare ad avere su di noi l’effetto di una “buona pratica”. È l’esperienza di una medica spagnola: dopo anni di intenso lavoro e grandi responsabilità è andata a lavorare in un Centro tenuto dai padri Orionini per persone con gravi disabilità e vi ha imparato molto.

Ho 57 anni. Sono medica e sono entrata in focolare (i focolari sono piccole comunità di persone donate tutte a Dio, al cuore del più vasto Movimento dei Focolari) a 26.

Ho lavorato e vissuto sempre nella regione di Madrid. Ero ormai da qualche anno responsabile del Movimento dei Focolari per una parte della Spagna, quando ho incominciato ad avvertire disagio e disinteresse per tutto quanto facevo nel Movimento. Non me ne rendevo conto, ma mi ero molto “burocratizzata”: avevo un’agenda piena di “cose da fare”, persino il ritiro o qualsiasi incontro era un “dovere”, una cosa da fare, non persone da amare.

Avevo accettato quel compito perché era un mio modo di dire sì a Dio, ma percepivo anche che era un impegno superiore alle mie forze. Piena di buona volontà, mi sono buttata nella vita di comunione, nel lavoro per il Movimento, per gli incontri, per strutture come i Centri Mariapoli e il Centro editoriale, e continuavo il mio lavoro come medico.

Avevo quindici giorni di vacanza all’anno e due o tre giorni di riposo ogni due mesi. Mi alzavo alle 6 del mattino e andavo a dormire alle 23. Tutto il giorno, in un modo o nell’altro, “lavoravo”. Oltre a questo, mia mamma si era ammalata di tumore e abitava da sola (siamo un fratello e io).

Ero molto contenta e grata delle esperienze vissute, della gente meravigliosa conosciuta. Ma dentro di me intuivo sempre più che qualcosa non andava, anche se non riuscivo a fermarmi per ascoltare il mio intimo: troppi erano i bisogni che vedevo attorno (o così mi sembrava). E quindi continuavo la mia corsa.

Un giorno, nelle vacanze, mi sono ridonata a Maria e le ho chiesto di fare lei nella mia vita quello che occorreva. Le ho affidato quella situazione perché non sapevo come aggiustarla… e in cosa.

Siccome il mio ritmo di vita era fisicamente estenuante – tra l’altro dovevo fare tutti i giorni 180 km in macchina per le trasferte di lavoro – ho colto con gratitudine l’opportunità di andare a lavorare più vicino al focolare, in un Centro dei religiosi di don Orione per persone con grave disabilità intellettiva.

Io provenivo dal mondo della medicina del lavoro, da ambienti molto competitivi come la Tv, l’amministrazione pubblica, ecc. Durante il colloquio per l’assunzione siamo entrati in un reparto e uno dei ragazzi, con sindrome di Down, molto alto, quando ha saputo che io ero la nuova medica, mi è venuto incontro di corsa con le braccia allargate.

In un primo momento mi sono spaventata e ho cercato di fermarlo prendendo la sua faccia tra le mie mani, un gesto amichevole ma che aveva anche la seconda intenzione di bloccarlo qualora mi avesse fatto del male. Lui è rimasto molto sorpreso. Poi, con dolcezza, ha preso le mie mani e se le è messe dietro il collo come per dargli un abbraccio. A sua volta mi ha abbracciato per un bel po’ e mi ha sorriso come per dire: «Guarda che gli abbracci si danno così».

Io non lo sapevo, ma Gesù mi aspettava in queste persone per trasformare profondamente la mia vita. Con loro ho incominciato a guardare il mondo in un altro modo. Una mattina, alle 7, mentre davo le medicine e loro erano ancora a letto, l’idraulico che doveva fare un lavoro ai termosifoni ha incominciato a dare forti colpi di martello: ton, ton, ton… Stavo per andare a rimproverarlo – «Come fa a fare tanto rumore a quest’ora, quando i ragazzi sono ancora a letto?» – quando mi sono fermata perché uno di loro stava muovendo le braccia al suono dei colpi, che egli viveva come … “musica”.

Vedendo la loro spontaneità, la loro libertà nell’agire, il loro affetto sincero, ho cominciato, senza accorgermi, a mettere anch’io in gioco queste risorse. Da tempo provavo a vivere il Vangelo, ma lì… ricevevo grosse lezioni.

Ad esempio, c’era un ragazzo – Jesús – che ogni mattina, quando gli dicevo “Buongiorno”, mi rispondeva con un sorriso da un orecchio all’altro. Io qualche giorno arrivavo contenta ma altre volte ero triste oppure stanca. Lui invece, immancabilmente, mi accoglieva con il suo sorriso, tutto per me!

Un giorno ero un po’ nervosa e mi sono cadute per terra le pastiglie che dovevo dare a loro: prima una, poi un’altra e un’altra ancora. Mi veniva da spazientirmi, quando uno dei ragazzi – erano tutti zitti perché mi vedevano tesa – ha cominciato a ridere e tutti sono scoppiati a ridere. Impossibile non mettermi a ridere anch’io con loro!

Un altro ragazzo – Luis – ogni venerdì, quando veniva a prenderlo la famiglia che lo accoglieva per il weekend, mi salutava dicendo: «Dottoressa! Io vado ma non piangere perché ritornerò!». Era uno scherzo innocente che si ripeteva tutti i venerdì. Qualche mese dopo è morto per un arresto cardiaco ed io ho pianto tutte le mie lacrime. Ma poi, di colpo, mi sono tornate alla mente quelle parole: «Dottoressa, non piangere perché ritornerò».

La convivenza con queste persone con gravi disabilità ha smontato progressivamente la mia struttura così sicura e la mia intelligenza poco aperta, lasciando emergere un’altra intelligenza: quella del cuore che sa riconoscere in ognuno qualcosa di unico e irripetibile.

Con loro ho ritrovato il fascino della vita del Vangelo e dell’ideale dell’unità, quella vera. La loro autenticità mi ha portato a confrontarmi con la mia inconscia ipocrisia: quel cercare di mostrarmi sempre brava e ineccepibile, scoperto come un atteggiamento profondamente dannoso. Perché, in realtà, abbiamo bisogno continuamente di perdono e di misericordia da parte di Dio, degli altri, di noi stessi…  Per sentire quel bisogno dobbiamo, però, vederci e accettarci così come siamo. È questa una delle tante cose che mi ha insegnato l’autenticità di queste persone.

Margarita Gómez del Valle

Esperienza tratta dalla rivista Ekklesía n. 19 aprile/giugno 2023

 Per acquisti ed abbonamenti clicca qui

 




Gioia nel dare

Erano giorni che vedevo dei poveri che chiedevano aiuto nella metropolitana di Milano, ma ero sempre preso da tante attività e passavo sempre oltre, tornando a casa senza averli aiutati.

