L’ambasciatore del Baskin, il BASKet INclusivo

Federico Vescovini, noto imprenditore del settore metalmeccanico e la sua esperienza con un modo nuovo di praticare lo sport

In principio fu Cremona. Correva l’anno 2001. Antonio Bodini è un ingegnere di professione, padre di cinque figli, tra cui Marianna, una ragazza disabile nata prematura. L’invenzione è semplice come l’uovo di Colombo, ma è una rivoluzione copernicana, l’uomo e la donna e non il gioco sono al centro di ogni attività sportiva.

La persona sia essa normodotata, talentuosa o con limitazioni di qualsiasi genere e neofita, nella condizione in cui si trova può essere messa in grado di giocare in modo competitivo a baskin insieme agli altri. Il campo è lo stesso, le regole cambiano, si adattano e s’immedesimano con le persone per permettere a chiunque una reale partecipazione competitiva al gioco. È come se l’uomo vitruviano, simbolo dell’arte rinascimentale, fosse stato disegnato al centro di un pallone da basket.

Nelle nuove regole, nate dalla sperimentazione e dai suggerimenti dei ragazzi, si aggiungono, ai due canestri tradizionali, ulteriori quattro canestri a metà campo e i ruoli dei giocatori, che compongono una squadra di uomini o donne che siano, riflettono le abilità al gioco in funzione di esperienza, capacità atletica e presenza di limitazioni fisiche o cognitive. Il regolamento funziona e tutti possono o meglio debbono dare il proprio contributo alla squadra per la vittoria.

Si chiama Baskin proprio perché è BASKet INclusivo e possono giocare uomini, donne, disabili, normodotati, anziani e bambini. La partecipazione è aperta a chiunque. L’idea ad Antonio Bodini nasce in casa, si sviluppa con Fausto Cappellini, professore di educazione fisica e si afferma ai massimi livelli mondiali in termini di applicazione concreta di inclusività e democraticità.

Federico Vescovini

Federico Vescovini è un affermato imprenditore di Sbe Varvit SpA un’azienda leader mondiale nella produzione di giunti meccanici di fissaggio di alta qualità che sono di fondamentale importanza per molti settori industriali. Decisivi sono gli incontri. A Udine, dove vive, conosce un professore di educazione fisica che l’anno seguente subisce un grave incidente che lo costringe in carrozzina. Il professore gli scrive una mail per fargli una proposta. La mail viene cestinata e poi recuperata.

L’imprenditore, infine, incontra il professore. «Mi introduce al Baskin – spiega Federico Vescovini -, il primo sport inclusivo e competitivo allo stesso tempo capace di mettere insieme tutti nella stessa squadra. Comprendo subito che è uno sport candidato a contribuire in modo fondamentale a quel mondo di fraternità che sa includere e valorizzare le differenze, quel mondo unito, che ho in cuore e che sognava Chiara Lubich».

Fatti e non parole, così si ama il prossimo. Federico Vescovini non perde tempo, finanzia la start up Zio Pino Baskin. A distanza di un anno ci sono già due squadre a Udine. Dopo quattro anni, le squadre salgono a 12 nella Regione Friuli-Venezia-Giulia.

Quest’anno la grande soddisfazione. La Zio Pino Baskin di Udine vince il campionato italiano e Antonio Bodini diventa Ufficiale al Merito della Repubblica.

L’ambasciatore del Baskin, così ama definirsi Federico Vescovini perché il suo lavoro lo porta in molti Paesi e, dovunque si trovi promuove in Slovenia, Croazia, Serbia, Albania, Egitto, il basket inclusivo, superando non pochi ostacoli e pregiudizi.

E ora una nuova iniziativa: il sogno di portare gli sport inclusivi al comitato dei Giochi del Mediterraneo del 2026 a Taranto. «Inserire oltre alle competizioni per normodotati e per diversamente abili anche gli atleti appartenenti agli sport inclusivi come il Baskin. Sarebbe la prima volta in una manifestazione internazionale e sono convinto che i valori universali insiti in questi sport rappresentino un segnale importante di fraternità per il Mediterraneo».

Due discorsi lo hanno ispirato. Il primo è di Papa Francesco a Marsiglia, del settembre del 2023. Citò l’esempio del “sindaco santo” Giorgio La Pira che vide il Mediterraneo non solo come un luogo di conflitti, ma come una opportunità per «l’inizio e il fondamento della pace tra tutte le nazioni del mondo». Tutte le grandi visioni, profezie, non si fermano all’esistente. Partono dal reale, ma sognano di «allargare le frontiere del cuore, superando barriere etniche e culturali». Il Mediterraneo può diventare un mare che unisce.

È anche il sogno di Margaret Karram, presidente dei Focolari, nata e cresciuta ad Haifa in Israele che, nel settembre del 2023, disse che «un Mediterraneo della fraternità dimostra come le differenze ci facciano progredire e ci permettano di superare le frontiere (…) È un’utopia? Il passato ci insegna che non lo è. Lo conferma anche lo storico inglese David Abulafia che ha spiegato che per la maggior parte dei secoli passati, anzi dei millenni, la caratteristica del Mediterraneo è stata “integrativa”».

Integrazione e inclusività sono tipiche del Baskin che oggi è presente in 18 regioni Italiane con 182 Associazioni Sportive Dilettantistiche con oltre 6300 tesserati di cui circa 3400 atleti con disabilità. La crescita della disciplina è stata accompagnata inizialmente dall’Associazione Baskin fino ad arrivare a strutturarsi nel 2019 nell’Ente di promozione paralimpico EISI.

Fu il Presidente Mattarella venuto a conoscenza di questo sport inclusivo e approfondendo le difficoltà incontrate per riuscire a classificarlo idoneo ad entrare a tutti gli effetti parte di una federazione sportiva che fondò nel 2019 la EISI, l’ente nazionale degli sport inclusivi, la prima federazione sportiva del suo genere a livello mondiale. La fondazione di questa nuova federazione ha favorito l’ideazione e sviluppo di altri sport inclusivi quali il calcetto, le bocce ed altri ancora.

Baskin in Slovenia

Anche a livello internazionale, proprio per il suo approccio universale ed inclusivo, il Baskin si è rapidamente diffuso e oggi conta più di 20.000 atleti in tutta Europa. Oltre all’Italia, il Baskin viene regolarmente praticato in Portogallo, Spagna, Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio, Inghilterra, Slovenia, Croazia, Serbia, Albania, Grecia e Senegal.

Il Baskin sarà presente nella piazza sant’Antonio di Trieste fino al 5 luglio per le Settimane Sociali dei cattolici in Italia come buona pratica di impegno civile, di dedizione al bene comune, di partecipazione e di testimonianza dei valori repubblicani.

«È il sogno – conclude Federico Vescovini – di attivare processi tentando di costruire “dal basso” un mondo migliore, che valorizza le diversità per una società che viva nella quotidianità concrete azioni di inclusione e di pace».

Aurelio Molè

https://www.ziopinobaskinudine.it

https://www.baskin.it




Vivere ogni giorno ed in ogni occasione per la pace

Da tanto tempo ormai, da ogni dove, si parla di pace, di costruire la pace. Questo mi porta spesso a chiedermi se, nel mio piccolo, nella mia vita quotidiana, so portare la pace, sono strumento di pace. Con questo desiderio/impegno in cuore, vedo che se sono attenta, le occasioni di essere questo strumento, Dio me le fa vedere.

Due piccoli fatterelli.

In quest’ultimo periodo, ho viaggiato spesso in treno portandomi un libro da leggere, cosa che mi piace molto, ma anche perché ormai sui treni, quasi sempre le persone si isolano col loro smartphone o col pc”.

Durante un viaggio di diverse ore, di ritorno da Firenze, ero seduta accanto ad un giovanotto, col quale avevamo scambiato qualche parola. Nei 4 posti, del settore accanto, avevano preso posto tre signore le quali, volendo riempire le lunghe ore di viaggio, avevano iniziato una partita a carte.

Essendo però i posti riservati, ne avevano occupato uno non loro. Alla prima fermata, sono salite 4 persone, una delle quali, vedendo il suo posto occupato ha cominciato a inveire; una reazione forte, inaspettata, che ha lasciato tutti un po’ sgomenti.

Essendo liberi i due posti di fronte a me, gentilmente, ho chiesto al giovanotto che mi era accanto, se era contento di spostarsi, così le tre signore potevano rimanere vicine. Ha detto un sì immediato, anche perché si era creato un po’ di trambusto e di malumore nelle tre signore, perché avevano dovuto interrompere la loro partita.

Spostatesi ho detto loro: “Continuate pure a giocare, a cosa giocate?” “A burraco”. “Che bello”, ho detto. E loro: “Conosce questo gioco?”. “Sì”. “Allora giochi con noi…abbiamo diverse ore per farlo…”

Sono così trascorse un paio d’ore, tra una parola e l’altra, un po’ di condivisione, scusando da parte mia, anche il comportamento di quella signora, che forse si era comportata così, perché un po’ stanca. Ho visto che dopo un po’ la loro reazione di nervosismo, si era cambiata in serenità.

Quando per me è arrivata l’ora di scendere, mi hanno detto: “Peccato, speriamo di rivederci ancora e grazie, grazie davvero”!

***********

Sono di ritorno da Imperia, due ore di viaggio. Alla fermata successiva alla mia, sale una signorina con un enorme valigione. “La lasci pure qui accanto a noi – le dico – tanto ci sono dei posti liberi”.

A Savona sale una signora, nervosamente ci chiede di spostare la valigia, perché vuole sedersi proprio lì. Gentilmente le facciamo notare che più avanti ci sono dei posti liberi.“Non mi dovete dire voi dove mi devo sedere…” risponde e si immerge nel suo smartphone. Passa un’ora così, senza alzare lo sguardo, scura in volto.

Nel frattempo la signorina è scesa col suo valigione.

Mi addolora vedere quella signora così triste e chiedo a Gesù che, se vuole, mi aiuti a farle tornare il sorriso. Siamo quasi a Genova, quando mette in borsa il suo smartphone e tira fuori uno spray. “Che buon profumo – le dico. “E’ un disinfettante” mi risponde.

“E’ proprio buono – ripeto – non riesco più a sentire l’odore dei disinfettanti, ma questo è buono”. Comincia a parlare, mi dice che è stanca, ogni mattina parte alle 6 per raggiungere Savona. “Ora finalmente a casa riposerà!” le dico. “Proprio no, comincia il lavoro in casa, con il figlio…”.

Continua a raccontare, ma sorride, non sembra proprio la persona ‘arrabbiata’, salita sul treno un’ora prima. Ci salutiamo con una stretta di mano, augurandoci di viaggiare ancora insieme.                

Natalina




Il ponte tibetano

Gettare il seme: non trattenerlo per sé, ma seminarlo con larghezza e fiducia. Di notte o di giorno: il regno cresce silenziosamente anche nel buio delle nostre notti (1).

Mi sento come se fossi su un ponte tibetano: due anni da quando sono arrivata al san Vitaliano, due anni alla pensione.

Guardo indietro o guardo avanti? Se guardo indietro vedo il percorso fatto fin qui: i primi passi incerti su un panorama tutto nuovo, contraddizioni e conferme, crisi e riprese.

Se guardo avanti intravedo un orizzonte di sollievo ed incertezza in cui il futuro tremola un po’ come l’aria nelle giornate torride dell’estate.

Il mio ponte oscilla sotto la spinta delle emozioni contrastanti, della tensione tra passato e futuro. Mi afferro alle corde del presente, di oggi, nuovo giorno che si affaccia dopo una notte quieta.

Chi mi tiene in equilibrio? Io ho paura dell’altezza ma il ponte è fatto di assi solide: passo dopo passo procedo tranquilla perché c’è una forte intesa con chi divide le ore di lavoro con me: è una sintonia di intenti, di modalità di reazione, un confronto costante che mi mette in discussione e mi fa crescere (ancora!).

