Dalla Parola vissuta nasce la comunità

Appignano è un comune di circa 4 mila abitanti, della provincia e della diocesi di Macerata. Ci sono arrivata su invito di alcuni amici che mi avevano parlato di una Festa della Parola di vita che si fa ogni anno e che coinvolge praticamente tutto il paese. Sono stata incuriosita dal titolo: forse che le parole del Vangelo attirino tanto da coinvolgere un intero comune a radunarsi attorno ad esse per una festa? O sarà solo il titolo felice delle solite sagre parrocchiali o comunali di fine anno sociale, dove in genere il piatto forte è una serata tra amici, un buon mangiare e bere, e qualche cantante di grido per attirare i giovani?

Arrivo quando già si fa sera e vedo che attorno al salone parrocchiale della chiesa c’è un grande via vai di gente: bambini, ragazzi, famiglie… C’è anche un bel giro di strumenti musicali ma non vedo locandine con nomi di gruppi musicali famosi, piuttosto ragazzi che allestiscono il palco e provano allo stesso tempo.

L’accoglienza è calorosa. Mi segnalano che è presente la sorella di un ragazzo che qualche mese prima era andato in cielo, a soli 13 anni, e che aveva unito il paese in modo un po’ eccezionale. Durante i tre anni della sua malattia i suoi compagni di classe si sono stretti attorno a lui. Pur di consentirgli di fare insieme a loro la prima comunione, come egli tanto desiderava, decidono di rimandarla di un anno.

E quando Andrea torna dall’ospedale senza capelli, anche loro si rasano i capelli per non farlo sentire a disagio. Dopo la sua partenza per il cielo, nasce ad Appignano il Torneo Ideale, una gara annuale di calcetto, lo sport che Andrea tanto amava e nel quale si distingueva come portiere.

Il torneo non è soltanto un momento per ricordare insieme Andrea, ma è un’occasione per sentirsi tutti una grande famiglia. Vi partecipano insieme ragazzi, giovani e adulti, gli amici di Andrea e i loro famigliari, gli amici dei campi scuola e tutti coloro che gli sono stati vicini e che comunque erano a lui affezionati. Anche loro sono presenti stasera.

Mentre aspetto l’inizio della festa mi raccontano tante storie, piccole e grandi. Come quella della realizzazione della nuova chiesa e dell’oratorio. A un certo punto della costruzione, quando non c’erano i soldi per andare avanti, a un parrocchiano appassionato è venuta l’idea di bussare alle porte degli industriali della regione. Non solo dei cattolici praticanti.

Il fatto è che in breve tempo nasce un legame tra credenti e persone di convinzioni non religiose. Avviene così che la chiesa di Gesù Redentore tutti la sentono come propria e che l’oratorio è di tutti.

Una delle ultime attività, sorta dalla sinergia tra comune e parrocchia, è una iniziativa sociale: l’emporio A cuore aperto. Nato dall’aiuto concreto a una persona disagiata, l’iniziativa si è estesa a tutta la comunità. Nel giro di pochi giorni si trova il locale adatto, diverse persone si mettono a disposizione come volontari e un commercialista dà la propria disponibilità per sbrigare gratuitamente le pratiche burocratiche. Dopo appena quindici giorni l’emporio si apre.

leggi l’articolo completo sulla nuova rivista

Ekklesía n.1/2018 – Città Nuova Editrice




Eli Folonari, una vita con Chiara Lubich

Ci ha lasciati a 92 anni la più stretta confidente e collaboratrice di Chiara Lubich, la sua “testimone” per eccellenza. I funerali si sono svolti al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, giovedì 29 novembre.

Leggi sul sito internazionale dei Focolari intervista a Maria Voce 

Leggi l’articolo su Città Nuova




«Straniero e cittadino», seconda edizione del convegno a cura di “Noi siamo con Voi”

Venerdì 23 novembre 2018 presso il Centro Culturale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, in corso Bramante 58 a Torino, il comitato interconfessionale “Noi siamo con Voi”, in sintonia con i principi morali e religiosi che sin dalla sua costituzione uniscono i suoi membri, ha organizzato la seconda edizione del convegno internazionale «Straniero e cittadino».

L’edizione 2018 aveva l’obiettivo di permettere al pubblico di ascoltare non relazioni di esperti ma testimonianze dirette del vissuto quotidiano di concittadini provenienti da diverse parti del mondo. I relatori sono stati invitati a dire in positivo ed in negativo la loro visione della città di Torino, che cosa si attendono e che cosa possono dare, fin dove è possibile oggi renderla ‘nostra’.

Un confronto di esperienze che ha consentito a ciascuno di formarsi opinioni e idee per combattere pregiudizio, discriminazione e considerare “l’altro” come uno di noi e non un antagonista.

In un clima di fraternità, dopo i saluti e l’incoraggiamento di Nino Boetti, presidente del Consiglio Regionale e del Comitato dei Diritti Umani, la nipote di Nelson Mandela (di passaggio a Torino con la sua Fondazione) ha tracciato la figura del nonno (da pastore di un villaggio a simbolo del riscatto pagato con 25 anni di carcere, a presidente di una nazione e costruttore di perdono, di pace sociale).

A seguire 8 migranti, provenienti da diversi paesi, hanno raccontato la loro migrazione, il loro inserimento nella società piemontese e il loro contributo alla società torinese. Cinesi, africani, magrebini, peruviani, marocchini di seconda generazione, bengalesi, …

Un giovane imprenditore bengalese arrivato a Torino dopo 6 mesi di cammino attraverso la Russia, Cekia, Austria ha raccontato la sua esperienza lavorativa: da lavapiatti nel giro di un anno a gestore del locale dove lavorava,  risanamento delle finanze e nel giro di 4 anni l’acquisito di altri tre locali dando lavoro a 25 italiani e alcuni migranti. 

Un convegno ricco di suggestioni e indicazioni operative, ma soprattutto tanta speranza nelle circa 200 persone presenti alla serata.

 




Piccole esperienze… pastorali

Pubblichiamo di seguito delle esperienze scritte da alcuni sacerdoti che vivono la spiritualità dell’unità.  Nell’ambito del Movimento dei Focolari, ogni mese viene scelta una parola di vita che aiuta tutti a concentrarsi su un messaggio evangelico per metterlo poi in pratica durante il mese. Non è sempre scontato che i sacerdoti comunichino i momenti nei quali l’impegno della loro vocazione sia messa alla prova o, più semplicemente, momenti in cui venga condivisa la fatica che ciascuno mette nel proprio impegno quotidiano. Sono esperienze semplici, esperienze d’anima ma che vogliono raccontarci tutto lo sforzo per amare, tramite il ministero sacerdotale, le persone che sono state loro affidate o incontrate “per caso”.

