Le potenzialità del dialogo

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

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Le potenzialità del dialogo nelle situazioni di conflitto: processi globali e personali

La relazione educativa come “luogo” di dialogo tra generazioni per affrontare, trasformare e superare il conflitto – Annelisa Vecchione, Formatrice, Potenza (Italia)

“Il rapporto educativo è puramente dialogico” (Martin Buber)

LA STORIA – L’idea: Sogno e Realtà –

La mia esperienza di educatore comincia nel 1999, con l’ideazione, insieme ad alcuni miei colleghi, di un laboratorio di narrazione per lo sviluppo di un progetto inserito nell’ambito della realizzazione di centri ludici per l’infanzia e l’adolescenza sul territorio della Basilicata (Italia).

I centri ludici furono realizzati nel 2001 ed io, insieme al mio gruppo di lavoro, cominciai a costruire un laboratorio della fiaba per i bambini del mio territorio. Laboratorio che è diventato poi, nel tempo, una metodologia educativa che definisco “Educazione Socio – Emotiva Integrata”, che ha preso forma in maniera più chiara nel 2005, quando abbiamo proposto questa esperienza ad un istituto comprensivo di un comune lucano (Viggiano), nel quale ho lavorato per sei anni come esperta nella conduzione di laboratori socio – emotivi in classe, durante le ore curriculari come supporto ai docenti, nella scuola dell’Infanzia e Primaria.

I laboratori di educazione socio emotiva integrata si costituiscono come piccole comunità educanti, alle quali partecipano i bambini, gli insegnanti, i genitori, che a turno, vengono ospitati in classe per condividere le attività di laboratorio, cercando di costruire relazioni in cui ci si impegna a generare un’accoglienza incondizionata, non giudicante dell’altro, nello sforzo costante di valorizzare il positivo di ciascuno, per realizzare una consapevole reciprocità.

Il processo di insegnamento/apprendimento nei laboratori socio emotivi integrati, è finalizzato all’acquisizione di comportamenti che tentano di genera il “Ben–stare” insieme. Gli strumenti utilizzati sono i contenuti disciplinari e l’educazione al riconoscimento e alla gestione delle emozioni primarie, attraverso la decodifica dei comportamenti, spesso conflittuali tra pari, ma anche tra genitori e insegnanti e tra questi e i bambini o i ragazzi. L’esperienza è stata poi replicata in diverse scuole della Basilicata, circa una decina, fino a trasformarsi nel 2014 in un Progetto di Comunità, finanziato dai fondi europei, per la valorizzazione del territorio e della memoria, realizzato nel comune di Sarconi, in provincia di Potenza in Basilicata.

IL METODO – Leggere e decodificare la realtà

COME costruire relazioni che si trasformano in “luogo di dialogo”, che possano consentire di affrontare la conflittualità, trasformandola in incontro?
Lavorando per diversi anni con i bambini ho imparato, ascoltando le loro narrazioni con attenzione, molte cose che mi hanno aiutata a mettere insieme lo studio, la conoscenza, con la realtà dei rapporti umani, la teoria con la pratica. Senza questo connubio, il processo educativo non può realizzarsi e i bambini con i loro bisogni, spesso inascoltati, mi hanno “suggerito” la necessità di coinvolgere, nonostante le difficoltà organizzative, burocratiche, gli adulti nelle attività laboratoriali.

Coloro che sono stati coinvolti nelle attività, non potevano essere destinatari di questo processo, ma partecipanti, costruttori del dialogo.
I laboratori sono strutturati in modo da dare valore alle persone, capovolgendo le logiche diffuse in una società competitiva, edonistica, consumistica. Lo spazio laboratoriale diventa luogo per acquisire e sviluppare competenze che si realizzano in un clima altruistico di collaborazione, che richiede il sacrificio del “mi piace”, oggi molto usato nelle chat, intervallandolo con altri atteggiamenti, come ad esempio: “provo ad ascoltarti”,“provo a mettermi in gioco”, “mi fido di te”, “ti chiedo aiuto”, “ti racconto una storia …”.

In classe si lavora quasi sempre in coppia, in gruppo, mettendo in comune lo spazio, gli strumenti, le conoscenze, la pazienza, il fastidio, a volta il disordine, l’inevitabile scontro, con lo scopo di mediare, di “ascoltare” il disagio provocato dalla frustrazione del limite che l’altro mi pone con la sua presenza. L’educatore educa attraverso la sua carne e il suo sangue, non solo attraverso le parole e le spiegazioni. Spesso, incorriamo nel verbalismo, rischio che tutti gli educatori, oggi corrono, focalizzando il proprio impegno educativo in una serie di spiegazioni teoriche; ma non posso educare all’altruismo e alla collaborazione, al rispetto e all’ascolto, se non predispongo i banchi in un certo modo, se non favorisco l’utilizzo comune degli strumenti e dei materiali, e così via.

Nei laboratori di educazione socio emotiva integrata rivolti agli adulti (realizzati nelle biblioteche comunali, nei centri per le famiglie, nelle scuole ecc), non si ascolta una lezione in modo distaccato, ma si sta in cerchio, si partecipa ai giochi di pedagogia creativa, si sente il fastidio o l’imbarazzo del decostruire per ricostruire, dando un senso condiviso alle parole “RELAZIONE”, “DIALOGO”, “CAMBIAMENTO”, “DARE VALORE”, “EDUCATIVO”.

LE ESPERIENZE – tendere verso la realizzazione di un FINE indefinitamente perfettibile, ma concretamente realizzabile –
“I luoghi dei legami e della memoria”) – 2014 –
Partecipanti:

  •   gruppo studio e ricerca (15 – 25 anni);
  •   4^ e 5^ primaria e 1^, 2^, e 3^ secondaria di primo grado;
  •   adulti, famiglie, anziani in pensione;
  •   Enti e associazioni del territorio (Comune, Parrocchia, Ass. culturali, turistiche e divolontariato).

Il progetto sviluppato a Sarconi, dall’associazione Ca.Tali.Te e dalla Pro Loco, relativo ai Luoghi della Memoria, è stato un viaggio emotivo – sensoriale nell’immaginario collettivo, di quanti, hanno voluto partecipare alle attività proposte.
L’iniziativa progettuale, ha dato vita ad una rete culturale che ha messo in relazione persone, enti, istituzioni e infrastrutture, favorendo una circolarità di iniziative che ha spinto la comunità a prendere coscienza del patrimonio esistente e a condividerlo come bene comune, vivendo l’appartenenza ad un territorio non come semplice fatto geografico, ma nel senso di avere intessuto con esso un “legame emotivo”, costruito attraverso le persone, il contatto di mani e di piedi che hanno toccato, camminato, accarezzato volti, strade, muri e pietre.

“Abitare il Sogno” (Potenza) – 2014/2016 – Partecipanti:

  •   i giovani allievi di diverse scuole secondarie di secondo grado (15 -18 anni) del capoluogo potentino impegnati in 7 laboratori creativi ( pittura, scrittura, graffiti, teatro, musica ecc.);
  •   di cui uno dedicato ai ragazzi del Carcere minorile di Potenza;
  •   un laboratorio dedicato agli adulti educatori (genitori, insegnanti, allenatori, catechistiecc.).Il Progetto, di cui è promotore il Rotary Club di Potenza in collaborazione con la Regione Basilicata, si è posto l’obiettivo di costruire con consapevolezza una comunità educante; una comunità di persone disponibili ad allearsi per formarsi e confrontarsi. La comunità educante è un modo di essere e di vivere, in cui non ci si limita ad affermare l’importanza della collaborazione e della condivisione in linea di principio, ma si tenta di creare occasioni di scambio e di comunicazione, spazi per il sostegno e la formazione dei diversi soggetti coinvolti, attraverso il quale generare il bene comune, un sistema che garantisce le condizioni per cui ciascuno può impegnarsi per realizzare i propri sogni, specialmente le giovani generazioni alle quali, spesso, il mondo adulto nega il futuro non svolgendo adeguatamente nel presente la propria funzione educativa.

Alcune affermazioni conclusive degli adulti che hanno partecipato al percorso, parole incarnate, frutto dei mesi trascorsi insieme:

  • “si insegna soltanto se si impara”;
  • “educare è amare: la parola che nasce dal cuore arriva al cuore”;
  • “Educare è cambiare se stessi”;
  • “Educare è comunicare il messaggio abbi fiducia in te”;
  • “ho acquisito una maggiore consapevolezza dell’atto educativo e ciò mi stainducendo ad una riflessione prima dell’azione che mi conferisce serenità e capacità di autocontrollo”;CONCLUSIONI COME INIZIOAffermava Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, a Washington, durante la Lectio Magistralis tenuta in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in Pedagogia:
    “Ogni pedagogia autentica è portatrice di una tensione utopica, da intendersi come idea regolativa a costituire tra noi, quel paese che ancora non c’è, ma che dovrebbe esserci. L’educazione, in tale prospettiva è vista come mezzo per avvicinarsi al fine utopico[…]. L’utopia non è un sogno, né illusione, né una meta inavvicinabile, essa è tra noi[…]”.

    Allora potremmo dire che il fine utopico dell’educazione socio – emotiva è costruire una comunità educante, in cui è la memoria la mappa di una comunità, espressa attraverso il dialogo nei legami tra generazioni, per insegnare e imparare a progettare e realizzare, con impegno, il cammino per abitare il proprio sogno, educando al difficile, all’incarnazione della parola, con il contributo di tutti coloro che partecipano.

    Affermava Monsignor Romero in una sua riflessione, di cui vi lascio solo alcune righe stralciate:
    “[…]Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo. Ci dà la forza di fare qualcosa e di farla bene. Può rimanere incompleta, però è un inizio, il passo di un cammino […]”.

E’ il nostro inizio quotidiano che costruisce la via per raggiungere la meta prefissata, e il cammino è la parte reale e concreta del nostro fine utopico.

Annelisa Vecchione

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Accogliamo i profughi respinti

A Como, città vicinissima al confine italo-svizzero, un’intera comunità vive un’esperienza di accoglienza

La città di Como è salita alla ribalta delle cronache nelle ultime settimane grazie al notevole afflusso di profughi che, costretti da muri e filo spinato a deviare da altre rotte, tentano di attraversare la Svizzera, per raggiungere i Paesi del nord Europa alla ricerca di fortuna o del ricongiungimento con familiari e conoscenti che li hanno preceduti. Il tragitto da percorrere, a piedi o con i mezzi, è assai breve; in quattro minuti si arriva a Chiasso.  Ma al confine i controlli sono rigorosi ed i respingimenti la regola. Cresce cosi il numero di persone accampate nei dintorni della stazione ferroviaria di Como, in attesa dell’occasione propizia per eludere i controlli: sono uomini e donne, famiglie con bambini piccoli, minori non accompagnati, il cui numero varia quotidianamente in seguito ai nuovi arrivi e alle partenze con mezzi ed esiti ignoti. Sono alcune centinaia gli ospiti che colorano la città con la loro presenza, impossibile da ignorare.

Il nostro vescovo, mons. Coletti, con un appello rivolto alla città ha chiesto a tutti di raccogliere la sfida dell’accoglienza e, in particolare rivolgendosi alla comunità ecclesiale, di mettere in pratica le opere di misericordia, in questa che potrebbe essere un’opera-simbolo del Giubileo della Misericordia e un’occasione di condivisione e di crescita comune.

Abbiamo sentito rivolto anche a noi questo invito e ci siamo subito mobilitati, mettendoci a disposizione della Caritas diocesana in prima linea nell’organizzazione degli aiuti. Attraverso la rete della nostra comunità locale è emersa una risposta corale, a cascata, che coinvolge persone vicine al Movimento dei Focolari, familiari, amici, conoscenti che si vogliono aggiungere. Si tratta di raccogliere alimenti, coperte ed altri generi di prima necessità, di coprire i turni di servizio dedicati all’accoglienza dei migranti, all’accompagnamento alle docce ed alla mensa, alla distribuzione delle vivande, alla cucina, alle pulizie; di sera si servono fino a cinquecento pasti.  Si incrociano sguardi spaesati, spaventati, riconoscenti, a volte ancora diffidenti. Difficile comunicare con chi parla idiomi sconosciuti; ma anche il solo essere lì, stanchi e sudati come tutti, a porgere un piatto col sorriso, cercando di capire a gesti se è gradito, gomito a gomito con altri volontari che si scopre magari provenire da tutt’altra esperienza ma che come noi si sono messi in gioco per i fratelli profughi, ci fa sentire parte di una famiglia grande e ci fa crescere come persone e come comunità.