Il mio cammino è fatto anche di momenti di sosta, per raccogliere le forze e ripartire, per ascoltare e condividere, è fatto di lacrime lasciate scorrere e dell’abbraccio di una OSS che mi sorprende come il sole che nonostante tutto sorge ancora.

Qualcosa in questi due anni è stato seminato, al termine del mio ponte, forse qualcuno raccoglierà.

Paola Garz

1 Letizia Magri e team Parola di Vita

 




Daniele Ricci: esperienze in canzoni

“Vivere la Vita… inabissarti nell’amore… fare insieme la tua strada verso Lui”…

Quell'”a solo” è diventato un coro sonoro risuonato in tutta la Chiesa. La richiesta di un bis, con altre note, un coro ancora più “sentito”. Così si è conclusa l’ora di canti e esperienze di un cantautore per passione, Daniele Ricci,  per la seconda volta, ieri sera,  alla parrocchia di s. Marco a Roma. E’ il parroco che gliene ha fatto richiesta per “la forza di evangelizzazione” sperimentata da chi vi aveva partecipato.

Al cuore della serata un’esperienza forte: … giovane ingegnere, cerca x mesi lavoro… poi l’offerta di una grande industria… proprio quel lavoro che faceva al caso suo…  ma scopre… è una fabbrica di armi…!!! Caso di coscienza… lotta…

Lui stesso narra: “Di cavilli cerebrali e anche morali per accettare questo lavoro me ne venivano in mente a bizzeffe. Di questa mia angoscia ne parlavo con gli amici che condividevano con me la vita del Vangelo. Mi ascoltavano con amore, ma non mi davano soluzioni, perché la decisione, dicevano, spettava a me solo. Era lo sfondo silenzioso che mi permetteva di sentire chiara la voce della coscienza: tanti lo faranno, ma io no!

E’ stampata nel mio cuore un’immagine, di me che sto in macchina e scendo dai Castelli dove sono andato a vendere enciclopedie. Ho il sole dietro di me che illumina le macchine che procedono in senso inverso. Ed ecco, il sole in faccia a un mio collega che sale su. E’ un collega che il lavoro l’ha trovato. Lui sì, io no.  La narrazione si trasforma in canto:

E mi ricordo lacrime che scendevano mentre guidavo.
Ancora una volta niente nelle mani…
con quelle lacrime usciva dal cuore mio un grazie a Dio
E più non era dolore,  ma gioia, la gioia di avere per me Lui.
E mi ricordo lacrime che zampillavano pure dal cuore:
c’era una gioia immensa dentro me.
E non avevo perduto niente certo, io,
ma avevo fatto un altissimo volo in Dio,
avevo tutto perché ero figlio Suo, ero figlio di Dio, ero io.
E mi ricordo,  ricordo gli alberi che s’inchinavano lungo la strada,
io mi ricordo il sole che illuminava…
E  non sapevo nemmeno che alla fine del viaggio
m’attendeva un inimmaginabile messaggio,

era l’amore di Dio che guidava i miei passi
io stavo con Lui, stavo con Lui.

“Torno a casa, e c’è una notizia. Mi hanno cercato da una scuola dove ho fatto domanda di supplenza. Non sono più senza lavoro! Avrei poi vinto un concorso per la motorizzazione delle Poste… e la storia continua. Dio non si fa battere in generosità!”

E’ stato questo il momento più toccante. Firmato da un applauso scrosciante.

LE CANZONI DI DANIELE RICCI SI TROVANO SUL SUO CANALE YOUTUBE




Congresso Essere sempre famiglia

Dal 10 al 12 maggio 2024 si è svolto al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo il Congresso del Movimento dei Focolari dal titolo: “Essere sempre famiglia.Oltre confini e categorie, verso l’inclusività”. Vi hanno partecipato circa ottocento persone da ogni parte dell’Italia e dall’Albania (come Movimento dei Focolari legata territorialmente all’Italia).

L’esigenza di un Congresso comune, tra le varie realtà, diramazioni del Movimento dei Focolari – di diverse vocazioni, intergenerazionale, con diverso impegno nel sociale ed ecclesiale ecc. . . – è nata durante un Consiglio del Movimento stesso in cui i vari membri hanno deciso di concentrare le forze – tralasciando alcuni altri appuntamenti specifici – per radunarsi su un argomento che fosse trasversale, che accomunasse tutti (cosa ci poteva essere di meglio della famiglia!) e che aiutasse a fare un’esperienza di unità con la “famiglia” completa.

Il Congresso nazionale di maggio si è ripetuto e se ne stanno riproponendo altri in alcune regioni italiane, quindi più a livello locale, per coinvolgere ancora più persone.

Oltre al Congresso Essere sempre famiglia, in questo anno 2024 verrà proposto un secondo appuntamento dal 8 al 10 novembre, sempre al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo in cui, nel solco del secondo anno del Cammino sinodale ed in vista del prossimo Giubileo 2025, le tematiche affrontate saranno più di carattere ecclesiale (a breve ulteriori e maggior informazioni).

Centro Mariapoli Castel Gandolfo

Ma com’è andato questo Congresso? Come si è vissuta la sua preparazione? Chiediamo a Sara Fornaro, giornalista di Città Nuova e facente parte della commissione preparatorio del congresso, di raccontarci qualcosa.

«Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto –: “Siate una famiglia”». A novembre 2023 siamo partiti da questa frase di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, per preparare il Congresso.

In questo gruppo ci siamo ritrovati in 14, diversi per provenienza ed età, in rappresentanza delle varie realtà del Movimento: dalle famiglie ai volontari, dai consacrati ai gen, dai separati ai dialoghi. Io rappresentavo, insieme a Miriana, il Gruppo editoriale Città Nuova.

Abbiamo cominciato ad incontrarci via Zoom una volta a settimana, dalle 21 fino (spesso) a notte fonda (sì, abbiamo superato anche la mezzanotte!). Non ci conoscevamo e non c’era un responsabile. Avevamo una “commissione di supporto”, ma era l’unità tra noi a dover metter giù un programma formativo, ma incarnato nella realtà. Soprattutto i giovani avevano chiesto di trattare tematiche di stretta attualità. Chiedevano alla “famiglia di Chiara” di vivere l’unità con testa, mani e cuore, secondo la consegna che ci ha dato Papa Francesco qualche anno fa a Loppiano.

Non doveva essere un Congresso per famiglie, ma un Congresso sull’essere famiglia, secondo le parole di Chiara Lubich. Su alcune cose ci siamo trovati sin da subito tutti d’accordo: nessuno doveva sentirsi escluso, nel Movimento c’è posto per tutti.

Quando abbiamo messo su carta le tematiche proposte la lista sembrava infinita. Come scegliere? Ci siamo lasciati guidare dalla traccia che ci era stata data: Essere famiglia, a cui abbiamo aggiunto la parola “sempre”.

Dopo lunghi confronti, abbiamo immaginato un percorso lungo tre giornate, ognuna delle quali arricchita da momenti artistici. Anche i bambini sono stati protagonisti con giochi ed esperienze, grazie ad un gruppo di animatori davvero speciali.

Siamo partiti da “siate una famiglia” di Chiara: dalle relazioni nella società, nelle famiglie, tra religiosi, sui social, per arrivare al conflitto. In ogni rapporto ci sono conflitti, che possono rivelarsi una risorsa per costruire relazioni più vere e profonde. Si è dunque parlato del superamento del conflitto tra persone di fedi religiose e politiche diverse e in famiglia e delle difficoltà delle coppie. Il secondo giorno si è aperto con l’arte di amare di Chiara: amare tutti, amare sempre, amare per primi, amare il nemico, farsi uno con l’altro, che «significa far propri i loro pesi, i loro pensieri, condividere le loro sofferenze, le loro gioie».

I giovani avevano chiesto di parlare di identità di genere e orientamento sessuale. Con gli esperti intervenuti abbiamo pensato innanzi tutto di capire i termini, a partire dall’acronimo LGBT, perché per parlare di qualcosa, bisogna conoscerne il significato. C’era il desiderio di parlare di tutto, come si dovrebbe fare in famiglia, provando ad ascoltare con il cuore.

Nel pomeriggio il tema è stato articolato in parità di genere, alleanza uomo-donna, la

donna nella Chiesa. Come diceva l’ex presidente dei Focolari Maria Voce: «Il maschile e il femminile sono due modi umani di essere persona. Ad ognuno dei due non manca nulla per essere persona, sono due persone piene, ognuna contiene l’altra, ma sono diverse. Per questo effettivamente l’uomo contiene la donna in sé, ce l’ha dentro, e la donna contiene l’uomo. Due esseri diversi, ma pieni… Insieme fanno qualcosa in più. Sono generativi».

Il terzo giorno c’è stato l’incontro con Silvia e Ray del Centro internazionale del Movimento dei Focolari, il video del Papa che ricordava che nella Chiesa – e potremmo dire nel nostro Movimento – «c’è posto per tutti, tutti, tutti», e un ricco dialogo con i partecipanti.

La cosa più bella di questo congresso, per me, è stata la condivisione con gli amici di viaggio, con i quali – nonostante le diversità – abbiamo avviato un dialogo intenso e costruttivo, col desiderio di dare un contributo, speriamo fruttuoso, al Movimento.

Per gli approfondimenti degli argomenti trattati, vedere il Dossier Essere famiglia edito da Città Nuova ed altri articoli apparsi (e che appariranno) sulla rivista cartacea e sul sito web

ad esempio https://www.cittanuova.it/amore-orientamento-sessuale

https://www.cittanuova.it/amore-tra-sfida-opportunità

https://www.cittanuova.it/educazione-alla-genitorialità

https://www.cittanuova.it/al-cuor-non-si-comanda

https://www.cittanuova.it/relazioni-abusanti




Focolare Meeting Point: fare casa

A Roma, a pochi passi da piazza Venezia, da due anni opera un centro dei Focolari aperto a tutti

Di Aurelio Molè

Nel centro storico di Roma, a pochi passi dalla Colonna traiana, da piazza Venezia, dalla Torre delle milizie, c’è una piccola chiesa non visibile da via Nazionale. Un luogo non di passaggio. Ci si accede da un piccolo slargo che si apre lungo la stretta via del Carmine.  Al civico 4 si erge la chiesa di Santa Maria del Carmine. Nel 1605 tutto ebbe inizio con la consacrazione della terra e l’inizio dei lavori, nel 1624 a spese del cardinale Odoardo Farnese, in un luogo dove si trovavano dei fienili. La gestazione fu lunga e lenta fino alla facciata in travertino del 1750. Incendi, saccheggi, lavori di restauro, anche le opere d’arte sono attraversate da prove e sofferenze, si sono susseguiti fino a pochi anni fa. Nel corso del restauro dell’affresco della Madonna del Carmine ne venne alla luce un altro, ottocentesco, raffigurante la Madonna del Carmine con il Bambino ed Angeli. La Madonna ha gli occhi socchiusi, sembra osservare chiunque da qualsiasi angolazione, come una madre che attende, accoglie, ospita. La chiesa, dal maggio del 2022, è diventata il Focolare Point, un punto di accoglienza per tutti, dalle più alte personalità religiose e civili a comuni cittadini e semplici studenti. La mission è “fare casa” a tutti quelli che vi passano sia per caso, sia per attività le più varie.

All’inaugurazione del centro “Santa Maria del Carmine Focolare Meeting Point”, il cardinale Angelo De Donatis, già vicario generale per la diocesi di Roma, disse che: «Vorremmo che chiunque si trovi a passare da qui trovi sempre una casa dove incontrarsi e fare famiglia» e «trovi la testimonianza viva del carisma dell’unità che la anima e possa accoglierlo come propulsore di fraternità». E Margaret Karram, presidente dei Focolari, aggiunse che nel Centro vede «la possibilità di offrire un percorso di formazione alla cultura dell’unità e al dialogo per lo sviluppo della fraternità dei popoli.