Parola di vita di luglio: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12, 9).

Sentirsi parte

Questo anno è per me un periodo di particolare  sofferenza e di isolamento, non posso muovermi infatti come voglio  e devo dipendere da tutto e da tutti. Sento di dire grazie a quanti mi fanno sentire partecipe tramite gli aggiornamenti o le telefonate. Se a volte trascorro momenti difficili, ci sono a volte attimi in cui sento che è bello e prezioso rimanere in queste sospensioni e offrire per tutti. (F. C.)

Ascoltare quella voce

Non ne avrei tanta voglia, ma decido, dopo un po’ di rinvii, di fare delle commissioni. Mi viene in mente, al ritorno, quasi un’ispirazione, che potrei approfittare per andare a trovare una persona ammalata che abita lì vicino. Mi reco così presso quella famiglia e, non avendo avvertito della mia visita, non so se mi riceveranno. Sono accolto dal padre che non conoscevo e si instaura subito un bel colloquio. Andando via penso che potrei andare a visitare un’altra famiglia:  la moglie è malata di cancro e il marito non vuol dirlo a nessuno, né riceve volentieri persone a casa. Anche qui, non so se mi accoglierà, ma voglio rischiare. Mi accolgono con sorpresa. La moglie, dal volto sofferente, e lui sono seduti fuori, in un piccolo vano all’ombra e tranquillamente iniziamo a parlare. Man mano il discorso va avanti: non affrontiamo la malattia della moglie ma viene fuori l’annuncio del Vangelo e in particolare del comandamento nuovo, Gesù Abbandonato e risorto, l’unità e la fraternità universale, in un clima disteso e bello. Quando torno, ringrazio il Signore e, in questi incontri gratuiti, colmi di fede e carità, vedo dei segni del suo amore, così come avevo detto nell’omelia l’altro ieri: “Ecco i passi da compiere in questi giorni: credere e fidarsi sempre di Dio Amore; guardare a Gesù che ci fa partecipe della sua vittoria: «Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo»; scrutare e accorgersi con sorpresa, meraviglia e gratitudine dei segni che il Padre ci lascia qua e là durante la giornata del suo amore per noi”.

Parola di vita di agosto: “Ti ho amato con amore eterno, per questo continuo ad esserti fedele” (Ger 31, 3)

Parlare al  cuore

Già da ieri sto pensando all’omelia che dovrei tenere nel giorno della festa dell’Assunta, non ho molto tempo per prepararmi, chissà se riuscirò. Rileggo le omelie degli altri anni, c’è quella dell’anno scorso, frutto di varie sintesi che potrebbe fare da paracadute all’ultimo momento, ma non sarebbe qualcosa di vitale, non la sento. Chiedo a Maria di illuminarmi, leggo i testi liturgici e cerco qualcosa di vivo. A un certo punto ho un’idea, mi ritorna in mente una devozione di mia nonna per Maria, fatta di gesti concreti, segni del suo amore per la Madonna: era un segno vivo della presenza di Maria nella sua vita, oltre naturalmente il rosario quotidiano, il mese di maggio, le novene. Questo spunto mi suggerisce di parlare sulla presenza di Maria nella nostra vita. Ho capito che la maggior parte delle volte, nelle feste specifiche come oggi, mi rivolgo piuttosto alla mente delle persone con la spiegazione del mistero che si celebra, ma non al cuore. Quando poi predico durante la prefestiva di oggi, sento che è qualcosa di vivo. La Madonna mi ha dato la grazia, quella di parlare al cuore. (G. V.)

 

Parola di vita di settembre: “Accogliete con docilità la parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza”,  (Gc 1, 21)

Vivere la Parola

È sempre forte il rischio per noi sacerdoti di essere dei “mestieranti” della Parola di Dio. La Parola di Vita di questo mese mi ha aiutato a non essere superficiale e nemmeno sbadato così da arrivare a sera e non ricordare il Vangelo della mattina proclamato durante la Messa. Anche il comunicare qualche piccola esperienza di Parola vissuta mi aiuta a riscoprire la fecondità e la forza che scaturisce dalla Parola. Mi facilita molto cercare di guardare ad ogni persona come se fosse una Parola vivente per me, specie in coloro che vivono una storia di sofferenza e dolore. (S. M.)

La forza dei piccoli gesti

A volte ho l’impressione che tante cose non vadano per il verso giusto: allora, quando il Signore mi dona un attimo di lucidità mi fermo e penso: “Ho il momento presente da vivere bene adesso”. Così anche sistemare una sedia, raccogliere una carta, preparare un avviso parrocchiale o aprire la porta a chi ha suonato, accogliere una persona con un sorriso, diventa l’occasione per ripartire nella divina avventura e buttare nelle braccia della Misericordia Divina i pesi che si erano andati formando dentro il cuore. È proprio vero: i piccoli gesti fanno grandi cose. (S. M.)

 

Un giorno diverso degli altri …

La domenica è un giorno particolarmente impegnativo non solo per noi preti, ma anche perché è un giorno da santificare principalmente con la partecipazione al Mistero Eucaristico, e anche con il  riposo e compiendo opere di carità. Insieme con Don A. periodicamente occupiamo il pomeriggio domenicale nella visita ad alcuni sacerdoti anziani della zona che vivono in solitudine ed è sempre un momento atteso. Rappresenta un’occasione di scambio di vedute, ci aggiornano della loro vita pastorale, ci donano le loro confidenze, spesso le loro preoccupazioni in un mondo che scappa loro di mano. Veniamo ampiamente ripagati anche semplicemente dal sorriso che ci regalano. Credo che anche questo sia  parola di Dio vissuta! (L. G.)

 

Parola di vita di ottobre: “Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la legge” (Gal 5, 18)

Rimanere aperti allo Spirito

Ciascuno di noi ha ben presente i tanti i dolori che sta attraversando la Chiesa oggi: carenze di vocazioni, pedofilia e calunnie, soprattutto la crisi generale delle nostre parrocchie e in genere del mondo cristiano. Ci hanno aiutato a leggere questa notte spirituale e culturale alcuni scritti di  Papa Francesco,  specialmente  l’omelia della messa di chiusura del Sinodo; dell’arcivescovo di Milano, mons. Delpini, che ha tenuto alla Veglia missionaria; di Papa Ratzinger che prevedeva già nel 1969 una crisi nella Chiesa. Da queste riflessioni e da altri confronti è venuta fuori un’impressione che ci ha infuso gioia e speranza e ha rinnovato il nostro amore per la Chiesa e il popolo di Dio: siamo coscienti del momento difficile ma l’importante è rimanere aperti allo Spirito che apre vie impensate, scoperte insieme, con paziente dialogo. (Gruppo di sacerdoti di Milano)

 




Quello che mi ha insegnato mia figlia

Quando si entra nel tunnel della depressione, la prima ad essere annientata è la speranza. Non sapevo più godere di nulla. Non avevo più forze per badare alla mia famiglia. Anche gli affetti avevano perso senso.

