Luglio 2022

«Ma di una cosa sola c’è bisogno» (Lc 10,42).

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme dove ormai si sta per compiere la sua missione e si ferma in un villaggio presso la casa di Marta e Maria. L’evangelista Luca descrive così l’accoglienza riservata a Gesù da parte delle due sorelle: Marta, svolgendo il ruolo tradizionale di padrona di casa, «era distolta per i molti servizi» (1) dovuti dall’ospitalità, mentre Maria, «sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola» (v. 39). All’attenzione di Maria si oppone l’agitazione di Marta e, infatti, alle sue lamentele per essere stata lasciata da sola a servire, Gesù risponde: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (vv. 41-42). Questo brano si colloca tra la parabola del buon samaritano, forse la pagina più alta in merito alla carità verso il prossimo, e quella in cui Gesù insegna ai discepoli come pregare, sicuramente la pagina più alta nel rapporto con Dio-Padre, costituendo quasi l’ago della bilancia tra l’amore al fratello e l’amore a Dio.

«Ma di una cosa sola c’è bisogno».

Protagoniste di questo passo del vangelo sono due donne. Il dialogo che si svolge tra Gesù e Marta ne descrive il rapporto di amicizia che consente a quest’ultima di lamentarsi con il Maestro. Ma qual è il servizio che Gesù desidera? A Lui sta a cuore che Marta non si affanni, che esca dal ruolo tradizionale assegnato alle donne e che si ponga anch’essa all’ascolto della Sua Parola come Maria, che assume un ruolo nuovo, quello della discepola. Il messaggio di questo testo è stato spesso ridotto a una contrapposizione tra vita attiva e vita contemplativa, quasi come due approcci religiosi alternativi, ma sia Marta che Maria amano Gesù e vogliono servirlo. Nel Vangelo, infatti, non è detto che la preghiera e l’ascolto della Parola siano più importanti della carità, occorre piuttosto trovare come legare questi due amori in maniera indissolubile. Due amori, quello a Dio e quello al prossimo, che non si contrappongono, ma sono complementari perché l’Amore è uno.

«Ma di una cosa sola c’è bisogno».

Resta allora da capire bene cosa sia l’unica cosa necessaria. Per farlo può aiutarci l’inizio della frase: “Marta, Marta…” (v. 41). Nella ripetizione del nome, che può apparire quasi come annunciatrice di un rimprovero, in realtà si trova la modalità propria delle “chiamate-vocazioni”. Sembra quindi che Gesù chiami Marta a un modo nuovo di rapportarsi, a intessere un legame che non sia quello di un servitore ma di un amico che entri in un rapporto profondo con Lui. Scrive Chiara Lubich: «Gesù si è valso di questa circostanza per spiegare ciò che più è necessario nella vita dell’uomo. […] Ascoltare la Parola di Gesù. E per Luca, che scrive questo brano, ascoltare la parola significa anche viverla. […] È questo che devi fare anche tu: accogliere la parola, lasciare che essa compia in te una trasformazione. Non solo. Ma rimanerle fedele, tenendola in cuore perché plasmi la tua vita, come la terra tiene nel suo seno il seme perché germogli e porti frutto. Portar dunque frutti di vita nuova, effetti della parola» (2).

«Ma di una cosa sola c’è bisogno».

Chissà quante occasioni abbiamo anche noi di accogliere il Maestro nell’intimità della nostra casa, proprio come Marta e Maria, ai piedi del quale possiamo metterci in ascolto come veri discepoli. Spesso gli affanni, le malattie, gli impegni e anche le gioie e le soddisfazioni ci disperdono nel vortice delle cose da fare, non lasciandoci il tempo di fermarci per riconoscere il Signore, per ascoltarlo.

Questa Parola è un’occasione preziosa per esercitarci nello scegliere la parte migliore, ossia ascoltare la Sua parola per acquisire quella libertà interiore che ci può consentire di agire di conseguenza nella nostra vita quotidiana, azione che è frutto di una relazione d’amore che dà senso al servizio e all’ascolto.

Letizia Magri

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1 – Lc 10,40. Il verbo perispàomai ha un duplice valore: può significare sia “essere completamente occupato/essere fortemente sovraccaricato”, sia “essere distolto/distratto”.

2 – C. Lubich, Parola di Vita luglio 1980, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017), pp. 176-177.

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Nuova Parola di Vita adolescenti 2022




Giugno 2022

“Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene” (Sal 16[15],2).

La Parola di Vita di questo mese è tratta dal libro dei Salmi, che raccoglie le preghiere per eccellenza, ispirate da Dio al Re Davide e ad altri oranti, per insegnare come rivolgersi a Lui. Nei Salmi tutti possiamo ritrovarci: si toccano le più intime corde dell’anima, si esprimono i sentimenti umani più profondi e intensi: dal dubbio, al dolore, all’ira, all’angoscia, alla disperazione, alla speranza, alla lode, al ringraziamento, alla gioia. È per questo che possono essere pronunciati da ogni uomo e donna di tutti i tempi, culture e in ogni momento della vita.

“Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”.

Il Salmo 16 era il preferito da tanti autori spirituali. Per esempio, Santa Teresa d’Avila commentava: “Nulla manca a chi possiede Dio: Dio solo gli basta!”. Padre Antonios Fikri, teologo della Chiesa Ortodossa, notava: “Questo è il salmo della risurrezione, quindi la Chiesa lo prega nelle prime ore […], siccome Cristo è risorto all’alba. Questo salmo ci dà speranza nella nostra eredità eterna, quindi lo troviamo intitolato “dorato”, vuol dire che è una parola d’oro, una gemma della Sacra Scrittura”.

Proviamo a ripeterlo, pensando ad ogni parola.

“Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”.

Ci avvolge questa preghiera, sentiamo che la presenza attiva e amorosa di Dio comprende tutto di noi e del creato, percepiamo che Lui raccoglie il nostro passato, il nostro presente, il nostro futuro. In Lui troviamo la forza per affrontare con fiducia le sofferenze che incontriamo sul nostro cammino e la serenità per alzare lo sguardo, oltre le ombre della vita, alla speranza.

Come potremo vivere allora la Parola di Vita questo mese? Ecco l’esperienza di C.D. “Qualche tempo fa ho iniziato a star poco bene, quindi mi sono sottoposta ad una serie di visite mediche che richiedevano lunghi tempi di attesa. Finalmente, quando ho saputo qual era il mio male, il morbo di Parkinson…. è stato un colpo! avevo 58 anni, come era possibile? mi chiedevo: “perché?” sono un’insegnante di Scienze Motorie e Sportive, l’attività fisica è parte di me! Mi sembrava di perdere qualcosa di troppo importante. Ma ho ripensato alla scelta che avevo fatto quando ero giovane: “Sei tu, Gesù Abbandonato, l’unico mio bene”! Grazie ai farmaci ho iniziato subito a stare molto meglio, ma non so di preciso cosa mi succederà. Ho deciso di vivere l’attimo presente. Mi è venuto spontaneo, dopo la diagnosi, scrivere una canzone, cantare a Dio il mio SÌ: l’anima si riempie di pace!”.

La frase di questo salmo aveva anche avuto una particolare eco nell’anima di Chiara Lubich, che scriveva: «Queste semplici parole ci aiuteranno ad avere fiducia in Lui, ci alleneranno a convivere con l’Amore e così, sempre più uniti a Dio e pieni di Lui, porremo e riporremo le basi del nostro essere vero, fatto a Sua immagine» (1).

Eccoci, allora, in questo mese di giugno uniti ad innalzare a Dio questa “dichiarazione d’amore” a Lui e ad irradiare pace e serenità attorno a noi.

Letizia Magri
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C. Lubich, Parola di Vita luglio 2001, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma, 2017) p. 643.

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Nuova Parola di Vita adolescenti 2022




Maggio 2022

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).

Siamo nel momento dell’ultima cena. Gesù, a mensa coi suoi discepoli, ha appena lavato loro i piedi. Di lì a qualche ora verrà arrestato, condannato a morte, crocifisso. Quando il tempo si fa breve e si avvicina la meta, si dicono le cose più importanti: si lascia il “testamento”.

Il Vangelo di Giovanni, in questo contesto, non ha il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia. Al suo posto vi è la lavanda dei piedi. Ed è a questa luce che va compreso il comandamento nuovo. Gesù prima fa e poi insegna e per questo la sua parola ha autorevolezza.

Il comandamento di amare il prossimo era già presente nell’Antico Testamento: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lev 19:18). Gesù ne mette in luce un aspetto nuovo, la reciprocità: è l’amore vicendevole che crea e contraddistingue la comunità dei discepoli.

Esso ha la sua radice nella stessa vita divina, nella dinamica trinitaria che l’uomo è abilitato a condividere grazie al Figlio. Lo esemplifica Chiara Lubich, dandoci un’immagine che ci può illuminare: «Gesù, quando è venuto sulla terra non è partito dal nulla come è di ciascuno di noi, ma è partito dal Cielo. E, come un emigrante, quando va in un Paese lontano, s’adatta senz’altro al nuovo ambiente, ma vi porta i propri usi e costumi e continua spesso a parlare la propria lingua, così Gesù si è adattato qui sulla terra alla vita d’ogni uomo, ma vi ha portato – perché era Dio – il modo di vivere della Trinità che è amore, amore reciproco» (1).

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”.

Qui si entra nel cuore del messaggio di Gesù, che ci riporta alla freschezza delle prime comunità cristiane e che può ancora oggi essere il segno distintivo di tutti i nostri gruppi, associazioni. In un ambiente dove la reciprocità è una realtà viva, si sperimenta il senso della nostra esistenza, si trova la forza per andare avanti nei momenti di dolore e di sofferenza, si è sostenuti nelle inevitabili difficoltà, si assapora la gioia.

Sono tante le sfide con cui ogni giorno ci confrontiamo: la pandemia, la polarizzazione, la povertà, i conflitti: immaginiamo per un istante cosa succederebbe, se riuscissimo a mettere in pratica questa Parola nel quotidiano: ci troveremmo di fronte a nuove prospettive, si aprirebbe davanti ai nostri occhi il progetto dell’umanità, motivo di speranza. Ma chi ci impedisce di risvegliare in noi questa Vita? E ravvivare attorno a noi rapporti di fraternità che si estendano a coprire il mondo?

“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”.

Marta è una giovane volontaria che assiste i detenuti nel preparare gli esami universitari. “La prima volta che sono entrata in carcere, ho incontrato persone con paure e fragilità. Ho cercato di instaurare un rapporto prima professionale, poi d’amicizia, fondato sul rispetto e sull’ascolto. Presto ho capito che non ero solo io che aiutavo i carcerati, ma erano anche loro a sostenermi. Una volta, mentre aiutavo uno studente per un esame, io ho perso una persona della mia famiglia e lui ha avuto la conferma della condanna in corte d’appello. Eravamo entrambi in condizioni pessime. Durante le lezioni vedevo che lui covava dentro di sé un dolore grande, che è riuscito a confidarmi. Portare insieme il peso di quel dolore, ci ha aiutato ad andare avanti. A esame finito è venuto a ringraziarmi, dicendomi che senza di me non ce l’avrebbe fatta. Se da un lato era finita una vita nella mia famiglia, dall’altro sentivo di averne salvata un’altra. Ho capito che la reciprocità permette di creare relazioni vere, d’amicizia e di rispetto” (2).