La caratteristica del Focolare Point è che opera in modo trasversale, accogliendo chiunque passi: visitatori occasionali, gruppi interessati, personalità di ogni sfera, religiosa, politica, laica, sociale e studenti universitari, seminaristi, giovani sacerdoti, religiose, religiosi di varie nazioni, a Roma per motivi di studio.

Giovanna Perucca, una focolarina che per 30 anni ha vissuto tra Algeria, Egitto e Tunisia, sin dall’inizio è in prima linea, con un gruppo di volontari, al Focolare Point nell’accoglienza «dove ognuno – ci spiega – trova la loro casa, un luogo caldo, ospitale, con una taverna, una sala per conferenze, dei salottini e la chiesa che si presta per concerti ed eventi». In effetti si respira un’aria semplice di famiglia, si può passare anche solo per prendere un caffè, scambiare due parole, iniziare una conoscenza. «Cerco di accogliere tutti, anche offrendo un pranzo, una pasta asciutta e un contorno, per far sentire le persone a loro agio. Non pensavo di riuscire, invece, mettendosi nell’amore e accogliendo tutti senza distinzione, passano tante persone, sia chi è di passaggio a Roma, sia chi ha avuto il nostro indirizzo, sia persone del quartiere».

A due anni dall’apertura, le attività si sono molto moltiplicate e differenziate: un Festival della spiritualità promosso da Edizioni Città Nuova e dalla comunità romana dei Focolari dal titolo Riannodare le relazioni, con la presentazione di libri e la partecipazione degli autori; concerti di musica classica del pianista Paolo Vergari o da lui organizzati; uno spazio di riflessione sui carismi con Luigino Bruni; un ciclo per conoscere i grandi artisti della storia dell’arte con Mario Dal Bello; la storia di Valter di Cera, un ex brigatista rosso e il suo incontro con Graziella De Luca, una delle prime focolarine. E poi è diventato un luogo di incontri, ogni mese un gruppo di sacerdoti e laici che appartiene ad un’associazione mariana si riunisce al Focolare Point per pregare; Carlo Cefaloni con Pax Christi e altre associazioni ha organizzato vari incontri sulla pace, sul disarmo e in vista delle prossime elezioni europee; non è mancata la presenza di gruppi di altre religioni, incontri di dialogo interreligioso, ecumenico; persino un gruppo della Finlandia; non sono mancate riunioni della Confraternita della Chiesa del Carmine e di gruppi di religiosi.

Una menzione a parte sono gli appuntamenti del giovedì in taverna con i giovani. Si tratta in gran parte di studenti fuori sede che sono a Roma per motivi di studio. Ognuno porta qualcosa da mangiare. Si cucina insieme e a cena si parla degli argomenti che ognuno propone: la situazione in Siria, in Libano, l’argomento della propria tesi, i loro sogni, temi religiosi e non.

Il nome giovedì deriva dalla contrazione della frase “giovani e dialogo”, i due ingredienti della serata. «C’è un giro variabile di giovani, un giovedì erano presenti di 15 diversi Paesi – spiega Agostino Spolti, uno dei promotori – che non sono solo legati ai Focolari, ma alle varie amicizie. È uno spazio dove i giovani non devono chiedere il permesso per portare i loro amici e invitare chi vogliono. È un’esperienza di accoglienza, di far casa, di ascolto, di creare un clima di famiglia, tra culture, generazioni e vocazioni diverse». Invitano anche degli ospiti a parlare, ma non sono delle conferenze, ma degli spazi di dialogo.

Un’altra caratteristica del Focolare Point è che all’interno vive una comunità di sacerdoti legati ai Focolari pienamente inseriti nell’accoglienza e nelle varie attività. I quattro sacerdoti sono tutti studenti delle varie università pontificie presenti a Roma e provengono da Germania, Congo e due dal Brasile, tra cui Christian Da Silva, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 24 giugno. La loro mission, oltre la celebrazione della Messa quotidiana, è quella, come tutti, di fare casa. «Fa piacere incontrare dei sacerdoti giovani – chiosa Christian Da Silva – in particolare con gli studenti perché fanno una vita di studio, a volte di solitudine, e qui trovano dei momenti di comunione. Con 30 di loro abbiamo conosciuto Loppiano, la cittadella dei Focolari vicino Firenze. La nostra è una esperienza di servizio alla chiesa di Roma e passano anche suore, giovani studenti delle università pontificie, laici di passaggio. Non sono grandi numeri ma sono rapporti di qualità»

Si punta insomma su rapporti interpersonali e una comunità ospitale, inclusiva, dialogante. E, come diceva Jesús Morán, co-presidente dei Focolari in suo intervento del 2023 sulla missione, «Gesù in mezzo a noi rende ospitali le nostre comunità di vita, perché è Lui che apre uno spazio personale, umano-divino, dove ognuno può trovare posto e casa».

Tra i prossimi appuntamenti del Focolare Point ricordiamo dei seminari per approfondire la storia di Chiara Lubich, don Foresi e Igino Giordani e una veglia di preghiera per il prossimo Giubileo.

Inaugurazione Focolare Meeting Point – 7 maggio 2022




“Progetto carceri” in Italia

La presenza di Città Nuova tra i detenuti: progetto carceri

Negli ultimi anni la rivista Città Nuova ha promosso una “rete carceri”, un gruppo spontaneo di persone attive in vario modo in quest’ambito, che si ritrova via zoom con una certa periodicità. Si condividono esperienze, difficoltà, progetti, prospettive. Per non sen- tirsi soli nel prendersi cura di quest’umanità ferita. Dagli adulti ai più giovani. Nei prossimi mesi partirà infatti anche un progetto per gli istituti penali minorili con la rivista bimestrale fatta dai ragazzi per i ragazzi Teens.

La rivista Città Nuova raggiunge numerosi istituti penitenziari in tutta Italia e accompagna diversi progetti, grazie alla generosità di tanti lettori. Così, tenuti da volontari, sono nati gruppi di lettura che offrono ai carcerati la possibilità di dialogare, riflettere, raccontarsi; oppure utilizzare la rivista per imparare l’italiano; o ancora per fare da ponte con istituzioni, studenti e cittadini grazie ad eventi aperti alla città, legati a concorsi letterari e artistici.

 

Da circa due anni, poi, alla rivista si è aggiunto un libro speciale: Liberi di cadere, liberi di volare, di Fernando Muraca. Sono tante le carceri italiane cui è stato possibile fare questo dono e gli istituti dove l’autore è stato chiamato per incontrare i detenuti. Momenti intensi in cui tanti hanno ritrovato sé stessi e il senso della propria vita.

 

 

 

Cartina dalla Rivista Città Nuova

Per maggior informazioni:

Aurora Nicosia anicosia@cittanuova.it

Vedi: https://www.cittanuova.it

 




Vedere il tutto dal punto di vista dell’anello più debole

Mi è capitato di ascoltare l’esperienza di una comunità che raccontava il processo non facile e anche abbastanza lungo per prendere una decisione sul come aiutare una famiglia di immigrati.

Le idee di ognuno non coincidevano con le idee dell’altro. Era una situazione che creava anche qualche difficoltà nei rapporti. Ma il fatto di voler cercare la volontà di Dio mantenendo l’unità, unito al consiglio di una persona che invitava a vedere il tutto dal punto di vista dell’anello più debole della catena (in questo caso i bambini), ha portato la luce necessaria per arrivare ad un consenso.

In questo tempo di sinodalità, ascoltare questa storia mi è parso illuminante e di grande aiuto per capire che vale sempre la pena di cercare l’unità, anche quando sembra difficile.

Matteo




La festa del Genstella (1974-2024): 50 anni insieme

Un concerto a Lamezia Terme (CZ) ripercorre la storia di un complesso musicale nato nel solco del Movimento Gen

di Aurelio Molè

Si può raccontare una vita, spiegare una melodia, trasmettere l’emozione di una amicizia, comunicare l’esperienza della presenza di Dio tra gli uomini? La reunion del complesso musicale Genstella ci ha provato, in occasione del suo cinquantesimo, al Teatro Grandinetti a Lamezia Terme lo scorso 23 marzo davanti a 600 persone.

Correva l’anno ’74, in piena contestazione giovanile, con bande armate di terroristi rossi e neri che imperversavano nel Belpaese, l’impennata dei prezzi con l’inflazione al 20%, gli attentati di piazza della Loggia e dell’Italicus che alimentavano la strategia della tensione, il referendum sul divorzio e, allo stesso tempo cresceva, nel solco del Vangelo, del comandamento dell’unità e dell’amore scambievole, il carisma del Movimento dei Focolari. La musica era il veicolo, come oggi i Social, per narrare la propria esperienza nel mondo giovanile e non solo. C’era la passione per la musica, il mettere in gioco i propri talenti, la forza del gruppo per poter donare l’incredibile scoperta di un Dio vicino e innamorato dell’uomo, il rapporto di amicizia che ne scaturiva, la profonda partecipazione gli uni alla vita dell’altro.

Il Genstella nasce a Reggio Calabria da un gruppo di giovani attratti dalla musica e dalla spiritualità del Movimento Gen, cioè Generazione nuova. Il nome “Stella” lo attribuì direttamente la fondatrice dei Focolari Chiara Lubich che in una missiva scriveva: «È così che (per la fede) nacque una posterità numerosa come le stelle del cielo». La band crebbe, maturò, si affermò coinvolgendo 120 giovani tra cantanti, musicisti, mimi, tecnici. In 50 anni sono più di 250 gli spettacoli, 200 mila le persone che hanno partecipato, 70 mila i chilometri percorsi tra Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Lazio, Polonia, quattro le audiocassette, due le compilation incise su CD. Incontri reali, personali, nei luoghi più impensati, in grandi città e nelle periferie esistenziali e geografiche del nostro Paese. Spettacoli divulgati senza Social, cellulari, mezzi di comunicazione di massa, ma con il passaparola, l’entusiasmo e la convinzione di avere qualcosa da dire e che valeva di più accendere un fiammifero piuttosto che imprecare contro il buio.

Una citazione particolare merita lo spettacolo di Gibellina, nella Valle del Belice, distrutta dal terremoto del 1967, davanti alle baracche di 2 mila terremotati attentissimi. Sui loro volti dipinti il terrore, la paura e la speranza del messaggio cristiano in cuori sensibili perché provati dalla sofferenza. Tra le esperienze più toccanti i due concerti svolti a Gela (CL) e nel carcere di Noto (SR) perché inseriti in contesti in cui, la criminalità organizzata, esercita la sua azione vessatoria sul territorio in modo costante e violento.

Poteva sembrare ingenuo, idealistico, ma l’esperienza era autentica come quando si fa una nuova scoperta. Non importa che si sia inventato solo un grammo di penicillina, ma che si possa moltiplicare per guarire i mali del mondo. O almeno per fare la propria parte per un mondo più unito.

Lo stesso spirito di fratellanza si è respirato sul palco di Lamezia Terme dove si sono alternati i componenti del Genstella tra storie, ricordi, aneddoti divertenti, avventure e brani musicali del loro repertorio. Un concerto che sa di un piccolo miracolo per essere riusciti a mettere insieme 40 persone provenienti da 20 città diverse, che hanno fatto le prove del concerto solo tramite una piattaforma online e che sono riusciti a coinvolgere la platea per più di due ore di spettacolo con il loro entusiasmo e la condivisione di quell’essenziale che è invisibile agli occhi, ma che si respirava tra loro. La commozione era palese nell’esplosione finale con il brano “Resta qui con noi” cantato da tutti. Non sono mancate le profonde esperienze di vita, come quella di Salvatore Ignaccolo che da oltre 30 anni vive come focolarino in Africa e di don Piero Catalano, un sacerdote focolarino che si è speso per i bambini abbandonati, per i malati di AIDS e per il recupero di molti giovani dalla dipendenza della droga.