Frattanto la mia figlia più piccola, con immensa pazienza, mi stava vicina, mi accompagnava in qualche rara passeggiata, mi aiutava a pettinarmi. Sembrava quasi fosse lei, tra noi due, la madre. Fu proprio osservandola che un giorno mi sorpresi a dirle quanto fosse brava ed io fossi orgogliosa di lei.

Iniziò tra noi, parola dopo parola, un colloquio che mi permise di esternare quello che vivevo. Lei stessa mi convinse ad accettare una cura medica. Insomma, divenne il mio punto fermo.

Il giorno in cui le chiesi da dove attingesse quella forza, mi rispose che il suo ragazzo le aveva fatto ritrovare la fede. Davanti a me si aprì un nuovo orizzonte. Ora che sono nonna, tutto il mio tempo libero lo dedico a essere vicina a qualche amica o parente che sta “nel tunnel”. E questo me l’ha insegnato mia figlia.

Da: Il Vangelo del giorno – n.11 Novembre 2018 – Città Nuova Editrice




Nella mia città disastrata

Alcuni anni fa, in seguito al comissariamento della mia città, avevo costituito con altri professionisti cattolici e laici, provenienti dal mondo associativo, un laboratorio nalizzato a individuare, per risollevarne le sorti, nuovi percorsi sociali, politici e culturali.

Sono stati anni non facili, sia per la reale situazione cittadina, sia per difficoltà sorte fra i componenti del gruppo. Da qualche tempo però ho intravisto in me e negli altri potenzialità che, messe al servizio del bene comune, potrebbero contribuire ad avviare un cambiamento nella mia città disastrata: a partire da me, se la amo così come Gesù ha amato la sua terra e la sua gente.

Questa nuova certezza, rafforzata dal fatto che diverse associazioni si sono accordate per elaborare dei progetti comuni – cosa mai avvenuta prima nella storia cittadina –, mi ha dato la spinta ad accettare l’incarico di coordinatrice, nonostante gli impegni di lavoro, di famiglia e il senso di inadeguatezza.

Da: Il Vangelo del giorno – N.11 Novembre 2018 – Città Nuova Editrice 




Il coro

Sono insegnante di musica. Ultimamente, incaricato dal parroco di formare un coro per una festa della parrocchia, mi ero impegnato con tutte le forze, perdendo anche giornate di lavoro per le prove.

Mi sembrava che quella serata fosse stata un successo. Con sorpresa, invece, sono venuto a sapere che il parroco, senza interpellare me ma confidandosi con altri, aveva espresso la sua scontentezza.

Ne sono stato addolorato per questo modo di fare… e proprio nell’ambito della parrocchia dove si predica l’amore al fratello! Ma riflettendoci sopra, ho capito che toccava a me fare il primo passo per amare il parroco.

Una volta deciso di andare a trovarlo, gli ho espresso a cuore aperto il mio dispiacere per quanto m’era stato riferito.

L’imbarazzo iniziale si è sciolto in un colloquio sincero e confidenziale. Tutti abbiamo bisogno di essere ascoltati e accolti. Anche chi, occupando posti di responsabilità, sembra debba assumere atteggiamenti direttivi.

Da: Il Vangelo del giorno – n.11 Novembre 2018 – Città Nuova Editrice




Una nuova intesa

Per motivi di principio ero arrivato a litigare fortemente con un collega col quale avevo dato vita a un’impresa. Mesi di trattative con avvocati e specialisti per come dividere l’azienda.

Un vero logorio di forze e soldi. Evitavamo di incontrarci. Un giorno ho preso la decisione: chiedergli perdono, anche se sapevo o presupponevo di avere ragione.

Mi sono vestito bene e avviato verso la sua abitazione. Ero diviso in me stesso: stavo facendo qualcosa che non capivo, eppure ero deciso a farla.

Al vedermi, il collega è rimasto impietrito e incredulo, e tanto più quando gli ho chiesto perdono. A lungo siamo rimasti in silenzio. Poi lui è venuto verso di me e piangendo mi ha abbracciato.

Senza parlare più del passato, senza cadere nella trappola di indagare torti e ragioni, è iniziata fra noi una nuova intesa. Sofferta, ma carica di rispetto e attenzione.

Da: Il Vangelo del giorno – n.11 Novembre 2018 – Città Nuova Editrice




Il caporeparto

Avendo raccolto le lamentele di alcuni colleghi, ho chiesto al nostro capo di incontrare tutti i collaboratori per valutare non solo i risultati del lavoro ma come andare avanti. Nella riunione poi sono stato il primo ad esporre i punti che avevano creato scontentezza e do- mande. Ne è nata una vivace discussione conclusa con le scuse vicendevoli e l’impegno a far meglio.

Nonostante l’apparente riuscita dell’incontro, il giorno dopo il capo mi ha convocato per comunicarmi che le mie annotazioni avevano risvegliato nei colleghi risentimenti prima inesistenti. Mi è crollato il mondo addosso.

Pur potendo far valere come stavano e ettivamente le cose, ho cercato di mettermi nei panni del mio capo, ricordando la frase del Vangelo che invita a fare agli altri quello che si vorrebbe fatto a sé.

Considerato che lui era alla ne della carriera che avrebbe voluto chiudere in bellezza, i colleghi ed io abbiamo deciso di non pretendere nulla e questo ha cambiato l’atmosfera di tutto il reparto.

Da: Il Vangelo del giorno – n.11 Novembre 2018 – Città Nuova Editrice




Quella serata con gli amici

Ho degli amici molto cari, per la maggior parte agnostici, ai quali non avevo mai esplicitamente parlato della mia vita spirituale. Questo mi aveva sempre lasciato un certo senso di incompletezza.

Una sera passeggiavamo. Passando davanti ad una chiesa, ho sentito forte il desiderio di entrare un momento a salutare Gesù. Essendo in compagnia con altri mi sembrava fuori luogo, però ho voluto seguire questo impulso.

Durante la breve sosta in chiesa, mi è venuto da dire a Gesù: «Stai con me, perché io sono con te». Poco dopo, a cena, ho sentito di dovermi “scoprire” davanti agli amici, ma non sapevo da dove iniziare!