Letizia Magri
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1 C. Lubich, Maria trasparenza di Dio, Città Nuova, Roma 2003, pp. 72-73.

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Nuova Parola di Vita adolescenti 2022




Aprile 2022

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15).

Il vangelo di Marco affida le ultime parole di Gesù Risorto ad un’unica sua apparizione agli apostoli. Essi sono a tavola, come spesso li abbiamo visti insieme a Gesù anche prima della sua passione e morte, ma questa volta la piccola comunità porta il segno del fallimento: sono rimasti in undici, invece dei dodici che Gesù aveva voluto con sé, e nell’ora della croce qualcuno dei presenti lo ha rinnegato, molti sono fuggiti.

In questo ultimo, decisivo incontro, il Risorto li rimprovera per il cuore chiuso alle parole di chi ne aveva testimoniato la resurrezione (1), ma allo stesso tempo conferma la sua scelta: nonostante le loro fragilità, consegna nuovamente proprio a loro l’annuncio del vangelo, di quella Buona Notizia che è Egli stesso, con la sua vita e le sue parole.

Dopo questo solenne discorso, il Risorto torna al Padre, ma allo stesso tempo “rimane” con i discepoli, confermando la loro parola con segni prodigiosi.

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”.

La comunità inviata da Gesù a continuare la sua stessa missione non è dunque un gruppo di perfetti, ma piuttosto di persone chiamate prima di tutto a “stare” con Lui (2), a sperimentare la sua presenza e il suo amore paziente e misericordioso. Poi, solo in forza di questa esperienza, sono inviate a “proclamare a ogni creatura” questa vicinanza di Dio.

E il successo della missione non dipende certo dalle capacità personali, ma dalla presenza del Risorto che affida se stesso ai suoi discepoli ed alla comunità dei credenti, nella quale il Vangelo cresce nella misura in cui è vissuto e annunciato (3).

Ciò che dunque possiamo fare noi come cristiani è gridare con la vita e con le parole l’amore di Dio, uscendo da noi stessi con coraggio e generosità, per offrire a tutti, con delicatezza e rispetto, i tesori del Risorto che aprono i cuori alla speranza.

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”.

Si tratta di testimoniare sempre Gesù e mai noi stessi; anzi, ci è chiesto di “rinnegare” noi stessi, di “diminuire” perché Lui cresca. Occorre fare spazio in noi alla forza del suo Spirito, che spinge verso la fraternità: «[…] Debbo seguire lo Spirito Santo che, ogniqualvolta incontro un fratello o una sorella, mi fa pronta a “farmi uno” con lui o con lei, a servirli alla perfezione; che mi dà la forza di amarli se in qualche modo nemici; che mi arricchisce il cuor di misericordia per saper perdonare e poter capire le loro necessità; che mi fa zelante nel comunicare, quando è l’ora, le cose più belle del mio animo […] Attraverso il mio amore è l’amore di Gesù che si rivela e si trasmette. […] Con e per quest’amore di Dio in cuore si può arrivare lontano, e partecipare a moltissime altre persone la propria scoperta […] finché l’altro, dolcemente ferito dall’amore di Dio in noi, vorrà “farsi uno” con noi, in un reciproco scambio di aiuti, di ideali, di progetti, di affetti. Solo allora potremo dare la parola, e sarà un dono, nella reciprocità dell’amore» (4).

“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”.

“Ad ogni creatura”: è una prospettiva che ci rende consapevoli della nostra appartenenza al grande mosaico del Creato e alla quale siamo oggi particolarmente sensibili. I giovani spesso sono punta avanzata in questo nuovo percorso dell’umanità; secondo lo stile del Vangelo, confermano con i fatti quello che annunciano con le parole.

Robert, dalla Nuova Zelanda, condivide la sua esperienza sul web (5): «Un’attività in corso sul nostro territorio sostiene il restauro del porto di Porirua nella parte meridionale della regione di Wellington, in Nuova Zelanda. Questa iniziativa ha coinvolto le autorità locali, la comunità cattolica Maori e la tribù locale. Il nostro obiettivo è quello di sostenere questa tribù nel desiderio di guidare il restauro del porto, assicurare che le acque scorrano pulite e permettere la raccolta di molluschi e la pesca abituale senza paura dell’inquinamento. Queste iniziative hanno avuto successo e hanno creato un vero spirito comunitario. La sfida è evitare che si tratti di un evento passeggero e di mantenere un programma a lungo termine che porti aiuto, sostegno e faccia davvero la differenza sul campo» .

Letizia Magri
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  1. Cf Mc 16, 9-13.
  2. Cf Mc 3, 14-15.
  3. Cf Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, n. 8.
  4. C. Lubich, Parola di Vita giugno 2003, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 691-692.
  5. Il testo integrale di questa e di altre esperienze è disponibile, in varie lingue, sul sito http://www.unitedworldproject.org/workshop.

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Nuova Parola di Vita adolescenti 2022

 




Marzo 2022

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12).

La parola di vita di questo mese è tratta dalla preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, il Padre Nostro. È una preghiera profondamente radicata nella tradizione ebraica. Anche gli ebrei chiamavano e chiamano Dio “Padre nostro”.

Ad una prima lettura, le parole di questa frase ci inchiodano: possiamo chiedere a Dio di cancellare i nostri debiti, come suggerisce il testo greco, nello stesso modo con cui noi stessi siamo capaci di farlo con chi ha una mancanza verso di noi? La nostra capacità di perdono è sempre limitata, superficiale, condizionata.

Se Dio ci trattasse secondo la nostra misura, sarebbe una vera e propria condanna!

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Sono invece parole importanti che esprimono prima di tutto la consapevolezza di essere bisognosi del perdono di Dio. Gesù stesso le ha consegnate ai discepoli, e dunque a tutti i battezzati, perché con esse possano rivolgersi al Padre con semplicità di cuore.

Tutto nasce dal nostro scoprirci figli nel Figlio, fratelli e imitatori di Gesù che per primo ha fatto della sua vita un cammino di adesione sempre più totale alla volontà amorosa del Padre.

È solo dopo aver accolto il dono di Dio, il suo amore senza misura, che possiamo chiedere tutto al Padre, anche di farci essere sempre più simili a Lui, persino nella capacità di perdonare i fratelli e le sorelle con cuore generoso, giorno dopo giorno.

Ogni atto di perdono è una scelta libera e consapevole, che va sempre rinnovata con umiltà. Non è mai un’abitudine, ma un percorso impegnativo, per il quale Gesù ci fa pregare quotidianamente, come per il pane.

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Quante volte le persone con cui viviamo: in famiglia, nel quartiere, sul posto di lavoro o di studio, possono averci fatto un torto e ci è difficile riprendere un rapporto positivo. Che fare? È qui che possiamo chiedere la grazia di imitare il Padre:

«[…] Alziamoci al mattino con una “amnistia” completa nel cuore, con quell’amore che tutto copre, che sa accogliere l’altro così com’è, con i suoi limiti, le sue difficoltà, proprio come farebbe una madre con il proprio figlio che sbaglia: lo scusa sempre, lo perdona sempre, spera sempre in lui… Avviciniamo ognuno vedendolo con occhi nuovi, come se non fosse mai incorso in quei difetti. Ricominciamo ogni volta, sapendo che Dio non solo perdona, ma dimentica: è questa la misura che richiede anche a noi» (1).

È una meta alta, verso cui possiamo camminare con l’aiuto della preghiera fiduciosa.

“Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Tutta la preghiera del Padre nostro ha poi la prospettiva del “noi”, della fraternità: chiedo non solo per me, ma anche per e con gli altri. La mia capacità di perdono è sostenuta dall’amore degli altri e, d’altro canto, il mio amore può in qualche modo sentire proprio l’errore del fratello: forse dipende anche da me, forse non ho fatto tutta la mia parte perché si sentisse accolto, compreso …

A Palermo, una città italiana, le comunità cristiane vivono un’intensa esperienza di dialogo, che richiede di superare alcune difficoltà. Biagio e Zina raccontano: «Un giorno un pastore amico ci ha invitati presso alcune famiglie della sua Chiesa, che non ci conoscevano. Noi avevamo portato qualcosa da condividere per il pranzo, ma quelle famiglie ci hanno fatto capire che questo incontro non era molto gradito. Con dolcezza, Zina ha fatto assaggiare loro alcune particolarità che aveva cucinato e alla fine abbiamo pranzato insieme. Dopo il pranzo, hanno cominciato a evidenziare i difetti che vedevano nella nostra Chiesa. Non volendo entrare in una guerra verbale, abbiamo detto: quale difetto o differenza fra le nostre Chiese può impedirci di volerci bene? Abituati a continue diatribe, sono rimasti meravigliati e disarmati da una risposta così ed abbiamo cominciato a parlare del Vangelo e di ciò che ci unisce, che è sicuramente molto di più di ciò che ci divide. Venuto il tempo di salutarci, non volevano più che andassimo via; a quel punto abbiamo proposto di pregare il Padre Nostro, durante il quale abbiamo avvertito forte la presenza di Dio. Ci hanno fatto promettere che saremmo ritornati perché intendevano farci conoscere tutto il resto della comunità e così è stato in tutti questi anni».

Letizia Magri
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1 C. Lubich, Parola di Vita dicembre 2004, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 739.

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Nuova Parola di Vita adolescenti 2022

 




Febbraio 2022

“Colui che viene a me, io non lo respingerò” (Gv 6,37).

Questa affermazione di Gesù fa parte di un dialogo con la folla che, dopo il miracolo dei pani moltiplicati in abbondanza, lo cerca e chiede ancora un segno per credere in lui.

Gesù rivela di essere egli stesso il segno dell’amore di Dio; anzi, egli è il Figlio che ha ricevuto dal Padre la missione di accogliere e riportare nella Sua casa ogni creatura, in particolare ogni persona umana, creata a Sua immagine. Sì, perché il Padre stesso ha già preso l’iniziativa e attira tutti verso Gesù (1), mettendo nel cuore di ognuno il desiderio della vita piena, cioè della comunione con Dio e con ogni proprio simile.

Gesù dunque non respingerà nessuno, per quanto lontano possa sentirsi da Dio, perché questa è la volontà del Padre: non perdere nessuno.

“Colui che viene a me, io non lo respingerò”.

È davvero una buona notizia: Dio ama tutti immensamente, la sua tenerezza e la sua misericordia si rivolgono ad ogni uomo ed ogni donna. Egli è il Padre paziente e misericordioso che aspetta chiunque si metta in cammino, spinto dalla voce interiore.

Noi siamo spesso malati di sospetto: perché mai Gesù dovrebbe accogliermi? Cosa vuole da me? In realtà Gesù ci chiede solo di lasciarci attirare da lui, liberando il cuore da tutto ciò che lo ingombra, per accogliere con fiducia il suo amore gratuito.

Ma è anche un invito che sollecita la nostra responsabilità. Infatti, se sperimentiamo tale abbondanza di tenerezza da parte di Gesù, ci sentiamo mossi a nostra volta all’accoglienza di lui in ogni prossimo (2): uomo o donna, giovane o anziano, sano o malato, della nostra cultura o no …. E non respingeremo nessuno.

“Colui che viene a me, io non lo respingerò”.

Nel Québec (Canada), una comunità cristiana che vive la Parola è impegnata ad accogliere tante famiglie che arrivano nel loro Paese, da tante parti del mondo: Francia, Egitto, Siria, Libano, Congo… Tutti vengono accolti ed aiutati, anche nella possibilità di inserimento. Questo significa rispondere alle loro molte domande, compilare i moduli relativi allo status di rifugiato o residente, coordinarsi con la scuola dei figli, accompagnarli a scoprire il loro quartiere. È importante anche l’iscrizione a corsi di francese e la ricerca di lavoro.