È stato possibile seguire l’evento anche online e sono molti i riscontri positivi arrivati al Genstella. «Anche a 1.000 km di distanza è arrivato l’amore di tutti voi. È stata una festa bellissima per donare a tutti l’unità che scaturisce dall’amore scambievole che mi ha fatto partecipe della famiglia del Genstella». «Non è la fine di una storia, perché nella vita di ogni giorno dobbiamo continuare a realizzare l’Ideale che ci ha preso il cuore». «Tempo fa, in una situazione molto dolorosa in casa, senza la fiamma che avete acceso in me e che mi ha legato all’amore di Dio, non so che fine avrei fatto. Grazie!». «La sera parlando con mio figlio e i suoi amici quattordicenni, li ho visti con negli occhi una luce diversa». «La musica e i testi sono stati per l’anima carezze di persone rinnovate dall’Amore ricevuto e donato». Tra i presenti anche il vescovo di Lamezia Terme, mons. Serafino Parisi: «Sono felicemente sorpreso – ha commentato – da questa comunicazione gioiosa del Vangelo. Ci sono state parole di pace, da costruire nel nostro piccolo. I temi dell’amore, della fraternità, dell’amicizia ci hanno trascinato con la forza della musica, in modo empatico e coinvolgente per diventare tutti come il Genstella cantori della pace».

Un bell’incoraggiamento e un passaggio di testimone per i giovani di oggi in vista del Genfest che si svolgerà in Brasile dal 12 al 24 luglio 2024. (qui il link). Il Genfest si svolgerà non solo in Brasile ma anche con dei collegamenti in diverse parti del mondo: uno dei punti sarà proprio a Lamezia Terme (qui le varie informazioni).




In ricordo di Daniela Zanetta

38° ANNIVERSARIO DELLA PARTENZA PER IL CIELO DI DANIELA ZANETTA: 14 APRILE 2024

Si è da poco celebrato l’anniversario della partenza per il Cielo di Daniela Zanetta, la giovane di Maggiora dichiarata “venerabile” dalla Chiesa: esattamente 38 anni dal momento in cui ha lasciato il suo corpo terreno, piagato sin dalla nascita da una rarissima malattia – l’epidermolisi bollosa distrofica -, per nascere a nuova vita.

Chiara Bonetti, presidente del Comitato, precisa: “Sin da subito ma anche e soprattutto in questi ultimi anni, giungono a Lucia, la madre di Daniela, o ai contatti del nostro Comitato, attestazioni di grazie chieste e ricevute, testimonianze particolarmente toccanti di come, nel silenzio dei cuori, la ‘nostra’ Danielina operi conversioni, guarigioni del corpo e dei cuori. Già dal 2021 abbiamo raccolto in viva voce i ricordi e il vissuto di chi l’ha conosciuta sia a scuola, sia in parrocchia, sia con le Gen del Movimento dei Focolari (testimonianze che si possono ascoltare sul sito https://danielazanetta.webnode.it/ e sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/groups/137911955121/?ref=share). Ora vorremmo poter far altrettanto con chi si è sentito ‘toccato’ in modo particolare, attraverso la meditazione e la preghiera, dalla forza spirituale della ‘venerabile’. Per questo lanciamo un appello: chiunque abbia ricevuto una grazia per intercessione di Daniela, può contattarci e scriverci agli indirizzi sopra citati. In attesa di un miracolo che possa dare slancio alla Causa di beatificazione, tali attestazioni sono quanto mai preziose”.

Lucia Zanetta aggiunge: “Di recente mi è arrivata dal Nuovo Continente una lettera, piena di affetto e gratitudine, per quanto Daniela ha operato nel cuore della persona che ha scritto e che ha conservato di lei un fervido ricordo. Capita sovente anche di trovare biglietti con richiesta di intercessioni o con un ringraziamento presso la sua tomba, mentre continua incessante la visita da parte di singoli o di gruppi di preghiera o di giovani degli oratori alla sua cameretta, dove si respira aria di Cielo, perché lì, ogni venerdì, negli ultimi anni, Daniela era solita stare in adorazione per tre ore davanti al Santissimo”.

Il Comitato prosegue nella sua opera di diffusione della figura e dell’esperienza della “venerabile” con pubblicazioni come “Inno alla vita”, (il libro illustrato pensato per i più giovani ed edito dalla Velar) e attraverso i suoi scritti, raccolti nel libro “I segreti del cuore”, edito da Città Nuova.




Maria Orsola Bussone: “Quanto è bello amare Dio”

Maria Orsola Bussone è il frutto maturo di una comunità parrocchiale: una ragazza come tante altre, che incontra Dio e si butta a testimoniare la bellezza di amarlo, pienamente impegnata insieme alla sua comunità, aperta al mondo. All’età di 16 anni viene chiamata in modo improvviso da Dio all’altra vita. Si è iniziato nel 1996 il processo di beatificazione e nel 2015 è stata dichiarata venerabile.

«Sarei disposta a dare la vita perché i giovani capiscano quanto è bello amare Dio». Questa la frase detta un giorno da una sedicenne al suo parroco, parole che san Giovanni Paolo II ha ripreso nel 1988, parlando a Torino a sessantamila giovani, indicandola come modello per fare della propria vita un dono.

Questa ragazza è Maria Orsola Bussone, nata il 2 ottobre 1954 a Vallo Torinese in una famiglia unita e serena: il papà Umberto, artigiano nell’officina in proprio, la mamma Luigina, sarta, e il fratello Giorgio, di tre anni più giovane, con cui condividerà per tutta la vita un profondo rapporto spirituale.

Tappe decisive

Maria Orsola Bussone

L’esperienza in famiglia sarà per Maria Orsola la prima palestra di vita cristiana, ma durante il periodo delle scuole medie due eventi particolari segneranno il suo cammino spirituale.

Il primo è il ritiro predicato, nell’aprile 1966, dal suo parroco, su “La gloria di Dio”. Questo messaggio la affascina profondamente, tanto che diventa per lei un motto costante e motivo della sua vita: «Tutto per dare gloria a Dio», anche nelle cose più piccole.

Appunta sul suo diario: «Domenica mattina ero tutta indaffarata per prepararmi ad andare all’incontro; a un certo punto però mi sono accorta che non stavo facendo le cose per Dio, ho cercato allora di fare le cose bene, affinché anche il vestirmi e il prepararmi servisse a dare gloria a Dio» (12.10.1969).

L’altro momento – sempre su invito del parroco – è il primo Congresso del Movimento parrocchiale del Movimento dei Focolari nel giugno 1967 a Rocca di Papa (Roma). Maria Orsola vi partecipa insieme alla sua famiglia e ad altre 44 persone di Vallo Torinese.

L’impatto con la spiritualità dei Focolari suscita in parrocchia un cammino di rinnovamento personale e comunitario che concorre efficacemente ad attuare le novità del Concilio Vaticano II e gli indirizzi pastorali dei vescovi.

La parrocchia si apre a un più concreto e intenso impegno di apostolato nei contatti con altre comunità parrocchiali, con gruppi giovanili, incontri con sacerdoti, seminari, comunità religiose e diocesane.

Costruita dalla comunione

«Io penso che in una spiritualità del futuro l’elemento della comunione spirituale fraterna, di una spiritualità vissuta insieme, possa giocare un ruolo più determinante, e che lentamente ma decisamente si debba proseguire lungo questa strada» (1). Questa intuizione del teologo Karl Rahner spicca evidente nel cammino che Maria Orsola ha intrapreso a contatto con gli amici della sua parrocchia e un gruppo di coetanei.

Insieme alla sua famiglia e alla sua comunità, è come un terreno fertile nel far proprio il carisma dell’unità da cui trae aiuto per dare un’anima alle attività della parrocchia, nella ricerca costante, gioiosa ed entusiasta di costruire la Chiesa comunione.

Non si spiegherebbe Maria Orsola senza l’inserimento attivo ed evangelico nella sua comunità parrocchiale e il coinvolgimento in più ampie esperienze ecclesiali, anche a livello internazionale. L’aver incontrato all’età di tredici anni un carisma nuovo nella Chiesa, una spiritualità comunitaria, collettiva, le ha permesso di entrare nel cuore del Vangelo più profondamente e di esserne rinnovata.

Intervistata sulla comunità parrocchiale afferma: «A noi giovani serve, e molto, perché sentiamo l’esigenza di avere una famiglia in cui tutti si vogliono bene e capiscano i nostri problemi. Non parlo della famiglia naturale, chiaro: parlo di una famiglia spirituale dove le nostre difficoltà trovino risposta, aiutandoci a vicenda a vivere la Parola di Vita e ad amare Gesù crocifisso e abbandonato».

Testimoniare e portare Dio

È in questa realtà di parrocchia che nascono diversi gruppi con lo scopo di aiutarsi a vivere il Vangelo e per crescere in quell’amore reciproco che fa sperimentare la presenza di Gesù tra due o più uniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20). Per fare esperienza di quest’unità, è necessario un buon allenamento.

«Ho voluto buttarmi – scrive Maria Orsola sul suo diario – e lasciar perdere completamente i giudizi e le cose del passato riguardanti noi ragazze, cioè ho detto: devo vederle nuove, quindi non le ho mai conosciute e di conseguenza non conosco i loro difetti o le loro virtù, so solamente che sono persone che vogliono amare Dio» (12.10.1969).

Nell’aprile del 1968, a Rocca di Papa, Maria Orsola partecipa al 1° Congresso europeo del Movimento Gen. Il messaggio di Chiara Lubich la tocca profondamente. Sente il bisogno di ringraziarla e di consegnarle il suo programma di vita: «Ho capito che la chiave della gioia è la croce, è Gesù Abbandonato. Sai Chiara, voglio amare, amare, amare sempre, per prima, senza aspettarmi nulla, voglio lasciarmi adoperare da Dio come vuole lui e voglio fare tutta la mia parte, perché quella è l’unica cosa che vale nella vita e perché tutti i giovani conoscano che cos’è la vera felicità e amino Dio».

Scoprire l’amore di Gesù fino a sperimentare l’abbandono del Padre le dona uno sguardo universale che spalanca il suo cuore al desiderio costante di testimoniarlo e di portarlo agli altri, specialmente ai giovani.

Per lei la missione del cristiano è «dare Dio agli altri» e lo fa diventare suo programma di vita da realizzare con l’esempio, con la parola, con lo scambio epistolare e attraverso le varie attività parrocchiali.

Un campo particolare d’impegno è il complesso musicale, di cui Maria Orsola fa parte come voce solista. Scrive all’amica Maria: «Noi con il complesso continuiamo a gironzolare e ad andare in diversi posti per portare, per donare agli altri quel Dio Amore che abbiamo scoperto e cerchiamo di vivere» (10.4.1969).

E ancora: «Quando abbiamo cantato “Resta con noi” e precisamente: “Ti porteremo ai nostri fratelli lungo le strade”, ho capito che niente doveva più fermarmi, neanche il rispetto umano, quindi anche portarlo in classe tra i compagni e non aver paura di essere giudicata, perché se noi doniamo loro Dio puro, così com’è, non contraffatto, un giorno ci ringrazieranno di aver fatto conoscere loro questo “TUTTO”» (Diario, 10.12.1969).

In mezzo alla normalità

Maria Orsola è una ragazza come tutte le altre, ama la musica, lo sport, il mare, la montagna, gli amici, si innamora, ha i suoi momenti tristi, si arrabbia, cade, ma la familiarità con Dio la aiuta sempre a non arrendersi agli sbagli e a rialzarsi ricominciando con nuovo slancio.

Ne scrive all’amica Enrica: «Certamente è difficile ricominciare, però basta avere un po’ di fede in Dio Amore, cioè nell’amore che Dio nutre continuamente per noi. Perché anche se noi sbagliamo, anche se non amiamo Dio per giorni e giorni, anche se siamo dei vigliacchi, delle meschine creature, Dio ci ama in modo straordinario» (5.4.1970).