Ad un certo punto è nato spontaneo da parte loro affrontare l’argomento fede. È stato un momento di condivisione bellissimo. Loro mi hanno espresso le proprie perplessità, e dalla mia bocca sono uscite parole che nemmeno io mi aspettavo.

E tutto ciò nel rispetto reciproco! Mai sarebbe potuta accadere una cosa del genere se non ci fosse stato come base questo rapporto profondo fra noi.

Da: Il Vangelo del giorno – Città Nuova Editrice




Sla, cioè: sono libero di amare

Nei tanti viaggi che facciamo per i controlli medici di mia moglie, non eravamo mai passati a salutare un mio vecchio amico che vive in Puglia e da qualche anno combatte con la Sla.

Finalmente la Parola del mese, col suo invito a “spostare noi stessi dal centro delle nostre preoccupazioni” (che a noi non mancavano, tutte riguardanti la salute di Damiana), ci ha decisi ad organizzare la sempre rinviata visita.

Francesco, che può muovere solo le labbra, gli occhi e le sopracciglia, e comunica tramite un dittatore automatico, ci ha accolti con un sorriso meraviglioso e raccontato tante cose di sé, di come vive la malattia.

Tra l’altro sta scrivendo un libro e organizzando un convegno all’Università di Lecce, e cura un blog settimanale a cui ha dato la sigla Sla, che sta a significare: sono libero di amare. Insomma, sembrava più vivo di me e Damiana messi insieme, uno che vive sulle ali dello Spirito.

Dopo alcune ore trascorse con Francesco e sua moglie, siamo ripartiti rigenerati. In noi anche la gioia per aver seguito l’ispirazione di andarlo a trovare.

Marcello

Da: Il Vangelo del giorno – n.10 ottobre 2018 pag.14




Testimonianze su Carlo Grisolia ed Alberto Michelotti

Una speciale occasione per presentare  “la vita e le virtù eroiche” di Alberto Michelotti e Carlo Grisolia, i due Gen di Genova che sono morti nel 1980 e per i quali  è avviata la fase diocesana della Causa di Beatificazione,  ci è stata data, direi provvidenzialmente, il 10 agosto a La Spezia.

Lì sono convenuti da varie route oltre 200 ragazzi rappresentanti delle varie diocesi della Liguria e Tortona in procinto di raggiungere a Roma papa Francesco per “Siamo Qui”, la veglia di preghiera dei giovani italiani al Circo Massimo promossa dal Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile della Cei. Chi l’avrebbe detto di riuscire ad avere un tale uditorio? 

L’appuntamento era alle 16 di una torrida giornata di agosto, ma la Costa Crociere ha dato ospitalità al convegno nella frescura della sala d’aspetto del Terminal. Proiettata sullo schermo gigante, ci attendeva la foto di Alberto e Carlo, con lo sfondo del canalone ghiacciato del Lourusa. Erano presenti alcuni vescovi che accompagnano i loro ragazzi.

Dopo il saluto dei Vescovi e delle autorità ospitanti, due giovani ed un focolarino vengono accolti e presentati  ad una sala attenta e desiderosa di ascoltare le storie normali, eppure straordinarie, dei due Nostri, a cui seguono alcune domande dei giovani presenti.

 

Per conoscere di più Carlo e Alberto visita il sito




Un piatto di ceramica

La moglie di un mio amico, Sandra, era caduta in uno stato di prostrazione tale da non voler comunicare con nessuno. La vita di tutta la famiglia ne risentiva. Una mattina, a messa, chiesi a Dio di darmi la possibilità di fare qualcosa per lei. Quello stesso giorno ricevetti in regalo un elegante piatto di ceramica con dei cioccolatini, ben confezionato.

Pensando che sarebbe stato un dono gradito a Sandra, gliel’ho mandato. Dopo non molte ore lei mi chiama e sento che sta ridendo: «Mi mandi regali riciclati: in mezzo ai cioccolatini ho trovato una lettera indirizzata a te. Che devo fare?».

Ho cominciato a ridere anch’io. La telefonata divenne lunga e fu un parlare a cuore aperto. Sandra mi confidò le sue paure che non voleva far pesare sugli altri. A mia volta la incoraggiai a coinvolgere di più la famiglia. Qualche giorno dopo il mio amico mi disse che con la scusa di raccontare del regalo con la lettera, Sandra aveva chiamato la madre, le so- relle… Insomma, qualcosa si era sciolto in lei ed era iniziato fra loro un colloquio nuovo.

Da “Il Vangelo del giorno” – n. 9 Settembre 2018 pag.39




Ascoltare la Sua voce che mi parla attraverso i fatti

Un giorno viene a trovarmi P., papà rimasto solo dopo la morte del figlio M. di appena 26 anni, morto in un incidente stradale. P. è separato dalla moglie già da qualche anno. Lui non frequenta, ma lo rivedo puntuale ogni fine mese quando viene in cappella per ascoltare la Messa in suffragio del figlio. E con lui, ogni volta, sempre un gruppetto di giovani amici di M., che solitamente non frequentano mai la chiesa, ma che da un anno a questa parte vengono sempre per la Messa mensile di anniversario in segno di amicizia.

Quella mattina P. mi chiede se posso celebrare nella chiesa grande una Messa straordinaria per M. in occasione del primo anniversario. Cadrebbe proprio durante la Settimana Santa. P. vorrebbe invitare tutti gli amici, le squadre di calcio della zona e i famigliari. L’anno precedente, il funerale ricordo che era stato una fiumana di giovani impressionante, mai visti prima di allora. Fissiamo la data e sposto alcune celebrazioni penitenziali in programma.

Qualcuno potrebbe però non accogliere di buon cuore la scelta di spostare le confessioni serali in preparazione alla Pasqua. Così colgo l’occasione di questa Messa per coinvolgere tutta la comunità nel mostrarsi accoglienti non solo a parole, ma anche nei fatti. Il gruppo adolescenti aderisce in pieno, pur non avendo conosciuto M. per la troppa differenza di età.

Faccio un passaparola tra famiglie “vicine” incoraggiando la loro presenza. Coinvolgo pure la corale giovanile ad animare la Messa, chiedendo loro un piccolo sacrificio visto che nella Settimana Santa hanno poi da animare anche tante altre liturgie. Spiego loro che è importante mostrare l’accoglienza facendo sentire non a disagio chi solitamente non frequenta la chiesa. Arriva la sera del Mercoledì Santo. La chiesa, piuttosto capiente, è praticamente quasi piena con circa 300-350 persone. Mai mi sarei immaginato una cosa del genere.