Una persona della comunità scrive: «Che gioia incontrare qualcuno della nostra comunità, tra i corridoi, nella mensa, nella pulizia delle docce». Un’altra ancora al servizio mensa: «Mi ha colpito la fede, l’intensità dei cristiani copti nella preghiera di ringraziamento prima e dopo il pasto; davvero che grande dono è il fratello». E poi: «Nel fratello profugo che accompagniamo alle docce e che serviamo a tavola, guardandolo negli occhi e battendo un cinque, riconosciamo Gesù che ci ricambia: “sono io…!».  E ancora: «Dopo una serata trascorsa semplicemente a servire, condividendo l’esperienza con altri volontari delle più varie estrazioni, si esce con il cuore gonfio di sentimenti e di propositi».

Nella festività del santo patrono della città di Como si è vissuto un pomeriggio speciale in una basilica affollata, alla presenza del vescovo e delle autorità cittadine, con la partecipazione dei migranti cristiani eritrei, etiopi, somali ed una rappresentanza degli oltre 500 volontari. La lettura del brano evangelico del giudizio universale, in italiano, inglese e tigrino, ha suscitato una grande emozione. Padre Claudio, Missionario Comboniano della nostra comunità, che ha trascorso più di 30 anni in quei Paesi e ne conosce lingue e dialetti, ora a riposo nella nostra città, da settimane si prodiga per assistere le persone accampate nei pressi della stazione. A lui il vescovo ha affidato ora ufficialmente l’incarico di seguirle spiritualmente, mettendo per questo a disposizione la stessa basilica.

Gesù è venuto oggi a visitarci in questi fratelli migranti. Anche noi ci sentiamo interpellati, come ci ha ricordato il nostro vescovo, e vorremmo rispondere anche con una certa progettualità.




Lavorare nella città e per la città

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

Lavorare nella città e per la città

Intervento di Stefania Biagini Ghiotti, Referente Comunoteca di Torino (Italia)

Ciao a tutti. Sono Stefania. Da quasi diciotto anni sono sposata con Saverio ed abbiamo due figli: Maddalena, di 15 anni, e Nicolò di quasi 12.

L’arrivo dei figli è stato per noi un vero “cataclisma” dal punto di vista della comunione dei beni. Non era ancora nata la nostra prima figlia che già avevamo ricevuto tutto quello di cui avevamo bisogno, persino dei ciucci nuovi che non potevano essere più venduti, in quanto un’alluvione aveva rovinato la scatola di cartone che li conteneva e la plastica che li proteggeva non era sufficiente per garantirne la vendita. La situazione ci ha stimolato a mettere anche noi tutto in circolazione, una volta terminato l’uso delle cose.

Abbiamo iniziato con un ristretto gruppo di amici; poi la voce si è sparsa così rapidamente, che in pochi anni abbiamo creato una rete di circa 400 famiglie che si tengono in contatto via e-mail e si comunicano esigenze e possibilità circa i beni di prima necessità relativi alla gestione di bimbi piccoli: abbigliamento, passeggini, carrozzine, seggioloni, seggiolini auto, culle… Chi ha bisogno ci segnala via e-mail la propria necessità; noi giriamo a tutte le famiglie tali esigenze e, non appena ci arriva la disponibilità delle cose da parte di qualcuno, mettiamo in contatto chi dà con chi riceve, per effettuare il passaggio delle cose. Cerchiamo di tracciare il percorso dei beni, in modo da saper recuperare le cose in caso ci vengano richieste indietro dal proprietario. Nel caso siano state date a fondo perduto, le facciamo girare finché…non cedono! Tutti sanno che si tratta di cose “in comune”, per cui le si usa finché servono, mantenendole nel miglior modo possibile per chi le userà dopo, e poi si mettono di nuovo a disposizione di chi ha bisogno.

In questi quindici anni sono circolate migliaia di cose ed ogni volta rimaniamo stupiti della grande generosità di chi ci è accanto. Abbiamo sperimentato veramente che più si dona generosamente, più si riceve perché si mette in moto una rete di persone che tirano fuori il meglio di loro in generosità, disponibilità, sensibilità…

Questa grande comunione dei beni ci aiuta singolarmente e come famiglia su tre differenti livelli: il livello personale, perché ci aiuta a vincere il consumismo, a domandarci ogni volta se l’acquisto di un bene è veramente necessario, oppure può arrivare dalla comunione dei beni; a livello educativo con i figli, perché ci aiuta a trasmettere loro il valore della condivisione, della sobrietà e del riuso. In particolare i figli hanno una capacità di viverla anche con allegria. Ricordo una volta che Maddalena doveva svolgere un testo per la scuola. Una delle domande alle quali doveva rispondere chiedeva “Hai mai utilizzato cose di seconda mano, di altri?”. Maddalena, dalla sua camera, parlando forte mi chiede: _Mamma, devo rispondere sempre o quasi sempre?_. Questa sua semplice espressione mi ha dato tanta gioia!

Il terzo importantissimo livello di crescita, caratteristico di questa comunione dei beni, riguarda la relazione con le persone. La condivisione è trasversale ad ogni età, credo, ceto sociale. Per il passaggio dei beni incontriamo e conosciamo le persone più svariate. Un’esperienza significativa, che amiamo raccontare, è successa un sabato mattina. Ricevo la telefonata di una amica che mi dice che mi avrebbe mandato una famiglia che necessitava di alcune cose per il loro bimbo. Acconsento volentieri, sapendo di non avere impegni fino a metà pomeriggio. All’ora di pranzo tuttavia, questa coppia non era ancora arrivata ed io butto la pasta per i miei figli. Suona il campanello. Erano loro. Sospendo ogni attività in cucina e li accolgo. Tra le presentazioni e la visione degli oggetti con loro si fanno le due. A quel punto mi viene spontaneo domandare loro se avevano piacere di pranzare con noi, avendo praticamente tutto pronto. Loro acconsentono e ci ritroviamo intorno al tavolo, tutti noi con loro tre. Nicolò, seduto vicino a me, ad un certo punto mi chiede: _Mamma, ma chi sono queste persone?_. Gli rispondo: _Non lo so, ce li ha mandati Maria, ma non ti preoccupare. Va bene così_. E così, da questo semplice gesto, è nata una bella amicizia che continua a distanza di svariati anni! La comunoteca, dunque, fa aprire le porte di casa, favorisce i legami tra le persone e le avvicina! E’ una caratteristica che sentiamo fondamentale e che non vorremmo si perdesse mai.

Siccome ne sono nate varie, sparse in tutta Italia (e sicuramente anche all’estero), una équipe di persone sta studiando come ampliare questa realtà, perché arrivi a sempre più persone e favorisca una rete sempre più ampia. Si sta studiando una formula informatica che velocizzi i contatti. La cosa fondamentale, che ricordiamo in questo lavoro, è di non perdere il legame con le persone, elemento che la contraddistingue e fa la differenza!

Grazie.

Stefania Ghiotti

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject




Città in dialogo

CONVEGNO INTERNAZIONALE
OnCity: reti di luci per abitare il pianeta
Laboratorio internazionale di cittadinanza per il bene comune

Atti del Convegno Internazionale Oncity-reti di luci per abitare il pianeta, che dal 1° al 3 Aprile 2016 ha riunito al Centro Congressi di Castel Gandolfo (Rm) 900 partecipanti provenienti da tutto il mondo: tre giorni di lavori, riflessione e confronto su alcuni grandi temi d’attualità legati alla vita nelle città.

Il convegno, organizzato dal Movimento Umanità Nuova, AMU e Movimento Giovani per un Mondo Unito, è un’iniziativa che si colloca nel quadro dello United World Project (UWP).

 

Potenzialità del dialogo nelle situazioni di conflitto: processi globali e personali

Buone prassi Città in dialogo

Intervento di Milvia Monachesi, Sindaco di Castel Gandolfo, Presidente dell’associazione “Città per la fraternità”

Fonte: dal sito ufficiale del unitedworldproject

Sito Associazione città per la fraternità




Tra i ciliegi: fiori e . . . frutti

Dall’ “invasione” alla condivisione. Succede in Puglia.

Al turista che desidera visitare la Puglia in aprile, alcune agenzie turistiche propongono un particolare percorso nella famosa terra dei trulli, delle  grotte di Castellana, nelle campagne di Conversano e Turi, per assistere ad un meraviglioso spettacolo: una distesa di candidi ciliegi in fiore, inframmezzati da verdi macchie di ulivi, che lascia rapito l’ignaro osservatore. A metà maggio, poi, lo scenario viene affrescato di nuovi colori, il bianco cede il posto al verde delle foglie che, al soffio del vento, lasciano occhieggiare rosse e gustose ciliegie, le più premiate d’Italia.

ciliegioE’ questa generosa campagna la terra della ciliegia ‘’ferrovia’’, il cosiddetto ‘oro rosso’ che ha dato una svolta determinante all’economia di gran parte del territorio, di cui Turi è parte rilevante.

Nel periodo della raccolta di questo prezioso frutto, a metà maggio, questa cittadina è ‘’invasa’’ da un gran numero di lavoratori stranieri, immigrati. Per gli agricoltori è un’invasione benedetta, indispensabile per l’insufficiente mano d’opera locale e per un raccolto che occupa un numero limitato di giorni ad un ritmo incalzante.

Il tam tam  di questa richiesta raggiunge l’interland barese e perfino i campi di accoglienza della Calabria. Gli immigrati ormai sanno di poter contare su alcuni giorni di lavoro sicuro e spesso retribuito a norma sindacale, riducendo sensibilmente le situazioni di sfruttamento e lavoro in nero.

Per mancanza di strutture d’accoglienza, i lavoratori sono costretti a ricoveri di fortuna, dalle auto alle panchine dei giardini pubblici, sotto gli archi o nei pressi delle stazioni di servizio, con le comprensibili conseguenze di degrado a livello igienico e dell’immagine stessa di un paese civile. Quest’anno, finalmente nuovi e giovani amministratori hanno accolto le voci di protesta levatesi in particolare dal mondo del volontariato e si sono adoperati in tempo per cancellare questo obbrobrio, offesa alla dignità della persona umana e al decoro di un popolo che nel passato ha vissuto, come emigrato, situazioni di emarginazione e rifiuto.

Collocata a breve distanza dall’abitato, con l’intervento della Prefettura di Bari, con la collaborazione della Protezione civile ed alcune associazioni, una tendopoli, con servizi igienici, ha accolto circa cento lavoratori marocchini, in numero inferiore agli anni scorsi, per la ridotta produzione dovuta all’inclemenza del clima. Un’attenzione particolare è stata rivolta al rispetto delle norme stabilite: ordine del campo, orari, documenti di soggiorno ed un controllo continuo dell’assessore ai servizi sociali, dei carabinieri e vigili urbani.

Alcuni momenti di questo ‘’soggiorno’’, sono stati particolarmente significativi.

Alle 20,30 circa, dopo la preghiera dei musulmani, spesso la vita del campo si è animata ed arricchita di nuovi volti e idiomi. Odori e sorrisi hanno dato uno slancio, un guizzo di ‘’felicità’’ a volti stanchi che hanno visto e subito chissà quante angherie e soprusi. Scouts, giovani di organizzazioni e di partiti, adulti di associazioni di solidarietà come Umanità Solidale Glocal e un gruppo del Movimento dei Focolari, ciascuno con il proprio stile, in men che non si dica, hanno allestito una cena al campo. Se non è mancata talvolta la pasta al forno, più spesso sono arrivate minestre di verdure e legumi, nell’osservanza della fede dei musulmani, sollievo alle membra stanche di lavoro, ma soprattutto espressione d’ interesse umano per la condizione di persone che fame e guerra hanno costretto ad abbandonare la propria terra. Momenti di condivisione e fratellanza in cui vengono espressi anche altri bisogni: le scarpe numero 43 e 44, indumenti per i bimbi o le mogli, medicinali o la cura di una ferita, un frigo,  una lavatrice….A tutte le richieste si è cercato di dare risposta; anche un amico medico di Acquaviva è venuto più volte e il loro ‘’grazie Italia’’, comunicato con gli occhi oltre che con le parole, esprimeva un vissuto di dolore ma anche di speranza.

Era iniziato da due giorni il Ramadan, quando il prof, Daneo di ‘’Religions for Peace Italia’’, invia la lettera di saluto ed augurio del vescovo mons. Spreafico, Presidente della Commissione per il dialogo interreligioso della CEI a tutti i musulmani per la sacra ricorrenza.

Un’attenzione importante per costruire rapporti di conoscenza più profonda, anche sotto l’aspetto religioso, aspetto a cui a Turi Ausg  è particolarmente attenta con incontri di conoscenza delle altre fedi, per vincere l’ignoranza, causa spesso di paure e rifiuti.