Guy e Micheline scrivono: «Una famiglia siriana giunta in Canada in fuga dalla guerra, ne ha incontrata un’altra, appena arrivata e ancora molto disorientata. Attraverso i social network, ha attivato la rete di solidarietà e tanti amici hanno procurato il necessario: letti, divani, tavoli, sedie, stoviglie, abbigliamento, libri e giochi per i bambini spontaneamente offerti da altri bambini delle nostre famiglie, sensibilizzati dai genitori. Hanno ricevuto più di quello di cui avevano bisogno e, a loro volta, hanno aiutato altre famiglie povere nel loro palazzo. La Parola di vita di quel mese era arrivata a proposito: “Amerai il prossimo tuo come te stesso!”».

“Colui che viene a me, io non lo respingerò”.

Ecco come possiamo trasformare in vita questa Parola di Dio: testimoniando la prossimità del Padre di fronte ad ogni prossimo, come singoli e come comunità.

Ci aiuta questa meditazione di Chiara Lubich, sull’amore di misericordia. Esso, scrive Chiara è «…[…] l’amore che fa allargare cuore e braccia ai miserabili, […], agli straziati dalla vita, ai peccatori pentiti. Un amore che sa accogliere il prossimo sviato, amico, fratello o sconosciuto, e lo perdona infinite volte. […] Un amore che non misura e non sarà misurato. E’ una carità fiorita più abbondante, più universale, più concreta di quella che l’anima possedeva prima. Essa, infatti, sente nascere in sé sentimenti somiglianti a quelli di Gesù, avverte affiorare sulle sue labbra, per quanti incontra, le divine parole: “Ho misericordia di questa turba” (cf. Mt 15,32). […] La misericordia è l’ultima espressione della carità, quella che la compie. E la carità supera il dolore, perché esso è soltanto di questa vita, mentre l’amore perdura anche nell’altra. Dio preferisce la misericordia al sacrificio”» (3).

Letizia Magri

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1 Cf. Gv 6,44.
2 Cf. Mt 25, 45.

3 C. Lubich, Quando si è conosciuto l’amore, in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 140-141.

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Nuova Parola di Vita Ragazzi 2022




Parola di vita ragazzi Gennaio 2022

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Gennaio 2022

“In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”(1).

Queste parole, riportate solamente dal vangelo di Matteo, vengono pronunciate da alcuni “sapienti”, giunti da lontano per una visita piuttosto misteriosa al bambino Gesù.

Sono un piccolo gruppo, che affronta un lungo cammino dietro ad una piccola luce, alla ricerca di una Luce più grande, universale: il Re già nato e presente nel mondo. Di essi non si sa altro, ma questo episodio è ricco di spunti per la riflessione e la vita cristiana.

Quest’anno, è stato scelto e proposto dai cristiani del Medio Oriente per celebrare la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (2). Un’occasione preziosa per rimetterci in cammino insieme, aperti all’accoglienza reciproca, ma soprattutto al disegno di Dio di essere testimoni del suo amore per ogni persona e popolo della terra.

“In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”.

Così scrivono i cristiani del Medio Oriente nel documento che accompagna le proposte per questa Settimana di preghiera: «[…] la stella apparsa nel cielo della Giudea costituisce un segno di speranza lungamente atteso, che conduce i Magi e in essi, in realtà, tutti i popoli della terra, nel luogo in cui si manifesta il vero Re e Salvatore. La stella è un dono, un segno della presenza amorevole di Dio per tutta l’umanità. […] I Magi ci rivelano l’unità di tutti i popoli voluta da Dio. Viaggiano da paesi lontani e rappresentano culture diverse, eppure sono tutti spinti dal desiderio di vedere e di conoscere il Re appena nato; essi si radunano insieme nella grotta di Betlemme, per onorarlo e offrire i loro doni. I cristiani sono chiamati ad essere un segno nel mondo dell’unità che Egli desidera per il mondo. Sebbene appartenenti a culture, razze e lingue diverse, i cristiani condividono una comune ricerca di Cristo e un comune desiderio di adorarlo. La missione dei cristiani, dunque, è quella di essere un segno, come la stella, per guidare l’umanità assetata di Dio e condurla a Cristo, e per essere strumento di Dio per realizzare l’unità di tutte le genti» (3). La stella che risplende per i Magi è per tutti, accesa prima di tutto nella profondità della coscienza che si lascia illuminare dall’amore. Tutti possiamo aguzzare lo sguardo per scorgerla, metterci in cammino per seguirla e raggiungere la meta dell’incontro con Dio e con i fratelli nella nostra vita quotidiana, per condividere con tutti le nostre ricchezze.

“In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”.

Onorare Dio è fondamentale per riconoscerci davanti a Lui così come siamo: piccoli, fragili, sempre bisognosi di perdono e misericordia, e per questo sinceramente disposti allo stesso atteggiamento verso gli altri. Questo onore, dovuto solo a Dio, si esprime pienamente nell’adorazione.

Possiamo farci aiutare da queste parole di Chiara Lubich: «[…] che cosa significa “adorare” Dio? E’ un atteggiamento che va diretto solo a Lui. Adorare significa dire a Dio: “Tu sei tutto”, cioè: “Sei quello che sei”; ed io ho il privilegio immenso della vita per riconoscerlo, […] significa anche […]: “Io sono nulla”. E non dirlo solo a parole. Per adorare Dio occorre annientare noi stessi e far trionfare Lui in noi e nel mondo. […] Ma la via più sicura per giungere alla proclamazione esistenziale del nulla di noi e del tutto di Dio è tutta positiva. Per annientare i nostri pensieri non abbiamo che da pensare a Dio ed avere i suoi pensieri che ci sono rivelati nel Vangelo. Per annientare la nostra volontà non abbiamo che da compiere la sua volontà che ci viene indicata nel momento presente. Per annientare i nostri affetti disordinati basta aver in cuore l’amore verso di Lui ed amare i nostri prossimi condividendone le ansie, le pene, i problemi, le gioie. Se siamo “amore” sempre, noi, senza che ce ne accorgiamo, siamo per noi stessi nulla. E perché viviamo il nostro nulla, affermiamo con la vita la superiorità di Dio, il suo essere tutto, aprendoci alla vera adorazione di Dio» (4).

“In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo”.

Possiamo fare nostre le conclusioni dei cristiani del Medio Oriente: «Dopo aver incontrato il Salvatore e averlo adorato insieme, i Magi, avvertiti in sogno, fanno ritorno nei loro paesi per un’altra strada. Allo stesso modo, la comunione che condividiamo nella preghiera comune deve ispirarci a fare ritorno alle nostre vite, alle nostre chiese e al mondo intero attraverso strade nuove. […] Porsi a servizio del Vangelo richiede oggi l’impegno a difendere la dignità umana, soprattutto dei più poveri, dei più deboli e degli emarginati. […] La strada nuova per le chiese è la via dell’unità visibile che perseguiamo con sacrificio, coraggio, audacia così che, giorno dopo giorno, “Dio regnerà effettivamente in tutti (1 Cor 15, 28)» (5).

Letizia Magri

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1 – La frase proposta è una combinazione dei testi Mt 2, 1 e Mt 2,2.
2 – La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste, periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa. È un invito anche a mantenere vivo l’impegno al dialogo ecumenico durante l’intero anno.
3 – Cf. http://www.christianunity.va/content/unitacristiani/it/news/2021/spuc-2022.html
4 – C. Lubich, Parola di Vita febbraio 2005, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 742-744. 5 – Ibidem.

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Dicembre 2021

«E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1, 45).

Anche questo mese la Parola di vita ci propone una beatitudine. È il saluto gioioso e ispirato di una donna, Elisabetta, ad un’altra donna, Maria, che è andata da lei per aiutarla. Sì, perché entrambe sono in attesa di un figlio ed entrambe, profondamente credenti, hanno accolto la Parola di Dio e ne hanno sperimentato la potenza generatrice nella propria piccolezza.

Maria è la prima beata del vangelo di Luca, colei che sperimenta la gioia dell’intimità con Dio. Con questa beatitudine, l’evangelista introduce la riflessione sul rapporto tra la Parola di Dio annunciata e la fede accogliente, tra l’iniziativa di Dio e l’adesione libera della persona.

«E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Maria è la vera credente nella “promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza per sempre” (1). È talmente vuota di sé, umile e aperta all’ascolto della Parola, che lo stesso Verbo di Dio può farsi carne nel suo seno ed entrare nella storia dell’umanità.

Nessuno potrà sperimentare la maternità verginale di Maria, ma tutti possiamo imitare la sua fiducia nell’amore di Dio. Se accolta con il cuore aperto, la Parola con le sue promesse può incarnarsi anche in noi e rendere feconda la nostra vita di cittadini, padri e madri, studenti, lavoratori e politici, giovani e anziani, sani e malati.

E se la nostra fede è incerta, come è stato per Zaccaria (2)? Continuiamo ad affidarci alla misericordia di Dio. Egli non smetterà di cercarci, finché anche noi riscopriremo la sua fedeltà e lo benediremo.

«E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Tra le stesse colline della Terra Santa, in tempi molto più vicini a noi, un’altra madre profondamente credente, insegnava ai suoi bambini l’arte del perdono e del dialogo imparata alla scuola del vangelo. Racconta Margaret: «A noi figli, offesi da alcune espressioni di rifiuto da parte di altri bambini, vicini di casa, la mamma disse: “Invitate questi bambini a casa nostra”; lei stessa diede loro del pane appena cotto in casa, perché lo portassero alle loro famiglie. Da allora abbiamo costruito rapporti di amicizia con quelle persone» (3). Un piccolo segno profetico, in una terra culla di civiltà e icona della sofferenza dell’umanità, alla ricerca della pace e della fratellanza.

Anche Chiara Lubich ci sostiene in questa fede coraggiosa: «Maria, dopo Gesù, è colei che meglio e più perfettamente ha saputo dire “sì” a Dio. È soprattutto questa la sua santità e la sua grandezza. E se Gesù è il Verbo, la Parola incarnata, Maria, per la sua fede nella Parola è la Parola vissuta, ma creatura come noi, uguale a noi. […] Credere dunque, con Maria, che si realizzeranno tutte le promesse contenute nella Parola di Gesù e affrontare, come Maria, se occorre, il rischio dell’assurdo che alle volte la sua Parola comporta. Grandi e piccole cose, ma sempre meravigliose, accadono a chi crede nella Parola. Si potrebbero riempire dei libri con i fatti che lo provano. […] Quando, nella vita di tutti i giorni, nella lettura delle Sacre Scritture ci incontreremo con la Parola di Dio, apriamo il nostro cuore all’ascolto, con la fede che ciò che Gesù ci chiede e promette si avvererà. Non tarderemo a scoprire […] che Egli mantiene le sue promesse» (4).

«E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

In questo tempo di preparazione al Natale, ricordiamo la sorprendente promessa di Gesù di rendersi presente tra quanti accolgono e vivono il comandamento dell’amore reciproco: “Dove due o tre sono uniti nel mio nome – cioè appunto nell’amore evangelico – io sono in mezzo a loro”5. Fiduciosi in questa promessa, facciamo rinascere Gesù ancora oggi, nelle nostre case e nelle nostre strade, attraverso l’accoglienza reciproca, l’ascolto profondo dell’altro, l’abbraccio fraterno, come quello tra Maria ed Elisabetta.