Coinvolgo l’amico del cuore di M.: M., un giovanotto di 25 anni, che fa parte della squadra calcistica, prepara un breve pensiero di introduzione alla Messa e, con non poca fatica, alcune preghiere dei fedeli che mi porta in visione qualche giorno prima. A dire la verità, quando leggo  le preghiere, d’istinto mi sarebbe venuto da fare tante correzioni; siccome, però, ho visto tutto lo sforzo di questo giovane e la sincerità del suo cuore, mi sono limitato a correggere solo due gravi errori grammaticali per non umiliare la sua fatica e gli dico: “sono molto belle e che vanno benissimo perché fatte con il cuore e nella verità”. Tra l’altro, la sera che viene a trovarmi, questo giovanotto, in modo inaspettato mi apre il suo cuore: ne nasce una bellissima e profonda chiacchierata a 360° sul senso della vita.

Arriva la sera della Messa. Durante la celebrazione in pochi rispondono e cantano. E ancor meno fanno la Comunione quando è ora! (… d’altra parte è tutta gente non abituata). Eppure avverto un grande clima di raccoglimento e una forte presenza di Dio. Anche nel pensiero che faccio dopo il Vangelo vedo tanta attenzione e un profondo clima di ascolto. Ripropongo i testi della Parola usati un anno prima nella celebrazione delle esequie: racconto qualche breve esperienza personale.

Terminata la Messa dico loro che possono fermarsi in chiesa tutto il tempo che vogliono per salutarsi, viste le condizioni non buone del tempo fuori. Mi viene così offerta la possibilità di conoscere un po’ di gente mai vista prima. Mi svesto in fretta in sacrestia e passo tra i banchi. C’è un allegro vociferare, ma avverto che la cosa non disturba affatto. C’è un clima bellissimo che mi allarga il cuore. Ad alcuni riesco ad andare incontro per primo, altri, prima di uscire, passano a salutarmi e a presentarsi.

Qualche settimana dopo la Messa, gli stessi amici organizzano un torneo di calcio in memoria di M. e concludono con il pranzo e le premiazioni negli stand della sagra parrocchiale. Durante il pranzo, anche se sono già passate 4 settimane, alcuni di questi giovani mi avvicinano e ringraziano per la Messa di quella sera. Il buon Dio evidentemente aveva toccato i loro cuori. Al momento delle premiazioni, gli amici di M. mi chiedono di prendere il microfono e dire una parola (non era inizialmente previsto). Ringrazio tutti per la loro presenza perché ci hanno aiutato ad essere comunità aperta e accogliente.

Dopo di allora non è che questi giovani abbiano cominciato a venire in chiesa, però, quando incontro qualcuno di loro per strada, mi dà tanta gioia poterli salutare “non in forma anonima”. Il papà già mi ha invitato questa estate quando si ritroveranno per una cena in compagnia.

Questa esperienza “prolungata” mi sembra abbia messo insieme le Parole di Vita di questi mesi:

  • “Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”. Davvero il Signore mi ha guidato in questa esperienza a mettermi in gioco, a non rimanere fisso nei miei programmi e nelle mie cose, ma ad ascoltare la Sua voce che mi parlava in questi fatti.
  • “In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna”.In questa esperienza ho respirato la bellezza della “vita eterna” e del credere insieme come comunità. Perché credere non è questione di testa, ma di cuore. Chi ama crede. E l’aver amato queste persone mi ha aiutato ad avere una più bella unione interiore con Dio.

Un parroco




Gli scarponi provvidenziali

Spesso, incontrando persone in condizione di bisogno, mi viene da pensare al samaritano del Vangelo che, trovando un uomo ferito lungo la strada, si ferma per prendersene cura.

Nella mia infanzia e giovinezza ho vissuto in una situazione di grandi difficoltà economiche, e spesso ho fatto l’esperienza dell’amore di Dio, anche attraverso l’aiuto di tanti prossimi. E, cercando di fare anch’io la mia parte, ho fatto esperienze a volte davvero sorprendenti.

Quegli anni hanno lasciato in me una forte sensibilità verso le persone che sono nel bisogno. Spesso dico agli amici che, un po’ come il Samaritano, quando Dio mi mette vicino qualcuno in grave necessità, non riesco a voltarmi dall’altra parte.

Oggi in situazione di grave necessità si trovano spesso persone di origine straniera, che sovente mancano proprio di tutto. Uno degli obiettivi più importanti per loro, per la loro autonomia e per la loro dignità, è trovare un lavoro. Ma come ben sappiamo la ricerca di un’occupazione è oggi un percorso estremamente difficile.

In questi ultimi mesi, per una serie di circostanze davvero provvidenziali, anche tramite contatti con amici impegnati su questo stesso fronte, abbiamo potuto avviare a un lavoro dignitoso ben 7 giovani. Non è stato facile, anche per i molti ostacoli burocratici, ma ho avvertito che Qualcuno metteva insieme le cose al di là di noi.

Vi racconto a conferma di ciò un episodio di poco tempo fa, piccolo ma per me molto significativo, che mi ha lasciato davvero sbigottito. A volte qualcuno mi lascia del vestiario o alimenti per persone in necessità. Di queste cose mi era rimasto in garage un paio di scarponi un po’ grandi, quasi nuovi, a cui non avevo ancora trovato un destinatario. Una sera, riordinando alcune cose, mi viene da guardare di che numero siano quegli scarponi. Sono un 44.

Pochi giorni dopo riesco a trovare un lavoro per Bob, giovane amico senegalese, disoccupato da più di un anno. Si tratta di un lavoro nelle vigne che ci sono dalle mie parti. La sera prima di iniziare, alle 22.30, Bob mi gira un messaggio del suo nuovo capo, che gli scrive: “Portati degli scarponi perché ha piovuto e c’è molto fango”.

Se fosse dipeso solo da me non avrei potuto venirgli incontro a quell’ora di notte. Il lavoro cominciava la mattina alle 6.30. Invece gli ho semplicemente risposto: “Che numero di scarpe hai?” Potete immaginare la sua risposta. E la mia immensa sorpresa nel constatare che un Altro aveva provveduto. La sera successiva Bob mi dice: “Per fortuna che mi hai portato quegli scarponi, se no non avrei proprio potuto lavorare!”.

Spirito O.




Mi sento ancora giovane e attiva!

A 79 anni mi son trovata recentemente in ospedale per una protesi dell’anca. La mattina fatidica un medico entrando in sala operatoria disse:”Eccomi, eccomi!” E mi venne in mente canticchiare, con un filino di voce:”Eccomi, eccomi: si compia in me la tua volontà…” Un medico credendolo un gemito mi disse:”E che, si lamenta? Ma se non abbiamo ancora incominciato!” Ma una giovane signora dolce come un angelo, mi chiese:”Sta pregando?” Io sorrisi e dissi di sì.