Con gli assessori comunali Orlando e Caldararo, delegati alla Cultura e al Welfare,  si preparano fotocopie per ciascuno, aggiungendo anche gli auguri personali e della cittadinanza. Si va al campo dove si legge il contenuto. Un giovane si offre per la traduzione in arabo ed è prezioso il suo intervento per la presenza di giovani che non conoscono affatto l’italiano.

Perchè non scriviamo anche noi al Vescovo per ringraziarlo? È la proposta di alcuni giovani, accolta da tutti e, accanto ad una foto che ricorda il momento di particolare condivisione, una lettera ci viene recapitata qualche giorno dopo che inviamo con premura.

E’ la testimonianza visibile che, coniugando economia, solidarietà, accoglienza, con l’impegno delle Istituzioni e la collaborazione di cittadini attivi, anche in un momento storico di particolari tensioni, è possibile promuovere una nuova vitalità della città e costruire nuovi percorsi di civiltà. La vittoria sulla paura e la diffidenza, per passare dal timore alla fiducia reciproca.

 




I nonni del terremoto

Il racconto di Roberto, rientrato da qualche giorno dai luoghi del terremoto dove si è recato con la squadra del Soccorso Alpino e Speleologico Toscano.

Molti i ricordi e le emozioni che hanno segnato questa esperienza: le scosse di assestamento (quelle più forti) che mi hanno svegliato anche nel cuore della notte, l’immagine di interi paesi letteralmente polverizzati dal sisma, le lacrime, il dolore, lo sgomento e la disperazione sui volti dei sopravvissuti.
Quella che però meglio simboleggia il dramma vissuto da questa gente è l’immagine di due anziani, lui con una mano sorreggeva una vecchia e logora cartella di cuoio, con l’altra teneva per mano la moglie appoggiata ad un bastone, si muovevano con passo incerto tra le macerie del borgo che da sempre aveva costituito la loro casa e dal quale probabilmente non si erano mai allontanati; nei loro occhi si poteva leggere un misto di incredulità e sgomento quasi non fossero ancora pienamente consapevoli della portata della tragedia che li aveva coinvolti. Li chiamano i “nonni del terremoto”, una vita sospesa, come tante da quelle parti, quella di chi non ha più la forza di reagire, di lottare e nemmeno, forse, quella di sperare.

Roberto Celli




Terremoto: vivere un’esperienza di famiglia

«La generosità dei volontari arrivati subito e in gran numero nei vari posti, impegnati a scavare senza sosta prima con le mani, poi con le pale e infine con mezzi sofisticati nel tentativo di individuare qualsiasi minimo segno di vita proveniente dalle macerie, è il volto migliore di questa tragedia che, via via che passano le ore, assume dimensioni sempre più grandi, per il numero delle vittime, dei feriti, delle case sbriciolate al suolo, con paesi che non esistono più. Immediata anche la disponibilità delle persone comuni, impegnate nella raccolta di beni di prima necessità, in fila negli ospedali per donare sangue, desiderose di recarsi nelle tendopoli a portare sollievo».

«Dalle 3,30 di ieri, svegliati dalla prima forte scossa, abbiamo seguito in diretta lo svolgersi degli eventi, in contatto costante con le numerose persone del Movimento che abitano in queste regioni: abbiamo gioito perché un gen e il suo nonno sono stati estratti vivi dalle macerie, così come il suocero e la cognata di una focolarina sposata; siamo stati tutto il giorno con il fiato sospeso per Rita, che coi suoi due nipoti, Elisa di 14 anni e Gabriele di 12 e l’altra nonna, erano invece rimasti intrappolati. Solo alla sera siamo stati raggiunti dal messaggio della mamma che scriveva: “Sono tutti saliti da Gesù”.

Altri membri del Movimento, presenti per vacanza ad Amatrice, sono riusciti a mettersi in salvo». «Per tutti è stata un’occasione di stringersi in unità e vivere gli uni per gli altri. Dall’Umbria, poi, ci scrivono: “Carissimi, grazie delle vostre preghiere e unità che a catena si sono diffuse in tutto il Movimento in Umbria sostenendoci in questa notte di scosse sismiche e di paura. Sentire che eravamo tutti vivi ci ha fatto ringraziare Dio e subito il pensiero è andato a chi era ed è sotto le macerie e a chi ha perso tutto. Il fatto di esserci messi immediatamente in rete ci ha sostenuti e in tempo reale avevamo notizie anche dei paesi più colpiti. Elisabetta, di Assisi, ci ha detto che il messaggio è arrivato nel momento più difficile dandole forza e pace. Ci sentiamo più che mai una famiglia. I gen sono in rete pronti a dare un sostegno e si stanno adoperando per andare in aiuto nelle città particolarmente colpite. Anche gli adulti sono pronti ad intervenire e dare un aiuto concreto. Intanto assicuriamo le preghiere ai familiari che hanno subito grandi perdite».

«Subito, infatti, si è diffuso il tam tam dei messaggi sulle necessità e le possibilità di aiuto in collegamento con la Protezione Civile in primis, ed altri. Così, ad esempio, ad Ascoli, dove insieme ad altre associazioni con cui già collaboriamo si è attivata la raccolta di viveri e indumenti; lo stesso nel Lazio; gli abruzzesi, “esperti” dopo il terremoto dell’Aquila (2009), hanno iniziato una mappatura di possibili alloggi per gli sfollati; anche da altre regioni sono arrivate offerte di aiuto».

 




«E adesso che si fa?». «Non vi lasceremo soli».

Il Movimento dei Focolari in Italia in prima linea nel dopo terremoto

Da un lato la domanda del vescovo di Ascoli, mons. Giovanni D’Ercole: «E adesso che si fa?». L’ha rivolta a Dio e l’ha condivisa coi presenti ai funerali di Stato celebrati nella palestra della città marchigiana dove si è dato l’ultimo saluto a 35 delle quasi trecento vittime del terremoto che ha interessato il centro Italia lo scorso 24 agosto. Dall’altra la promessa del capo di Stato, Sergio Mattarella, intervenuto alle esequie con le altre massima autorità, e ripetuta anche personalmente nell’abbraccio fraterno e paterno offerto uno per uno ai tanti parenti che circondavano di affetto le bare distese al centro della palestra: «Non vi lasceremo soli».

Una domanda e una promessa che abbiamo fatte nostre anche noi del Movimento dei Focolari in Italia sin dall’inizio di questa tragedia, dalle 3,36 della prima scossa, come abbiamo raccontato nell’articolo “Terremoto: esperienza di famiglia” , mentre continuiamo a sentirci interpellati insieme giorno dopo giorno, quando il mutare delle situazioni suscita nuove necessità e genera nuove richieste. Ad animarci un moto interiore molto forte che ci sprona in ogni momento. Subito ci è venuto in mente, e ancor più in cuore, una nota meditazione scritta da Chiara Lubich il 20 settembre 1949.

Versione 2La fondatrice dei Focolari, così si esprimeva in alcuni passaggi di questo canto d’amore a Gesù abbandonato (Gesù, cioè nel momento in cui grida in croce “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”): «Ciò che mi fa male è mio. Mio è il dolore che mi sfiora nel presente. Mio il dolore delle anime accanto. Mio tutto ciò che non è pace, gaudio, bello, amabile, sereno… Così per gli anni che mi rimangono: assetata di dolori, di angosce, di disperazioni, di distacchi, di esilio, di abbandoni, di strazi, di… tutto ciò che è Lui. (…) Così prosciugherò l’acqua della tribolazione in molti cuori vicini e, per la comunione con lo Sposo mio onnipotente, lontani».

Un testo, quello appena citato, i cui toni possono apparire quasi poetici, ma che in questi decenni ha  ispirato innumerevoli risposte d’amore ai dolori dell’umanità, nelle piccole e grandi tragedie, nei piccoli e grandi dolori di ogni giorno. Così anche questa volta.

Se dunque nell’immediato siamo corsi insieme ad altri a dare da bere, da mangiare, a portare coperte e beni di prima necessità, a recare conforto ai sopravvissuti nelle tendopoli come ai parenti delle vittime negli obitori, adesso stiamo cercando di capire quali sono le necessità a cui dare risposta. In una telefonata collettiva webex fra un gruppo di persone del Movimento di varie regioni d’Italia – non solo quelle coinvolte dal sisma – abbiamo scambiato le informazioni di cui siamo a conoscenza, condiviso le diverse iniziative che abbiamo messo in atto.

Un aspetto sembra evidente: al momento si sta facendo fronte all’emergenza in maniera eccellente, come riconoscono anche i media internazionali. Qualcuno nella telefonata raccontava: «Siamo stati spettatori di una generosità quasi esagerata. Ci hanno detto di interrompere la raccolta di qualsiasi cosa. Uno spettacolo meraviglioso. Anche la grande richiesta di sangue è stata soddisfatta, tanti medici si sono messi a disposizione e gli ospedali si sono rivelati all’altezza della situazione».

E da un altro posto: «Qui le associazioni si sono attivate immediatamente e anche noi del Movimento dei Focolari siamo pienamente inseriti; abbiamo creato fra tutti un gruppo whatsapp che alimenta la gara di solidarietà.  Lavoriamo nell’accoglienza, nel trasporto, nella preparazione di 1500 panini giornalieri per i volontari. Facciamo tutto quello che serve di volta in volta». 

I giovani del Movimento, come già in altre occasioni, sono pronti a partire per i luoghi dove c’è necessità e si stanno prendendo i necessari contatti con la Protezione civile.

Un altro punto è chiaro: non abbassare l’attenzione nei prossimi giorni e, soprattutto, nei prossimi mesi, quando si corre il rischio che, passata l’onda emotiva, i riflettori si spengono. Rispetto ad altri terremoti avvenuti in Italia c’è una differenza: le case devastate sono in buona parte case di vacanza e quindi c’è un minore impatto sulle necessità abitative in senso stretto cui far fronte. Ma, fermo restando che il problema della ricostruzione è comunque vivissimo, è ancora più impellente il fattore umano. Stiamo vedendo squadre di psicologi a fianco di chi ha perso un caro come di chi è stato estratto dalle macerie ma anche di chi, “semplicemente”, è riuscito a mettersi in salvo.

Elaborare il lutto o il trauma non sarà cosa da poco. E se occorrono senz’altro le dovute competenze, anche persone “specializzate” nelle relazioni umane possono fare la differenza. «Un punto delicato – raccontano da Ascoli – è stato l’obitorio, dove abbiamo fatto accoglienza e distribuito pasti. Chi è andato riferisce di un immenso dolore perché sono state distrutte comunità intere e tanti sono gli ascolani colpiti dal lutto. Su tutto però prevale un forte senso di partecipazione e una grande generosità. Certo, vivere queste esperienze fa un grosso effetto, bisogna essere come la carta assorbente che assume su di sé il dolore dell’altro e lo allevia».

«Quando la degenza in ospedale si allunga, quando c’è bisogno del sostegno, possiamo essere presenti e anche dopo, quando le persone tornano a casa con il loro fardello di dolore, andarle a trovare, non interrompere i rapporti», suggerisce qualcuno nel corso della telefonata. E altri ricordano in particolar modo i bambini: «Per loro bisogna davvero pensare qualcosa di significativo», senza dimenticare gli anziani. «Chissà, forse potrà nascere un progetto di animazione artistica – auspica un pianista – e sarebbe bello che anche per il dopo terremoto si potesse lavorare insieme ad altri, come sta avvenendo in questi giorni».

Lavori in corso, dunque, perché lo sforzo principale è quello di stare in ascolto dei bisogni reali e offrire risposte concrete, quelle che servono e non altre. Anche su questo sito può avvenire uno scambio di idee e possono nascere proposte.

Intanto il coordinamento per le emergenze umanitarie del Movimento dei Focolari a livello internazionale, come abbiamo scritto in un nostro articolo che terremo aggiornato con gli ulteriori sviluppi, sta accogliendo la generosità di quanti vogliono contribuire economicamente. Mentre il nostro quotidiano on line, Città Nuova, racconta i tanti volti di questa tragedia continuandola a seguire quotidianamente.

a cura di Aurora Nicosia e Antonio Olivero




Storie dai luoghi del sisma. Scrivici la tua

Riportiamo alcune frasi di una lettera che le persone della comunità di Medolla (MO), colpite dal terremoto nel maggio del 2012, hanno scritto alle comunità del Centro Italia dopo il recente sisma:

“Carissimi/e tutti/e delle comunità colpite dal terremoto,

siamo Fiorella e Mario della comunità di Medolla e dintorni (Emilia Romagna provincia di Modena) che nel 2012 e’ stata colpita dal sisma del 20 e 29 maggio.

Noi che ancora abbiamo negli occhi e nel cuore l’incredulità, l’impotenza e la paura di quell’ evento per il quale stiamo ancora lavorando alla ricostruzione….NOI VOGLIAMO CHE SAPPIATE CHE VI SIAMO VICINI innanzitutto con la preghiera e con quell’ offrire tutto per le vostre comunità per “essere famiglia” come Chiara Lubich ci ha insegnato.