Ieri sera ho deciso di andare a mangiare con qualcuno di loro; sono andato a cercarli nel posto dove li vedevo di solito, ma non c’era nessuno, ho cominciato a girare in una grande piazza (piazzale Loreto) e non trovavo proprio nessuno.

Dopo un bel po’, ho trovato una persona che non chiedeva da mangiare, ma era visibilmente sporco e in cerca di aiuto: mi sono avvicinato e gli ho offerto da mangiare (avevo una busta di cibo fresco preso in un supermercato, derrate in scadenza in giornata).

Ho mangiato quindi insieme ad un ragazzo della Germania, lui non ha mangiato tanto perché è vegano; abbiamo condiviso il cibo, parlato e poi l’ho salutato. Avevo ancora due hamburger di manzo, perciò mi sono avvicinato un altro ragazzo che era lì vicino, un bengalese: lui non ha voluto la carne perché non può mangiarla, ma mi ha ringraziato perché aveva visto quello che avevo fatto, non finiva di ringraziarmi ed era molto contento.

Ho continuato a cercare qualche altro povero per consegnare gli hamburger: alla fine ho visto un venditore ambulante egiziano nella metropolitana: gli ho chiesto se voleva la carne ed ha accettato, restando stupito e contento.

Per concludere, subito dopo ho sentito la spinta interiore ad andare in chiesa, non so perché: era tardi, ma ho trovato una chiesa aperta. Di fronte a Gesù Eucarestia, ho sentito dentro una gioia nuova, una felicità mai provata, una cosa che non sapevo spiegarmi e che mi ha emozionato; subito dopo la mia uscita, la chiesa è stata chiusa.
E’ proprio vero il Vangelo: c’è più gioia nel dare che nel ricevere!

Franco Micucci




La “parannanze” cristiana

(Parannanze: grembiule da cucina o da lavoro nel dialetto abruzzese).

Martedì mattina ricevo delle foto: sono del bagno di Tina, con alcuni sanitari quasi completamente incrinati, ovviamente inagibili. Tina ha due figli, di 7 e 13 anni, che per prudenza e sicurezza hanno imparato ad usare il vaso in modo ‘ginnico’. Ormai da tempo. Il padrone aveva fatto riparare la spaccatura che già c’erano in modo sbrigativo e superficiale, non migliorando, ma anzi compromettendo definitivamente il vaso e il bidet.

Tina è nigeriana, e mi chiede aiuto quando i suoi problemi hanno bisogno di un ‘autoctono’ ..sigh… Faccio mente locale e chiamo Luigi: non mi può aiutare direttamente, ma condividendo questa necessità ci viene in mente un altro amico. Non ho il contatto, così chiamo Bruna, che sicuramente lo ha. Non le mando un messaggio, voglio poterle spiegare meglio a voce. Il rapporto personale è sempre una risorsa nella soluzione dei problemi. Ho il contatto e lei, approfittando di questa telefonata, mi mette al corrente di un’altra necessità, piuttosto complessa. La ascolto profondamente, è una situazione di grande difficoltà. Mi dà il riferimento di questa nostra amica comune, che chiamerò sicuramente.

Subito dopo chiamo Marco, che mi dà la disponibilità a riparare il bagno. Capisco che è meglio andare insieme, così ci mettiamo d’accordo per il giorno dopo. Il bagno è vecchio e lui fatica non poco a sostituire i sanitari. Rimane chinato per ore: quell’immagine diventa fortemente simbolica, e quasi mi commuove: inginocchiarsi davanti a ciò che dell’uomo è ‘scarto, rifiuto’.

Marco era un agente di polizia…. cosa lo spinge a farsi così prossimo, a piegare le ginocchia e trovare soluzioni davanti ad un water? Lo intuisco: prendersi cura della parte di umanità più fragile, quella che è costretta a conquistarsi giorno per giorno ‘pane’, diritti, ma soprattutto dignità. Ha smesso la divisa per indossare quella della ‘parannanze’* cristiana.

Mentre lavora mi offro di andare a prendergli un caffè, lui accetta volentieri. Esco, affrettando il passo. Quasi arrivata al bar vedo una signora di colore con un passeggino. Mi viene incontro, sicura, ma allo stesso tempo garbata, con grazia. Mi accorgo che ha gli occhi lucidi e mi chiede in un italiano stentato, del latte per il suo bambino. Il tono della voce è più eloquente delle parole: è smarrita, fragile, disorientata, in cerca di quel latte, ma anche di qualcuno che la ‘veda’.

Le sorrido, le chiedo il suo nome e parliamo un po’. La accompagno in farmacia (meno male che è vicino al bar!) e le compro un po’ di scorta di latte in polvere. Mi ringrazia con gentilezza e io le chiedo il suo contatto, per poterci risentire ancora. Ci salutiamo: da oggi Joy fa parte di me. Prendo il caffè e ritorno a casa di Tina. Giustifico a Marco il mio ritardo, che sorride discretamente, di nascosto. La ‘parannanze cristiana’ è un abito che abbiamo in comune.

Manca un attrezzo e Marco scende al furgone per prenderlo. Colgo l’occasione e lo accompagno: gli avevo comperato un dolce, la gratitudine è sempre compagna della generosità.

Il lavoro si conclude, ma a Marco non sfugge il dettaglio dell’interruttore rotto del bagno e sostituisce anche quello. L’amore si vede nei dettagli! Tina è felicissima, ho l’impressione che quei sanitari nuovi le abbiano dato dignità. E ce lo fa chiaramente capire nella sua bellissima esuberanza africana!




Quando ti doni completamente agli altri, ricevi il centuplo … forse anche di più!

Voglio raccontarvi un’esperienza fresca, fresca!

La settimana scorsa mi è stato chiesto se fossi disponibile mercoledì 10 maggio per aiutare gli organizzatori di un evento importante (gli Stati Generali della Natalità a Roma) ad allestire la sala e preparare il materiale. Ho detto subito sì, senza sapere niente.

Subito dopo, le persone che mi hanno contattato per darmi informazioni, mi hanno ingaggiato anche per i due giorni dell’evento, poiché servivano volontari. Anche qui ho detto sì, senza controllare nemmeno dove si svolgesse l’evento.

Ho donato tutte le mie forze: mercoledì dalle 10 alle 22; giovedì dalle 7:30 alle 23; venerdì, ieri, dalle 7 alle 00:30. Sono stati giorni fisicamente intensissimi e la sera quando tornavo a casa, dopo 40 minuti di mezzi pubblici, crollavo!