Letizia Magri

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1 Cf. Lc 1, 55.
2 Cf. Lc 1, 5-22; 67-79.
3 Cf. Intervista a M. Karram, a cura di A. Nicosia, Cittanuovatv, 5 febbraio 2021.
4 C. Lubich, Parola di Vita agosto 1999, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 611-612.
5 Cf. Mt 18,20.

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Novembre 2021

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9).
Il vangelo di Matteo è stato scritto da un cristiano proveniente dall’ambiente giudaico del tempo; per questo contiene tante espressioni tipiche di quella tradizione culturale e religiosa.

Nel capitolo 5, Gesù è presentato come il nuovo Mosè, che sale sul monte per annunciare l’essenza della Legge di Dio: il comandamento dell’amore. Per dare solennità a questo insegnamento, il vangelo ci dice che egli è seduto, come un maestro.

Non solo: Gesù è anche il primo testimone di ciò che annuncia. Questo risalta con grande evidenza quando proclama le Beatitudini, programma di tutta la sua vita. In esse si rivela la radicalità dell’amore cristiano, con i suoi frutti di benedizione e pienezza di gioia. Beatitudine, appunto.

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

Nella Bibbia, la pace, Shalom in ebraico, indica la condizione di armonia della persona con se stessa, con Dio e con ciò che la circonda; ancora oggi, si fa saluto tra persone, come augurio di vita piena. La pace è prima di tutto dono di Dio, ma è anche affidata alla nostra adesione.

Fra tutte le beatitudini, questa risuona infatti come la più attiva, che ci invita ad uscire dall’indifferenza per farci costruttori di concordia a partire da noi stessi e intorno a noi, mettendo in moto intelligenza, cuore e braccia. Chiede l’impegno a prendersi cura degli altri, a sanare ferite e traumi personali e sociali provocati dall’egoismo che divide, a promuovere ogni sforzo in questa direzione.

Come Gesù, il Figlio di Dio, che ha compiuto la sua missione quando ha dato la vita sulla croce per riunire gli uomini al Padre e riportare la fraternità sulla terra. Per questo, chiunque sia costruttore di pace assomiglia a Gesù ed è riconosciuto, come Lui, figlio di Dio.

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

Sulle orme di Gesù, anche noi possiamo trasformare ogni giornata in una “giornata della pace”, ponendo fine alle piccole o grandi guerre che quotidianamente si combattono intorno a noi. Per realizzare questo sogno è importante costruire reti di amicizia e solidarietà, porgere la mano per dare aiuto, ma anche per accettarlo.

Come raccontano Denise e Alessandro: «Quando ci siamo conosciuti, stavamo bene insieme. Ci siamo sposati e l’inizio è stato molto bello, anche per la nascita dei figli. Con il passare del tempo sono cominciati gli alti e bassi; non c’era più alcuna forma di dialogo tra noi, ma ogni cosa era oggetto continuo di discussioni. Abbiamo deciso di rimanere insieme, ma continuavamo a ricadere negli stessi errori, rancori e contrasti. Un giorno, una coppia di amici ci ha proposto di partecipare ad un percorso di sostegno per coppie in difficoltà (1). Abbiamo trovato non solo persone competenti e preparate, ma una “famiglia di famiglie”, con cui abbiamo condiviso i nostri problemi: non eravamo più soli! Una luce si è riaccesa, ma è stato solo il primo passo: una volta a casa non è stato facile e ogni tanto cadiamo ancora. Quello che ci aiuta è prenderci cura l’uno dell’altro, con l’impegno a ricominciare e rimanere in contatto con questi nuovi amici, per andare avanti insieme».

“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

La pace, quella di Gesù, come dice Chiara Lubich «esige da noi cuore e occhi nuovi per amare e vedere in tutti altrettanti candidati alla fratellanza universale». E aggiunge: «Ci possiamo chiedere: “Anche nei condòmini litigiosi? Anche nei colleghi di lavoro che intralciano la mia carriera? Anche in chi milita in un altro partito o in una squadra di calcio antagonista? Anche nelle persone di religione o di nazionalità diverse dalla mia?” Sì, ognuno mi è fratello e sorella. La pace inizia proprio qui, dal rapporto che so instaurare con ogni mio prossimo. “Il male nasce dal cuore dell’uomo”, scriveva Igino Giordani, e “per rimuovere il pericolo della guerra occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egoismo dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza” (2). Il mondo cambia se cambiamo noi, […] soprattutto, mettendo in rilievo ciò che ci unisce, potremo contribuire alla creazione di una mentalità di pace e lavorare insieme per il bene dell’umanità. […] E’ l’amore che, alla fine, vince perché è più forte di ogni cosa. Proviamo a vivere così in questo mese, per essere lievito di una nuova cultura di pace e giustizia. Vedremo rinascere in noi e attorno a noi una nuova umanità» (3).

Letizia Magri

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1 – cfr. 10 anni di “Percorsi di luce” in https://www.focolare.org/famiglienuove.
2  – I. Giordani, L’inutilità della guerra, Roma 2003, p. 111.

3  – C. Lubich, Parola di Vita gennaio 2004, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 709-712.

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Ottobre 2021

“Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio” (Rom 8,28).

La Parola che ci proponiamo di vivere questo mese è tratta dalla lettera dell’apostolo Paolo ai Romani. È un testo lungo e ricco di riflessioni ed insegnamenti, scritto prima di recarsi a Roma, per preparare la visita a quella comunità, che Paolo non conosceva ancora di persona.

Il capitolo 8 sottolinea in modo particolare la vita nuova secondo lo Spirito e la promessa della vita eterna che attende i singoli, i popoli e l’intero universo.

“Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio”.

Ogni parola di questa frase è densa di significato.

Paolo proclama che, anzitutto come cristiani, abbiamo conosciuto l’amore di Dio e siamo consapevoli che ogni esperienza umana fa parte del grande disegno di salvezza di Dio.

Tutto – dice Paolo – concorre alla realizzazione di questo progetto: le sofferenze, le persecuzioni, i fallimenti e le debolezze personali, ma soprattutto l’azione dello Spirito di Dio nel cuore delle persone che lo accolgono.

Lo Spirito ancora raccoglie e fa suoi i gemiti dell’umanità e della creazione (1) ed è questa la garanzia che il progetto di Dio si realizzerà.

Da parte nostra occorre rispondere attivamente a questo amore con il nostro amore, affidandoci al Padre in ogni necessità e testimoniando la speranza nei cieli nuovi e terra nuova (2) che Egli prepara per coloro che hanno fiducia in Lui.

“Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio”.

Come accogliere dunque nella nostra vita personale, quotidiana, questa proposta forte?

Chiara Lubich ci suggerisce: «Dobbiamo anzitutto non fermarci mai all’aspetto puramente esteriore, materiale, profano delle cose, ma credere che ogni fatto è un messaggio con il quale Dio ci esprime il suo amore. Vedremo allora come la vita, che può apparire a noi simile ad un tessuto di cui non vediamo che nodi e fili confusamente intrecciati tra di loro, è in realtà un’altra: è il disegno meraviglioso che l’amore di Dio va tessendo sulla base della nostra fede. In secondo luogo, dobbiamo abbandonarci fiduciosamente e totalmente a questo amore in ogni momento, sia nelle piccole cose come nelle grandi. Anzi, se sapremo affidarci all’amore di Dio nelle circostanze comuni, egli ci darà la forza di affidarci a Lui anche nei momenti più difficili, quali possono essere una grande prova, una malattia o il momento stesso della morte. Proviamo allora a vivere così, non certo in maniera interessata, e cioè perché Dio ci manifesti i suoi piani ed avere così consolazione da Lui, ma solo per amore e vedremo come questo abbandono fiducioso è sorgente di luce e di pace infinita per noi e per molti altri» (3).

Affidarci a Dio nelle scelte difficili, come quella raccontata da O. L. del Guatemala: «Lavoravo come cuoca in una casa di riposo. Passando dal corridoio, sento una vecchietta chiedere dell’acqua. Rischiando di contrastare le norme che a me vietano di uscire dalla cucina, le porgo un bicchiere d’acqua con affetto. Gli occhi dell’anziana si illuminano. A metà bicchiere, mi stringe la mano: “Resta con me dieci minuti!”. Le spiego che non dovrei, che rischio il licenziamento. Ma quello sguardo… Rimango. Mi chiede di pregare insieme: “Padre nostro…”. E alla fine: “Canta qualcosa per favore”. Mi viene in mente: “Non prenderemo niente con noi, solo l’amore…”. Gli altri residenti ci fissano. La donna è felice e mi dice: “Dio ti benedica, figlia mia”; poco dopo si spegne. In ogni modo, sono stata licenziata per essere uscita dalla cucina. La mia famiglia lontana ha bisogno del mio sostegno, ma io sono in pace e felice: ho risposto a Dio e quella donna non ha fatto da sola il passo più importante della vita».

Letizia Magri

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1 Cf. Rom 8, 22-27.
2 Cf. Ap 21,1.
3 C. Lubich, Parola di Vita agosto 1984, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 299.

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Settembre 2021

“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9,35).

In cammino con Gesù verso Cafarnao, i discepoli discutono animatamente tra loro. Quando però Gesù chiede l’argomento di questa discussione, non hanno il coraggio di rispondere, forse perché si vergognano un po’: cercavano infatti di stabilire chi tra loro fosse il più grande.

Gesù aveva parlato più volte del suo misterioso appuntamento con sofferenza, ma per Pietro e gli altri era un discorso troppo difficile da capire e da accettare. In realtà, solo dopo l’esperienza della morte e risurrezione di Gesù, scopriranno chi veramente Egli è: il Figlio di Dio che dà la vita per amore.

Per questo, per aiutarli ad essere davvero suoi discepoli, Gesù si siede, li chiama vicino a sé e rivela la vera natura del “primato evangelico”:

“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.

Nonostante le fragilità e le paure dei discepoli, Gesù ha fiducia in loro e li chiama a seguirlo, per condividere la sua missione: servire tutti. Torna alla mente l’esortazione dell’apostolo Paolo ai cristiani di Filippi: «Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù» (1). Servire, non tanto come uno schiavo, che è costretto al suo lavoro, ma come una persona libera che offre generosamente le sue capacità e le sue forze, che si dà da fare a favore non di un gruppo, di una parte, ma di tutti quelli che hanno bisogno del suo aiuto, senza eccezioni e senza pregiudizi.

È una chiamata anche per noi, oggi, ad avere mente e cuori aperti per riconoscere e prenderci cura delle necessità degli altri, ad essere attivi nel costruire relazioni autenticamente umane, a mettere a frutto i nostri talenti per il bene comune, ricominciando ogni giorno, nonostante i nostri fallimenti. È l’invito a metterci all’ultimo posto per spingere tutti verso l’unico futuro possibile: la fraternità universale.

“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.