Mentre stiamo pensando a come aiutarvi concretamente, vi chiediamo di mettere in comune fraternamente le necessità che potete avere al momento: se c’è qualcuno dei nostri che ha bisogno di essere ospitato o se possiamo essere utili in qualche maniera.

 … noi abbiamo ricevuto tanto da tutti nel 2012…vorremmo poter restituire almeno un po’ di quell’amore che ci ha fatto stare saldi come famiglie e comunità nella volontà di Dio.

Vi mandiamo il nostro abbraccio: a tutti e a ciascuno e aspettiamo vostre notizie!

Fiorella Mario e tutta la comunità”.

Perché?

Il racconto di una giovane dei Focolari a tu per tu coi feriti del terremoto accolti nell’ospedale di Pescara

Il giorno seguente il mio rientro al lavoro dalle ferie prende una piega che mai mi sarei aspettata. È la mattina del terremoto in centro Italia e già dalle prime ore del pomeriggio, l’ospedale civile di Pescara si rende disponibile per accogliere i feriti. Arrivata in ufficio (sto svolgendo l’anno di Servizio Civile presso la Caritas di Pescara-Penne) il mio direttore mi chiede di andare in ospedale per capire come è la situazione e per raccogliere eventuali richieste di necessità da parte dei feriti e dei loro parenti.

Arrivata sul luogo insieme a due colleghi, veniamo accolti dal cappellano e da alcuni medici dell’ospedale che ci propongono di andare direttamente nei reparti dove i feriti sono ricoverati. Davanti a ciascuno di loro mi avvicino in punta di piedi e con un filo di voce chiedo se hanno bisogno di qualcosa. Mi impressiona la dignità di queste persone, la loro compostezza: quasi mi verrebbe voglia di mettermi in ginocchio come davanti al tabernacolo. Davanti ai miei occhi c’erano figli che avevano perso i genitori, mariti senza più le loro mogli…persone vive per miracolo, rimaste per ore sotto le macerie aggrappate solo alla speranza. Nel mio cuore, un grazie a Dio perché queste persone che stavo incontrando erano ancora vive ma, allo stesso tempo, un grido di perché. Perché avevano perso tutto e tutti, perché? Quale sarebbe stata la loro ragione di vita ora?

Un pensiero mi è rimbombato, come un tuono, nell’anima. Un pensiero che non mi ha più abbandonato: «Tutto crolla, Dio resta. Tutto passa, Dio resta». Ho ripensato a Chiara Lubich ed alla sua esperienza sotto le bombe. Tutto è vanità delle vanità. L’uomo, per sua natura, è portato a farsi mille programmi, ad accumulare ricchezze oggi per goderle domani. Tutto passa. Ecco che ogni cosa diventa relativa e le sovrastrutture che ci creiamo facendoci mille problemi, ogni attaccamento, anche il più santo e giusto, può crollare da un momento all’altro.

Dio è l’unico ideale che nessuna bomba o terremoto può far crollare. E Dio è amore. L’amore che si rispecchia attraverso la competenza e l’umanità dei medici dell’ospedale di Pescara che mi ha felicemente sorpresa, l’amore gratuito di tantissime persone che si sono rese disponibili per offrire alloggio, vestiti, cibo e ascolto. L’amore che resterà impresso negli occhi di questi fratelli e sorelle che hanno perso tutto, tranne il cuore con il quale hanno risposto all’amore, ripetendo la parola “grazie” centinaia di volte. Quegli occhi che non dimenticherò mai.

Benedetta F.

Altri Articoli con storie e testimonianze:

I nonni del terremoto

Elisa e Gabriele

Ulteriori articoli su città nuova online

Elisa Articolo su incorrieredella città

Il sorriso di Elisa e i suoi coetanei

Gabriele Articolo su ilcorrieredellacittà

Testimonianza di Lorenzo di Ascoli che si è salvato dalle macerie:

Scrivevamo il 25 agosto:

Terremoto: vivere un’esperienza di famiglia

 




Immigrati: da problema a risorsa

La montagna è capace di accogliere più delle aree urbane, creando progetti dal basso tra i Comuni, con le associazioni locali, la rete del volontariato, la Caritas, le parrocchie. Alcuni dei tanti esempi virtuosi

Sorgente Città Nuova online: Immigrati: da problema a risorsa




Benvenuto al binario 2

 

ALLA STAZIONE DI SANTA MARIA NOVELLA DI FIRENZE UN HELP CENTER IN RISPOSTA ALLA MARGINALITÀ SOCIALE. QUANDO L’INTEGRAZIONE FRA PUBBLICO E PRIVATO FUNZIONA

«Il signor T. è un uomo italiano di 66 anni, con 20 anni di vita per strada, dimorante abituale della stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Dopo la perdita prima della madre e poi della casa e del lavoro, trova la strada dell’alcool e del vagabondaggio. Segnato nel fisico e nella psiche, ha vari incidenti e pestaggi, rischiando la morte 3 volte in un anno. Lo abbiamo trovato a un certo punto, dopo averlo cercato, in un ospedale, nel reparto di rianimazione. Abbiamo preso contatto con i servizi sociali e dopo la degenza verrà inserito in una Rsa».

«La signora P., arrivata in Italia da sola, clandestina e senza un lavoro, viene accolta provvisoriamente presso una signora. Si presenta all’Help center per fare il corso di italiano e qui, sentendosi accolta e sicura di essere aiutata, ci confida di essere stata violentata da un gruppo di uomini. L’abbiamo accompagnata ai Servizi sanitari e messa in contatto con il Centro antiviolenza Artemisia che le ha dato un sostegno psicologico. Illusa poi da un uomo violento e tossicodipendente che l’ha sposata, consentendole così di ottenere il permesso di soggiorno, è tornata da noi e abbiamo continuato ad aiutarla». «La signora S., senza fissa dimora (comunitaria Ue) e conosciuta da molti anni dal nostro Help center, è stata spesso accompagnata verso i servizi sanitari volontari del territorio. Essendo ammalata e non potendo accedere ai servizi sanitari perché senza una residenza, le è stata concessa presso la nostra Casa di accoglienza Casa Serena. Tramite il progetto “Oltre la strada”, poi, abbiamo avuto un contributo per farle l’assicurazione sanitaria. La signora oggi è inserita in una struttura di accoglienza e gode di una vita più serena».

Una storia tira l’altra e ognuna dice da sé quello che succede al binario 2 della stazione Santa Maria Novella di Firenze, come mi raccontano alcuni operatori. Basta stare qualche ora nella sede dell’Help center e si entra in contatto con… tutti i colori dell’umanità. Quando arrivo, ci sono due sedicenni albanesi giunti da poco in Italia, poi si susseguono una signora rumena da 25 anni nel nostro Paese, una giovane congolese, un italiano separato e senza più contatti con la famiglia di origine. Situazioni le più varie, denominatore comune la persona, da accogliere, ascoltare, aiutare.

Romano Tiraboschi, direttore del Centro dallo scorso settembre, conosce tutti quelli che passano, a volte anche solo per un saluto e per sentirsi incoraggiati a non mollare.

«Non è che riusciamo a soddisfare tutti i bisogni concreti – mi dice –, non di rado molto più grandi di noi, ma almeno diamo alle persone fiducia e speranza, le aiutiamo a risollevarsi e ci ringraziano anche solo per essere state ascoltate». Lui lavora qui grazie a un progetto di inclusione sociale avviato col Comune e finanziato dalla Regione che ha rafforzato la collaborazione, che c’è sempre stata, col territorio, la città, i servizi sociali. Qui la sinergia con le altre associazioni, laiche e religiose, è di casa. «Ogni giorno ci sono riunioni per affrontare le situazioni da vari punti di vista», aggiunge Tiraboschi.

Il Centro, tenuto dall’Acisjf (la prima associazione internazionale con uno statuto all’avanguardia per l’aiuto alle donne di ogni razza, religione, ceto sociale), esiste dal 1902, prima nella stazione vecchia di Firenze, poi, dal 1936 in questa, in un locale molto piccolo e successivamente, in accordo con Ferrovie dello Stato, in concessione gratuita nei locali attuali. Le aree di intervento vanno dall’ascolto e orientamento al territorio alla ricerca di lavoro con la stesura dei curriculum, all’erogazione di beni (pacchi alimentari,
indumenti, titoli di viaggio).

E ancora l’accompagnamento sanitario, il sostegno per l’aspetto burocratico, l’assistenza nei progetti di rimpatrio, uno sportello legale, la mediazione familiare. Qui si svolgono corsi di italiano, di inglese (ad esempio per le persone che lavorano negli alberghi), si tengono convegni per la prevenzione del rischio sociale rivolti alle scuole e ai giovani. E non di rado sono le stesse persone approdate all’Help center in stato di necessità a “insegnare” con la loro testimonianza. Come Pompeo, un passato da tossicodipendente e alcolista, una persona dalla ricca umanità, di cui racconteremo la storia in seguito.

L’Help center è strettamente collegato con Casa Serena e Camere Fuligno, spazi dati in gestione da Asp Montedomini, poco distanti dalla stazione, che accolgono mamme con minori, donne sole in cerca di occupazione o con alle spalle problemi di dipendenza superati, famiglie provenienti da sfratto esecutivo. Nel 2015 il monte ore del volontariato attorno all’Help center è stato di 10.511 ore. Fra lavoratori e volontari attivi sono coinvolte 57 persone. Tutta gente motivata, come Giannetta, non più giovane, in prima fila da anni. O come Eugenia, prossima alla laurea in Economia dello sviluppo, che mi confida: «Quello che ho imparato qui in due anni e mezzo dalle persone è molto più di quello che ho studiato. È il motivo che mi fa rimanere. Sono persone speciali, ti ringraziano per la cosa più semplice, diventi un punto di riferimento, ti raccontano le cose più profonde. E rimani ore in più di quanto previsto a parlare».

L’anima di tutto, comunque, è Adriana Grassi, presidente dell’Acisjf Firenze. Una “giovanissima” 80enne, con una lunga esperienza alle spalle, alla scuola di don Milani e don Ciotti. «La stazione è veramente impegnativa – mi racconta –, perché è il primo punto dove le persone arrivano. Se dai le risposte adeguate, indirizzi le giovani donne sulla buona strada, non tanto in un giro assistenzialistico, ma avviandole al lavoro, all’autonomia, all’integrazione, dove noi siamo fratelli e sorelle che le accompagnano. Puntiamo molto anche sul lavoro di rete fra pubblico e privato. Se le persone trovano una risposta immediata, è un costo minore anche per la società».

Le chiedo il segreto di una continuità che dura negli anni, in termini di persone e di risorse economiche. «Quando sono stata eletta – mi risponde –, l’assistente presente in stazione allora, mons. Renzo Forconi, un uomo di grande valore, mi ha detto: “Adriana, cerca di lavorare bene, il resto viene da solo”. Abbiamo puntato alla serietà dell’impegno, come ci richiede l’essere cristiani, perché pensiamo che il bene comune non sia solo un impegno dei politici. Ho la mia età, conosco il dolore e ne capisco il valore, ma non conosco né la noia né la fatica perché viene supportata dalla passione per quello che fai, dalla gioia di lavorare con gli altri. I fondi sono stati trovati sempre probabilmente per il riconoscimento al nostro lavoro per cui si riesce a fare progetti, a non camminare da soli. Tanti lavorano bene, forse la capacità di lavorare insieme premia».

di Aurora Nicosia

Fonte: Rivista Città Nuova n.7 | Luglio 2016 pp.44-46




Siamo in guerra: che fare?

La mattina ci si sveglia con un pensiero dominante, determinato dalle immagini viste e da quelle oscurate…perché eccessive, non elaborabili ormai in nessun modo. Kabul, Ankara, Nizza, Monaco e quante altre città ormai famigliari per le ore passate a cercare di capire, a indignarsi, a piangere.

Il pensiero di questi giorni, il primo, quello non gestibile: “Siamo in guerra, siamo dentro gli anni di piombo mondiali”.

In questi casi prima del “Che fare?” ci si inoltra nel “Che pensare?”.

Ricordi di racconti della più recente guerra, film suggestivi e analisi storiche studiate a scuola. Cosa conta durante la guerra?

E ripenso ai giusti tra le nazioni, quegli eroi “quotidiani” che non sapevano di esserlo, che spesso hanno compiuto azioni seguendo semplicemente la propria coscienza.  Non erano informati, non erano schierati. «Il Giusto – scrive Avner Shalev– simboleggia l’essere umano e la sua capacità di scegliere il bene contro il male e di non restare indifferente».