Ma . . . ancora una volta, ho sperimentato che quando ti doni completamente agli altri, ricevi il centuplo… forse anche di più! E questa volta, l’amore è tornato subito indietro: ho conosciuto tante persone straordinarie, giovani e adulti, che mi sembrava addirittura di conoscere da sempre. Ho ascoltato tante esperienze di vita diverse dalle mie. Ho messo da parte me stesso e le mie necessità per mettere davanti gli altri. Ma soprattutto, ho avuto la possibilità di avere tra le mani, le mani che cullano il mondo (quelle di Papa Francesco!).

Oreste – Teramo

Rivivi l’edizione 2023 degli Stati Generali della Natività




Due vite

E siamo di nuovo al turno di notte, è quasi mezzanotte e sembrano le 8.00 di un lunedì mattina. Ci sono vari pazienti instabili, molte terapie da aggiornare. Sedute l’una di fronte all’altra lavoriamo, io impostando le nuove modalità di trattamento e tu, infermiera, prendendo appunti per essere immediatamente operativa. Quando lavoriamo insieme, di notte, so che ci sentiremo più volte, perché sei molto scrupolosa e attenta e ti confronti su tutto.

Oggi però mi sembri meno performante, sbadigli addirittura, e siamo appena all’inizio del turno! Guardo ormai a distanza la giovinezza, sono in quell’età in cui si diventa comprensivi della vita un po’ sballata dei ragazzi, eppure come tutti gli adulti mi sento in dovere di fare una piccola predica e ti dico: dormi il pomeriggio prima di venire a fare la notte, se ti stanchi troppo fai doppia fatica (ed anch’io lavoro meno bene, penso tra me).

Mi guardi con un sorriso timido, un po’ imbarazzato. Distolgo lo sguardo dal PC e mi sembra di vederti per la prima volta: hai una luce speciale in viso, sei bellissima. Colgo subito al volo, ma tu aspetti un bambino! Il sorriso si apre pieno, i tratti del tuo viso si distendono in una dolcezza che solo la maternità può spiegare. Ci abbracciamo forte e riprendiamo a lavorare.

Paola Garzi




Guerra e pace e perdono

La storia di Joseph, per cinque anni bambino-soldato in Sierra Leone. Oggi studente universitario con il sogno di insegnare

L’economia muove il mondo, causa le guerre. Le ferite si sanano solo con il perdono. È una storia di ieri, ma sembra una storia che parla di oggi. Accade anche in Sierra Leone. Nel 1991 i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario innescano un conflitto contro il governo che provoca migliaia di morti, milioni di profughi e terribili abusi. Tra le cause, il controllo dei bacini di diamantiferi nel Sud-Est del Paese, l’intromissione di Paesi limitrofi interessati allo sfruttamento dell’immenso potenziale di ricchezza della regione, la corruzione e il basso livello di istruzione. Solo nel 2002 la guerra sarà dichiarata ufficialmente conclusa.

Nel 1993 Joseph Konah ha solo cinque anni. E, benché così piccolo, vivrà tutte le conseguenze della guerra. Un gruppo di ribelli entra nel suo villaggio, fa irruzione in casa sua e lo rapisce per arruolarlo nel loro esercito come bambino-soldato. Questo il suo racconto.

Per cinque anni bambino-soldato

«Quel giorno – ricorda – ero insieme a tanti altri bambini come me; siamo partiti e abbiamo camminato tutta la notte per raggiungere la loro base. Durante questo viaggio uno dei bambini era stanco e chiese di riposare, uno dei ribelli l’ha guardato e gli ha detto: “Ok, tu resti qua a riposare e noi andiamo” e senza esitare gli ha sparato. Siamo passati dall’essere bambini che avevano paura degli spari ad essere quelli che sparavano. Avevo solo sei anni quando sono stato catturato e imparai a vivere con i ribelli che saccheggiavano e bruciavano villaggi, assassinavano e tagliavano le mani ad adulti e bambini perché nel mio Paese per votare dobbiamo usare l’impronta digitale e volevano togliere la possibilità di votare.

Il mio capo aveva perso un figlio in guerra e aveva scelto me per sostituirlo. Ero a suo diretto servizio. Queste erano le persone con cui sono dovuto restare per cinque anni. Ho vissuto guardando i miei amici che venivano drogati e obbligati a compiere atrocità.

La svolta: l’incontro con la madre

Durante i nostri spostamenti, le donne dei villaggi vicini erano obbligate a portarci del cibo. Un giorno tra quelle donne ho riconosciuto mia mamma, che per anni ho creduto morta.  In quel momento le ho detto, usando il nostro dialetto che nessuno capiva, di non gioire e di essere indifferente e lei, nonostante la gioia di avermi ritrovato, è riuscita a far finta di nulla e mi ha dato appuntamento nella foresta vicina per la stessa sera. Quella sera dissi al mio capo che volevo andare a camminare e lui mi diede il permesso. Raggiunsi la mia mamma e insieme tornammo in città a cercare l’esercito del governo che ci ha aiutati fino alla fine della guerra nel 2002.

Il perdono

Nonostante la guerra fosse finita, il rancore e il desiderio di vendetta nei confronti dei ribelli continuava e questo non ci permetteva di raggiungere una vera pace. Un giorno il presidente della Sierra Leone ha preso una bambina alla quale avevano tagliato le mani e le chiese: “Se tu vedessi le persone che ti hanno tagliato le mani, cosa faresti?”. La bambina rispose: “Io devo perdonare i ribelli perché se noi non perdoniamo, la guerra non finirà mai”.

Queste parole vennero diffuse ovunque e grazie a queste parole nel nostro Paese è finita la guerra.

Io, avendo vissuto da bambino queste cose, non riuscivo a capire come andare avanti Ho iniziato ad andare a scuola e ho conosciuto dei missionari saveriani che mi hanno parlato di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari. Ho provato a vivere come loro le frasi del Vangelo, cercando di fare degli atti d’amore agli altri, e mi sono sentito cambiare dentro. Ho maturato l’idea che l’insegnamento è la strada giusta per me, per poter aiutare altri bambini a vivere una vita diversa dalla mia.

Oggi studente universitario

Attualmente studio all’università Sophia di Loppiano, vicino a Firenze, dove ho avuto la possibilità di vivere con persone provenienti da varie parti del mondo. In mezzo a tante culture, ho cercato di accogliere le diversità e amare con tutto il cuore. Ho capito che c’è un altro modo di vivere, senza paura, perché ho un’ideale forte dentro di me che ogni giorno cerco di portare alla luce.

Contemporaneamente, sto lavorando con una onlus, Azione per un mondo unito nel settore dell’educazione alla cittadinanza globale e seguo dei progetti nelle scuole in Sierra Leone, per dare istruzione ai bambini e giovani, perché abbiamo gli strumenti per costruire la pace.