I giorni seguenti furono penosi ed io non fui un modello di pazienza, malgrado la buona volontà. Tuttavia, avevo preso accordi, con una rete di ministri straordinari della Comunione, affinchè non mi mancasse Gesù Eucarestia. La cosa più bella è stata che le mie compagne di camera, nei due mesi di degenza, si sono volute accostare all’Eucarestia, pur non avendone l’abitudine. E siamo diventate amiche, concordi in tutto, anche se con qualche sacrificio.

Tanti gli atti d’amore dati e ricevuti coi pazienti più inabili, col personale di assistenza e di servizio. Con tanta fatica, mi alzavo per prima: preghiere, pulizia personale e letto rifatto, per alleggerire il lavoro agli ausiliari. Un giorno, la “ministra” della Comunione, appena entrata, propose di recitare il Rosario. Con la compagna di camera accettammo, chiudemmo la porta e davanti alla teca aperta su un fazzoletto di pizzo, si creò un’atmosfera di commosso raccoglimento.

Ad un tratto, senza bussare, la porta si aprì: era il primario. Osservò tutta la scena, poi sussurrò:”Scusatemi!”, richiuse la porta delicatamente e scomparve. Ogni mattina, dopo colazione, un fisioterapista conduceva un paziente in carrozzina giù in palestra, per gli esercizi di riabilitazione. Da qualche giorno da me veniva un giovane dal viso di marmo, che sembrava facesse uno sforzo pure per salutare e talora ometteva pure di farlo. Allora lo salutavo per prima.

Una mattina mi disse:”La vedo spesso scrivere ed ha una bella scrittura. Cosa scrive?” Gli dissi che si trattava di osservazioni, riflessioni, pensieri, ricordi, poesia. Mi disse che gli sarebbe piaciuto leggerne qualcuna. Nei giorni seguenti ne scelsi una dal mio quaderno e gliela consegnai in busta chiusa con una dedica gentile. Lui sorpreso aprì la busta, lesse tutto e, per un attimo lessi nel suo viso impassibile, un lampo di commozione. Disse:”Grazie, grazie!: Io”” la conserverò tra le mie cose più preziose”.

Intanto in questo periodo nel Movimento dei Focolari ci sono stati eventi importanti: il Papa a Loppiano! Emmaus a Palermo! E con lei un momento speciale di dialogo interreligioso e ancora: incontri, Giornate, congressi…Che desiderio di essevi di persona! Un tempo non me ne sfuggiva uno, ora guardo le foto che mi arrivano dal telefonino, essendo reclusa, disabile, legata ad una carrozzina a ruote.E allora?

Allora sono felice per tutti quelli che vi partecipano, per le belle notizie che ricevo, per il Regno di Dio che avanza! Come se ci fossi anch’io. Perchè ci sono. Vivendo in atto di perenne offerta, fedele alla volontà di Dio di ogni attimo, mi sento ancora giovane e attiva, strumento nelle Sue mani che Egli può usare come vuole, pure relegandomi in un canto; purchè io continui a rimaner ferma in Lui, a custodire Lui in me, solo come Lui mi vuole…E con l’umile orgoglio di chi tutto ha ricevuto, mi sento anche un po’ protagonista di tanto bene, perchè Lui dice:”Chi rimane in Me ed Io in lui, porta molto frutto”(Gv 15,5).

Angela 




Fare équipe

Siamo una infermiera, un tecnico di laboratorio e un medico. Lavoriamo in reparti diversi dello stesso ospedale. Il nostro rapporto si sostanzia dalla convinzione che il Vangelo vissuto non si limita a trasformare l’uomo, ma ha la potenza di rinnovare strutture, quartieri, ambienti di lavoro.

Quasi sempre la mattina, prima di iniziare il lavoro, troviamo un momento per condividere fatiche e gioie. È una scoperta continua capire che possiamo trasferire nel nostro posto di lavoro questa carica di amore concreto verso tutti vivendo quotidianamente il nostro compito professionale.

Da: “Il Vangelo del giorno” n. 6/2018 pag.41 – Città Nuova Editrice




Bisogno di appartarsi

Come sindaco, non c’è giorno senza che venga fermato per strada per ascoltare qualcuno o anche solo per un saluto. Perfino in chiesa, durante la messa, c’è chi si alza per venire ad ossequiarmi. Per evitare incontri del genere, una domenica in cui avevo più bisogno di appartarmi con Gesù, sono andato a messa nella città vicina, sperando di passare inosservato.

Entro e trovo la chiesa gremita: è in corso una liturgia lunghissima presieduta dal vescovo. E io che speravo di pregare in santa pace! Sono dovuto uscire per recuperare un minimo di intimità col Signore. Fuori c’era una donna a cui ho fatto l’elemosina. Solo pochi passi e ho evitato un altro povero con il volto sfigurato.

Non sono andato lontano: era come se Gesù dentro mi dicesse: «Mi cercavi? Ebbene, ero lì in quella povera e in quel povero che hai trascurato». Sono tornato indietro. Lui era ancora lì. Frugando in tasca ho trovato qualche moneta, gliel’ho data e in cambio lui, grato perché ero tornato a cercarlo, mi si è gettato al collo.

Da: “Il Vangelo del giorno” n. 6/2018 pag.25 – Città Nuova Editrice




Fare memoria della freschezza dello spirito delle origini

Correva l’anno 1967. La mia generazione si stava preparando a dare l’assalto al cielo.

Un giorno qualsiasi del marzo di quell’anno, un giovane architetto argentino bussò alla mia porta. Cercava un certo Walter con cui aveva parlato a lungo la sera prima. Solo che quel Walter non ero io. La persona con cui aveva parlato non era conosciuta con il suo nome ufficiale, ma con un soprannome, come usa molto da queste parti.

Quando aveva chiesto in giro dove abitava Walter, le indicarono la mia casa e così, per quello che potrebbe essere definito uno scherzo del destino, oppure, come credo io, un disegno della Provvidenza, la mia vita cambiò verso.

Rimasi affascinato dal tipo di contestazione che mi venne proposta.

Dopo qualche mese da quell’incontro andai ad abitare a Loppiano, il luogo da dove proveniva quel giovane argentino. C’erano centinaia di ragazzi venuti da tutte le parti del mondo. La mia prima abitazione fu una casetta prefabbricata in cui eravamo stipati in otto. Un giovane nero del Camerun, erede di un’importante dinastia di notabili, un nero americano di New York con una voce incredibile, un filippino di Manila, uno slavo di Lubiana, capitato per sbaglio pensando di trovare un monastero, due italiani, uno del nord e l’altro del sud, uno svizzero appena arrivato dall’India dove aveva vissuto per qualche anno e un francese.