«Ma posso ricominciare», è quanto disse nel tardo pomeriggio del 10 luglio 1970 all’in contro sulla Parola di Vita con gli altri giovani e ragazzi presenti al campo-scuola della parrocchia a Treporti (Venezia). Si era accorta, infatti, di non aver amato troppo.

Poche ore dopo, la fulmina la scarica elettrica di un phon difettoso mentre si asciuga i capelli per poi partecipare alla messa. Ha 16 anni.

Nel maggio 1996 prende il via la fase diocesana della causa di beatificazione. In quell’occasione l’arcivescovo di Torino, il card. Saldarini, esalta la modernità, la normalità, la fedeltà e l’esemplarità gioiosa di questa giovane, affermando tra l’altro:

«Maria Orsola, se verrà proclamata beata, sarà uno degli esempi preclari, e credo importanti, specialmente per il nostro tempo, di santità parrocchiale». 19 anni dopo, il 18 marzo 2015, viene dichiarata venerabile da papa Francesco.

Santificarsi in una parrocchia

Maria Orsola testimonia che è possibile santificarsi nella realtà di una parrocchia animata da una forte spiritualità, eredità raccolta non solo dai suoi coetanei di allora, ma che ancor oggi continua nei volti e nei cuori di tanti, mettendo insieme trasversalmente generazioni di adulti e giovani con gli stessi ideali.

«Seguire l’esempio di Maria Orsola è facile e impegnativo allo stesso tempo. Il programma lei l’aveva scritto su quel foglietto trovato accanto al suo lettino in campeggio, in quell’ultima estate quaggiù. Tre punti, tre passi verso l’Alto, altrettanti scalini verso il Cielo: Vedere Gesù negli altri, dare Dio agli altri, fare la volontà di Dio. Non è un testamento. È un programma di viaggio per raggiungere il Paradiso. La santità passa anche da qui. Anche per una ragazzina di sedici anni, innamorata della vita» (2)

Claudio Malfati

1 K. Rahner, Elementi di spiritualità nella Chiesa del futuro, in Problemi e prospettive di spiritualità, a cura di T. Goffi – B. Secondin, Queriniana, Brescia 1983, pp. 440-441.
2 Gianni Bianco, Evviva la vita, San Paolo, Torino 2006, p. 193.

Articolo tratto dalla rivista Ekklesia n.22 – 2024/1




Dammi tutti i soli

Ultimamente ricordo spesso la meditazione di Chiara Lubich: “Signore, dammi tutti i soli”.

Questa mattina, dopo la Messa in centro a Genova, sotto i portici di Via XX Settembre, davanti a me vedo un signore cadere. Subito si fanno attorno delle persone che lo aiutano ad alzarsi; gli offrono una sedia, ma lui rifiuta dicendo che sta bene. Riprende a camminare ma con un passo incerto.

Mi affianco e chiedo dove deve andare, se vuole che lo accompagni; mi dice che deve andare alla stazione. Mi offro di andare con lui, visto che devo andare da quella parte. “Qualche giorno fa mi è successa la stessa cosa – continua – sono solo, le assistenti sociali mi vogliono far ricoverare…sono senza mangiare da due giorni”.

“Forse è per questo che si è sentito male – gli dico – vuole prendere qualcosa?”
Si schernisce: “No grazie”. Insisto, pensando che è senza forze perché digiuno. “Prendiamo un caffè insieme?” Accetta! Prende un cappuccino e un dolce, io il caffè.

“Grazie, quanta gentilezza…ma oggi non c’è più amore da nessuna parte”.
Gli dico che un’amica mi ha insegnato che: ‘Dove non c’è amore metti amore e troverai amore’. “E lei ci crede? – mi dice. “Sì rispondo, perché è l’unica cosa che rimane nella vita”.

Mi guarda e mi dice: “E’ vero! Grazie – continua – grazie per quello che ha fatto per me”.
Per toglierlo dall’imbarazzo gli dico: “Lei l’avrebbe fatto per me?” “Certo! – risponde con un sorriso – un giorno spero di poter ricambiare questo momento”.Lo saluto mentre sta ancora sorseggiando il cappuccino. In me è forte la sensazione di avergli riscaldato un po’ il cuore.

Natalina




“Il mezzo è il messaggio”

“Il mezzo è il messaggio” Marshall McLuhan – Sociologo canadese

Per “caso” questa mattina ho sentito riportare da un noto predicatore questa frase e subito mi è tornata in mente la giornata di ieri. Un’ora di formazione sulla comunicazione e poi il dialogo con te.

Non è la prima volta che ci confrontiamo su strategie terapeutiche e il risultato non è scontato perché le nostre posizioni di partenza sono asimmetriche. La mia potrebbe sembrare una posizione superiore, perché sono il medico e quindi ho dalla mia le conoscenze, ma tu sei moglie e dalla parte tua hai l’affetto per tuo marito, di cui possiedi anche la storia prima della malattia.

Ci potremmo irrigidire ed il confronto (si tratta di somministrare o meno certi farmaci) potrebbe portare ad una discussione che lasci entrambe scontente. Mi sembra importante far diventare questo dialogo un “trialogo” chiamando anche l’infermiera in turno, che più di me è a contatto con il paziente e conosce ogni sfumatura delle sue espressioni.

Prendiamo in mano la scheda della terapia (che non è un codice segreto da tenere nascosto!) ed insieme vediamo come e quante volte siano stati somministrati i farmaci in questione. Un ruolo importante lo gioca la professionalità degli infermieri che ovviamente valutano la situazione prima di ogni somministrazione.

Nel colloquio, progressivamente, si sgretola la mia posizione arroccata (non è il medico il depositario della verità?) e i tratti della signora si distendono. Le faccio vedere la sintesi dell’ora di formazione appena conclusa e le dico: vede, lo stiamo facendo insieme. Dal “trialogo” esce una proposta terapeutica nuova.

Non sarà ovviamente una soluzione definitiva perché le condizioni dei pazienti cambiano giorno per giorno, ma oggi siamo arrivate ad una decisione presa insieme e la signora conclude con un sorriso: e non abbiamo neanche litigato!

Paola Garzi




Si può fare di più

La comunità dei Focolari di Roma in aiuto di una famiglia afgana

di Aurelio Molè

15 agosto 2021: una data che non si dimentica. L’Afganistan è di nuovo nelle mani dei Talebani. L’aeroporto di Kabul diventa l’unica via di fuga dal Paese. Migliaia di civili si accalcano per partire. Una folla impressionante. Tra loro la famiglia afgana Khrosh che, tramite la mediazione della Nunziatura vaticana, può imbarcarsi alla volta di Kiev con il corpo diplomatico ucraino. Gli accordi prevedono che, una volta atterrati nel Vecchio Continente, i profughi afgani saranno distribuiti in vari Paesi europei. Ma c’è un intoppo per la famiglia Khrosh: mancano dei documenti per Mehin, 4 anni, la figlia di Zabi, un medico, e Aqela, un’ostetrica, e non può partire. Aqela è incinta all’ottavo mese, estrae alcuni indumenti per il marito che parte da solo, con una busta di plastica e pochi vestiti. «Ci rivedremo!» – è la promessa e il commiato di Aqela.

Nel febbraio del 2022 la comunità di Roma dei Focolari organizza una apericena per conoscere e far conoscere tra di loro i vari afgani presenti nella capitale. Nell’occasione incontrano Zabi e decidono di aiutarlo. Vive in un centro di accoglienza, non ha lavoro, la famiglia è scappata in Iran ed è nata una seconda figlia, Barin. Ma come fare?

Tiziano Binaghi, uno dei volontari, pronuncia uno stentato «proviamo!», anche se è forte il senso di inadeguatezza per la mancanza delle competenze necessarie. Con l’aiuto di alcune docenti della facoltà di Lingue e scienze orientali dell’università La Sapienza raccolgono fondi per coprire le spese dei visti e dei biglietti aerei per il ricongiungimento che avviene nel settembre del 2022. «Ricordo ancora – racconta Tiziano – la forte emozione di Mehin che correva sul molo di Fiumicino per guardare per la prima volta il mare che non aveva mai visto». Nel frattempo, poco prima, a giugno, era avvenuto il primo miracolo: Zabi trova lavoro, non come medico, ma per una ditta che lavora alla sterilizzazione dei ferri chirurgici per il Policlinico Umberto I di Roma. Dapprima, dopo l’insistenza di Tiziano, in prova per una settimana, poi per periodi più lunghi, ma sempre a tempo determinato.

Ora il lavoro c’è, poco e precario, ma manca una casa dove accoglierli. A Tiziano e a sua moglie Paola viene in mente la casa disabitata a Casperia (RI) dei genitori di lei, ormai in Cielo. È l’unica soluzione concreta e non funziona. Per Zabi diventa un’impresa impossibile raggiungere il lavoro. La stazione di treno più vicina è a Poggio Mirteto e, a turno, persone dei Focolari, parenti e amici, devono recarsi a Casperia e portare Zabi alla stazione. Un trasferimento a Poggio Mirteto, ospiti a casa di una loro cugina, dovrebbe ridurre il tempo di percorrenza per il lavoro, ma non di molto. Anche questa soluzione è temporanea. A Paola viene un’idea. A Roma è impossibile comprare una casa, con i loro risparmi, aggiungendo quelli di sua sorella e della sorella di Tiziano acquistano un piccolo appartamento a Monterotondo. Dal giugno 2023 la famiglia Khrosh abita lì.

Altro scoglio il permesso di soggiorno. L’ associazione “Una città non basta” lo indirizza, ma Tiziano è incerto sul da farsi quando accompagna Zabi all’Ufficio Immigrazione e non sa a che santo appellarsi. Gli viene, però, in mente il santo del giorno, san Francesco: è il 4 ottobre. «Ho pregato san Francesco – racconta Tiziano con la sua carica di simpatia – anche se ho pensato che cosa c’entra? Poi, però, mi è venuto in mente che è il patrono degli italiani. San Francesco pensaci tu, io non so che fare. Al cancello ho avuto l’impressione di un miracolo». All’ingresso incontra Simone. «Lo conosco perché i suoi genitori e quelli di sua moglie sono di Casperia e d’estate danno una mano per la festa della Madonna della Neve, ma non sapevo fosse un poliziotto. Mi è sembrato di vedere un angelo: si è messo a disposizione, ha cercato il mediatore culturale e ci ha aiutato in tutti i modi per completare l’iter della richiesta». Ad agosto del 2023 hanno ottenuto il permesso di soggiorno.

La provvidenza si manifesta in molti modi. Un giorno Tiziano passeggia, da solo, e una telefonata lo avverte che Zabi è stato assunto. Pensa sia il solito rinnovo del contratto, invece è assunto a tempo indeterminato. Non è semplice trattenere la commozione.

Da sin: Tiziano, Mehin, Zabi, Paola, Aqela e Barin

Il lavoro di accompagnamento continua e non è possibile enumerare i piccoli e grandi atti di generosità compiuti dalle persone più diverse che contribuiscono con vestiario, denaro, viveri, visite gratuite da parte di un ortopedico, un dentista, un pediatra.

«Con questa esperienza – chiosa Tiziano – ho scoperto tanti segni della provvidenza. Come se Dio mi dicesse: “Buttati, rischia!”. La mia impressione è che potremmo fare molto di più, per renderli autonomi e metterli nelle condizioni di portare il loro contributo alla società. Anche così costruiamo un pezzetto di mondo nuovo, in pace».

La speranza per il futuro è che Zabi possa avere riconosciuto in Italia il suo titolo di studio e così poter lavorare come medico, professione che esercitava già da vari anni.