In futuro, dopo gli studi, con queste esperienze, vorrei tornare e lavorare con il mio popolo, soprattutto con i bambini e giovani per formarli come io sono stato formato, per vivere per il mondo unito. E ho capito che nella vita non ti devi mai fermare. Quando mi accade qualcosa la prendo come un’opportunità per andare avanti, per poter fare qualcosa di utile per me e per il mondo».

A cura di Aurelio Molè




Tito, la malattia vissuta in maniera attiva e con amore

Non è facile dire qualcosa o esprimere sentimenti perché Tito ci ha lasciati da poco. Il dolore è ancora grande perché manca e manca tanto. Siamo stati sempre molto legati, l’unico amore della mia vita, l’ideale ci ha poi uniti spiritualmente e la malattia ci ha resi davvero “uno”.

È così, la malattia può dividere o unire: non si esce facilmente da schemi mentali o da forme egoistiche di vita. Solo l’amore umano non ce la può fare; è un percorso difficile e impegnativo perché il malato di SLA è molto esigente, per la mancanza totale di autonomia. Ci vuole un aiuto dal “cielo”, una grazia particolare da accogliere.

Tanti mi dicono che io ho avuto un ruolo importante nella gestione della malattia, ma la parte più importante l’ha fatta Tito, che si è confrontato con Gesù nel suo abbandono, non con rassegnazione ma in maniera attiva e con amore. Da ingegnere, ha progettato anche questo momento della sua vita e ci ha guidati e coinvolti nel suo percorso.

Per chi non ci ha conosciuti vorrei dire brevemente che ci siamo sposati 46 anni fa, io avevo 20 anni, 13 meno di lui. Lui ingegnere, io insegnante di educazione fisica. Ci siamo presi per mano e abbiamo iniziato il nostro percorso di vita da cui sono nati 6 figli (il primo, nato prematuro, non ce l’ha fatta).

L’ideale dell’Unità di Chiara Lubich era già entrato nella nostra famiglia con Don Annibale Ferrari (zio Bibbo) ma 30 anni fa abbiamo iniziato un cammino con la nostra parrocchia e Don Pietro Cappelli, sacerdote focolarino, un percorso che ha messo alla prova la capacità di vivere per l’altro e di uscire da noi stessi nelle piccole cose della vita, nella famiglia, nel lavoro.

Così, guidati dall’amore di Dio attraverso Chiara e tutti i fratelli che hanno condiviso il nostro percorso di fede con il Movimento Diocesano, siamo stati preparati: la possibilità di mettere tutto in pratica ci veniva offerta da questa bruttissima malattia.

Essere uniti nell’anima ci ha permesso di fare un percorso molto forte e profondo. È bastato un “si” insieme ogni volta che Tito peggiorava…gli sussurravo all’orecchio “ci sono e sarò sempre con te”. Poche sono state le volte che, presa dalla stanchezza, di notte quando mi chiamava predicavo un po’ ma poi la mattina non mancavano le scuse, i baci e gli abbracci.

I primi anni sono stati segnati dalla progressione della malattia che mese per mese gli toglieva le abilità: prima alle braccia poi alle gambe. Quindi da subito sono diventata le sue braccia e le sue gambe. Tutto questo non ci ha chiusi in una vita triste e dimessa ma abbiamo continuato ad essere presenti nella comunità e nella famiglia senza privarci di piccole gioie come un concerto o una vacanza. L’attimo presente diventava la soluzione per continuare a vivere con normalità e mai con rassegnazione.

Poi è arrivato il momento in cui respirazione e alimentazione erano compromessi.
Tito ha cominciato a confrontarsi e documentarsi per arrivare alla scelta di sottoporsi alla tracheostomia e alla gastrostomia, grazie alle quali è stato con noi altri cinque anni.
In questi anni ha potuto gioire con la sua famiglia di tanti avvenimenti, lauree, nascite dei suoi 8 nipoti ed è rimasto un riferimento importante e prezioso perché attraverso whatsapp ha continuato ad essere guida per tutti.

Dall’anno 2000 ha accompagnato tanti giovani, in particolare nostro genero Mario oggi sindaco di Roseto in un percorso di cittadinanza attiva, attraverso il MPPU. Ha organizzato scuole di partecipazione e convegni. Per tanti anni aveva dato un contributo alla sua città, Roseto, attraverso i suoi editoriali sul giornale parrocchiale “Piccola Città”.

E ancora tanti amici accolti a casa hanno potuto sperimentare la sua serenità grazie alla preghiera (rosario giornaliero) e alla continua ricerca spirituale che ha condiviso attraverso i suoi scritti e i suoi libri fino alla fine, anche quando muoveva solo gli occhi (alla fine anche la bocca era bloccata). Negli ultimi tempi abbiamo tutti capito che era pronto per il grande incontro purificato nel corpo e nello spirito. È stato bello accompagnarlo con preghiere e canti e ci è sembrato che l’ultimo atto d’amore per noi fosse il suo sguardo sereno.

Concetta Rocci

Riportiamo qui una pagina tratta dagli scritti di Tito

Tito Rocci da Appunti di Vita maggio 2022, pg: 47-49

Tito 03 maggio 2023

 




Primo Maggio di Loppiano: partire da sé, dalle relazioni con l’altro, per costruire insieme un mondo migliore

29-30 aprile e 1° maggio 2023 – Loppiano (FI)

Oltre 1200 persone hanno partecipato a “Common Ground | Me You and Us” il festival che ha celebrato i 50 anni della manifestazione dei giovani nella cittadella. Uno spazio, un “terreno comune” che continua ad accogliere le domande di senso e le aspettative dei loro coetanei, dando nuovo slancio e idee al desiderio di contribuire a costruire un mondo migliore. Inaugurata, in diretta Youtube mondiale, la Settimana Mondo Unito, promossa dalle comunità del Movimento dei Focolari assieme al Movimento Laudato si’, per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale alla pace, alla cura dell’ambiente, alla conversione ecologica, alla cura integrale della persona.