Chiara Lubich, commentando questa Parola di Gesù, ha suggerito come farla diventare vita concreta: «Scegliendo con Gesù l’ultimo posto nelle innumerevoli occasioni che ci vengono offerte dalla vita di ogni giorno. Ci è stato affidato un incarico di un certo rilievo? Non sentiamoci “qualcuno”, non lasciamo spazio alla superbia ed all’orgoglio. Ricordiamo che la cosa più importante è amare il prossimo. Approfittiamo della nuova situazione per servire meglio il prossimo, senza dimenticare di curare quelle che sembrano le piccole cose, i rapporti personali, gli umili doveri quotidiani, l’aiuto ai genitori, la pace e l’armonia nella famiglia, l’educazione dei bambini… Sì, comunque vadano le cose, ricordiamo che cristianesimo significa amare ed amare di preferenza gli ultimi. Se vivremo così, la nostra vita sarà un continuo edificare il Regno di Dio sulla terra ed a questo sforzo Gesù ha promesso tutto il resto in soprappiù: salute, beni, abbondanza d’ogni cosa… da distribuire ad altri e divenire così le braccia della Provvidenza di Dio per tanti» (2).

“Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.

La protezione della casa comune è un servizio al bene comune particolarmente attuale, che possiamo condividere con tante persone nel mondo, ed è da anni un tema forte per la comune testimonianza cristiana. Ricordiamo in particolare che, per un numero sempre crescente di chiese, anche quest’anno il mese di settembre si apre con la celebrazione della Giornata del creato, che si prolunga fino al 4 ottobre, con il Tempo del creato.

La comunità di Taizè, in una di queste occasioni, ha proposto questa preghiera: “Dio d’amore, mentre restiamo alla tua presenza, rendici capaci di cogliere l’infinita bellezza di ciò che hai creato, di tutto ciò che viene da te, della tua inesauribile compassione. Aumenta la nostra attenzione per gli altri e per tutta la creazione. Insegnaci a scoprire il valore di tutto e rendici portatori di pace nella famiglia umana” (3).

Letizia Magri

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1 Fil 2, 3-5.
2 C. Lubich, Parola di Vita settembre 1985, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 334.
3 Cf. https://www.taize.fr/it_article24642.html

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Agosto 2021

 

“Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,4).

Chi è il più grande, il più potente, il vincente nella società, nella Chiesa, nella politica, sul mercato?

Questa domanda attraversa le relazioni, orienta le scelte, determina le strategie. È la logica dominante, a cui ricorriamo anche inavvertitamente, magari nel desiderio di assicurare risultati positivi ed efficienti a chi è intorno a noi.

Qui il Vangelo di Matteo ci presenta i discepoli di Gesù che, dopo aver accolto l’annuncio del regno dei cieli, vogliono conoscere i requisiti per essere protagonisti nel nuovo popolo di Dio: «Chi è il più grande?».

Per tutta risposta Gesù fa uno dei suoi imprevedibili gesti: pone un bambino al centro della piccola folla. E accompagna questo gesto con parole inequivocabili:

“Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”.

Alla mentalità competitiva e autosufficiente, Gesù contrappone l’elemento più debole della società, quello che non ha ruoli da vantare e difendere; colui che è in tutto dipendente e si affida spontaneamente all’aiuto di altri. Non si tratta però di accettare un ruolo passivo, di rinunciare ad essere propositivi e responsabili, ma piuttosto di compiere un atto di volontà e di libertà. Gesù, infatti, richiede di farci piccoli, richiede intenzione ed impegno ad operare una decisa inversione di rotta.

“Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”.

Ecco come Chiara Lubich ha approfondito le caratteristiche del bambino evangelico: «[…] il bambino si abbandona fiducioso al padre e alla madre: crede al loro amore. […] Il cristiano autentico, come il bambino, crede all’amore di Dio, si getta in braccio al Padre celeste, pone in lui una fiducia illimitata. […] I bambini dipendono in tutto dai genitori, […]. Anche noi, “bambini evangelici”, dipendiamo in tutto dal Padre: […] sa ciò di cui abbiamo bisogno, prima ancora che glielo chiediamo, e ce lo dona. Lo stesso regno di Dio non lo si conquista, lo si accoglie in dono dalle mani del Padre».

Chiara sottolinea ancora come il bambino si affida totalmente al padre e impara tutto da lui. Allo stesso modo: «Il “bambino evangelico” mette tutto nella misericordia di Dio e, dimentico del passato, inizia ogni giorno una vita nuova, disponibile ai suggerimenti dello Spirito, sempre creativo. Il bambino non sa imparare a parlare da solo, ha bisogno di chi gli insegni. Il discepolo di Gesù […] impara tutto dalla Parola di Dio fino a parlare e a vivere secondo il Vangelo».

Il bambino è portato ad imitare il proprio padre. «Così il “bambino evangelico” […] ama tutti perché il Padre “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”; ama per primo perché lui ci ha amato quando eravamo ancora peccatori; ama gratuitamente, senza interesse perché così fa il Padre celeste» (1).

“Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli”.

In Colombia, Vicente e la sua famiglia hanno attraversato la prova della pandemia, in un regime di quarantena molto stretta. Così scrive: «Quando è iniziato il coprifuoco, la vita quotidiana è cambiata di colpo. Mia moglie e i due figli più grandi dovevano preparare alcuni esami universitari; il più piccolo non riusciva ad abituarsi allo studio virtuale. Nessuno in casa aveva tempo per prendersi cura dell’altro. Guardando a questo caos sul punto di esplodere, ho capito che era un’opportunità per incarnare l’arte di amare nella nostra “nuova vita” del Vangelo vissuto. Mi sono messo a riordinare la cucina, preparare il cibo e organizzare i pasti. Non sono un cuoco esperto, né preciso nelle pulizie, ma ho capito che questo avrebbe aiutato a ridurre l’ansia quotidiana. Quello che era iniziato come un atto d’amore per un giorno, si è moltiplicato per vari mesi. Portati a termine i loro impegni, anche gli altri membri della famiglia si sono occupati delle pulizie, del riordino dei panni o della casa. Insieme abbiamo constatato che le parole del Vangelo sono vere e che l’amore creativo suggerisce come mettere tutto il resto in ordine».

Letizia Magri

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1 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2003, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma, 2017) pp. 700-703.

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Luglio 2021

“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata” (Mt 9,22).

Gesù è in cammino, circondato dalla folla: un padre disperato lo ha pregato perché vada a soccorrere la sua bambina che sta morendo. Mentre è in strada, avviene un altro incontro: tra la gente si fa largo una donna che soffre di perdite di sangue da tanti anni; una condizione fisica dalle conseguenze gravi, anche perché la costringe a limitare i rapporti familiari e sociali. La donna non chiama Gesù, non parla, ma gli si avvicina alle spalle e osa toccare la frangia del suo abito. Ha un’idea molto chiara: “Se solo toccherò il suo mantello, sarò guarita da questa sofferenza che mi tormenta”.

Ed ecco, Gesù si volta, la guarda e la rassicura: la sua fede le ha ottenuto la salvezza. Non solo la salute fisica, ma l’incontro con l’amore di Dio, attraverso lo sguardo di Gesù.

“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata”.

Questo episodio del Vangelo di Matteo apre anche a noi una prospettiva inaspettata: Dio è sempre in cammino verso di noi, ma attende anche la nostra iniziativa per non perdere l’appuntamento con Lui; il nostro percorso di fede, benché accidentato e segnato da errori, fragilità e delusioni, ha un grande valore. Egli è il Signore della vera Vita, che vuole riversare su tutti noi, suoi figli e figlie, ricchi ai suoi occhi di una dignità che nessuna circostanza può sopprimere. Per questo, oggi Gesù dice anche a noi:

“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata”.

Per vivere questa Parola, può aiutarci quanto Chiara Lubich ha scritto, meditando proprio questo passo evangelico: «Nella fede, l’uomo mostra chiaramente di non contare su se stesso ma di affidarsi a Chi è più forte di lui. […] Gesù chiama la donna guarita: “figlia”, per manifestarle quello che veramente desidera darle: non solo un dono per il suo corpo, ma la vita divina che la può rinnovare interamente. Gesù, infatti, opera i miracoli perché venga accolta la salvezza che egli porta, il perdono, quel dono del Padre che è egli stesso e che comunicandosi all’uomo lo trasforma. […] Come vivere, allora, questa Parola? Manifestando a Dio nelle gravi necessità tutta la nostra fiducia. Questo atteggiamento non ci scarica certo delle nostre responsabilità, non ci dispensa dal far tutta la nostra parte. […] ma la nostra fede può essere messa alla prova. Lo vediamo proprio in questa donna sofferente, che sa superare l’ostacolo della folla che si frappone tra lei e il Maestro. […] Dobbiamo avere fede, dunque, ma quella fede che non dubita di fronte alla prova. E, ancora, dobbiamo mostrare a Gesù che abbiamo compreso l’immenso dono che egli ci ha portato, il dono della vita divina. Ed essergli grati. E corrispondervi» (1).

“Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata”.

Questa certezza ci permette anche di portare salvezza, “toccando” con tenerezza chi è a sua volta nella sofferenza, nel bisogno, nel buio, nello smarrimento.

Così è stato per una mamma del Venezuela, che ha trovato il coraggio di perdonare: «Alla disperata ricerca di aiuto, ho partecipato a un incontro sul Vangelo, dove ho sentito commentare le frasi di Gesù: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”(2), “Amate i vostri nemici”(3). Come potevo, io, perdonare chi aveva ucciso mio figlio? Ma intanto un seme era entrato in me e finalmente ha prevalso la decisione di perdonare. Ora posso dirmi davvero “figlia di Dio”. Di recente sono stata chiamata a un confronto con l’uccisore di mio figlio, che era stato catturato. È stata dura, ma è intervenuta la grazia. Nel mio cuore non c’era odio né rancore, ma solo una grande pietà e l’intenzione di affidarlo alla misericordia di Dio».

Letizia Magri

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1 C. Lubich, Parola di Vita luglio 1997, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma, 2017) pp. 583-585.
2 Cf. Mt 5,9.
3 Cf. Lc 6,35.

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Giugno 2021

“Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).

Questa frase del vangelo di Matteo fa parte della conclusione del grande Discorso della montagna, in cui Gesù, dopo aver proclamato le Beatitudini, invita i suoi ascoltatori a riconoscere la vicinanza amorevole di Dio e indica come agire di conseguenza: scoprire nella volontà del Padre la direttissima per raggiungere la piena comunione con Lui, nel suo Regno.

“Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.

Ma cosa è la volontà di Dio? Come possiamo conoscerla?

Così Chiara Lubich ha condiviso la sua scoperta: «[…] La volontà di Dio è la voce di Dio che continuamente ci parla e ci invita; è un filo o, meglio, una trama d’oro divina che tesse tutta la nostra vita terrena e oltre; è il modo di Dio di esprimerci il suo amore, amore che chiede una risposta perché egli possa compiere nella nostra vita le sue meraviglie. La volontà di Dio è il nostro dover essere, il nostro vero essere, la nostra piena realizzazione. […] Ripetiamo allora ogni attimo di fronte ad ogni volontà di Dio dolorosa, gioiosa, indifferente: “Sia fatta”. […] scopriremo che queste due semplici parole saranno una spinta potente, come una pedana di lancio, per fare con amore, con perfezione, con totale dedizione ciò che dobbiamo fare. […] E comporremo attimo dopo attimo il meraviglioso, unico e irripetibile mosaico della nostra vita che il Signore da sempre ha pensato per ciascuno di noi: egli, Dio, a cui s’addicono solamente cose belle, grandi, immense, nelle quali anche ogni più piccola parte, come un atto d’amore, ha senso e splende, così come i fiori minuscoli e variopinti hanno il loro perché nella sconfinata bellezza della natura» (1).

“Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.