Ho amici in Paradiso

Come un film può ricordare il vissuto di Simonetta Magari, focolarina, psichiatra e psicoterapeuta

di Aurelio Molè

È raro che un film ricordi un’amica, non perché narra la sua storia personale, ma perché in quell’ambiente ha vissuto, lo ha permeato con il suo essere, cercando di comunicare i suoi ideali. Rivedendo su Raiplay, la pellicola Ho amici in Paradiso (2016), non può tornare in mente la testimonianza di Simonetta Magari, focolarina, psichiatra, psicoterapeuta e già direttrice del Centro Don Guanella di Roma. La storia nasce dall’esperienza reale del regista Fabrizio Maria Cortese che ha avuto un amico in cura nel noto centro di riabilitazione. A contatto con l’energia, la freschezza, l’assenza di filtri di persone diversamente abili Fabrizio Maria Cortese ha maturato l’idea della trama, non teorica, ma partendo da due anni di laboratorio teatrale con otto di loro che sono diventati i protagonisti del film. Era la prima volta che accadeva: un gruppo intero di persone diversamente abili che interpreta la loro vita reale, seppur in una trama di fantasia.

La vicenda narra la vicenda di Fabrizio Castriota, un commercialista salentino, attratto dal lusso e dai facili guadagni derivanti dal riciclaggio dei soldi della malavita. Colto in flagranza di reato, viene inviato al Centro Don Guanella, in affido ai servizi sociali, dove superando prove, crisi, conflitti potrà diventare una persona migliore guidato da una ricchezza, una bellezza incontrata per la prima volta fatta di relazioni autentiche, amicizia, amore e la scoperta che essere “privi di simmetria” è ciò che ci rende unici e irripetibili.

Divagando un po’, si può dire che in fondo ogni storia è il cammino di crescita di un eroe, un monomito – direbbe Joseph Campbell, saggista e storico delle religioni statunitense. Da uno stadio iniziale si passa ad uno successivo tramite il superamento di svariate prove. Il protagonista di ogni storia parte da un Mondo Ordinario – direbbe lo sceneggiatore Chris Vogler – ed entra in un Mondo Straordinario dove deve risolvere dei conflitti, con se stesso, con gli altri, con la società – direbbe Robert McKee, sceneggiatore. Ogni storia parte in media res, deve affrontare un evento dinamico iniziale, scavallare dei punti di svolta, fino al climax, con la risoluzione finale e il raggiungimento o meno di un obiettivo drammaturgico conscio e inconscio.

È anche la storia di tutti noi. Nella vita ci accade un fatto, un evento, un imprevisto che dobbiamo fronteggiare potenziando le nostre risorse, attuando, dalla crisi, un processo di cambiamento per diventare uomini e donne migliori.

Usando le metafore della montagna del Metodo Multisetting per leggere un film si potrebbe dire che la “valle” corrisponde al nostro passato e alla definizione delle coordinate essenziali della nostra storia che corrisponde grossomodo al primo atto del film, set up, l’ambientazione – direbbe lo sceneggiatore Syd Field. Attraversare un “guado” vuol dire percorrere la crisi fino ad un “crinale”, il momento delle ridecisioni, che accade nel punto di svolta alla fine del secondo atto di un film definito confrontation, il confronto. E si prosegue fino alla “vetta”, l’apice della storia dove realizziamo il nostro obiettivo nel terzo e ultimo atto di un film, chiamato resolution, la risoluzione.

Sarebbe interessante leggere il film Ho amici in Paradiso, secondo la struttura della sceneggiatura, secondo il monomito, secondo il viaggio dell’eroe, secondo il cammino di consapevolezza umana e di crescita psicologica del Metodo Multisetting, ma si può guardare il film partendo dal cuore, dai sentimenti, dalle emozioni che genera. Sarà la porta di accesso per entrare nel processo di cambiamento vissuto dal protagonista.

Quando è stato girato il film, la psichiatra Simonetta Magari, in una intervista a Città Nuova ha dichiarato: «Normalmente si affronta la disabilità in modo pietistico oppure sono attori che interpretano la disabilità, invece in questo caso sono i ragazzi che parlano di loro stessi e ne parlano per come sono. La disabilità intellettiva è un modo diverso di essere al mondo, non è una malattia o qualcosa da curare, ma semplicemente è un qualcosa da esprimere nella bellezza della diversità. Dal punto di vista riabilitativo, il film ci ha permesso di raccontare al grande pubblico quello che stiamo facendo da anni, allontanando lo stereotipo comune del disabile che non potrà mai fare nulla. Invece questi ragazzi possono fare molto e possono anche aiutarci. La trama del film è pensata proprio per mostrare quello che loro sono, cioè persone pronte, anche nella loro incoscienza, a voler bene a tal punto da rischiare tutto pur di salvare un amico».

Vedere il film è uno dei modi di ricordarla, per comprenderla in modo più profondo ed è stato uno dei modi di farlo durante il Congresso internazionale dal titolo Crossing the borders: psychological foundations of coexistence, organizzato da Psicologia e Comunione dei Focolari nel Centro Mariapoli di Castelgandolfo, realizzato in onore di Simonetta Magari, deceduta nell’ottobre 2021.

Tre attori diversamente abili protagonisti del film sono ora in Paradiso: con Simonetta Magari ne rideranno, ancora, a crepapelle.

Il link del film https://www.raiplay.it/video/2017/07/FILM-Ho-amici-in-paradiso-70021b84-b0e4-4dff-a32d-de8fd1526718.html




La Regola d’Oro

LA REGOLA D’ORO
Non trattare gli altri in maniere che tu stesso troveresti dannose (BUDDISMO)
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la legge ed i profeti. (VANGELO DI MATTEO 7,12)
Una parola riassume tutta la base di una buona condotta: la bontà. Non fare agli altri ciò che tu stesso non vorresti fosse fatto a te. (CONFUCIANESIMO)
Questa è la sintesi del dovere: non fare agli altri ciò che sarebbe causa di dolore. (INDUISMO)
Nessuno di voi è credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per sé stesso. (ISLAM)
Non fare al prossimo ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la torà, il resto è commento. Va e studia. (GIUDAISMO)

Sono all’ultima ora del turno di lavoro pomeridiano, ho quasi concluso il mio giro, la situazione sembra abbastanza tranquilla. E ’inevitabile, lo confesso, guardare all’orologio e vedere quanto manca! Non sono una persona superstiziosa ma certo mi auguro che tutto fili liscio fino alla fine; per questo quasi faccio finta di non sentire la moglie di un paziente che cerca un cardiologo…

Sento l’infermiera che le dice: a quest’ora signora…non c’è più nessuno…cosa si sente? Solo mi gira un po’ la testa… la pressione è appena un po’ più alta del normale; ok mi dico, è a posto, non mi riguarda.

Dopo qualche minuto entro nell’ultima stanza che mi mancava: oh no mi ritrovo proprio davanti quella signora! E’ giovanile, dinamica, all’apparenza sta bene e poi mi racconta sintomi così sfumati, trascurabili… penso di liquidarla dicendole: niente di urgente signora, si rivolga al suo medico.

Eppure, un medico ce l’ha davanti, non è una mia paziente ma è qui, mi sta chiedendo consiglio. Venga signora, mi racconti meglio…la visito…riscontro un grave disturbo del ritmo cardiaco, allerto il 118 e invio la paziente in codice rosso, impianto di pacemaker.

Signora quella dottoressa le ha salvato la vita… che impressione mi fanno quelle parole! Le 20.00 sono passate da un pezzo, ma che importa!

Paola Garzi




Come Simeone

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
perché i miei occhi han visto la tua salvezza
preparata da te davanti a tutti i popoli,
luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele.

CANTICO di SIMEONE
Lc 2,29-32

E sono di nuovo al turno di notte.

Tra i pazienti al piano terra ci sei anche tu, anziano, fragile, che tendi ad agitarsi, specie quando arriva il buio e i tuoi cari ti lasciano. Ti è già successo di cadere e per questo hai un’assistente notturna.

Passo nel corridoio e ti sento gridare. Lei si affaccia nel corridoio e mi chiama dicendomi: dottoressa venga, ma stia attenta perché è aggressivo, non si avvicini troppo! Io invece mi avvicino. Osservo il tuo respiro affannoso, i tuoi occhi febbricitanti, spaventati.

Ad un certo punto mi vedi: ti calmi, il respiro rallenta un po’; ti prendo la mano e me la porto al viso, come se tu volessi darmi una carezza. Sul tavolino i tuoi ti hanno lasciato un piccolo presepio, lo accendiamo e te lo diamo tra le mani. I colori si diffondono nella stanza, ti illuminano il viso e i tuoi occhi splendenti contemplano una Luce che si è fatta Bambino.

Al mattino non ci sei più ma questo attimo è fissato nell’Eternità.

Paola Garzi




L’amicizia tra un giovane militante delle BR e un religioso

Valter Di Cera e padre Tonino Camelo si sono conosciuti in un convento degli Oblati di Maria Immacolata

Trovare la propria strada nella vita, a volte, sembra frutto di coincidenze. Una serie di fatti che portano in una direzione piuttosto che un’altra. Tonino Camelo è un contabile per una ditta edile. Paga gli operai, segue i registri contabili, ha un ruolo e uno stipendio, ma, fondamentalmente, anche se ha un lavoro, un’auto propria, la sua indipendenza, è triste. Manifesta una spiccata sensibilità verso gli altri e siccome alcuni operai lavoravano fino alle 10 di sera provvedeva lui stesso, contro il parere del datore di lavoro, a consegnare l’assegno dello stipendio direttamente a casa delle famiglie dei lavoratori perché erano impossibilitati a farlo e avevano subito bisogno del salario. Per Tonino è occasione di ascoltare le loro storie, i loro problemi, le difficoltà ad arrivare a fine mese.

In ufficio, un giorno, arriva una rivista di una famiglia religiosa e il datore di lavoro gli chiede, tanto per lavarsi la coscienza, di mandare un’offerta di 500 lire. Tonino prima di spedire dei soldi, la apre e la legge. È colpito dalla storia di una suora missionaria che opera con i lebbrosi, e dalla vicenda di una ragazza che scopre Dio come Amore, mentre per lui Dio era sempre stato solo un giudice severo da temere. «Come vorrei incontrarlo – è il suo desiderio – un Dio così». Da allora si appassiona del Vangelo, lo legge, a casa, al ritorno del lavoro e lo dice ai colleghi: «Dobbiamo amare i poveri, gli ultimi». Gli danno del matto. Siamo agli inizi degli anni Settanta in Molise a Santa Croce di Magliano in provincia di Campobasso e la realtà sociale è molto ideologizzata. Gli operai sono quasi tutti comunisti. Un giorno Tonino gli lancia una provocazione». «O mi portate delle strisce di lenzuola vecchie o non vi pago lo stipendio». Tutti accettano: servono per i lebbrosi della suora missionaria.

In parrocchia il viceparroco lancia un gruppo missionario e Tonino comincia a girare il territorio per una esperienza di evangelizzazione e comunione con tante persone. Tra gli incontri fortuiti nota un missionario degli Oblati di Maria Immacolata, una famiglia religiosa fondata da Sant’Eugenio de Mazenod nel 1816. L’impressione che ne riceve è forte quanto inattesa e sorprendente. Tonino lo osserva e vede se stesso con quella divisa. Lascia tutto: casa, affetti, lavoro e la macchina e parte per Roma. Trascorre un anno da osservatore, un periodo di discernimento per capire la propria strada, ma l’esperienza con gli Oblati di Maria gli piace. C’è un clima di comunione, di amore reciproco, di vita vissuta per il Vangelo e per gli altri e allora non sapeva dell’influenza del carisma dell’unità di Chiara Lubich anche nel mondo dei religiosi. Si ferma ed entra in noviziato a Vermicino (RM), studia Filosofia e Teologia alla Lateranense e nel 1979 diventa sacerdote.