Queste caratteristiche mi richiamano stranamente persone che conosco. Non sono buoniste (questo aggettivo ormai è un’offesa, è diventato sinonimo di parolaio e superficiale), né hanno un’esatta teoria sociopolitica nella quale ascrivere quanto operano. Fanno atti concreti.

È il caso di Bruna, Mario, Giuseppe (nomi fittizi) che nella loro piccola cittadina laziale vengono in contatto con S. e N. e i loro due bambini di tre e un anno.

In questi giorni si sente parlare della necessità di idee forti che contrastino le idee forti dei terroristi.

Bruna, Mario, Giuseppe e i loro amici le hanno. Sono dentro di loro e Papa Francesco le dice  – e le vive – giornalmente: “Tocca la mano della persona che stai aiutando!; “le comunità paurose e senza gioia sono malate, non sono comunità cristiane”.

È per queste idee forti e soprattutto per la concretezza delle azioni conseguenti, senza troppe analisi, che ad S. e N. viene messo a disposizione un appartamento e comincia una storia.

“S. e N. sono dovuti fuggire dall’Egitto, con la pena di lasciare ciò che più amano. Tutto è iniziato accogliendoli e portandoli per mano come bambini, con turni di visite quasi giornalieri.

A gennaio sono state procurate tutte le cose necessarie: passeggino, omogeneizzatore, seggiolone, tritatutto, ecc. A febbraio erano già in grado di orientarsi per la spesa chiedendo di essere accompagnati solo nei posti più convenienti. A marzo un passo avanti con la predisposizione di uno schema per redigere un vero e proprio bilancio che li aiuti a capire il costo della vita in Italia.

Tutte le settimane, il lunedì e il giovedì, c’è un’equipe d’insegnanti più baby-sitter che a turno si reca  a casa loro per le lezioni d’italiano. Ci sono grandi progressi, pensate che ora riusciamo a comunicare con loro anche telefonicamente, senza l’aiuto dei gesti com’era all’inizio.

La strada è lunga perché in effetti l’arabo è molto lontano dalla nostra lingua, un po’ più semplice il percorso per N. che aveva studiato un po’ d’inglese, più fatica fa S. ma ce la sta mettendo tutta perché sa che la lingua è un ostacolo per il mondo del lavoro.

Il lavoro: questo è un argomento che li rattrista molto perché hanno tantissima voglia di lavorare per rendersi autosufficienti! Quando hanno capito che fino a quando questo non avverrà, sono “sostenuti  anche economicamente”  da tante persone di buona volontà e non dallo Stato Italiano, hanno pianto.

S.in Egitto faceva il calzolaio e ora grazie all’accoglienza di E., un calzolaio del posto, sta facendo un po’ di esercizio in modo da comprendere eventuali diversità nel lavoro. Purtroppo E. non ha lavoro sufficiente da dividerlo con S. e quindi continua la ricerca, su tutti fronti, di un lavoro.

Come in tutte le famiglie ci sono stati anche problemi di salute, influenze dei piccoli, necessità di cure dentistiche ma ogni volta è arrivata una grande disponibilità da parte di pediatri, specialisti e dentisti perché potessero ricevere cure gratuitamente.”

Una storia che si potrebbe ambientare in mille città, in tutta Italia, nel mondo, sotto casa mia: quanti giusti che sanno cosa fare quando si è in guerra!

a cura di Maria Rita Topini

 




Diario da Siracusa: un’estate diversa

foto di gruppo

Siracusa Summer Campus 2016.
120 ragazzi da tutta Italia, pronti a battersi, donarsi, dare tempo e amore sincero nelle periferie di Siracusa, per poi tornare a casa carichi dei sorrisi e dell’amore dei bambini !
Un breve video che cerca di raccontare, attraverso le immagini, la bellezza e la profondità di questa esperienza!
“C’è bisogno di domani, c’è bisogno di futuro .
C’è bisogno di ragazzi che sono al di là del muro.”

 

 

Diario

2 Agosto 2016: arrivo a Siracusa, alla Villa Mater Dei, per il Siracusa Summer Campus 2016. Siamo 120 giovani, da 17 regioni d’Italia! Ciò che colpisce al primo impatto è la nostra diversità: diventerà presto un’arma vincente! E’ come vedere tutta l’Italia che aiuta una città fra le tante: Siracusa.

3 Agosto. Ci rechiamo nei 2 quartieri dove faremo il Campus durante le mattine successive. Sembra di entrare nella periferia della periferia. Di fronte ad un bellissimo mare azzurro, si stagliano palazzi altissimi, simili a casermoni. L’impressione è quella di trovarsi all’interno dei cosiddetti quartieri dormitorio, realizzati con criteri urbanistici che sembrano ignorare il rispetto della dignità umana. Siamo ancora in Italia?

Nelle 2 scuole veniamo accolti con grande entusiasmo. Nell‘I.C. Martoglio è il terzo anno che andiamo, mentre nell’I.C. Chindemi è soltanto il primo. Incontriamo alcuni fra insegnanti e rappresentanti delle associazioni operanti nel quartiere, tutti hanno grande fiducia e speranza in noi, percepiamo un forte desiderio di cambiamento. Ma cosa potremo mai fare? Nel pomeriggio, Franco Sciuto, (difensore dei diritti dei bambini per il Comune di Siracusa) e Rosalba Italia (educatore professionale) ci parlano di Siracusa e dei quartieri in cui andremo invitandoci a concepire la periferia come una risorsa per lo sviluppo sociale ed economico, non più come un problema. Saremo educatori per questi bambini!

4 Agosto. Prima mattina nelle scuole. Entriamo in contatto con bambini che vivono in contesti di fragilità sociale e familiare. L’obiettivo è uno: stare con loro in maniera sana. Emerge da un lato l’assenza di regole che innesca atti di violenza e prepotenza, dall’altro un grande affetto dei bambini e la gioia nel vedere qualcuno disposto a scommettere tempo ed energie su di loro.

Nel pomeriggio, primo dei 5 momenti formativi del campus, approfondiamo il tema della legalità. Francesca Cabibbo, (giornalista per il Giornale di Sicilia e il quotidiano on line “Lettera 32), ci ha mostrato la vera natura della Mafia, una holding del crimine attiva sia sulla scena nazionale che internazionale; Giusy Aprile (preside dell’Istituto Archimede di Siracusa ed ex esponente di Libera) ci ha dato il suo esempio su come vivere la legalità sia da cittadina attiva che in veste di dirigente scolastico; infine, Gregorio Porcaro, (ex vice parroco di Don Puglisi e attuale responsabile regionale di “Libera”) ci ha raccontato la sua testimonianza: da seminarista la sua vocazione era quella di impegnarsi per i poveri del terzo mondo; proprio per questo motivo fu convinto da Don Puglisi a spendersi nelle attività a favore di quanti vivevano in condizioni di estrema povertà nel quartiere Brancaccio di Palermo: “Puoi fare qualsiasi cosa se ti metti nella prospettiva di amare”.

5 Agosto. Di nuovo a scuola, questa volta nei 5 laboratori: danza, musica e canto, giornalismo, pittura ed educazione alimentare. Ad aiutarci, anche le professioniste del nascente Centro Educativo Multifunzionale “Maninpasta”. Grazie ai laboratori, possiamo creare rapporti personali con i bambini. Nei workshop ci prepariamo anche allo spettacolo finale dell’ultimo giorno.

Nel pomeriggio, Maria Chiara Cefaloni e Giuseppe Arcuri inquadrano il tema dell’azzardo in Italia, con i suoi meccanismi cognitivi e matematici per imbrogliare i cittadini e, dando una visione economica alla problematica, introducono Gabriele Vaccaro che ci presenta Banca Etica come una realtà che mette al centro l’uomo.

6 Agosto. Ogni mattina, con i bambini, tiriamo il dado dell’amore e vediamo un video che ci aiuta a stare insieme puntando al bene collettivo e non individuale. Alcuni di noi animatori sono rimasti colpiti dal contesto di esclusione sociale da cui provengono i bambini. E’ chiaro che l’importante non è fare delle attività con loro, ma volergli bene in modo gratuito, e tutto il resto verrà da sé.

Il pomeriggio, alla parrocchia Maria Madre della Chiesa di Bosco Minniti (Siracusa), teniamo un momento sul tema dell’immigrazione e dell’accoglienza. Antonello Ferrara (ufficiale di Marina) ci fa capire l’importanza del ruolo svolto dalla Marina Militare per soccorrere chi ha bisogno, Noemi Favitta ci porta il suo esempio di vita e lavoro a servizio di minori richiedenti asilo, e infine Padre Carlo d’Antoni, il parroco, ci racconta la realtà di una parrocchia che da sempre, accoglie immigrati, tra loro, molti musulmani. Colpiscono le parole di uno di loro: “Durante la nostra vita, nei rapporti con gli altri, lasciamo segni e non cicatrici”.

7 Agosto. E’ domenica, la scuola è chiusa. Visitando il parco archeologico e l’isola di Ortigia, constatiamo che, a fronte dei quartieri dove abbiamo vissuto, esiste una parte più ricca della città. E’ anche l’occasione per riscoprire i bei legami nati fra noi, per creare gruppo e socializzare, poiché per amare bisogna essere uniti.

8 agosto. Ancora a scuola! Con i nostri sorrisi, al di là delle difficoltà, delle paure, dell’incertezza del domani, continuiamo a riempire le giornate di bambini non troppo fortunati. Stare con loro è una profonda ricerca nella realtà per scoprire la bellezza autentica che vive oltre le apparenze.

Nostro obiettivo è portare lo spirito di fratellanza e la cultura del noi, creando quel terreno fertile necessario per far nascere una comunità. In qualche modo, forse, ci stiamo riuscendo.

Nel pomeriggio partecipiamo ad un momento di dialogo con Kheit Abdelhafid (Presidente delle comunità islamiche della Sicilia ed Imam della moschea di Catania) e Giusy Brogna (coordinatrice della rete per il dialogo tra cristiani e musulmani per il Movimento dei Focolari in Italia). Da diverso tempo, fra il Movimento dei Focolari e la comunità islamica c’è un dialogo concreto, che ha portato a realizzare insieme varie iniziative, tra cui un doposcuola nella Moschea di Catania organizzato per i ragazzi del quartiere in difficoltà con lo studio. “Grazie a queste attività” -spiega Carla Pappalardo- “la moschea è diventata casa nostra. L’ingrediente principale è la semplicità nei rapporti personali, un dialogo costruito con piccoli gesti, giorno dopo giorno”. Segue l’analisi dell’Imam Abdelhafid: “Cambiare la società è compito nostro e di ciascuno di noi. Da credente, da musulmano, il testo sacro mi indica che devo “dialogare”.  Sono fiducioso: la Sicilia oggi è un modello di dialogo.”

9 Agosto. In una delle 2 scuole scoppiano dei litigi, che provocano violenza e desiderio di vendetta nei bambini. Di fronte a ciò e al concreto rischio di veder naufragare quanto costruito finora, cerchiamo di rispondere con amore, parlando ai bambini con razionalità, e spiegando loro che la violenza non può essere la soluzione ad altra violenza. Sulla stessa lunghezza d’onda è Massimo Toschi (Consigliere del Presidente della Regione Toscana su Pace e Dialogo tra le culture), con il quale, neanche a farlo apposta, dialoghiamo nel pomeriggio proprio sul tema del disarmo: “Il perdono – sostiene – è indispensabile per riaffermare la cultura della pace”. Appaiono di grande attualità le parole di Igino Giordani: “Se vuoi la pace prepara la pace e non la guerra. Se prepari la guerra, i fucili ad un certo momento spareranno da soli”. Ad intervenire, anche Francesco La Rosa, sindaco di Niscemi, il quale ci racconta come una comunità intera abbia saputo impegnarsi, facendo rete dal basso, di fronte ad una questione controversa come l’installazione del Muos, il sistema di telecomunicazioni satellitari della Marina militare USA.

10 agosto. E’ l’ultimo giorno di attività nelle scuole. Dopo l’evento del giorno prima, che ci ha messo tutti in discussione, cerchiamo di ricomporre il tessuto sociale, raccogliendo i frutti di ciò che abbiamo seminato. Attraverso il dialogo, sia con i bambini, che con alcune mamme, ribadiamo la nostra volontà di stare insieme ai ragazzi senza accettare logiche di vendetta o esclusione, ma coltivando lo spirito di gruppo. Uno dei bambini, riguardo a ciò che era successo si rivolge ai suoi amici dicendo: “Smettiamola di fare i mafiosi, basta violenza e vendetta, adesso siamo cambiati”.