Foto da Comunicazione LOPPIANO

Loppiano (FI), 2 maggio 2023Castro, dell’Angola, rimasto orfano a causa della corruzione che affligge la società nel suo Paese, confida come ha superato il suo dolore personale grazie alla fede in Dio e la scelta di studiare economia, per mettersi al servizio dei poveri e lenire il dolore dei suoi compatrioti. Mimmy, ambasciatrice “plastica zero” del Burundi, condivide il suo progetto per riciclare la plastica in lastre ecologiche e piantare alberi nel Parco Nazionale di Rusizi. Ivan, che vive a Damaguete, nelle Filippine, assieme alla comunità di cui fa parte, ogni primo sabato del mese ripulisce le spiagge della sua isola e pianta le mangrovie per preservare l’ambiente marino. Questo, perché: «La nostra gente ha bisogno del mare per sopravvivere. Essendo uno dei Paesi più poveri dell’Asia, la pesca è un mezzo di sostentamento di molti». Daniele, italiano, racconta quanto il Primo Maggio di Loppiano abbia influito nelle scelte fondamentali della sua vita. «Mi ha messo in moto, alla ricerca sempre più autentica e matura di quello che, come uomo, posso dare» spiega. Oggi, è cofondatore di tunehey!, un’applicazione e una società benefit che vuole sostenere il lavoro degli artisti e contribuire a innescare rapporti di prossimità attraverso la musica.

Queste e tante altre sono le testimonianze ascoltate dal palco dell’Auditorium di Loppiano, il 1° maggio 2023. Oltre 1200 i presenti, provenienti da ogni parte d’Italia, con rappresentanze dall’Europa e dai Continenti

Un programma in sala, in diretta YouTube, che ha aperto anche la Settimana Mondo Unito 2023 “Dare to Care, le persone, il Pianeta e la nostra conversione ecologica”. Ovvero, sette giorni per sensibilizzare l’opinione pubblica alla pace, alla cura dell’ambiente, alla conversione ecologica, alla cura integrale della persona che parte dalla fraternità concreta. Sette giorni promossi dalle comunità del Movimento dei Focolari nel mondo in sinergia con altri movimenti, associazioni, istituzioni locali che ne condividono i valori. Come il Movimento Laudato si’, partner principale dell’edizione 2023.

Foto da Comunicazione LOPPIANO

Nell’occasione delle celebrazioni per i 50 anni (1°maggio 1973-2023) del Primo Maggio di Loppiano, la cittadella è stata divisa in 3 grandi aree: Me, You Us. In questo “terreno comune”, come recitava il titolo della manifestazione, i giovani hanno proposto un programma di concerti, spettacolo, spazi di laboratorio con esperti, offrendo ai partecipanti un viaggio da dentro sé stessi all’altro, fino al “noi”. «Nella consapevolezza che è attraverso la relazione con l’altro che possiamo mettere a frutto tutti i nostri talenti, strumenti per portare luce nel mondo. Agendo per il bene comune, per le nostre comunità, i nostri territori, il mondo che abitiamo», ha concluso dal palco Annachiara di Bergamo.

L’appuntamento, aspettando il prossimo Primo Maggio di Loppiano, è alla Giornata Mondiale della Gioventù in Portogallo.

Musica e danza per la fraternità e la pace

Durante la giornata del 1° maggio, anche la band internazionale Gen Rosso ha portato il suo messaggio di fraternità attraverso la musica, con due concerti ispirati al nuovo album “The reason” (la ragione), frutto delle esperienze e dei tanti incontri che hanno caratterizzato questi ultimi tre anni di attività. Non ultima l’esperienza di accoglienza e formazione informale con i giovani profughi e migranti in Bosnia-Herzegovina e Libano. Accanto a loro, anche il concerto di Emanuele Conte, giovane cantautore trevigiano vincitore di Area Sanremo 2021, che ha presentato il suo ultimo singolo “Proiettile Bambolina”, uscito il 25 aprile scorso, un inno alla pace e ad aver cura del mondo. «Possiamo salvaguardare la nostra Terra partendo dall’amarci l’uno con l’altro. Sennò siamo finiti in partenza» ha commentato. Le coreografie della manifestazione sono state possibili grazie alle ballerine del Laboratorio Accademico Danza, scuola che promuove la danza come strumento di unità tra i popoli che, con l’Ass. Dancelab Armonia, promuove il Festival e il Premio “Armonia tra i Popoli”, e i campus d’arte con i bambini di Betlemme.

29 e 30 aprile 

In 200 sono arrivati a Loppiano da varie parti d’Italia per vivere tutti e tre i giorni del Festival “Common Ground | Me, You and Us” e andare in profondità nel percorso

Foto da Comunicazione LOPPIANO

proposto dall’”io” al “noi” passando per il “tu”, l’altro. Un percorso che è stato possibile attraverso laboratori di dialogo con esperti, progettati su tematiche scelte dagli stessi giovani (CLICCA PER APPROFONDIRE). «Da sola non avrei mai riflettuto su queste tematiche», ha confidato una ragazza al termine dei due giorni. «È stato importante riconoscere le ferite che ho dentro», confessa con candore un giovane. «Non avevo pensato così seriamente a riflettere sulle cose importanti della vita e a impegnarmi per gli altri», aggiunge un terzo.

I laboratori del Primo Maggio di Loppiano si sono svolti grazie alla preziosa collaborazione con: The Economy of Francesco, Istituto Universitario Sophia, Polo Lionello Bonfanti, Rondine cittadella della Pace, Movimento Laudato si’.

Per rivedere la diretta YouTube di “Common ground | Me, you and us”: https://www.youtube.com/live/XTlATNwBX4I?feature=share

Maggior foto a questo link

Vedi anche: https://www.focolaritalia.it/events/loppiano-1-maggio-50-anni-di-impegno-da-festeggiare/




A scuola per fare Economia

È possibile perseguire i propri sogni? Luca Guandalini di Trento, 35 anni, con la sua vicenda personale persegue l’ideale di mettere la persona al centro del mondo economico.

L’economia questa sconosciuta. «Le prime associazioni che si fanno verso la parola economia sono: denaro, commercio, guadagno». A cosa serve l’economia? «Le prime risposte sono: amministrare i soldi, mantenersi, maggiorare i profitti». Parte dallo sfatare i luoghi comuni un video realizzato dagli studenti della terza classe del liceo scientifico G. Galilei di Trento per capire cos’è l’economia e come le nostre azioni e le scelte quotidiane possono rinnovare davvero il sistema economico.

Dal 2017 ad oggi circa 800 studenti delle scuole secondarie di secondo grado della Provincia di Trento hanno partecipato al progetto Economia Etica co-fondato da Luca Guandalini nell’ambito dell’Economia di Comunione. Molti i dubbi e gli interrogativi degli studenti. Tante le risposte e le iniziative. Eppure, tutto parte da una storia personale perché la responsabilità è di ciascuno.

Luca Guandalini, 35 anni, originario di Trento si iscrive alla Facoltà di Economia di Trento senza aver fugato del tutto i suoi dubbi, e cioè se sarebbe stato meglio diventare un medico. Il suo professore di Storia e Filosofia del liceo scientifico G. Galilei lo convince. L’economia regge il mondo: i fatti, gli accadimenti, le guerre, hanno alla radice non «l’amor», ma delle motivazioni economiche che muovono «il sole e le altre stelle». Dopo aver frequentato il primo anno si ritrova nel mezzo di una valle oscura: smarrito.