Valter Di Cera, il primo a sinistra, con la Squadra Acchiappi dei Carabinieri

Dopo alcuni anni, come missionario è spesso in viaggio per l’Italia, torna a Vermicino come formatore e nell’estate del 1984 incontra un giovane solare, sorridente. Non sa chi sia, ma sa che, solo per una quindicina di giorni si fermerà nello studentato degli Oblati di Maria a Vermicino. Lo scoprirà qualche tempo dopo. Si tratta di Valter Di Cera, un giovane militante delle Brigate Rosse che ora collabora con i Carabinieri. Li accumuna il fatto che anche lui, da parte di padre, ha origini molisane. «In convento – racconta padre Tonino – mi dicono di stare attento, di essere prudente, ma penso che l’unica cosa da fare è avere l’impronta di Cristo in ogni cosa. Valter mi pone tante domande sul Vangelo e rispondo solo citando la Parola di Dio. É interessato alla mia scelta, alle ragioni per cui avevo lasciato ogni cosa, ma anche per me la vocazione era stato solo un dono che avevo ricevuto».

A volte c’era tensione. Valter ha paura di essere scoperto dalle Brigate Rosse e la notte fatica a dormire. Da una terrazza controlla, come una sentinella, e osserva il territorio. Di giorno, ogni tanto vengono a prenderlo i Carabinieri perché è uno studente universitario e lo conducono a Roma per sostenere gli esami oppure con la Squadra Acchiappi con cui collabora in importanti attività antiterrorismo.

Valter si doveva fermare in convento per due settimane, restò per più di due anni. «Lo attira – racconta padre Tonino – la preghiera potente, in comune, perché nel Vangelo è scritto: “In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Non erano solo parole. Lo viviamo e lo sperimentiamo. Valter avverte un effetto di protezione in tutte le sue attività con i Carabinieri».

Valter Di Cera, oggi volontario della Pacao, con Papa Francesco

Naturalmente c’era paura, perché Valter è ricercato dalle BR, «ma – spiega padre Tonino – ci affidiamo a Dio perché Lui ci custodisse. Quando Valter esce in missione con la Squadra Acchiappi dei Carabinieri preghiamo per lui e al ritorno era importante per lui condividere, non le informazioni, ma l’esperienza che faceva».

Dopo due anni, Valter è stato scagionato, la famiglia gli ha comprato un appartamento e lui girava tra varie case messe a disposizione dei Focolari, «e il rapporto con lui, negli anni – racconta padre Tonino – non è mai venuto meno. È rimasta un’amicizia spirituale forte, vera, che si nutriva della Parola. Ho cambiato tante case degli Oblati di Maria e Valter sempre è venuto a trovarmi per parlare, confrontarsi, trovare pace. In fondo era un ragazzo buono che era stato attratto dall’ideologia, ma ha capito che nel disegno di Dio su di lui era compreso tutto il suo lavoro fatto per pacificare il Paese».

Seguendo Dio, cercando e trovando la propria strada, Dio ha messo Tonino sui passi di Valter. Un incontro non nato dal caso, ma dall’infinita misericordia di Dio fatta di uomini di Dio.

Aurelio Molè




Focolari e Brigate Rosse

La storia di un giovane militante delle BR, Valter Di Cera, s’incrocia con Graziella De Luca, una delle prime focolarine

Valter Di Cera, classe 1958, proviene da una solida formazione cattolica, il padre è impegnato con le Acli, la madre in parrocchia.  Trascorre la sua adolescenza impegnandosi con Comunione e liberazione per dare una mano ai baraccati del quartiere Alessandrino di Roma finché è attratto dall’ideologia delle Brigate Rosse. Ne fa parte per circa due anni, dalla fine del liceo, nel 1978, fino al 1980. Valter è un ragazzo serio, studioso, alla ricerca di un ideale per affrontare la vita ed entra nella lotta armata «più per una specie – racconta – di curiosità antropologica che non per una convinzione ideologica». In meno di due anni di militanza conosce centinaia di brigatisti romani, i contatti, le reti, parte della struttura clandestina delle BR. Il suo stesso acume intellettuale lo porta sulla via della consapevolezza e a capire il suo grande errore di adesione ad una ideologia depersonalizzante e distruttiva. «Ho visto uomini e donne – scrive nel libro L’infiltrato di Dio per i tipi della Tau editrice – dagli occhi vuoti perché avevano premuto quel grilletto per uccidere freddamente e vigliaccamente un uomo indifeso. Avvertivo la sensazione di essere in un ambiente inumano, fetido e questa sozzura provocava in me un grande disgusto».

Il 24 settembre 1979, è il giorno della svolta. Si trova in via Metronia 24 a Roma con Prospero Gallinari, uno dei capi delle BR che aveva partecipato alla strage di via Fani e al sequestro Moro e, anche se di primo pomeriggio, l’operazione da compiere era semplice: sostituire una targa di una macchina parcheggiata per destinarla al parco auto delle Brigate Rosse. Transita, però, una volante della Polizia. Gallinari, accovacciato tra due macchine nell’atto di sostituzione della targa, ordina più volte a Di Cera: «Abbattili!». Un istantaneo, chiaro, deciso moto di coscienza illumina Valter. In quei poliziotti, distanti soli cinque metri, vede il volto di padri di famiglia e decide di non sparare, di non uccidere. Si getta a terra, svicola tra le macchine e si allontana. Gallinari spara, i poliziotti rispondono al fuoco: lo feriscono e lo catturano. Nelle sue tasche trovano un piano dettagliato per una evasione di massa dei brigatisti rossi dal super carcere dell’Asinara: sarebbe stata una strage.

Valter si allontana e avverte come se Dio lo avesse illuminato. Di colpo, la tristezza di quegli anni si dissolve e una gioia interiore, mai provata prima, lo inonda. Non è facile, però, allontanarsi dalla clandestinità con le BR, tanto più ora che temono sia un infiltrato. Chiede di lasciare le BR, ma gli offrono la clandestinità in Francia, come tanti avevano già fatto, cambiando i connotati, con soldi e documenti falsi. Rifiuta e parte l’ordine alle BR di non avere rapporti con lui. La sua vita è a rischio.

Un fatto provvidenziale lo salva. Parte per il servizio militare nella Divisione Folgore, sul confine estremo del Friuli. È lontano da ogni pericolo, finché da Roma arrivano i Carabinieri guidati dal capitano Di Petrillo della Sezione Speciale Anticrimine. Il suo arresto coincide con la sua scelta di collaborare con lo Stato. «Intendo dare – dice al sorpreso capitano Di Petrillo – il mio massimo contributo possibile per pacificare il Paese e distruggere le Brigate Rosse».

Valter Di Cera

Da ora in poi comincia un’altra storia e fino al 2014, in varie forme, collaborerà con lo Stato, diventando un elemento centrale dell’antiterrorismo. Dal 1980 Valter entra nella cosiddetta Squadra Acchiappi dei Carabinieri contribuendo ad arrestare centinaia di terroristi. E nel 1984 per circa tre anni si nasconde, agli arresti domiciliari, dentro un convento degli Oblati di Maria di Frascati dove tra gli altri è seguito da padre Tonino Camelo e da padre Fabio Ciardi che lo mette in contatto con Graziella De Luca, una delle prime focolarine che lo segue condividendo la Parola di Vita del mese, da vivere e mettere in pratica, accompagnandolo nelle preghiere e nell’unità spirituale nella lotta di Valter al terrorismo. In quegli anni Valter è nel mirino delle BR e i Focolari mettono a disposizione varie case dove lui può continuamente spostarsi e nascondersi. «In quel periodo – scrive Valter nel libro L’infiltrato di Dio – ero sempre più attratto dalla Parola di Vita di Chiara Lubich e ogni volta che incontravo Graziella sentivo forte la protezione dell’Unità» anche nella sua attività investigativa. Più volte avverte, girando in osservazione per le vie di Roma cercando di individuare dei terroristi da lui conosciuti, di essere stato ispirato dallo Spirito Santo per dirigersi in una zona piuttosto che un’altra e di aver contribuito ad individuare tanti di loro evitando altri spargimenti di sangue.

Nel corso di una visita ai suoi parenti in via Merulana, camminando a piedi lungo il marciapiedi, si trova faccia a faccia con un noto latitante, Antonino Fosso, autore della rapina ad un furgone postale che, nel 1987, causò la morte di due giovani poliziotti. È un attimo. Fosso fa per estrarre la pistola, Valter attraversa la strada e cerca di coprirsi dai possibili proiettili. Vede sopraggiungere un furgone portavalori che si ferma: scendono dei vigilantes e Fosso desiste. Valter scappa verso la vicina fermata dell’autobus che sopraggiunge in quel momento sfuggendo alla morte perché Fosso lo aveva inseguito.

«Mentre vedevo Fosso scomparire – commenta Valter -, mi si illuminò il cuore. Sentii l’Unità con Graziella. Espressi un grazie profondo per le preghiere che faceva per me. Lo scudo protettivo aveva funzionato».

Non finì li. Valter fornisce alla Squadra Acchiappi, che seguiva da tempo Antonino Fosso,

Padre Tonino Camelo degli Oblati di Maria e Valter Di Cera oggi

tutti i dettagli possibili sui vestiti e su che lato portasse l’arma per poterlo identificare e la mattina dopo è arrestato dal capitano Di Petrillo nei pressi di piazza Navigatori. Dalle carte trovate indosso al terrorista si deduce che vi era un piano per un attentato al segretario nazionale della Dc Ciriaco De Mita che dopo qualche mese sarebbe diventato presidente del Consiglio.

Una storia avventurosa, da film, con una regia invisibile, ma perfetta. Una storia pienamente riscattata con un filo d’oro che ha legato tutti gli avvenimenti e la dimostrazione che «ciò che è in grado di cambiare il cuore di un uomo può cambiare anche il corso della storia».

Sono molti i religiosi e le religiose che hanno seguito Valter Di Cera nel suo cammino, impossibile menzionarli tutti, ma almeno vogliamo ricordare anche padre Angelo Dal Bello, padre Adolfo Bachelet e suor Teresilla Barillà.

Oggi Valter Di Cera è un affermato psicologo, sposato con figli. Ha ripreso la sua frequentazione con Comunione e Liberazione ed è volontario e formatore presso l’Associazione Pacao.

Gabriele Amenta




Per quanto tempo si accoglie una figlia?

Una comunità dei Focolari si mobilita per aiutare A’isha, una persona in difficoltà

di Aurelio Molè

La sceneggiatura è nota. Sembra un cliché che, purtroppo, si ripete. Una famiglia povera in un Paese africano. L’Europa è lontana quanto sconosciuta, è il paese del Bengodi, una località immaginaria dove regnano l’allegria e l’abbondanza, in cui nessuno ha problemi o preoccupazioni economiche. Delle persone influenti, convincono una giovane africana a partire con la promessa di un lavoro sicuro e la possibilità di poter far cambiare vita alla propria famiglia.

Il sogno si trasforma presto in un incubo. È quello che accade anche ad A’isha, nome di fantasia, di un Paese del Nord Africa. Subito dopo la partenza il viaggio si trasforma in un film horror. La ragazza è venduta a varie bande di trafficanti fino all’arrivo in Libia dove è costretta a continue umiliazioni fino al viaggio della speranza in Italia. Il lavoro promesso si rivela una chimera e, persino, il centro di accoglienza per migranti si trasforma in luogo di sfruttamento. A’isha, però, incontra, dopo aver cambiato vari paesi, Gioia e Sergio e la comunità dei Focolari di un paese del Nord Italia e la sua vita pian piano cambia.

A’isha è volitiva, di carattere forte, in tutti i modi tenta di ribellarsi al suo destino, ma è senza risorse economiche, obbligata a risarcire il debito del viaggio, non conosce la lingua e non ha amicizie italiane. Di fronte a lei un lunghissimo ed ostacolato iter burocratico per la sua regolarizzazione. A Gioia e Sergio chiede di ricevere delle  lezioni di italiano.