Nel pomeriggio partecipiamo all’inaugurazione del “Solarium Vaccamotta”, del quale abbiamo realizzato la segnaletica per favorire la discesa in spiaggia. Infatti in parallelo al campus nelle scuole, abbiamo svolto diverse attività di riqualificazione del quartiere. La sera si tiene la festa finale all’Istituto Chindemi. Durante lo spettacolo, si avverte una duplice sensazione nell’aria: da un lato i grandi e tristi palazzoni “inghiottiti” dal buio trasmettono un senso di sconforto e amarezza, dall’altro ci siamo noi, i bambini e le loro famiglie all’interno del cortile della scuola, pronti a illuminare il quartiere di speranza, ma soprattutto di amore concreto, anche semplicemente cantando e ballando.

11 agosto. La mattina ci riuniamo tutti insieme, per fare il punto sul campus e sugli obiettivi futuri. Durante il pomeriggio assistiamo allo spettacolo finale a cui prendono parte i bambini dell’Istituto Martoglio, nella piazza davanti la scuola, testimoniando ancora una volta a tutti che il bene vince. Al termine del Campus viene da porsi un interrogativo: Cosa abbiamo fatto in questi quartieri? Forse tanto, forse poco. Ma già il fatto di essere lì è una cosa molto preziosa, come a significare che una possibilità c’è, e si trova proprio lì, fra le macerie.

Dopo Siracusa, non saremo più gli stessi. Quei bambini ci hanno fatto capire quali sono le cose essenziali della vita. Ma adesso è il tempo di tirare fuori tutto questo, di donarlo, di perderlo, per gli altri! Se i luoghi si giudicano dalle persone e non dalle infrastrutture, Siracusa per noi è la città più bella, per il clima di unità che c’era fra di noi e perché c’erano quei bambini, pieni di amore e da scoprire.

Tornando a casa nelle rispettive città, in pullman o in aereo, fra i vari tormentoni che accompagnano le nostre estati, torna in mente un passo tratto dalla canzone del Gen Rosso, “Lavori in corso”, colonna sonora del nostro Campus: “C’è bisogno di memoria, c’è bisogno di pensare, c’è bisogno di coraggio, c’è bisogno di sognare”.

Impressioni

Ormai da più di una settimana si è concluso il Siracusa Summer Campus 2016 e anche quest’ anno i nostri cuori sono rimasti tra i bambini del quartiere Akradina e Mazzarona con cui abbiamo trascorso dieci giorni indimenticabili.

“L’impegno parte dalle periferie”: da quei bambini e dalle loro famiglie con cui abbiamo sperimentato la forza trasformante dell’Amore, un impegno a cui hanno dato spessore di consapevolezza i momenti formativi del pomeriggio, tutti importanti, sentiti, di grande attualità e apertura.

In un crescendo di intensità di rapporti, ci siamo trovati anche di fronte alla “durezza” della vita in queste periferie segnate dal degrado, dall’esclusione e dalla legge del più forte: la vandalizzazione di una scuola e nell’altra un litigio tra ragazzi, che ci ha costretto a chiamare ambulanza e Carabinieri; anche alcune mamme erano coinvolte in questo clima di vendetta. Abbiamo provato a rimarginare queste ferite, cercando di pacificare, di parlare e agire dimostrando che c’è la strada del perdono, della riconciliazione. Siamo passati da un clima molto teso ad una grande festa finale in piazza con tutti.

A testimonianza di questo qui sotto ci sono alcune condivisioni che ci sono arrivate e che dicono con forza quello che abbiamo vissuto.

“L’obiettivo dei Giovani per un mondo unito è portare lo spirito di fratellanza e la cultura del noi, creando quel terreno fertile necessario per far nascere una comunità. Nutriamo una naturale predilezione per quelle ferite non ancora rimarginate presenti nel nostro territorio, per questo motivo abbiamo scommesso sui bambini invisibili della Scuola Martoglio e Chindemi, che vivono spesso ai margini della città, in quartieri estremamente periferici. Ci riempiono di gioia le parole rivolte da un ragazzino ai suoi amici dopo un litigio: “smettiamola di fare i mafiosi, basta vendetta e violenza, siamo cambiati”. I rapporti che abbiamo stretto durante il Campus ci spingono a continuare, anche nei prossimi anni, l’esperienza di servizio concreto nelle periferie, con attività per chi ha più bisogno, per gli ultimi e soprattutto per i bambini. La nostra intenzione è tornare a Siracusa, allo stesso tempo però saremo presenti anche in altre città perché la rete costruita finora diventi un vero e proprio modello sociale”

Volevo ringraziare tutti per questa esperienza che ha fatto rinascere in me la speranza, la speranza che insieme si possa veramente fare qualcosa e che un mondo nuovo è possibile se vi è unione! il rapporto di solidarietà che si è venuto a creare tra gli animatori, l’amore e La responsabilità che ho provato per i bambini me le porterò dentro per sempre! Grazie per la vostra compagnia, per i nuovi amici e per questa luce che avete riacceso dentro il mio cuore!”

“Ehi fantastici!!! Volevo dirvi che mi ha appena contattato la mamma di  due bambine del quartiere Akradina e ci tenevo a condividere con voi ciò che mi ha detto : ci ringrazia infinitamente e ci considera fantastici , spera davvero in un nostro ritorno il prossimo anno e ovviamente tutto questo perché si è resa conto di quanto le bambine si siano legate a noi !!

“Carissimi tutti, Grazie di cuore per questi giorni passati insieme (…) volevo dirvi che a questi bambini abbiamo portato gioia, letizia, speranza!!! E insegnato loro a Perdonarsi!!!! Un abbraccio a tutti!

“Il futuro non esiste”, queste le parole che mi ronzano in testa da quasi una settimana. Appena tornata da quella che considero essere una delle esperienze più importanti che potessi vivere, mi trovo a fare un bilancio degli ultimi dieci giorni, di questa estate e della mia vita. Il futuro non esiste perché non possiamo programmare cosa faremo o cosa saremo tra un certo periodo di tempo, dobbiamo porre le basi giorno dopo giorno, e questo lo si fa soltanto vivendo con gli occhi aperti. Perché è anche e soprattutto questo quello che ho imparato in una delle tante periferie lasciate a se stesse della Sicilia: non chiudere gli occhi davanti a un mondo che sta perdendo la facoltà di amare e rispettare il prossimo, avere Il coraggio di alzarsi e muovere non un dito, non un braccio, ma tutto te stesso per cambiare quello che sai che non va. Nel mio piccolo ho avuto la possibilità di mostrare a bambini e bambine dolcissimi quante opportunità hanno per la loro vita, dentro e fuori il quartiere della Mazzarrona, e se anche solo uno di loro avrà ricevuto il messaggio, questa sarà la mia più grande gioia, io in ogni caso continuerò a provare.. Quindi un grande GRAZIE va a quei bimbi e alle loro famiglie che hanno dato fiducia a 120 giovani sconosciuti venuti da tutta Italia; e un altro GRAZIE, immenso, va ai miei compagni di viaggio, che lascio con la sfida di applicare ogni giorno della nostra vita gli insegnamenti del Siracusa Summer Campus 2016”.

“Questa mattina leggo il passaparola, ma non mi fa effetto. Dentro sono talmente pieno di gioia, che non ho bisogno di altro per darmi la carica di vivere, ancora, una giornata per gli altri. Dopo Siracusa, non sono più lo stesso. Quei bambini ci hanno fatto capire quali sono le cose belle della vita, e quanto siamo fortunati ad averle sempre avute dentro di noi. Ma adesso è il tempo di tirare fuori tutto questo, di donarlo, di perderlo, per gli altri!”

“Se i posti si giudicano dalle persone e non dalle infrastrutture, Siracusa per me è la città più bella, perché c’eravamo noi, perché c’erano quei bambini, pieni di amore da scoprire”

“La verità è che non sono pronto per la vita di tutti i giorni. Ciò che abbiamo vissuto va al di là di tutto, ed è inutile parlarne con altri: niente sarà come esserci stati.Ci sentiamo, rimaniamo in contatto, ma una parte di me è rimasta lì, a Siracusa, fra le mura della Martoglio, nel piazzale della Mater Dei. Il ricordo di Siracusa è ancora troppo forte per sentirmi di nuovo in Calabria”.

“E’ come se io mi fossi frantumato, e i miei pezzi fossero lì, fra le macerie di società distrutte, nelle periferie delle nostre città, e anche qui, a casa, quella che era la mia casa. Adesso la mia casa è fuori di qui, in coloro che incontro, in coloro che vivono difficoltà. Durante il casino alla Martoglio, uno dei bambini aveva un coltellino di plastica. Ce l’ho lì, sul comodino, per ricordarmi di quei bambini, ma non come un ricordo che affiora semplicemente la mente. Il coltellino è lì per ricordarmi che quei bambini hanno ancora bisogno di noi”.

“Abbracciando quelle mamme segnate dalla durezza della marginalità e dell’esclusione, abbracciando un bambino che singhiozzava dicendo “È un’emozione troppo grande, vi voglio troppo bene”, vedendo con i miei occhi la trasformazione dei bambini più “difficili”, l’anima è piena di luce, di gioia. Chiara Lubich ce l’ha insegnato, Papa Francesco oggi lo incarna, ma io l’esperienza che segna la vita l’ho fatta a Siracusa: nei poveri, nei piccoli, negli ultimi c’è una presenza di Dio. Una fonte di Dio. Sono loro che ce lo hanno donato. E questo Gesù che mi aspettava a Siracusa mi riempie di amore e mi fa dire solo Grazie. Grazie di averci guidato, di averci portato qui, di averci donato il tuo vangelo. Davvero Gesù sei VIA, VERITÀ e VITA”.

“Buongiorno ragazzi! Intanto grazie per questi piccole bellissime condivisioni.. Personalmente sono ancora un po’ stordita e non nego che dentro di me ci sia un mix di sensazioni provate: da un lato sono felice per l’esperienza vissuta con tutti voi (“sia vecchi che nuovi”) dall’altro non posso negare di essere un po’ perplessa…Durante la festa alla Chindemi, ho provato questa duplice sensazione: da un lato i grandi tristi palazzoni “inghiottiti” nel buio mi rendevano triste e amareggiata e in un certo senso mi hanno fatto aprire gli occhi dandomi la possibilità di toccare con mano la realtà che vive la gente del posto.Dall’altro c’eravamo noi, i bambini e le loro famiglie all’interno del cortile della scuola e insieme abbiamo un po’ “illuminato di gioia” quel quartiere semplicemente cantando e ballando.Sicuramente mi porto a casa questi sentimenti contrapposti ma anche la certezza che in entrambi quartieri abbiamo “lasciato segni non cicatrici”.

“In questi anni, Siracusa e i suoi quartieri mi hanno cambiata e mi hanno fatto crescere sempre di più.Confesso che all’inizio tornando pensavo che l’esperienza che avrei fatto non mi avrebbe arricchita ma sarebbe stata un po’ la stessa cosa degli anni precedenti…ma Qualcuno mi ha “fatto rimangiare le parole” e mi ha dato la possibilità di conoscere un po’ di più il degrado che vivono ogni giorno sia i bambini che le loro famiglie e di conoscere un po’ più da vicino le loro ferite”.

“Volevo ringraziarvi uno per uno per avermi dato fiducia, per avermi reso una persona più sicura e per avermi aiutato a dare il meglio di me.Credo che le piccole incomprensioni che si sono create ci abbiano dato la possibilità di rafforzare il nostro rapporto e di renderlo ancora più speciale”.

“Sicuramente la frase che porterò sempre con me e cercherò di mettere in atto con il mio prossimo è “lasciare segni non cicatrici” e questo è possibile solo amando”.

“Creare una rete di relazioni fra persone è forse l’unico modo per aiutarci a non mollare, a non abbandonarci a cinismo, indifferenza e mentalità mafiosa.Condividere un’esperienza del genere rende uniti, e questa unità si trasforma in forza: forza di volontà, voglia di interrompere un ingranaggio perverso e ingiusto partendo dall’incontro con l’altro, con il dialogo e con il riscoprire in ognuno di noi, in ognuno dei bambini di Siracusa, una persona, un libro che vale sempre la pena di essere letto”.

“Noi giovani non possiamo permetterci il lusso di rinchiuderci nel nostro ottuso e ovattato mondo, ma dobbiamo essere linfa rigenerativa di questo mondo: partendo da noi stessi, realizzandoci come persone, avendo coraggio, nonostante la paura, e creando nel nostro presente di ogni giorno il futuro che vogliamo vedere e che già viviamo tra noi”.