Non era una convivenza facile ma avevamo tutti un sogno: costruire un mondo nuovo, abbattendo tutte la barriere culturali, politiche, economiche e sociali, linguistiche che ci dividevano.

Migliaia di persone ogni fine settimana arrivavano in questo colle richiamati dal fascino di questa utopia in cui l’unica legge era il vangelo.

Sono rimasto a vivere nella cittadella di Loppiano quasi cinque anni, studiando e lavorando per sviluppare le piccole aziende che permettevano il sostentamento delle centinaia di persone che si avvicendavano per la propria formazione spirituale e culturale.

Ho provato un’emozione forte quando papa Francesco ha ricordato agli attuali abitanti di Loppiano di fare memoria, cioè di avere presente, nell’oggi della storia, la freschezza dello spirito delle origini di quel tempo di fondazione.

Walter Checcarelli

 




MI LIMITO D’IMMENSO: Il limite nelle esperienze umane

Convegno svoltosi a Trento, presso la Sala Conferenze del Muse, sabato 19 maggio 2018

Il limite – nelle riflessioni, nelle narrazioni, nelle esperienze e nei pensieri degli intervenuti – ci viene descritto come qualcosa  che ci sfida e, nel contempo,  ci stimola a vivere, pensare ed agire, tra il principio-realtà e il principio-possibilità; a vedere – in quel confine (talvolta, incerto) – una soglia, un’apertura, un luogo d’incontro, una possibilità di relazione, di crescita, di prossimità, di dialogo, di fratellanza; esso (il limite) è antropologicamente connaturato alla nostra esistenza, e tutti – chi più, chi meno; chi prima, chi dopo – ne sperimentiamo la presenza, abituandoci a progettare (e a riprogettare) la nostra vita; esperendo, entro quel confine (e, ove e per quanto possibile, spostandolo in avanti), la dimensione della libertà/responsabilità/operatività (dagli interventi dei professori Giuseppe Milan e Silvia Peraro, moderatori dell’incontro).

Giuseppe B. (la cui storia ci viene presentata in un cortometraggio), un artigiano della ceramica, d’incommensurabile bravura ed ispirazione, ci incoraggia e ci commuove, nel proferirci, con umile profondità, i problemi che incontra e che affronta (e, in parte, supera) nel vivere e lavorare/creare nello spazio che i limiti derivanti dalla sua malattia progressiva gli offrono/consentono; entro quei confini, lui riconfigura la sua dimensione operativa e, nelle opere, imprime ed esprime la propria umanità, nella dimensione della speranza e della gratitudine per il dono della vita.

Superando numerosi e consolidati limiti teorici, culturali e sociali, il dottor Renzo De Stefani (psichiatra) promuove (nello spirito mai spento di Basaglia), in psichiatria, un approccio terapeutico (del fare assieme) che vede la collaborazione tra operatori, utenti, familiari e volontari, e che si esplica, tra l’altro, nel progetto ‘Amici per casa’; ove si sperimenta, positivamente, la convivenza tra rifugiati per motivi di guerra e utenti con disagio psichico; convivenza nella quale lo svilupparsi di una sincera relazione di mutuo aiuto migliora la condizione di salute di quest’ultimi (utenti) e procura, nel contempo, un senso di soddisfazione e di  realizzazione nei primi; i rifugiati, un po’ per le tradizioni di provenienza, un po’ perché hanno conosciuto l’umana sofferenza  al suo apice, si mostrano particolarmente sensibili e premurosi nel loro approccio cogli utenti/amici (testimonianze di Mutiu Mohamed e di Marco Agostini).

Tre giovani studiosi di Economia (Gloria Comper, Francesco Crepaz e Luca Guandalini) ci mostrano come – in campo economico – limiti ritenuti, in passato, insormontabili vengano, col tempo, ampiamente superati; coll’aumentare della produttività e della disponibilità dei beni, crescono, purtroppo, anche la disuguaglianza, l’inquinamento, la durata dell’orario di lavoro, l’ingiustizia sociale; tutto ciò non deve, però, apparirci come inesorabile; i nostri tre amici ci offrono la prospettiva (e l’esempio) di un’economia che torni ad essere responsabile, solidale e a misura dell’uomo, della famiglia, della comunità; e che sia felice e rispettosa dei valori e degli affetti più cari.

Nel trailer del film ‘Niente sta scritto’ (Marco Zuini ne è il regista; i protagonisti sono Martina Caironi, campionessa paralimpica, e Piergiorgo Cattani, giornalista e scrittore, che, nella distrofia muscolare, non ha riconosciuto un limite frenante il suo vulcanico impegno culturale e sociale), viene presentata l’attività della Fondazione Fontana, nella quale le limitazioni di tipo fisico non condannano alla chiusura/resa/emarginazione autocommiserazione, ma spingono, invece, a un’azione d’aiuto verso i più sofferenti, i più poveri, i più sfortunati della terra; è un percorso controcorrente, una guarigione oltre il corpo, una relazione colla comunità, l’affermazione  di elevati valori umani e civili.

L’intervento vero e proprio (al di là del trailer) di Cattani ci ha accompagnati nell’incontro con alcuni testi poetici fondamentali della letteratura universale. Con Leopardi, l’uomo supera la barriera (siepe) coll’immaginazione (finzione nelle parole del poeta e del relatore; ma è finzione, soltanto? o, entrambi, ritengono che sia sublime e ineguagliabile elevazione dello spirito?) e arriva ad intuire l’infinito. Con Montale, oltre la rete che ci avviluppa, oltre il muro della vita travagliata (con cocci di bottiglia aguzzi alla sommità), tentiamo l’evasione (dalla gabbia, dalla prigione). Con Ungaretti, nel freddo, nella fame, nella stanchezza, nell’angoscia della guerra (colla presenza costante e incombente della morte), d’improvviso, nella nebbiosa mattina invernale, una luce ci avvolge nell’immensità: qui, il limite non viene superato, ma piuttosto, compreso ed accettato; con questa consapevolezza, possiamo abbracciare l’infinito.

Altre suggestioni ci propone Cattani: “Le città, per esistere, devono avere un centro e un limite” (Mario Botta, architetto), e così l’uomo, per potersi relazionare; tutti noi abbiamo dei limiti e siamo  vulnerabili; non marginalizziamoci, dunque, ma, con l’aiuto reciproco, risaliamo la china,  giungendo, così, a una serena presa di coscienza; la società si costruisce  nella mutua accettazione dei propri limiti: essi, delimitandoci,  trasformano gli spazi concreti e interiori in luoghi vissuti, in cui intessere relazioni e far nascere collaborazioni; le difficoltà e la vulnerabilità devono stimolarci a  operare per il superamento dell’emarginazione sociale ed esistenziale e per il miglioramento del benessere collettivo (anche di chi, a prima vista, sta bene): non c’è più, quindi, un ‘noi’ e  un ‘loro’.  Il relatore chiude con Charles Baudelaire (Elevazione): lasciandosi dietro la noia e i tormenti, slanciarsi verso la luce, la serenità e la comprensione del linguaggio dei fiori e delle cose mute.