«Si crea – spiega Gioia – un clima di intimità e confidenza e a poco a poco, tra un passato prossimo e un articolo determinativo, emergono flash della sua storia terribile. Tra noi cresce la conoscenza, la fiducia e l’amore reciproco: A’isha contraccambia con la sua gioia, aiutandomi in qualche lavoretto di casa. E, soprattutto assicurandomi le sue preghiere di fervente musulmana».

Il passo successivo è l’assunzione a tempo indeterminato come badante per la madre che vive con loro, ospitandola in casa per farla uscire dallo squallore del centro per i migranti dove subiva continue e gravissime vessazioni. A’isha confida a Gioia: «Un mese fa, mentre visitavamo insieme una bellissima chiesa io, nel segreto del mio cuore, ho pregato così: “O Dio, Tu sai tutto! Dammi un lavoro che io possa fare con queste mie mani!” Ed ecco Lui mi ha risposto!».

Le sue condizioni di vita migliorano e gli amici dei Focolari diventano la sua famiglia in Italia e la coinvolgono in varie attività, anche di volontariato. A’isha non conosce il mestiere di badante, ma impara subito con grandi capacità di adattamento, tanto che quando, a causa della morte della sua assistita, deve cercare un altro lavoro come badante, lo trova immediatamente. Dopo quattro anni, però, le cose si complicano quando il suo assistito muore e lei si ritrova senza lavoro, senza casa, in precarie condizioni di salute. Sempre in quei giorni scopre d’essere incinta. Da due anni era fidanzata con un suo connazionale che tuttavia non riesce ad esserle d’aiuto.

La comunità dei Focolari si mobilita, ma è impossibile trovare un alloggio senza un contratto di lavoro. Era il periodo di Avvento, A’isha è in dolce attesa, ma medita seriamente di abortire. Gioia e Sergio le aprono di nuovo le porte della loro casa. Per quanto tempo? «Per quanto tempo si accoglie una figlia?» è la loro risposta.

Nella gravidanza A’isha può studiare per superare l’esame di terza media. Non ci sono mezzi pubblici e sei persone della comunità, a turno, la portano a scuola, la incoraggiano, la sostengono. L’esame è superato, ma la casa ancora non si trova. Fino a quando due persone della comunità le mettono a disposizione, gratuitamente, la casa di loro padre, morto qualche anno prima, che sempre per tutta la sua vita si era dedicato ai poveri e agli svantaggiati.

La casa è disabitata da tempo e occorre ripulire, sistemare, imbiancare per renderla abitabile. L’impresa è ardua, ma non impossibile. Sono oltre trenta le persone coinvolte. «Gente della comunità locale – racconta Gioia – che voleva vivere concretamente la fratellanza universale e gente che vedeva in quella chiamata l’occasione per contraccambiare l’amore ricevuto da altri. E, poi, giovani che coglievano la sfida di mettere in pratica il Vangelo e persone lontane dalla fede felici di potersi donare. Persone di altre nazioni che coinvolgevano a loro volta figli o colleghi e chi alla fine rivedeva i propri pregiudizi. Chi scopriva di avere abilità preziose da donare. E chi si faceva nascostamente Provvidenza. A’isha non fu mai da meno: dava tutto quello che poteva, la sua gratitudine gioiosa in primis. Non tratteneva nulla di quanto le veniva donato che non le fosse necessario. Il sentimento unanime era: «Tramuterò il vostro lamento in danza».

Fino alla gioia più grande, il 5 giugno del 2023 nasce uno splendido bambino! Le prossime frontiere sono il completamento degli studi e la patente. Nel suo caso calza a pennello il proverbio africano: «Per crescere un bambino ci vuole un villaggio». La gratitudine di A’isha  alla comunità dei Focolari, che continua a sostenerla, è immensa. E il dono è reciproco perché questa esperienza ha contribuito a «essere sempre famiglia» anche la locale comunità dei Focolari.




Fuori orario

“Cavalcare il drago”, affrontare ogni difficoltà sapendo che c’è sempre da imparare qualcosa da queste esperienze. E’ nell’essere disarmati che possono farsi le scoperte, perché siamo spinti oltre i livelli di autosostegno e invitati a vivere nell’incertezza e nell’ignoto, che per altro sono anche gli unici posti dove si possono fare scoperte. (1)

Tra me e te c’è una difficoltà, mi è stato riferito che sei ostile e risentito per la scarsa attenzione che avrei riservato – così mi fai sapere – ai sintomi di tuo padre rendendo la sua situazione ancor più precaria.

Questa osservazione mi arriva – riportata – da un collega. E’ un po’ uno shock perché non corrisponde certo alle mie intenzioni e più che giustificare il mio operato, mi viene da pensare a quanto tu possa essere disorientato e arrabbiato ed avessi bisogno di qualcuno con cui prendertela. L’accetto ma ci sto male.

Il ritmo del lavoro non si ferma e proseguo ascoltando, sorridendo, con un amaro che resta dentro e che devo superare continuamente. Desidererei proprio rivederti e sentirmi dire personalmente cosa ti affligge.

Verso le 18 passo davanti alla porta di ingresso, le luci sono già un po’ abbassate, l’orario di visita dei parenti è concluso. Sono lì perché ho voluto accompagnare fino alla porta una paziente che mandavo in ospedale per accertamenti urgenti.

Incredibile, ti vedo infilare una mano tra i battenti della porta allungando un pacchetto di sigarette: “sono per mia madre, gliele può consegnare? Sono fuori orario.” “Entri la prego, come sta papà?” Esitante, mugugnando un po’, mi dici che stavi proprio arrivando dall’ospedale e che la situazione è sempre molto seria.

Ascolto, faccio silenzio, lo invito a portare direttamente lui le sigarette alla mamma. Ad un certo punto si gira e mi dice: ”E’ lei la dottoressa dell’altra sera?” “Sì sono io”. Credo che dentro avrebbe un torrente in piena da rovesciarmi addosso ma non lo fa. Lo lascio dalla mamma, sei fuori orario, ma ho potuto rivederti.

Paola Garzi

1 David Brazier (1997) citato in Ken Evans, Vivere con la morte, www.psicoterapia.it/forum/.




La mia vocazione al silenzio è nata in una metropoli

La mia ricerca e frequentazione di Silenzio si è alimentata nel rumore.
Nel rumore del traffico, nel vociare delle persone, nello sbattere dello sportello di un cassonetto, nell’ululato di una sirena.
Come dicono alcuni santi: “come puoi guadagnare il Paradiso se non lavi i piedi al tuo prossimo?”
Come pensi di lavare i piedi al tuo prossimo se vivi lontano da tutti?
Cercare di capire cosa sia il silenzio, questo aiuta.
Se affermiamo che Dio è in tutto e tutto in Dio, allora sappiamo che la metropoli è il posto ideale per incontrarLo.
Silenzio non è assenza di suoni più o meno fastidiosi, ma Presenza che riempie e spinge fuori ciò che ci allontana da essa.
Silenzio è distacco da quello che adombra la Presenza di Dio.
Quanto “chiasso” ti porti dentro, questo determina il tuo disagio nel cogliere questa Presenza, che è Dio.
Non cadiamo nell’inciampo di sotterrare, di non adoperare, quel talento unico che, per timore di essere giudicati con durezza, teniamo da parte: la capacità di ascolto, di aprirsi alla vita e alla Vita.
Nostalgia del canto degli uccelli e della natura nel giovane in cammino?
Oppure nostalgia di un cuore che parzialmente incontaminato sa ancora camminare e respirare il soffio di ciò che lo circonda?
Se voglio capire le tue parole devo ascoltare, quindi faccio silenzio, metto a tacere la ruota panoramica che ho in testa e le labbra, Ascolto.
Quindi benedetta la metropoli che mi insegna l’Ascolto.
Fa più rumore ciò che sento o ciò che guardo?
Parola di eremita.
Mi viene in mente “il deserto nella città” di Carretto.
Quanta Lode possiamo elevare dal cuore del chiasso.
Unici luoghi materiali dove il chiasso non è salutare sono i luoghi di culto.
(Patrizia Rodi Morabito – Provincia di Reggio Calabria)



Il valore della cura

“Una società si può dire che è umana nella misura in cui i suoi membri si confermano tra di loro” (Watzlawich,1971).

“L’occhio è una regione di quasi calma situata al centro di un ciclone tropicale. È circondato dall’eyewall, un anello di temporali torreggianti dove avvengono i fenomeni più forti”

Mettiti anche tu con me nell’occhio, lì dove è quiete. Mettiti con me nella tregua che dà vivere un momento alla volta. Attorno ci possono essere agitazioni di ogni sorta e se ci muoviamo da quel punto fermo rischiamo di esserne travolti. Il ritmo delle nostre giornate di lavoro, qualunque sia la nostra qualifica professionale, è spesso incalzante, sfidante. Non entro nei dettagli perché per ognuno è diverso; per me è confortante pensare che dopo il vortice posso trovare un punto fermo: lì dove ci incontriamo.

E’ la relazione che ci salva dall’alienazione.

Così questa mattina quando mi chiedi un attimo di parlare. Ti ascolto ma ho già la mia risposta in testa. Occorre fermarsi. Lo faccio e mi accorgo delle lacrime che vogliono uscire a dispetto dei tuoi tentativi di frenarle: capisco cosa voglia dire mettersi nelle scarpe di un altro. Farò di tutto perché tu possa mantenere il tuo entusiasmo.

Sei una persona discreta e usi spesso un tono di voce più basso del normale, parli quasi scusandoti che devi per forza chiedermi qualcosa. Per sentirti bene devo fermarmi; non meriti una risposta frettolosa. La voce è sottile ma gli occhi sono luminosi.

A volte abbiamo necessità di sentirci al telefono e la prima cosa che mi dici è: “Dottoressa tutto bene, nessuna urgenza”. Sì lo sai che se chiami tu mi preoccupo subito, ma questa tua premura è preziosa. Possiamo confrontarci liberamente, sempre.

Sei arrivata da poco tra noi, il tuo stile è diverso dal mio. Penso di aiutarti con suggerimenti protettivi ma così ti spingo verso l’anello esterno ed inevitabilmente ci scontriamo. Ci rimango male, ma intanto le cose da fare non aspettano. Mi dispiace che sia andata così. Quando non ci penso più ti vedo tornare per un giorno. Un giorno solo ma sufficiente. Quel saluto: grazie per tutto, mi mantiene ancora lì dove tutto è quiete.

Paola Garzi




Vita della Parola: tra storie&testimonianze

In collaborazione con la cittadella di Loppiano, iniziamo la pubblicazione di una nuova serie di Podcast (dopo le precedenti due che stiamo pubblicando da diversi mesi, cioè la Parola di Vita e Gocce di luce)  dal titolo: Vita della Parola: tra storie&testimonianze”.

Ogni mese, fin dagli albori del Movimento dei Focolari con Chiara Lubich a Trento, viene scritto un commento ad una frase del Vangelo: il noto foglietto della Parola di Vita viene oggi diffuso in circa 90 tra lingue e idiomi,  attraverso stampa, radio e televisione.

Sappiamo che la Parola di Dio è qualcosa di molto prezioso, va ascoltata, accolta, meditata, studiata, vissuta e testimoniata, e non basta ancora …. anche comunicata attraverso le esperienze, come un dono reciproco.

La grande novità della “Parola di vita” sta proprio nel fatto che possiamo condividere le esperienze, così come Chiara Lubich spiega quanto accadeva agli inizi: «Si sentiva il dovere di comunicare agli altri quanto si sperimentava, anche perché si era consci che donando l’esperienza rimaneva . . . mentre non donando lentamente l’anima si impoveriva».

Questa condivisione continua tuttora e vogliamo incrementarla ancora di più, anche attraverso questi podcast: “Vita della Parola: tra storie e testimonianze”, per una reciproca edificazione alla vita del Vangelo.

Disponibile anche sul Canale YouTube @Focolaritalia

Su Spotify e sul sito di Loppiano