Secondo il vangelo di Matteo, la Legge per eccellenza del cristiano consiste nella misericordia, che porta a pienezza ogni espressione di culto e di amore per il Signore. Questa Parola ci aiuta ad aprire il nostro rapporto con Dio, certamente personale e intimo, alla dimensione fraterna, attraverso gesti concreti. Ci spinge ad “uscire” da noi stessi per portare riconciliazione e speranza agli altri.

Un gruppo di ragazzi di Heidelberg (Germania) offre questa testimonianza: «Come far sperimentare anche ai nostri amici che la chiave per la felicità si trova nel donarsi agli altri? È da qui che siamo partiti per lanciare la nostra nuova azione intitolata: ‘Un’ora di felicità’. L’idea è molto semplice: si tratta di far felice un’altra persona, almeno per un’ora al mese. Abbiamo iniziato con chi ci sembrava avesse più bisogno di amore e, dovunque abbiamo offerto la nostra disponibilità, ci siamo visti spalancare le porte! E così, eccoci in un parco per portare a spasso alcuni anziani su sedie a rotelle, in ospedale, dove abbiamo giocato con i bambini ricoverati o fatto sport con portatori di handicap. Loro erano felicissimi, ma come promette l’azione: noi lo eravamo ancora di più! Ed i nostri amici invitati a partecipare? Dapprima incuriositi, ora che hanno provato a dare felicità, sono d’accordo con noi: la felicità sì dona e, detto fatto, si sperimenta!”».

Letizia Magri

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1 C. Lubich, Collegamento telefonico, 27 febbraio 1992, in eadem, Conversazioni in collegamento telefonico, a cura di M. Vandeleene (Opere di Chiara Lubich 8/1; Città Nuova, Roma 2019) pp. 446-448.

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Maggio 2021

“Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16).

“Dio è amore”: è la definizione più luminosa di Dio nella Scrittura che compare solamente due volte e proprio in questo testo, una lettera o forse un’esortazione, che riecheggia il quarto Vangelo. L’autore infatti è un discepolo che testimonia la tradizione spirituale dell’apostolo Giovanni. Egli scrive ad una comunità cristiana del primo secolo, che purtroppo stava già affrontando una delle prove più dolorose, cioè la discordia, la divisione sia sul piano della fede che della testimonianza.

Dio è amore: Egli vive in se stesso la pienezza della comunione come Trinità e trabocca questo amore sulle sue creature. A quanti lo accolgono dà il potere di diventare suoi figli (1), con il suo stesso DNA, capaci di amare. E il suo è un amore gratuito, che libera da ogni paura e timidezza (2).

Perché poi si realizzi la promessa della reciproca comunione: noi in Dio e Dio in noi, occorre però “rimanere” in questo stesso amore attivo, dinamico, creativo. Per questo i discepoli di Gesù sono chiamati ad amarsi gli uni gli altri, a dare la vita, a condividere i propri beni con chiunque sia nel bisogno. Con questo amore la comunità rimane unita, profetica, fedele.

“Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”.

È un annuncio forte e chiaro anche per noi, oggi, che ci sentiamo a volte travolti da eventi imprevedibili e difficilmente controllabili, come la pandemia o altre tragedie personali o collettive. Ci sentiamo smarriti e spaventati e forte è la tentazione di chiuderci in noi stessi, di innalzare muri per proteggerci da chi sembra minacciare le nostre sicurezze, piuttosto che costruire ponti per incontrarci.

Come è possibile continuare a credere nell’amore di Dio in queste circostanze? È possibile continuare ad amare?

Josiane, libanese, era lontana dal suo Paese quando ha saputo della terribile esplosione al porto di Beirut, nell’agosto 2020. Confida a chi come lei vive la Parola di vita: «In cuore ho provato dolore, collera, angoscia, tristezza, smarrimento. È fortissima la domanda: non basta tutto quello che il Libano ha vissuto finora? Pensavo a quel quartiere raso al suolo, dove sono nata ed ho vissuto; dove parenti e amici ora sono morti, feriti o sfollati; dove palazzi, scuole, ospedali che conosco molto bene, sono ormai distrutti. Ho cercato di stare vicina alla mamma e ai fratelli, di rispondere ai moltissimi messaggi di tante altre persone che dimostravano vicinanza, affetto, preghiera, ascoltando tutti in questa ferita profonda che si era aperta. Volevo credere e CREDO che questi incontri con chi soffre sono un richiamo a rispondere con l’amore che Dio ha messo nel nostro cuore. Oltre le lacrime ho scoperto una luce nei tanti libanesi, spesso giovani, che si sono rialzati, si sono guardati attorno e hanno portato soccorso a chi era nel bisogno. È nata in me la speranza che ci siano giovani disposti ad impegnarsi seriamente anche nella politica, perché convinti che la soluzione sia la via del dialogo vero, della concordia, dello scoprirsi – perché lo siamo – fratelli».

“Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”.

Un prezioso suggerimento per vivere questa Parola del Vangelo ce lo offre Chiara Lubich: «Non si può più separare la croce dalla gloria, non si può separare il Crocifisso dal Risorto. Sono due aspetti dello stesso mistero di Dio che è Amore (3). […] Una volta fatta l’offerta, cerchiamo di non pensarci più, ma di compiere quanto Dio vuole da noi, là dove siamo: […] cerchiamo di amare gli altri, i prossimi che ci stanno attorno. Se così faremo, potremo sperimentare un effetto insolito e insperato: la nostra anima è pervasa di pace, di amore, anche di gioia pura, di luce. […]. E, ricchi di questa esperienza, potremo aiutare più efficacemente tutti i fratelli nostri a trovar beatitudine fra le lacrime, a trasformare in serenità ciò che li travaglia. Diventeremo così strumenti di gioia per molti, di felicità, di quella felicità a cui ambisce ogni cuore umano» (4).

Letizia Magri

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1 Cf.Gv1,12;1Gv3,1.
2 Cf. 1 Gv 4,18.

3 Cf. 1 Gv 4,10.
4 C. Lubich, Parola di Vita gennaio 1984, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 279-281.

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Aprile 2021

“Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore” (Gv 10,11).

Le immagini della cultura biblica, scandita dai tempi lenti della vita nomade e pastorale, sembrano lontane dalle nostre esigenze quotidiane di efficienza e competitività. Eppure anche noi sentiamo a volte il bisogno di una pausa, di un luogo dove riposare, di un incontro con qualcuno che ci accolga così come siamo.

Gesù si presenta come colui che più di chiunque altro è pronto ad accoglierci, ad offrirci ristoro, anzi a dare la vita per ognuno di noi.

Nel lungo brano del vangelo di Giovanni da cui è tratta questa Parola di vita, Egli ci assicura di essere la presenza di Dio nella storia di ogni persona, come promesso ad Israele per bocca dei profeti (1).

Gesù è il pastore, la guida che conosce ed ama le sue pecore, cioè il suo popolo affaticato e a volte smarrito. Non è un estraneo che ignora le necessità del gregge, né un ladro, che viene per rubare, o un brigante che uccide e disperde e neanche un mercenario, che agisce solo per interesse.

“Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”.

Il gregge che Gesù sente suo sono certamente i suoi discepoli, tutti coloro che hanno già ricevuto il dono del battesimo, ma non solo. Egli conosce ogni creatura umana, la chiama per nome e di ognuno si prende cura con tenerezza.

Egli è il vero pastore, che non solo ci guida verso la vita, non solo viene a cercarci ogni volta che ci smarriamo (2), ma ha già dato la vita per compiere la volontà del Padre, che è la pienezza della comunione personale con Lui e la riconquista della fraternità tra noi, ferita mortalmente dal peccato.

Ognuno di noi può cercare di riconoscere la voce di Dio; sentire la sua parola rivolta proprio a sè e seguirla con fiducia. Soprattutto, possiamo avere la certezza di essere amati, compresi e perdonati incondizionatamente da chi ci assicura:

“Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore”.

Quando sperimentiamo, almeno un po’, questa presenza silenziosa ma potente nella nostra vita, si accende nel cuore il desiderio di condividerla, di far crescere la nostra capacità di cura e di accoglienza verso gli altri. Sull’esempio di Gesù, possiamo cercare di conoscere meglio le persone di famiglia, il collega di lavoro o il vicino di casa, per lasciarci scomodare dalle esigenze di chi abbiamo accanto.

Possiamo sviluppare la fantasia dell’amore, coinvolgendo gli altri e lasciandoci coinvolgere. Nel nostro piccolo, possiamo contribuire alla costruzione di comunità fraterne e aperte; capaci di accompagnare con pazienza e coraggio il cammino di tanti.

Meditando questa stessa frase del Vangelo, Chiara Lubich ha scritto: «Gesù dirà apertamente di sé: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri Amici” (Gv 15,13). Ed egli vive fino in fondo la sua offerta. Il suo amore è un amore oblativo e cioè un amore fatto di effettiva disponibilità a offrire, a donare la propria vita. […] Dio domanda anche a noi […] atti d’amore che abbiano (almeno nell’intenzione e nella decisione) la misura del suo amore. […]. Solo un amore così è un amore cristiano: non un qualche amore, non una patina d’amore, ma un amore così grande da mettere in gioco la vita. (…) Facendo così, la nostra vita di cristiani farà un salto di qualità, un grande salto di qualità. E vedremo allora raccogliersi attorno a Gesù, attirati dalla sua voce, uomini e donne da ogni angolo della terra» (3).

Letizia Magri

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1 – Cf. Ez 34,24-31.
2 – Cf. Lc 15,3-7; Mt 18, 12-14.
3 – C. Lubich, Parola di Vita aprile 1997, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 576-577.

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Marzo 2021

“Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri” (Sal 25 [24],4).

Questo salmo ci presenta un uomo che si sente circondato da pericoli e minacce. Ha bisogno di trovare la strada giusta, che lo porti finalmente al sicuro. A chi chiedere aiuto?

Nella coscienza della propria fragilità, finalmente alza gli occhi e grida al Signore, al Dio di Israele, che mai ha abbandonato il suo popolo, ma anzi lo ha guidato attraverso il lungo viaggio nel deserto fino alla Terra promessa.

L’esperienza del camminare fa rinascere nel viandante la speranza, è l’occasione privilegiata di una nuova intimità con Dio, di abbandono fiducioso al Suo amore fedele, nonostante la propria infedeltà. Nel linguaggio della Bibbia, camminare con Dio è anche una lezione di vita, è imparare a riconoscere il suo disegno di salvezza.

“Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”.

Spesso, dopo aver percorso le strade della nostra presunta autosufficienza, ci troviamo disorientati, confusi, più consapevoli dei nostri limiti e delle nostre mancanze. Vorremmo ritrovare la bussola della vita, e con essa il percorso verso la meta.

Questo Salmo ci dà un grande aiuto; ci spinge all’esperienza nuova o rinnovata dell’incontro personale con Dio, alla fiducia nella sua amicizia. Ci dà il coraggio di essere docili ai suoi insegnamenti, che ci invitano costantemente ad uscire da noi stessi per seguirlo sulla via dell’amore, che Egli stesso percorre per primo per incontrarci.

Può essere una preghiera che ci accompagna durante la giornata e fa di ogni momento, gioioso o doloroso, una tappa del nostro cammino.

“Fammi conoscere, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri”.

In Svizzera, Hedy, sposata e madre di quattro figli, da tempo cerca di vivere la Parola, ora è gravemente ammalata; sa che sta per arrivare alla meta del suo cammino sulla terra.