“Ok…si torna a casa…è l’ora del bilancio. Che cosa ho imparato da questa esperienza? “Avere coraggio”. Coraggio di conoscere ed esplorare realtà nuove. Coraggio di sporcarsi le mani e di non aver paura di perdere perché a spogliarsi del superfluo per aiutare tuo fratello c’è solo da guadagnare. Coraggio di immedesimarsi nel proprio vicino perché dietro ai muri fittizi che sembrano dividerci non c’è altro che un altro pezzo della nostra stessa carne. Coraggio di uscire dal proprio piccolo mondo che non fa altro che ostacolarci la vista di un orizzonte più grande. Coraggio di capire e accettare che senza l’aiutare il prossimo e il dialogare con lui la mia vita non ha senso… un grazie di cuore

gruppo partecipanti

Altre foto e video sulla Pagina Facebook Giovani per un mondo unito – Italia

Rassegna stampa:

Siracusanews

Lettera 32: “Fraternità, obiettivo comune”: l’Imam Keith Abdelhafid al Siracusa Summer Campus

C O M U N I C A T O S T A M P A. L’Imam di Catania al Siracusa Summer Campus

Articolo su Siracusanews

Intervista ad una partecipante

Carla Pappalardo, Giovanni calabro , Clara vAnicito, Imam Kuith Abdelhafid, Giusy Brogna, Vincenzo Perrone, Reda Keith, Imen Bouchnafa,

L’indirizzo mail per contattarci è: campusgmu@gmail.com

https://youtu.be/6TrsHxVod7w




Progetto Cibo Bene Comune

L’associazione Il Samaritano di Porto Sant’Elpidio presenta a Tipicità 2016

il progetto CIBO BENE COMUNE – Intervista di Laura Meda

al Presidente Antimo Panetta




Loppianolab 2016

POWERTA’
La povertà delle ricchezze e la ricchezza delle povertà

30 settembre – 2 ottobre 2016 (Loppiano – FI)

Loppianolab 2016 programma generale

Sito Loppianolab

Pagina Facebook

Twitter @LoppianoLab

Le prenotazioni a Loppianolab sono chiuse, è comunque ancora possibile partecipare: in che modo?

Prenotazioni Pass Ingresso: scrivere direttamente all’accettazione loppianolab.accoglienza@loppiano.it specificando il punto di ricezione a cui si preferisce rivolgersi per il ritiro dei pass:

  • Polo Lionello Bonfanti dal 30/09/16
  • Auditorium di Loppiano dal 28/09/16

Nota: La Performance  “Gen Verde + Giovani… In Action!” richiede specifica prenotazione via mail sempre all’indirizzo loppianolab.accoglienza@loppiano.it. o prenotazione telefonica 055-9051102.   I pass  prenotati verranno rilasciati  fino ad esaurimento posti.

Prenotazioni per vitto e alloggio: rivolgersi direttamente a

Alberghi e strutture recettive:

  • Hotel Michelangelo – www.hotelmichelangelovaldarno.com/

Indirizzo: Via Poggilupi, 580A, 52020 Terranuova Bracciolini AR

Telefono: 055 973 8557

  • Hotel Masaccio –  hotelmasaccio.com/

Indirizzo: Lungarno Don Minzoni, 38, 52027 San Giovanni Valdarno AR

Telefono: 055 912 3402

Pasti:

  • Polo Lionello Bonfanti

– Presso “Terre di Loppiano” pasti caldi a prenotazione  o snack a buffet a tutte le ore.  Per prenotazione o informazioni tel. 055-8330888 email: info@terrediloppiano.com

  • Auditorium di Loppiano

– Punti Ristoro e Snack veloci da consumare a buffet sono sempre disponibili, con pagamento sul posto.

Vi segnaliamo che è stato pubblicato su www.loppianolab.it una clip del Gen Verde che come sapete animerà cinque workshop e una performance tutti dedicati ai giovani.

Questo il link: http://www.loppianolab.it/#loppianolab-giovani

Quest’anno LoppianoLab pone un’attenzione particolare alla partecipazione delle famiglie. Vi ricordiamo qui il programma per le nuove generazioni:

LOPPIANOLAB GIOVANI & GEN VERDE

Laboratori artistici per ragazzi e giovani dai 14 ai 25 anni:

I laboratori costituiscono un percorso artistico. È vivamente consigliata la partecipazione a tutto il programma. È necessario prenotarsi indicando il workshop prescelto: adriana.martins@genverde.it

LOPPIANOLAB KIDS Per bambini e ragazzi da 4 a 13 anni:

E’ TEMPO DI DARE. La felicità non dipende da quello che hai. Laboratori sui temi:

– Povertà (la felicità non dipende da quello che hai)

– Cultura del dare (C’è più gioia nel dare)

– Ecologia (curiamo la nostra terra)

Per i più piccoli: servizio di baby sitter a pagamento

Venerdì:14:00-18:00; sabato: 9:00-13:00 /15:00-18:00; domenica: 9:00-11:30.

la scheda di prenotazione è on line http://www.schedaprenotazione.it/ll.asp

Per informazioni relative agli alloggi potete rivolgervi all’ufficio accoglienza di Loppiano: mail: loppianolab.accoglienza@loppiano.it – tel. 055.9051102.

Loppianolab GenVerde2016




Premio Bontà

Vedi anche il recente articolo su Città Nuova Online

PREMIO BONTÀ DON NANDO NEGRI (Fondatore della Città del Ragazzo)

settima edizione 2016
a  VERONICA PODESTÀ (una giovane del Movimento dei Focolari)

“Veronica Podestà, giovane infermiera di Graveglia di Carasco, piccolo paese del levante ligure ha ricevuto il premio “Bontà 2016” in ricordo di don Nando Negri, fondatore del “Villaggio del Ragazzo”, opera fondata dal sacerdote ligure e che ancora oggi promuove e gestisce servizi educativi, socio-sanitari, assistenziali, per il lavoro, per la formazione e l’aggiornamento professionale. Una vita spesa interamente per le periferie e per gli ultimi quella di don Nando. Verso chi è stato messo dalle circostanze dalla vita ai margini e per i diseredati. E alla cui memoria, dopo la sua morte, è stato intitolato un premio destinato a quanti in diversi modi si spendono ancora oggi per i più bisognosi.

Per l’edizione 2016 è stata premiata Veronica, di 25 anni, giovane del Movimento dei Focolari che lavora al Centro Benedetto Acquarone di Chiavari, un’altra delle opere di don Nando. Grazie alla sua tenacia e al suo coraggio, infatti, è riuscita a dare a Daniel, un bimbo della Costa d’Avorio affetto da tetralgia di Fallop, la possibilità si essere operato (con successo) all’Ospedale di Massa.

Nel marzo del 2013 Veronica si laurea come infermiera con un sogno nel cassetto: andare in Africa. Tramite Carlo, un amico genovese del Movimento che vive ormai da molti anni in Africa, riesce a trovare il modo per realizzare il suo sogno e mettersi a servizio professionalmente di una realtà molto diversa da quella che avrebbe potuto affrontare in Italia presso il dispensario di Man, in Costa d’Avorio.

Parte per 3 mesi, che poi diventano 6, 10, un anno. Un’ esperienza forte e bella, sia dal punto di vista lavorativo, dove ha potuto imparare tante cose, ma soprattutto dal punto di vista umano. Perché come racconta, “si parte con l’idea di andare a dare ed invece si torna avendo ricevuto, si parte con l’idea di cambiare il mondo e ci si accorge che per farlo bisogna incominciare a cambiare in sé stessi il modo di stare con gli altri”.

Mentre è in Africa conosce Daniel, la cui storia la colpisce subito per via di una malformazione cardiaca presente dalla nascita, che richiede una cura particolare da fare almeno 2 volte alla settimana al dispensario dove Veronica presta servizio. Ciò che la colpisce di quel bambino è il sorriso che le regala ogni volta che mette piede al dispensario, e di quel suo interessarsi a come sta lei prima ancora di poterlo fare lei con lui. La dimostrazione di una forza d’animo fuori dal comune, nonostante quel continuo andi-rivieni dal dispensario che deve fare insieme alla sua famiglia e le cure da fare per la sua malattia.

La sera in cui cui Veronica torna a casa trova tutti gli amici che aveva lasciato un anno prima nel giardino di casa ad attenderla per una festa. Alla fine della serata qualcuno le chiede: “Che cosa ti porti dentro da questa esperienza?”. Il pensiero va al sorriso di Daniel il giorno in cui si sono saluti in Africa. Nei mesi in cui si trova in Africa l’avevano raggiunta per un periodo altre due amiche, Stefania e Letizia. E’ proprio quest’ultima che tornando aveva incominciato a prendere contatti con l’ospedale di Massa per un’eventuale operazione. Intanto l’entusiasmo di Veronica contagia chi le sta attorno, e un mese dopo il suo ritorno con una nutrita squadra di amici della mamma organizzano un apericena per raccogliere dei fondi per permettere a Daniel di venire in Italia ad operarsi.

Da lì ad un mese Daniel arriva a Genova accompagnato dal papà e da Carlo, il focolarino che li aveva aiutati dall’Africa in tutte le pratiche burocratiche e dove rimane fino alla data dell’intervento a Pisa. Sono due mesi intesi, alla scoperta del mare, della neve e dell’incontro e scambio arricchente tra due culture. Daniel viene operato con successo e il papà, che aveva promesso al figlio una bicicletta in caso di superamento dell’operazione, si trova in difficoltà perché è un regalo molto costoso. Giusto il tempo di confidarlo che, senza saperlo, un’amica di Veronica per la sua festa di compleanno raccoglie dei soldi e decide di destinarli a Daniel, ormai conosciuto da tutta la comunità: quella busta contiene giusti i soldi per poter comprare la bicicletta desiderata da Daniel! Il seme lanciato da Veronica, che con la sua caparbietà è riuscita a dare la possibilità a Daniel di “vivere” una seconda volta attraverso l’operazione, si è trasformato in una solidarietà contagiosa”.

Daniela Baudino

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IL PREMIO E’ STATO CONSEGNATO IL  9 LUGLIO CON QUESTE MOTIVAZIONI:

“Il “Premio Bontà Don Nando Negri” 2016 a Veronica Podestà vuole riconoscere in lei, nel suo impegno, nella sua giovanile dedizione, nella sua capacità di “arricchirsi” donando se stessa agli ultimi, quello stesso spirito che guidò don Nando nella sua opera terrena”.

 

 




Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira

NOSTRA META IL MONDO UNITO

Nel 1978, a pochi mesi dalla scomparsa del Professor Giorgio La Pira, l’Arcivescovo di Firenze, Card. Giovanni Benelli, costatava la solitudine, l’amaro disorientamento, le difficoltà concrete dei molti studenti esteri universitari presenti in città, particolarmente – come si diceva allora – di chi proveniva dai Paesi in via di sviluppo.
Volle dar vita ad un Centro Internazionale che dedicò significativamente a Giorgio La Pira – già Sindaco della città e grande uomo di pace – mettendo a disposizione alcuni bei locali nel centro storico.


Il Centro divenne subito luogo di accoglienza fraterna dei giovani internazionali e luogo d’incontro e di dialogo tra chi giungeva a Firenze da tante parti del mondo ed era diverso per abitudini, per cultura o per religione.

In questa Azione, si recuperava il percorso virtuoso dell’Umanesimo fiorentino, cercando di vivere l’Anima cristiana di Firenze, offrendo una piccola porta aperta su un’Europa pronta a dare, ma anche a ricevere, a imparare da tutti.

Per l’animazione e la gestione di un’opera così nuova, che avrebbe dovuto coinvolgere l’intera Diocesi con il Volontariato, il Cardinal Benelli chiese aiuto a Chiara Lubich e ai membri del Movimento dei Focolari, che risposero subito con entusiasmo.

Da allora il Centro è mutato ed è cresciuto, proponendo svariate attività formative e culturali, svolgendo un servizio sociale molto apprezzato perché attento alla dignità della Persona, e davvero numerosi sono i suoi frequentatori.

Ma il sogno che lo anima resta sempre lo stesso: è il Sogno del Vangelo, l’Ideale della fraternità universale, il sogno della Pace… che ha di fronte a sé la Meta del Mondo Unito.

VEDI SITO




Centro Mediterraneo Giorgio La Pira

Broschure: Centro Mediterraneo G. La Pira

Presentazione del Centro Mediterraneo di Studi e Formazione Giorgio La Pira

inaugurato sabato 25 giugno a Pozzallo (RG)

http://www.centromediterraneolapira.org/it

http://www.coopfoco.org/chi-siamo/chiaramonte-gulfi/

 




Mantova capitale della cultura . . .

Mantova capitale della cultura …nella fraternità

Mantova Volantino eventi

Mantova: culla del Rinascimento, corte dei Gonzaga, insieme a Sabbioneta patrimonio dell’ UNESCO, per tutto l’anno 2016 è “Capitale della cultura”. Immersa nel parco naturale del Mincio, sorge sulle rive del fiume che l’avvolge formando tre laghi quasi a proteggerla. La leggenda narra che la maga indovina Manto sia stata sedotta dal luogo e lì abbia posto la sua dimora fondando la città.