Nell’intervento di Paolo Crepaz (docente in pedagogia dello sport e medico sportivo), lo sport è, potenzialmente e, (per fortuna) tante volte, realmente, un luogo in cui si misurano, si rispettano, si spostano e si oltrepassano i limiti, nella dimensione dell’impegno, del coraggio, della fatica, dell’amicizia, della fratellanza, del reciproco riconoscimento; della scoperta, dell’avventura, della solidarietà, del rispetto delle regole  del gioco; dove a vincere è l’atleta che non si rassegna al problema fisico (o psicofisico), o, comunque, l’atleta che, umilmente, nobilmente e senza uno  scopo materiale, amplia – dell’umanità –  le frontiere; lo sport è salute e luogo in cui la ricerca medica sperimenta metodi, strumenti, protesi che,  nel venire incontro agli atleti con qualche disabilità, si rivelano utili all’umanità intera.

Ne ‘Il mondo di Lucy’, i gravi problemi di salute diagnosticati precocemente alla nascitura (Lucy) colorano dolorosamente l’attesa – da parte dei genitori (Anna Benedetti e Gianluca Anselmi, entrambi musicisti professionisti) – della sua nascita; ma il coraggio, la speranza e la fede illuminano, man mano, e sempre più fortemente, questo tempo; che diventa tempo dell’accoglienza, dell’aiuto e del sostegno reciproco; dell’impegno, della speranza e della fiducia; Lucy, circondata dall’amore, supera ostacoli indicibili e diventa – lei stessa – centro di irradiazione di amore e di fiducia. Questo cammino affascinante viene espresso in un racconto per immagini, parole e musica. Il sapiente montaggio dei tre elementi suscita intensa partecipazione: le immagini sono drammaticamente belle; le parole trasmettono una verità intimamente vissuta; la musica – melodicamente, armonicamente e ritmicamente – ci immerge nel dolore profondo e ci eleva a una gioia pura. La rappresentazione si colloca all’incrocio tra cinema, teatro e opera in musica (tra pop raffinato, umori jazzistici, sentori di classica contemporanea): è, nel contempo, testimonianza fedele e partecipata, e opera dotata di verità artistica.

Una visitazione del concetto di limite, in un ampio spettro e in variegate declinazioni, che – nelle testimonianze succedutesi – ha inteso approfondire il tema e offrire un messaggio di speranza.

Fonte: sito www.trentoardente.it




Turno serale

Un collega che fa il turno serale nel centro elettronico, dopo l’ennesimo inconveniente, mi telefona per dirmi che non ce la fa più. Anche se mi costa lasciare la famiglia, decido di andare a dargli una mano. Lo trovo in preda a una crisi isterica. Cerco di assorbire tutta la sua rabbia. Pian piano si calma e ricostruiamo quanto perso.

Il mio compito è terminato, ma pensando alle parole di Gesù: «Se uno ti chiede di fare un miglio, tu accompagnalo per due», gli propongo di andare a casa: rimarrò io al suo posto. Rifiuta. A mezzanotte lasciamo la banca. Una gioia m’invade, oltre la stanchezza.

a cura di Tanino Minuta




Il naso aquilino

Tra noi ragazze parliamo molto di ciò che fa parte della nostra vita, di come vestirci, come truccarci e via dicendo. Un giorno una del gruppo mi ha messa in ridicolo davanti a dei ragazzi, facendo notare che avevo il naso aquilino.

È scoppiata una risata generale con qual- che commento tremendo. Sono andata via disperata e per diversi giorni il mio umore è rimasto nero. A casa i miei mi vedevano in quello stato senza poter far niente. Finché una sera mia sorella maggiore mi ha invitata a partecipare assieme a lei ad un gruppo che metteva a base di ogni azione il Vangelo. L’ho seguita.

Non so cosa mi sia successo ma mi è sembrato di entrare in un altro mondo dove contavano le cose che veramente hanno valore e non inezie come il naso o il vestito firmato… Da allora ho cominciato a leggere il Vangelo, ad approfondirlo, trovando non solo una grande serenità ma anche la forza di stare con le amiche di prima in modo diverso e anche di aiutarle. Ora mi sento veramente me stessa.

a cura di Tanino Minuta




La mamma italiana

Ero appena scesa dal treno, quando sono stata travolta da un ragazzo di colore inseguito da tre uomini che gridavano: «È un ladro, fermatelo!». Qualcuno lo ha bloccato e i tre hanno cominciato a pestarlo. Mi sono precipitata allora a far da scudo a quel poveretto: poteva avere 16 anni, era spaventatissimo e raggomitolato a terra cercava di spiegare in un italiano stentato che aveva rubato perché da giorni non toccava cibo.

Ai carabinieri ha spiegato che era fuggito dal Congo, unico sopravvissuto allo sterminio dei suoi. Stava male, si lamentava: Andava portato al Pronto soccorso, dove ho ottenuto di accompagnarlo. Intanto si stringeva a me: «Tu mi hai salvato la vita, tu sei la mia mamma italiana!». La diagnosi: trauma cranico e tre costole rotte. Inevitabile il ricovero. Essendo sprovvisto di vestiario adatto, sono andata a comperarglielo. Al ritorno, qualcuno mi ha chiesto come mai mi prodigavo per uno sconosciuto, per di più ladruncolo. Ho risposto: «È mio dovere, in quanto cristiana, aiutare un fratello più sfortunato».

Anna Maria – Italia

(a cura di Tanino Minuta)




La discussione

Mamma era tornata a casa distrutta dopo una pesante settimana di lavoro. È bastato poco ad accendere la discussione: certe decisioni riguardanti la famiglia e i miei studi universitari.

Mi sono sentita ferita, incompresa, tentata per ripicca di lasciare l’università e andarmene. Poi però mi son chiesta quale fosse la cosa giusta da fare: cominciare ad amare per prima. Quante volte lei lo aveva fatto con me! Preso coraggio, le ho chiesto scusa.

Lei mi ha capita al volo e mi ha chiesto scusa a sua volta. Anche in famiglia, dove volersi bene è naturale, spesso si cerca di essere amati piuttosto che amare. Ma soltanto così si superano i momenti critici.

a cura di Tanino Minuta