La sua cara amica Kati racconta: «Durante ogni visita, anche con il personale di cura, Hedy è sempre rivolta verso l’altro, si interessa a lui, sebbene per lei ora sia diventato molto difficoltoso il parlare. Ringrazia tutti di essere lì e dona la sua esperienza. Lei è solo Amore, un vivo Sì alla volontà di Dio! Attira tante persone: amici, parenti, sacerdoti. Tutti sono profondamente colpiti dalla sua attenzione verso tutti i visitatori e dalla sua forza, frutto della fede nell’amore di Dio».

Chiara Lubich ha parlato della vita come di un “santo viaggio”(1): «[…] Il “santo viaggio” è il simbolo del nostro itinerario verso Dio. […] Perché non fare dell’unica vita che abbiamo, un viaggio, un viaggio santo, perché Santo è Colui che ci attende. […] Anche chi non ha un preciso credo religioso può fare della sua vita un capolavoro, intraprendendo con rettitudine un cammino di sincero impegno morale. […] Se la vita è un “santo viaggio” lungo il tracciato della volontà di Dio, il nostro cammino domanda di progredire ogni giorno. […] E quando ci fermiamo? […] Dobbiamo abbandonare l’impresa, scoraggiati dai nostri sbagli? No, in questi momenti la parola d’ordine è “ricominciare” […] ponendo tutta la fiducia nella grazia di Dio più che nelle nostre capacità. […] E soprattutto camminiamo insieme, uniti nell’amore, aiutandoci gli uni gli altri. Il Santo sarà in mezzo a noi e Lui si farà nostra “Via”. Lui ci farà capire più chiaramente la volontà di Dio e ci darà il desiderio e la capacità di attuarla. Uniti tutto sarà più facile ed avremo la beatitudine promessa a chi intraprende il “santo viaggio”»(2).

Letizia Magri

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1 Cf. Sal 84(83),6: “Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio” (CEI 1974). 2 C. Lubich, Parola di Vita dicembre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 797-799.

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Febbraio 2021

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).

L’evangelista Luca ama sottolineare la grandezza dell’amore di Dio attraverso una qualità, che certamente gli sembra descriverla al massimo: la misericordia.Essa è, nelle Sacre Scritture, la sfumatura materna, potremmo dire, dell’amore di Dio, quella con cui Egli si prende cura delle sue creature, le solleva, le consola, le accoglie senza stancarsi mai. Per bocca del profeta Isaia, il Signore promette al suo popolo: “Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati”(1).

È un attributo riconosciuto e proclamato anche dalla tradizione islamica: fra i 99 Bei Nomi di Dio, quelli che ritornano più frequentemente sulle labbra del fedele musulmano sono il Misericordioso ed il Clemente.

Questa pagina del vangelo ci presenta Gesù che, di fronte ad una moltitudine di persone provenienti da città e regioni anche lontane, fa a tutti una proposta audace, sconcertante: imitare Dio, il Padre, proprio nell’amore di misericordia. Una meta che a noi sembra quasi impensabile, irraggiungibile!

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

Nella prospettiva del Vangelo, per imitare il Padre dobbiamo innanzitutto metterci ogni giorno dietro a Gesù e imparare da lui ad amare per primi, così come Dio stesso fa incessantemente con noi.

È l’esperienza spirituale descritta dal teologo luterano Bonhoeffer (1906-1945): «Ogni giorno la comunità cristiana canta: “Ho ricevuto misericordia”. Ho avuto questo dono anche quando ho chiuso il mio cuore a Dio; […] quando mi sono smarrito e non ho trovato la via del ritorno. Allora è stata la parola del Signore a venirmi incontro. Allora ho capito: egli mi ama. Gesù mi ha trovato: mi è stato vicino, soltanto Lui. Mi ha dato conforto, ha perdonato tutti i miei errori e non mi ha incolpato del male. Quando ero suo nemico e non rispettavo i suoi comandamenti, mi ha trattato come un amico. […] Fatico a comprendere perché il Signore mi ami così, perché io gli sia così caro. Non posso capire come egli sia riuscito e abbia voluto vincere il mio cuore con il suo amore, posso soltanto dire: “Ho ricevuto misericordia”» (2).

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

Questa Parola del Vangelo ci invita ad una vera rivoluzione nella nostra vita: ogni volta che ci troviamo di fronte ad una possibile offesa possiamo non seguire la via del rifiuto, del giudizio inappellabile e della vendetta, ma piuttosto quella del perdono, della misericordia.

Si tratta non tanto di eseguire un dovere gravoso, quanto piuttosto di accogliere da Gesù la possibilità di passare dalla morte dell’egoismo alla vita vera della comunione. Scopriremo con gioia di aver ricevuto lo stesso DNA del Padre, che non condanna nessuno definitivamente, ma dà a tutti una seconda possibilità, aprendo orizzonti di speranza.

Questa scelta di campo ci permetterà anche di preparare il terreno a rapporti fraterni, da cui può nascere e crescere una comunità umana finalmente orientata alla convivenza pacifica e costruttiva.

“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

Così suggeriva Chiara Lubich, meditando sulla frase del vangelo di Matteo (3), che proclama la beatitudine di chi pratica la misericordia: «Il tema della misericordia e del perdono pervade tutto il Vangelo. […] E la misericordia è appunto l’ultima espressione dell’amore, della carità, quella che la compie, che la rende cioè perfetta. […] Cerchiamo dunque di vivere in ogni nostro rapporto quest’amore agli altri in forma di misericordia! La misericordia è un amore che sa accogliere ogni prossimo, specie il più povero e bisognoso. Un amore che non misura, abbondante, universale, concreto. Un amore che tende a suscitare la reciprocità, che è il fine ultimo della misericordia, senza la quale ci sarebbe solo giustizia, che serve a creare eguaglianza ma non fraternità. […]  Anche se sembra difficile e ardito, chiediamoci, di fronte ad ogni prossimo: come si comporterebbe sua madre con lui? E’ un pensiero che ci aiuterà a capire e a vivere secondo il cuore di Dio» (4).

Letizia Magri

________________________________________________________________________1 Cf. Is 66,13.
2 Dietrich Bonhoefer, 23 gennaio 1938, in La fragilità del male, raccolta di scritti inediti, Piemme, 2015.
3 Cf. Mt 5,7.
4 C. Lubich, Parola di Vita novembre 2000, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 633-634.

 

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Gennaio 2021

 

“Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (Cf. Gv 15,5-9).

Ogni anno i cristiani appartenenti alle diverse Chiese dedicano un tempo comune (1) alla
preghiera, per chiedere insieme al Padre il dono dell’unità, secondo il desiderio di Gesù.
Egli la vuole “perché il mondo creda” (Gv 17,21): è con l’unità che si cambia il mondo, si creano comunione, fraternità e solidarietà. Essa è fondamentalmente un dono di Dio, per questo è indispensabile chiederla con insistenza e fiducia al Padre.

È l’esperienza di un gruppo che, in Spagna, vive la Parola di vita. Da alcuni anni, proprio durante la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, si sentono spinti a pregare per la grazia dell’unità e a costruire ponti. Scrive Margarita: “Abbiamo contattato il responsabile diocesano dell’ecumenismo, i parroci, il sacerdote ortodosso e i pastori evangelici. Ci siamo raccolti per pregare, come cristiani unanimi, prima nella parrocchia cattolica poi in quella ortodossa. Ogni volta le nostre chiese si riempiono della gioia che viene dalla presenza di Dio. È Lui che apre strade di unità”.

Per il 2021, la comunità monastica di Grandchamp (2) ha proposto come luce per questo cammino un motto molto efficace, tratto dal vangelo di Giovanni:

“Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto”.

È un pressante invito a vivere ed operare per l’unità dei cristiani in questi giorni speciali, continuando per tutto l’anno, per tutta la vita. Le nostre divisioni sono una grave ferita, che ha bisogno di essere sanata, prima di tutto dalla misericordia di Dio e poi dall’impegno a conoscerci, stimarci e testimoniare insieme il vangelo.

Con queste parole, Gesù ci svela i passi sicuri da fare: prima di tutto “rimanere” nel suo amore. Occorrerà dunque stringere più forte il nostro personale rapporto con Lui, affidargli la nostra vita, credere nella sua misericordia. Gesù infatti “rimane” sempre con noi, fedelmente.

Allo stesso tempo ci chiama a metterci con decisione dietro a Lui, per fare come Lui della nostra esistenza un dono al Padre; ci propone di imitarlo nel venire incontro con delicatezza alle necessità di ogni persona con cui condividiamo una parte piccola o grande della nostra giornata, con generosità e disinteresse, per portare così “molto frutto”.

“Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto”.

Risuonano di grande attualità le parole di Chiara Lubich, pronunciate a Ginevra nell’ottobre 2002 durante le celebrazioni del Giorno della Riforma (3): «[…] Quanto bisogno d’amore nel mondo! […] (Gesù) ha detto che il mondo ci avrebbe riconosciuto come suoi e, attraverso di noi, avrebbe riconosciuto lui, dall’amore reciproco, dall’unità: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). […] l’abbiamo capito: il tempo presente domanda a ciascuno di noi amore, domanda unità, comunione, solidarietà. E chiama anche le Chiese a ricomporre l’unità lacerata da secoli. E’ questa la riforma delle riforme che il Cielo ci chiede; è il primo e necessario passo verso la fraternità universale con tutti gli altri: uomini e donne del mondo. Il mondo infatti crederà se noi saremo uniti. Lo ha detto Gesù: “Che tutti siano uno (…) affinché il mondo creda” (cf Gv 17,21). Dio questo vuole! […]. Che egli ci dia la grazia, se non di veder realizzato tutto questo, almeno di prepararlo». (4)

Letizia Magri

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1 Nell’emisfero nord la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani si celebra annualmente dal 18 al 25 gennaio, mentre nell’emisfero sud si sceglie un’altra data, intorno alla solennità di Pentecoste.
2 Per informazioni: www.grandchamp.org.
3 Il “Giorno della Riforma” (“Reformationstag”) si celebra ogni anno il 31 ottobre, occasione in cui Martin Lutero avrebbe proclamato le 95 tesi. https://it.wikipedia.org/wiki/Giorno_della_Riforma.
4 C. Lubich, in L’unità, a cura di D. Falmi e F. Gillet, Città Nuova, Roma 2015, pp. 87-88.

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ASCOLTA ANCHE:

Lorena Bianchetti legge la Parola di Vita di gennaio




Dicembre 2020

“Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore?” (Sal 27 [26],1).

«Poco dopo la nascita di Mariana i medici le hanno diagnosticato una lesione cerebrale. Non avrebbe parlato né camminato. Abbiamo sentito che Dio ci chiedeva di amarla così e ci siamo buttati nelle sue braccia di Padre» scrive Alba, giovane mamma brasiliana. E continua: «Ha vissuto con noi per quattro anni ed ha lasciato a tutti un messaggio d’amore. Non abbiamo mai sentito le parole papà e mamma dalla sua bocca, ma nel suo silenzio parlava con gli occhi, che avevano una luce risplendente. Non abbiamo potuto insegnarle a fare i primi passi ma lei ci ha insegnato a fare i primi passi nell’amore, nella rinuncia di noi stessi per amare. Mariana è stata per tutta la famiglia un dono dell’amore di Dio che potremmo riassumere in un’unica frase: l’amore non si spiega con le parole».