L’ homo oeconomicus, definito per la prima volta da J.S. Mill «mi appare una figura di uomo molto distante dalla mia esperienza, – racconta Luca Guandalini – rivolto com’è solo ai suoi interessi». Di nuovo un docente, questa volta di Storia economica, lo incoraggia ad andare avanti perché altri mattoni si aggiungeranno nella costruzione della teoria economica e si faranno scoperte interessanti.

Alla fine della triennale scopre il filone dell’Economia della felicità e cioè che oltre un certo limite di ricchezza materiale la felicità pare non seguire più lo stesso andamento di crescita proporzionale, in alcuni casi con un andamento che sembra perfino non correlato. L’aumento indefinito del consumo, del Pil, implica una spinta indefinita di lavoro necessario a finanziarlo e di tempo da dedicare all’attività professionale. A scapito delle relazioni umane. Proprio quelle relazioni che invece costituiscono il principale generatore di felicità. «Rimettevo – spiega Luca Guandalini – insieme i pezzi. Ora avevo una visione di ampio respiro sull’economia e sulle cose veramente importanti per l’uomo. Bilanciavo in un giusto equilibrio le questioni sul benessere materiale, comunque fondamentale per l’essere umano, e sul benessere non materiale».

Dopo la magistrale, il sogno di Luca è fare un tirocinio all’estero, possibilità che, però, non si concretizza. Cerca di  trovare lavoro a Trento e in una settimana trova una possibilità di tirocinio come buyer nell’ufficio acquisti di una multinazionale americana nel settore della metalmeccanica con una sede nella provincia trentina, ma c’è una sorpresa. Si reca al lavoro e, invece di fare un classico tirocinio di apprendimento a supporto di un professionista, siccome un impiegato si era appena licenziato, inizia subito in autonomia.

«Versione arrangiati! Avevo un gran timore di fermare le linee produttive, ma al termine del semestre mi hanno assunto a tempo indeterminato». Luca si guarda attorno, vede colleghi un po’ frustrati da una vita sempre nella stessa azienda. Sono affiatati, ma poco aperti alle novità e dopo la prima esperienza lavorativa erano sedimentati nella compagnia senza soddisfazioni personali spinti solo dal senso del dovere del tirare a campare. Che tristezza, pensa Luca. Altro che economia della felicità.

«Sono situazioni – commenta Luca Guandalini – frutto anche del sistema scolastico dove è quasi sempre assente un accompagnamento sul tuo possibile lavoro futuro. La scuola, quando va bene, fornisce solo un bagaglio di nozioni sufficienti per renderti competitivo e funzionale sul mercato del lavoro senza riguardi della tua soddisfazione personale. Nel mercato del lavoro è logica conseguenza andare in crisi perché ti prendi il primo lavoro che arriva anche se non ti piace».

Dopo tre anni, osservando un sempre maggior peso della burocrazia in ufficio, meno attenzione al riconoscimento del lavoro delle persone e un controllo maggiore solo alla riduzione dei costi e alla massimizzazione del profitto spremendo le persone come un limone, decide di compiere un passo con un grande rischio: licenziarsi. Siamo nel 2019. Contemporaneamente, dal 2017, come volontariato insieme ad alcuni amici, porta avanti dei progetti per l’alternanza scuola-lavoro che «era vissuta male dai docenti perché si trovavano con del lavoro in più non retribuito. Per gli studenti, spesso, si trattava di fare fotocopie per due settimane».

Comincia con una classe «perché agli studenti non si insegna economia e volevamo andare in fondo, alla base della teoria economica, per far emergere il positivo e il negativo e provare a ipotizzare delle soluzioni alternative, come l’Economia civile o l’Economia di comunione». Negli anni il progetto si evolve, cambia adattandosi alle nuove leggi che mutano e alle nuove richieste delle scuole. Dai corsi, ai tirocini nelle aziende, alla partecipazione a Loppiano Lab, si arriva alla formulazione del progetto Economia Etica, portato nelle scuole superiori, con un percorso di quattro moduli così strutturati:

  1. L’economia oggi: partendo dai concetti di base (definire l’economia e la crescita economica per i ragazzi), analisi degli effetti positivi e negativi del capitalismo negli anni, discussione di alcuni paradossi che permangono e di come misuriamo il progresso, con riflessione dei ragazzi su modalità alternative e migliori.
  2. L’economia Civile e l’Economia di Comunione: storia e spiegazione di come questi due paradigmi economici rappresentino un modo nuovo di vivere l’economia e come possa essere una risposta per migliorare il sistema. Integrato con esperienza diretta di un imprenditore.
  3. 4. La responsabilità di ciascuno (suddiviso in due incontri): perché e come ciascuno di noi ha un ruolo nel favorire il cambiamento dell’economia. Responsabilità come consumatore, come cittadino, come lavoratore e come risparmiatore. Il tutto con esempi pratici e testimonianze.

Lasciato il lavoro Luca Guandalini diventa assegnista di ricerca per l’Università di Trento per uno studio sulla sostenibilità economica di un progetto sociosanitario finanziato dalla Provincia Autonoma di Trento. Sa che è un assegno di un anno non rinnovabile e attraversa un periodo di disoccupazione, sperimentando di persona la frustrazione che ne consegue. Con un Master per il Management del non profit approfondisce uno dei suoi sogni: mettere in comunicazione il mondo profit e non profit. «Il profit – chiosa Luca Guandalini – ha ottime tendenze gestionali, ma sono molto orientate al profitto, con poca visione sui valori, le aspirazioni e gli ideali che l’impresa dovrà seguire in futuro. Il non profit ha ottime possibilità di costruire valore sociale e di coinvolgimento ambientale, ma poi in diversi casi fallisce perché manca la capacità gestionale spicciola».

Senza farsi pubblicità, apre la Partita Iva, e arrivano tante richieste di lavoro. Tutte quelle prestazioni che aveva fatto a titolo gratuito erano state un modo per farsi conoscere, come persona e come lavoratore. Oggi fa il consulente aziendale a tempo pieno per diverse imprese, continua la sua attività di formatore, ora retribuito, per il progetto di Economia etica che ha fondato, ha messo in comunicazioni due realtà simili: il Movimento internazionale dell’Economia del Bene Comune fondato da Christian Felber in Austria e l’Economia di Comunione. «Lavoro con i soggetti più diversi – conclude Luca Guandalini – ma il minimo comune denominatore è il tentativo di utilizzare le mie competenze economiche per aiutare a mettere la persona al centro del sistema economico e creare una economia più sostenibile».