Il suo profilo medievale non passa inosservato per nessun visitatore. Ricca di storia, di tradizione, di monumenti, di cultura (a settembre si svolge da anni il Festivaletteratura noto ormai in tutto il mondo) di percorsi turistici ed enogastronomici, Mantova sa donarsi generosamente a chi la visita anche solo per un breve tempo.

La comunità del Movimento dei Focolari ha raccolto l’invito del primo cittadino a lavorare insieme per promuovere Mantova nell’Italia e nel mondo organizzando eventi e manifestazioni in un clima di fraterna accoglienza e ospitalità.




Progetto Ballarò

 

Tentare nuove strade

A Ballarò, un quartiere svantaggiato di Palermo, una serie di iniziative, nate spontaneamente danno vita ad un progetto che crea coesione sociale

Poco più di un anno fa si è organizzata una giornata ecologica con i giovani e gli adulti del Movimento dei Focolari in una piazza di Ballarò, territorio svantaggiato a livello economico e sociale nella città di Palermo.

Una giornata bellissima sia per il lavorare insieme in un posto così trascurato, che per l’aver creato un rapporto immediato con le persone del posto, i bambini, le mamme i papà che si sono messi con noi a lavorare per ripulire e rendere più dignitoso e vivibile l’ambiente circostante.

Nasce da lì l’idea di dare continuità a quanto vissuto quel giorno. Perché’ non fare in un angolo della piazza una festa di Natale con le famiglie del posto che abbiamo conosciuto?

La festa ha visto canti, giochi, persino Babbo Natale che ha portato doni, dolci! Conclusione: un albero di Natale piantato in una grande aiuola ripulita.

Quel momento ha segnato la nascita di altre iniziative che hanno come punto centrale la parrocchia di S. Nicolò, nei locali della bellissima chiesa medievale adiacente il mercato popolare. Infatti il parroco, contento dell’iniziativa, ci ha invitati a fare qualcosa per un gruppo di 20 bambini che frequentano il catechismo, al quale poi se sono aggiunti altri.

Da gennaio a maggio abbiamo fatto un laboratorio sul teatro dei burattini. I bambini divisi in gruppi, hanno preparato delle semplici storie che descrivevano un gesto d’amore concreto nei riguardi del prossimo, una vecchietta infreddolita e senza cibo, un compagno di scuola in difficoltà nello studio, una mamma che aveva bisogno di aiuto in casa. Partendo dalla costruzione dei burattini si è poi passati all’apprendimento della tecnica per farli muovere e infine alla rappresentazione teatrale.

Il percorso si è concluso con una rappresentazione. Un momento di festa gioiosa, accolto dallo stupore dei genitori di fronte a ciò che i loro bambini erano stati capaci di realizzare.

Durante i mesi si è creato un rapporto di amicizia, fiducia e stima sia con i bambini che con i genitori.

Non sono mancate le sfide, i momenti difficili dovuti a volte al disadattamento comportamentale di qualcuno, ma insieme ce l’abbiamo fatta, e il contributo di ciascuno degli animatori è stato prezioso. L’equipe iniziale era composta da tre persone, adesso siamo in otto ed altri ancora chiedono di poter partecipare e dare il loro contributo. Anche alcune mamme del quartiere si fermano per aiutare.

Da settembre scorso abbiamo avviato un laboratorio artigianale con materiale riciclato. È venuta in rilievo la capacità creativa dei bambini che si sono impegnati con entusiasmo. Qualche giorno prima di Natale in una bancarella si è venduto quanto realizzato, il ricavato era destinato a comprare del cibo da portare ad alcune famiglie indigenti e ad anziani poveri del quartiere. Eravamo divisi in cinque gruppi composti dai bambini di Ballarò, alcune mamme del quartiere e alcuni adulti e ragazzi del Movimento che provengono da quartieri benestanti. Per questi ultimi tutto suonava come una scoperta, una novità, conoscere e confrontarsi con questi bambini più poveri ed una realtà sconosciuta ha creato un forte impatto.  Le famiglie che siamo andati a trovare erano povere ed alcune con situazioni estreme, case fatiscenti, a volte senza luce e acqua. Semplice e diretto è stato il colloquio e la conoscenza con queste persone, hanno raccontato le loro storie, condiviso i loro dolori, si coglieva la gioia e la commozione di sentirsi pensati.

Ognuno ha potuto donare qualcosa di sé, bambini ed adulti, in maniera concreta, semplice, gioiosa e creativa.

È maturata insieme, tra tutti, la coscienza di quanto sia importante aprirci agli altri, condividere quanto siamo ed abbiamo in un clima gioioso e semplice.

Giorno dopo giorno arrivano ora beni di vario tipo, vestiario, cibo, un papà e una mamma di questi bambini del quartiere, che abitano in una casa molto povera, si sono impegnati a distribuire questi beni di prima necessità ad altre famiglie che hanno bisogno. Da cosa nasce cosa e la generosità si fa strada.

Numerose sono ormai le persone coinvolte, chi dona oggetti, a volte anche antichi, soprammobili, lampadari, giochi, libri. Una gran quantità di beni è stata donata ad alcune di queste famiglie indigenti che poi lo hanno venduto nei mercatini ricavando qualcosa per le loro necessità.

In una situazione in cui il lavoro è difficile da trovare abbiamo scoperto che insieme si può pensare, improvvisare, non arrendersi, tentare nuove strade.

Il mettere in comune i beni ha suscitato generosità, idee nuove, entusiasmo nel vivere per gli altri.

Con i bambini si va avanti con l’esperienza della rappresentazione teatrale, episodi tratti dal Vangelo ed attualizzati alla realtà odierna vengono messi in scena anche attraverso esperienze di vita vissuta. L’entusiasmo dei bambini è grande e si trasmettono loro tanti valori.

Anche con i genitori ci sono alcuni momenti in cui si sta insieme: una festa, un incontro, una gita sono occasioni per crescere nell’amicizia e insieme avere cura dei piccoli.

E tutti noi che partecipiamo al progetto sperimentiamo la gioia di costruire insieme, come comunità, un pezzo di umanità nuova vivificata dalla forza dell’unità.

a cura di Antonella Silvestri




Fare sistema oltre l’accoglienza

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Vedi anche articolo su focolare.org del 12 luglio 2016

Sito del Progetto:

http://www.faresistemaoltrelaccoglienza.it

Pagina Facebook

https://www.facebook.com/faresistemaoltrelaccoglienza/

FARE SISTEMA OLTRE L’ACCOGLIENZA

 Sintesi attività realizzate:

  • Corso di formazione professionale per magazziniere per 16 giovani in difficoltà, sia italiani sia stranieri in provincia di Catania
  • Tirocini di formazione professionale in aziende agricole, artigiane, ristorazione per 18 giovani in difficoltà, sia italiani sia stranieri in provincia di Ragusa
  • Orientamento e ri-orientamento attitudinale per l’inserimento lavorativo, con avvio all’attività lavorativa e monitoraggio delle condizioni di lavoro
  • Due cicli di corso per tutor dell’orientamento lavorativo operatori di comunità sul tema dell’occupabilità dei giovani in difficoltà
  • Sostegno a giovani stranieri alla formazione come mediatori culturali
  • Sostegno all’accoglienza temporanea di giovani in difficoltà attraverso la creazione di una rete di

    famiglie a livello nazionale

  • Realizzazione di una Banca dati di aziende, famiglie e comunità in rete sul territorio nazionale

Per la comunicazione e promozione del progetto a livello nazionale sono stati realizzati: ✓ 1 sito http://www.faresistemaoltrelaccoglienza.it/
✓ 1 spot di presentazione del progetto (https://www.youtube.com/watch?v=P4Zs2837lJI) ✓ 1 video-documentario di 10’ (https://www.youtube.com/watch?v=SBVmLYU0Phc)

✓ 1 video su esperienze di tirocinio/inserimenti in azienda (https://www.youtube.com/watch?v=j9X5avwm_fU)

Risultati raggiunti:

34 ragazzi sono stati formati tramite corso e tirocinio
15 aziende nel territorio di Catania e Ragusa hanno accolto stage e tirocini formativi
5 aziende in Toscana, Veneto e Lombardia hanno dato disponibilità ad inserimento lavorativo 5 giovani hanno rinnovato il tirocinio presso la stessa azienda in cui avevano svolto formazione 2 giovani hanno attivato un tirocinio in Toscana e Lombardia
3 giovani hanno ottenuto un contratto di lavoro in Sicilia e Toscana
60 operatori di comunità hanno partecipato al corso per tutor dell’orientamento lavorativo
22 borse di studio sono state elargite per la partecipazione al corso di mediatore culturale

22 famiglie nel territorio nazionale aderiscono alla rete, avendo ospitato giovani stranieri per periodi di vacanze o prova lavoro




Testimoni dell’essenziale

A Genova, in direzione di Via del Campo, appoggiati all’ingresso della chiesa di S. Siro, quando il via vai di mezzogiorno è intenso, due uomini di un’età indefinibile, ma certamente ancora giovani, discutono animatamente tra loro……
Sono cingalesi, ma fanno parte del numeroso popolo degli inesistenti, di quelli cioè che non abitano da nessuna parte, anche se vivono a Genova. clochard1Di quelli che d’inverno dormono nei portoni di antichi palazzi, su un materasso fatto di scatole di cartone, spesso coperti da altri scatoloni o, accucciati in un sacco a pelo lercio e maleodorante. Mentre d’estate invece dormono sulle barche nei porticcioli, sulla spiaggia, a ridosso degli stabilimenti balneari. I due sono talmente sporchi che avvicinarsi richiede un notevole coraggio, ma mi incuriosiscono e resisto al fetore.
Sono senza documenti, non svolgono alcun lavoro, ma, mi spiega uno dei due, sopravvivono con dei piccoli furtarelli. Non faccio fatica a crederci e presto mi convinco che, così malridotti, di furti veri e propri non sarebbero in grado a compierne pur mettendoci tutta la buona volontà. Avevano viaggiato da clandestini, nelle stive di una nave portacontainer, battente bandiera indiana. Da quando erano arrivati a Genova, mangiavano quando capitava, non si lavavano quasi mai e tanto meno si cambiavano d’abito. I pantaloni sono lucidi per lo sporco, li ho dovuti guadare attentamente, perché sembravano di tela cerata e invece era solo lo strato di lercio che luccicava sulle gambe, fino alle ginocchia.
Gli indico un centro di ascolto, dove possono rifocillarsi, pulirsi e avere coperte e abiti. Ma non riesco a convincerli. «Siamo clandestini», mi dicono e la paura di essere cacciati è invincibile. Li rassicuro più volte che non sarebbe successo nulla, che si potevano fidare, ma è tutto tempo sprecato. Quando li avevo incrociati, stavano litigando e, appena avevo fatto per allontanarmi, avevano ripreso a brontolare. Così sono tornato sui miei passi e chiedo, con una certa sfacciataggine, il motivo del litigio.
Quello apparentemente più anziano, cercando forse un alleato, mi spiega di avercela con il compagno perché una signora, vedendoli così mal ridotti, si era impietosita e gli aveva regalato due litri di latte e due scatole di biscotti. Il fatto che lo aveva irritato è stato che secondo lui il suo amico non avrebbe dovuto accettare tutta quella quantità di cibo, per loro due bastavano un litro di latte e un pacco di biscotti.
«Ma è un regalo”, dico cercando di riportare la pace, “e in fondo un litro di latte e un pacco di biscotti non sono poi una così grande quantità di cibo». “E invece no” mi ha spiegato l’anziano. «A noi basta una razione e questo latte e questi biscotti potevano essere dati a qualcun altro che ha fame come noi». Ammirato per il suo altruismo, resto un istante in silenzio. Poi, mi viene un’idea. «Perché, dico, non date semplicemente quello che vi avanza a un altro che ha fame». Mi guardano compiaciuti e subito l’anziano porta un litro di latte e un pacco di biscotti a un altro clochard che poco più in là chiede l’elemosina.
“Abbiamo molto da ricevere dai poveri, che sono testimoni dell’essenziale”. Ha detto papa Francesco recentemente. Il numero crescente di persone emarginate e che vivono in grande precarietà ci interpella e domanda uno slancio di solidarietà per dare loro il sostegno materiale e spirituale di cui hanno bisogno…. E nello stesso tempo noi abbiamo molto da ricevere dai poveri che accostiamo e aiutiamo. Alle prese con le loro difficoltà sono spesso testimoni dell’essenziale, dei valori familiari; sono capaci di condividere con chi è più povero di loro e ne sanno gioire”.
Silvano Gianti
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