È quanto accade anche oggi ad ognuno di noi: di fronte all’impossibilità di governare tutta la nostra esistenza abbiamo bisogno di luce, anche di un barlume che mostri la via di uscita, i passi da fare oggi, verso la salvezza di una vita nuova.

“Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore?”.

L’oscurità del dolore, della paura, del dubbio, della solitudine, delle circostanze “nemiche” che vanificano i nostri sogni è un’esperienza che si sperimenta in ogni punto della terra ed in ogni epoca della storia umana, come testimonia questa antica preghiera contenuta nel libro dei Salmi.

L’autore è probabilmente una persona accusata ingiustamente, abbandonata da tutti, in attesa di giudizio. È nell’incertezza per un destino minaccioso, ma si affida a Dio. Sa che Egli non ha abbandonato il suo popolo nella prova, conosce la sua azione liberatrice; per questo troverà in Lui la luce e riceverà riparo sicuro ed inattaccabile.

Proprio nella consapevolezza della sua fragilità si apre alla confidenza con Dio, accoglie la Sua presenza nella propria vita ed attende con fiducia la vittoria definitiva sulle strade imprevedibili del Suo amore.

“Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore?”.

È questo il momento opportuno per riaccendere la nostra fiducia nell’amore del Padre, che vuole la felicità dei suoi figli. Egli è pronto a caricarsi delle nostre preoccupazioni (1) in modo che non ci ripieghiamo su noi stessi, ma siamo liberi di condividere con gli altri la nostra luce e la nostra speranza.

La Parola di Vita, come scrive Chiara Lubich, ci guida nel cammino dalle tenebre alla luce, dall’io al noi: «[…] È un invito a ravvivare la fede: Dio c’è e mi ama. […] Incontro una persona? Devo credere che attraverso di lei Dio ha qualcosa da dirmi. Mi dedico a un lavoro? In quel momento continuo ad aver fede nel Suo amore. Arriva un dolore: credo che Dio mi ama. Arriva una gioia? Dio mi ama. Egli è qui con me, è sempre con me, sa tutto di me e condivide ogni mio pensiero, ogni gioia, ogni desiderio, porta assieme a me ogni preoccupazione, ogni prova della mia vita. Come ravvivare questa certezza? […] Cercandolo in mezzo a noi. Lui ha promesso di essere lì dove due o più sono uniti nel suo nome (2). Incontriamoci allora nell’amore scambievole del Vangelo con quanti vivono la Parola di Vita, condividiamo le esperienze e sperimenteremo i frutti di questa sua presenza: gioia, pace, luce, coraggio. Lui rimarrà con ciascuno di noi e continueremo a sentirlo vicino e operante nella nostra vita d’ogni giorno» (3).

Letizia Magri

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1 Cf. 1 Pt 5,7. 2 Cf. Mt 18,20.

2 Cf. Mt 18,20.

3 C. Lubich, Parola di Vita luglio 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 785-786.

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Novembre 2020

“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati” (Mt 5,4).

Chi non ha pianto, nella propria vita? E chi non ha conosciuto persone il cui dolore traboccava attraverso le lacrime? Oggi poi, che i mezzi di comunicazione portano nelle nostre case immagini da tutto il mondo, rischiamo addirittura di abituarci, di indurire il cuore di fronte al fiume di dolore che rischia di travolgerci.

Anche Gesù ha pianto (1) ed ha conosciuto il pianto del suo popolo, vittima dell’occupazione straniera. Tanti malati, poveri, vedove, orfani, emarginati, peccatori accorrevano a Lui per ascoltare la sua Parola risanatrice ed essere guariti, nel corpo e nell’anima.

Nel vangelo di Matteo, Gesù è il Messia che compie le promesse di Dio ad Israele e per questo annuncia:

“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”.

Gesù non è indifferente alle nostre tribolazioni e impegna sé stesso nel guarire il nostro cuore dalla durezza dell’egoismo, nel riempiere la nostra solitudine, nel dare forza alla nostra azione.

Così ci dice Chiara Lubich, nel suo commento alla stessa Parola del Vangelo: «[…] Gesù, con queste sue parole, non vuole portare chi è infelice alla semplice rassegnazione promettendo una ricompensa futura. Egli pensa anche al presente. Il Suo Regno infatti, anche se in maniera non definitiva, è già qui. Esso è presente in Gesù che, risorgendo da una morte sofferta nella più grande afflizione, ha vinto la morte. Ed è presente anche in noi, nel nostro cuore di cristiani: Dio è in noi. La Trinità vi ha preso dimora. E allora la beatitudine annunziata da Gesù può verificarsi sin d’ora. […] Le sofferenze possono permanere, ma c’è un nuovo vigore che ci aiuta a portare le prove della vita e ad aiutare gli altri nelle loro pene, a superarle, a vederle, come Lui le ha viste e accolte quale mezzo di redenzione». (2)

“Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati”.

Alla scuola di Gesù, possiamo imparare ad essere l’uno per l’altro testimoni e strumenti dell’amore tenero e creativo del Padre. È la nascita di un mondo nuovo, che risana la convivenza umana dalla radice ed attira la presenza di Dio tra gli uomini, sorgente inesauribile di consolazione per asciugare ogni lacrima.

Così Lena e Philippe, del Libano, hanno condiviso la loro esperienza con gli amici della comunità ecclesiale: «Carissimi, vi ringraziamo per i vostri auguri per la Pasqua molto speciale di quest’anno. Stiamo bene e cerchiamo di stare attenti a non esporci al virus. Tuttavia, essendo in prima fila nell’azione “Parrainage Liban” (3), non possiamo rimanere sempre a casa e usciamo circa ogni due giorni, per assicurare i bisogni urgenti ad alcune famiglie: soldi, vestiti, cibo, prodotti farmaceutici etc… Già prima del Covid-19, la situazione economica nel Paese era molto pesante e, come in tutto il mondo, oggi è peggiorata. Ma la Provvidenza non manca: l’ultima è arrivata la settimana scorsa da un libanese che vive fuori dal Libano. Ha chiesto a Lena di assicurare un pasto completo, tre giorni alla settimana, per dodici famiglie per tutto il mese di aprile. Una bella conferma dell’amore di Dio che non si lascia vincere in generosità».

Letizia Magri

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1 Cf. Gv 11,35; Lc 19,41.

2 C. Lubich Parola di Vita novembre 1981, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5;

3 Spiega Lena : «L’azione Parrainage Liban e’ nata nel 1993 da un gruppo di famiglie che vivevano la Parola di vita, per aiutare una mamma con 5 bambini, con il marito in carcere. Fino ad adesso abbiamo aiutato circa 200 famiglie, di tutto il Libano e di tutte le religioni. I nostri collaboratori sono impegnati in vari modi per riportare le famiglie all’autonomia: con visite domiciliari, ricerca di alloggio e lavoro, aiuto negli studi. Siamo sostenuti economicamente da un centinaio di persone e aziende che credono nella nostra azione».

ESPERIENZE SULLA PAROLA DI VITA 

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Da Città Nuova: Lorena Bianchetti legge la Parola di Vita di Novembre




Calendario Parola di Vita 2021

In uscita a novembre il Calendario Parola di Vita 2021, che riporta la frase della Parola di Vita di ogni mese; uno strumento per divulgare e far conoscere la Parola di Vita a tutti, utile da tenere esposta nei luoghi di culto, negli uffici, nelle scuole, in casa, nelle parrocchie. Iniziativa nata nel 2020 che ha riscosso molto interesse.

I foglietti della Parola di Vita del prossimo anno riporteranno la stessa grafica del Calendario, arricchiti da una foto per ogni mese.

Per info ed ordini scrivere a: info@grades.it

Oppure telefonare al numero: 328/5774081

 




Ottobre 2020

“Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11).

I Vangeli ci mostrano spesso Gesù che accetta volentieri gli inviti a pranzo: sono momenti di incontro, occasioni per stringere amicizie e consolidare rapporti sociali.

In questo brano del Vangelo di Luca, Gesù osserva il comportamento degli invitati: c’è una corsa ad occupare i primi posti, quelli riservati alle personalità; è palpabile l’ansia di emergere gli uni sugli altri.

Ma Egli ha in mente un altro banchetto: quello che sarà offerto a tutti i figli nella casa del Padre, senza “diritti acquisiti” in nome di una presunta superiorità. Anzi, i primi posti saranno riservati proprio a quelli che scelgono l’ultimo posto, al servizio degli altri. Per questo proclama:

“Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

Mettendo al centro noi stessi, con la nostra avidità, il nostro orgoglio, le nostre pretese, le nostre lamentele, cadiamo nella tentazione dell’idolatria, cioè dell’adorare falsi dei, che non meritano onore e fiducia.

Il primo invito di Gesù sembra quindi quello di scendere dal “piedistallo” del nostro io, per non mettere al centro il nostro egoismo, ma piuttosto Dio stesso. Egli sì che può occupare il posto d’onore nella nostra vita!

È importante farGli spazio, approfondire il nostro rapporto con Lui, imparare da Lui lo stile evangelico dell’abbassamento. Infatti, metterci liberamente all’ultimo posto è scegliere il posto che Dio stesso ha scelto, in Gesù. Egli, pur essendo il Signore, ha scelto di condividere la condizione umana, per annunciare a tutti l’amore del Padre.

“Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

Da questa scuola impariamo anche a costruire la fraternità, cioè la comunità solidale di uomini e donne, adulti e ragazzi, sani e malati, capaci di costruire ponti e servire il bene comune.

Come Gesù, anche noi possiamo avvicinare il nostro prossimo senza paura, metterci al suo fianco per camminare insieme nei momenti difficili e gioiosi, valorizzare le sue qualità, condividere beni materiali e spirituali, incoraggiare, dare speranza, perdonare. Raggiungeremo il primato della carità e della libertà dei figli di Dio.

In un mondo malato di arrivismo, che corrompe la società, è davvero andare controcorrente, è una rivoluzione tutta evangelica. É questa la legge della comunità cristiana, come scrive anche l’apostolo Paolo: «Ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso». (1)

“Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

Come ha scritto Chiara Lubich: «Osservi? Nel mondo le cose stanno in un ordine completamente diverso. Vige la legge dell’io […] E sappiamo quali sono le dolorose conseguenze: […] ingiustizie e prevaricazioni di ogni genere. Tuttavia, il pensiero di Gesù non va direttamente a tutti questi abusi, ma piuttosto alla radice da cui essi scaturiscono: il cuore umano. […] Occorre, per Lui, trasformare proprio il cuore e di conseguenza assumere un atteggiamento nuovo necessario per stabilire rapporti autentici e giusti. Essere umili non vuol dire soltanto non essere ambiziosi, ma essere consapevoli del proprio nulla, sentirsi piccoli davanti a Dio e mettersi quindi nelle sue mani, come un bambino. […].

Come vivere bene questo abbassamento? Attuandolo, come ha fatto Gesù, per amore dei fratelli e delle sorelle. Dio ritiene fatto a sé quello che fai loro. Dunque, abbassamento: servirli. […] E l’esaltazione avverrà certamente nel mondo nuovo, nell’altra vita. Ma per chi vive nella Chiesa questo rovesciamento di situazioni è già presente. Infatti, chi comanda deve essere come uno che serve. Situazione, dunque, già mutata. E così la Chiesa, ove si vivono le parole che abbiamo approfondito, è già per l’umanità un segno del mondo che verrà». (2)

 

Letizia Magri

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1 Cf. Fil 2,3.
2 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 1995, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 564- 565.

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