Aurelio Molè




Con un berretto blu

«Il dialogo è tutto. Il dialogo è ascolto, è silenzio, è presenza» (1)

Con il berretto blu in testa sembri un soldato schierato sulla linea di difesa; l’espressione spesso corrucciata non facilita certo la conversazione…ma come si possono ascoltare i tuoi pensieri, tu che da 17 anni non puoi parlare per un intervento di cui ora purtroppo stai affrontando le conseguenze?

Qui si innesca un dilemma che spesso si ripresenta nella cura; quello del rispetto della tua volontà di paziente, anche quando ci comunichi scelte che sono in contraddizione con quanto noi faremmo per te.

Abbiamo provato a convincerti a scegliere modalità alternative di alimentazione, ora che non lo puoi più fare per bocca ma hai scoraggiato ogni nostra proposta, tranne quella delle flebo. Tu sei un infermiere in pensione e sai di cosa parliamo, occorre essere ancor più trasparenti con te. I nostri argomenti ci sembrano convincenti se non ovvi, ma tu resti fedele alla tua posizione e non l’abbandonerai finché ne avrai la forza. Ci sentiamo disarmati, in difficoltà, spunti le nostre armi.

Eppure un sorriso io l’ho visto. Quando arrivo i tuoi occhi diventano lucidi e mi segui con lo sguardo. Tra pochi giorni rientrerai a casa e lì non potremmo seguirti, sarà la tua famiglia a prendersi cura di te, così come glielo permetterai. Ti saluto e inaspettatamente mi dici: le voglio bene. Ti accarezzo e posso dire soltanto: anche io le voglio bene.

«D’altra parte, accompagnare qualcuno vuol dire camminare al suo fianco, lasciandolo libero di scegliere la sua strada e il ritmo del suo passo» (2).

Paola Garzi

1 – D. Tettamanzi, Nuova Bioetica Cristiana, Piemme, Casale Monferrato 2000, p.526.
2 – Flavia Caretta, Massimo Petrini, Accanto al malato, Città Nuova, Roma, 1995, pp. 50-53.

 




Casa Margherita: accoglienza e fraternità

C’è un proverbio ebraico che dice: “Dio ha creato l’uomo perché gli piace ascoltare le sue storie”: per me le comunità più belle hanno sempre storie da raccontare. Durante il periodo del Covid ho vissuto per tante richieste di aiuto: per alimenti, pagare bollette, immigrati analfabeti che non sanno compilare moduli online per i sussidi economici, posti di lavoro, permessi di soggiorno…

Mi adopero, si fa quello che si può, dico: io metto i pani e i pesci, poi sarà Lui a fare i miracoli. E il primo miracolo inatteso è che ci si incontra con tanti che hanno gli stessi tuoi sentimenti ma con provenienza e colorazioni diverse e ti dicono: “Io conosco chi può aiutarti”, oppure “Ti ho chiamato perché ho saputo da un amico che puoi aiutarmi” e così nasce una rete di circa 30 persone di vari movimenti, parrocchie e non credenti. Tra tutti ci si aiuta e si risolvono tante situazioni di disagio.

Luigi, un amico del Movimento di Comunione e Liberazione mi dice che in un centro immigrati sono presenti ragazzi del Bangladesh minori non accompagnati. Quando avranno 18 anni verranno mandati fuori poiché finiti i finanziamenti, non sono più fonte di reddito. Nessuno di noi ha una soluzione però ci avviciniamo, stiamo con loro.

Io ero un elettricista, Luigi un elettronico. Abbiamo pensato di professionalizzare un po’ questi ragazzi, per renderli più appetibili per il mondo del lavoro. Iniziamo così a fare un corso teorico pratico da elettricista, partiamo con schemi elettrici e montiamo su pannelli parti di impianti tipici di un’abitazione, con prese, interruttori, luci, ecc.

Non capivano molto bene l’italiano ma quattro insegnanti del liceo scientifico, saputa questa nostra avventura dal parroco, ci hanno affiancato offrendosi per fare un corso di italiano per i ragazzi e una signora del Bangladesh si è offerta di farci da traduttrice.

In quei giorni un imprenditore, cercava operai elettricisti da assumere. Gli abbiamo proposto di assumerli in prova, e noi avremmo provveduto a migliorare la loro formazione in base alle sue richieste e necessita. Un altro imprenditore mi contatta per la ricerca di ragazzi nella ristorazione.

In breve tutti i ragazzi sono collocati ma per l’assunzione mancano i documenti, permessi di soggiorno, ma soprattutto residenza perché contemporaneamente arriva l’espulsione dal centro di accoglienza. Conosciamo però Valeria, che volontariamente è la loro tutrice legale, e seguiva già questi ragazzi da tempo come figli e uniamo le forze.

Un avvocato ha saputo dal parroco quanto facciamo e vuole mettersi gratuitamente a disposizione per noi, entra a far parte della rete. Ci aiuta per tutta la burocrazia e Valeria si reca diverse volte all’ambasciata del Bangladesh a Roma. Ma c’è un problema, nessuno affitta una casa dignitosa ad extracomunitari.

Decidiamo così di prendere insieme a Luigi e Valeria una casa in affitto facendo noi da garanti. Una signora di una parrocchia saputo questo, accetta di darci un appartamento in affitto con possibilità di subaffitto e così da poter dare noi la residenza ai ragazzi mediante un comodato.

Vorremmo sia un luogo dove si possano superare momenti di emergenza lavorativa e di alloggio, poi man mano si esce per lasciare il posto ad altri. Tutti i mobili arrivano in omaggio. Insieme ai ragazzi si vernicia e sistema. Un banco alimentare ci offre periodicamente cibo da immagazzinare e così possiamo abbassare le spese e, in comune accordo coi ragazzi, decidiamo che nel loro modesto affitto sia compreso un extra di solidarietà per pagare un posto in più. Così anche loro possono aiutarci a sistemare un ragazzo in difficoltà oppure ammortizzare la perdita di lavoro di uno di loro.

Attualmente sono ospitati tre ragazzi del Bangladesh e due africani del Mali. L’appartamento che abbiamo chiamato casa Margherita è stato inaugurato tre settimane fa alla presenza dell’imam della moschea, che conosco da tempo, e del nostro sacerdote, con una preghiera comune ed un piccolo buffet.

Qualche tempo fa, per una richiesta di aiuto del parroco per alcuni ragazzi disagiati, incontro bambini di strada nel quartiere povero che ballano con musica da cellulare. Con mia figlia Federica, titolare di una scuola di ballo, nasce l’idea di aprire una scuola di ballo gratuita per tentare di tenere lontani i bambini dalla strada. Lei avrebbe insegnato, gli adulti della nostra rete sarebbero intorno come angeli custodi a capire necessità e situazioni.

Non avevamo però il luogo, ma il comune cede in affitto ad una amica della nostra rete un luogo per aprire un centro anziani. Lei non voleva accettare perché aveva fatto richiesta di un posto dall’altra parte della città, saputo però del progetto della scuola di ballo ha subito detto: chissà se c’è un disegno di Dio? E ha accettato l’offerta per aprire lì il centro anziani, dando così la possibilità di avviare anche un centro per bambini in quel quartiere.

Dopo i lavori di sistemazione fatti da una decina di persone della nostra rete, parte la scuola di ballo, i bambini chiamano quel luogo “Smile Art”. Poi la festa di carnevale nessun bambino aveva un vestitino, ma ne sono arrivati 50! Una insegnante del quartiere propone un cineforum ed arriva un proiettore ed un telo. Una ragazza ha perso da poco la mamma e vorrebbe imparare pianoforte, ma il papà non ha lavoro: ci arriva un vero pianoforte per il nostro locale ed abbiamo l’insegnante

Francesco mi dice che un ragazzo rumeno di 13 anni che conosce nel quartiere, da mesi non esce più di casa e ha già fatto 60 giorni di assenza a scuola, ed interpella Lucilla, psicologa. Con Lucilla incontriamo la famiglia. Il ragazzo, dopo la Dad, è in prima media senza conoscere bene la lingua, senza saper leggere, ama il calcio ma senza avere la residenza nessuna squadra lo ha iscritto.

Per il ragazzo, spiega Lucilla, essere l’ultimo della classe ed affrontare il mondo era diventato impossibile: il miglior rifugio era casa coi social, e a volte non mangiava. Ma aveva detto a Francesco che da grande avrebbe voluto fare il parrucchiere.

Parlo di questo al mio parrucchiere, che mi offre un’ora di lezione a settimana. Quando ho detto al ragazzo di venire a conoscere il parrucchiere e vedere il suo negozio, lui che non usciva da mesi, ha percorso 5 km in bicicletta in salita. Collego uno scaldabagno nel nostro Smile Art e poco dopo inizia il corso. Il parrucchiere promette che con un diploma scolastico a 16 anni gli avrebbe fatto fare il corso professionale.

E’ scattata la molla della motivazione e ha ripreso ad andare a scuola con entusiasmo, il parroco lo ha inserito nella squadra di calcio della parrocchia e ci ha procurato insegnanti volontari per le ripetizioni di matematica ed Italiano. Con Lucilla abbiamo incontrato la preside che ci ha fatto avere i libri gratuitamente e ci ha messo in contatto con i suoi professori per una collaborazione. Gli scout del quartiere hanno fatto da cavie per il taglio dei capelli. L’amico parrucchiere ripete spesso: grazie per avermi dato questa possibilità

Una rappresentante di una classe del quartiere, ci ha offerto tutta la sua disponibilità ed esperienza ad avviare attività per i bambini del quartiere poiché vede in questo nostro centro un luogo bello, sereno e sicuro per ridare fiducia alle famiglie che non fanno più uscire i bambini di casa per timore.

Un giovane del Movimento dei Focolari mi diceva che  dei nostri incontri non ricordo le parole ma solo le esperienze vissute insieme. Mi piace pensare che i giovani ascoltano il Vangelo con gli occhi e se è vero che per educare un bambino ci vuole un villaggio, per me sono belle le comunità che hanno storie di Dio da raccontare ai propri ragazzi.

La cosa bella che mi piace di più in questa esperienza è che ho contato per gioco le persone che si sono lasciate coinvolgere, sono 28, ognuna fondamentale per un pezzo di strada insieme.

F.D.B.




Ho trovato un padre ed una madre

Stamattina mi sono recato a Messa in un paese a 5 km da casa mia. Arrivato in chiesa vedo che c’è spazio in un banco in cui è presente un ragazzo di colore. Mi metto in quel banco.In paese è attivo un CAS, centro di accoglienza straordinaria per migranti.

Al segno della pace chiedo al ragazzo come si chiami e da dove arrivi: A. del Cameroun. Si esprime in francese. Ha un aspetto serio e dolce allo stesso tempo. Alla comunione sento che ho Gesù in cuore e accanto. A fine Messa potrei augurargli semplicemente buona domenica. Ma qualcosa mi dice di parlargli.

E’ giunto in Italia da un mese, è andato via dalla guerra in cui sono morti suo padre e sua madre. Prima di partire ha portato le due sorelle e il fratello da una zia e poi è partito a piedi.. ha passato un anno in Tunisia, poi è arrivato in barca… nello scendere gli è caduto in acqua il cellulare e così ne è sprovvisto. Aspetta di ricevere dal CAS la somma che gli permetta di acquistarne uno nuovo, di costo modesto, che ha già visto.

Prendo il portafogli e gli do quanto ho. Ma non basterebbe. Mi viene in mente che Piera (la “mamma” di tanti di questi ragazzi) è a casa. La chiamo, la raggiungiamo. Lei gli fa festa. Poi gli dà quanto gli manca e di più. Domani A. andrà ad acquistare il cellulare. E’ un ragazzo in gamba, faceva il falegname e intanto studiava economia all’università.

Mentre parliamo con mamma Piera arrivano a trovarla due altri ragazzi di colore, dei tanti che sono stati “adottati” da lei da quando erano nel CAS, diversi anni fa. Arrivano in auto, perché nel frattempo hanno terminato gli anni di permanenza nel CAS, e, con il loro impegno e il nostro aiuto, hanno trovato il lavoro, una casa, preso la patente, ricevuto un’auto… qualcuno ora sta mettendo su famiglia.

Con A. salutiamo i due. Sono del Mali, mussulmani, e siamo tutti ugualmente fratelli… Piera dà ad A. alcune cartine che lo aiutino ad un primo approccio al territorio in cui si trova, e gli dà appuntamento per i giorni seguenti per aiutarlo per la lingua italiana. Salutiamo e ripartiamo.

Fermo l’auto poco oltre, in un posto tranquillo. Siamo entrambi commossi. “E’ il Signore che mi ha dato questo” mi dice A., “ho trovato un padre e una madre”. Poi piange di gioia e commozione. Tengo stretta la sua mano, in silenzio. Quando ripartiamo ringraziamo Dio insieme e ci assicuriamo di pregare l’uno per l’altro.

Nel pomeriggio a casa ho necessità di guardare il mio conto bancario: inaspettatamente vedo che mi è arrivata da un amico una somma, superiore a quanto avevo donato io. La causale dice: “Aiuto accoglienza migranti”.

S.O.