Luglio 2024

«Il Signore è il mio pastore non manco di nulla» (Sal 23[22],1).

Il Salmo 23 è uno dei salmi più conosciuti e amati. Si tratta di un cantico di fiducia e al contempo ha un carattere di gioiosa professione di fede. Colui che prega lo fa come appartenente al popolo d’Israele, al quale il Signore ha promesso per mezzo dei profeti di essere il loro Pastore.

L’autore proclama la propria personale felicità di sapersi protetto nel Tempio (1), luogo di asilo e di grazia ma vuole, in egual modo, con la sua esperienza, incoraggiare altri alla fiducia nella presenza del Signore.

«Il Signore è il mio pastore non manco di nulla».

L’immagine del pastore e del gregge è molto cara a tutta la letteratura biblica. Per comprenderla bene dobbiamo andare col pensiero nei deserti aridi e rocciosi del Medio Oriente.

Il pastore guida il suo gregge che si lascia condurre docilmente, perché senza di lui si smarrirebbe e morirebbe. Le pecore devono imparare ad affidarsi a lui, ascoltando la sua voce. Egli è soprattutto il loro costante compagno di viaggio.

«Il Signore è il mio pastore non manco di nulla».

Questo salmo ci invita a rinforzare il nostro rapporto intimo con Dio facendo l’esperienza del suo amore. Qualcuno potrà domandarsi come mai l’autore arriva a dire che “non manca di nulla”?

La nostra esperienza quotidiana non è mai esente da problemi e da sfide, di salute, familiari, di lavoro, ecc. senza dimenticare le immani sofferenze che vivono oggi tantissimi fratelli e sorelle nostri a causa della guerra, delle conseguenze del cambiamento climatico, delle migrazioni, della violenza…

«Il Signore è il mio pastore non manco di nulla».

Forse la chiave di lettura sta nel versetto in cui si legge “perché tu sei con me” (Sal 23,4). Si tratta della certezza nell’amore di un Dio che ci accompagna sempre e ci fa vivere l’esistenza in modo diverso.

Scriveva Chiara Lubich: «Una cosa è sapere che possiamo ricorrere ad un Essere che esiste, che ha pietà di noi, che ha pagato per i nostri peccati, e un’altra è vivere e sentirci al centro delle predilezioni di Dio, col conseguente bando d’ogni paura che frena, d’ogni solitudine, d’ogni senso di orfanezza, d’ogni incertezza. […] La persona sa di essere amata e crede con tutto il suo essere a questo amore. Ad esso si abbandona fiduciosa ed esso vuol seguire. Le circostanze della vita, tristi o gioiose, risultano illuminate da un perché di amore che tutte le ha volute o permesse»(2).

«Il Signore è il mio pastore non manco di nulla».

Ma colui che ha portato a compimento questa bellissima profezia è Gesù che, nel Vangelo di Giovanni, non esita ad autodefinirsi il “buon Pastore”. Il rapporto con questo pastore è caratterizzato da una relazione personale ed intima “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14-15).

Egli le conduce ai pascoli della sua Parola che è vita, in particolare la Parola che contiene il messaggio racchiuso nel “Comandamento nuovo”, che, se vissuto, rende “visibile” la presenza del Risorto nella comunità riunita nel suo nome, nel suo amore (3).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

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1 Cf. Sal 23,6
2 C. Lubich, L’essenziale di oggi, ScrSp/2, Città Nuova, Roma 19972, p. 148.
3 Cf. Mt, 18, 20.




Giugno 2024

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce» (Mc 4, 26-27).

Il regno di Dio è il cuore del messaggio di Gesù, di cui il vangelo di Marco vuole dare la buona notizia. Qui viene annunciato attraverso una breve parabola, con l’immagine del seme che una volta gettato nella terra sprigiona la sua forza vitale e porta frutto.

Ma cosa è il regno di Dio per noi, oggi? Cosa ha in comune con la nostra storia, personale e collettiva, costantemente sospesa tra aspettative e delusioni? Se esso è già stato seminato, perché non ne vediamo i frutti di pace, di sicurezza, di felicità?

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce».

Questa Parola ci comunica la fiducia totale di Gesù stesso nel disegno che Dio ha sull’umanità: «[…] Per Gesù che è venuto sulla terra, per la sua vittoria, questo Regno è già presente nel mondo, ed il suo compimento, che metterà fine alla storia, è già assicurato. La Chiesa è la comunità di coloro che credono in questo Regno, ed è il suo inizio»(1).

A tutti quelli che la accolgono, affida il compito di preparare il terreno per accogliere il dono di Dio e custodire la speranza nel suo amore. «[…] Non c’è infatti nessuno sforzo umano, nessun tentativo ascetico, nessuno studio o ricerca intellettuale, che ti possano far entrare nel regno di Dio. È Dio stesso che ti viene incontro, che si rivela con la sua luce o ti tocca con la sua grazia. E non c’è nessun merito che tu possa vantare o su cui tu ti possa appoggiare per aver diritto ad un tale dono di Dio. Il regno ti viene offerto gratuitamente»(2).

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce».

Gettare il seme: non trattenerlo per sé, ma seminarlo con larghezza e fiducia. “Di notte o di giorno”: il regno cresce silenziosamente, anche nel buio delle nostre notti. Possiamo anche chiedere ogni giorno: “Venga il tuo Regno”. Il seme non richiede un lavoro continuo, di controllo, da parte del contadino, quanto piuttosto la capacità di attendere, con pazienza, che la natura faccia il suo corso.

Questa Parola di vita ci apre alla fiducia nella forza dell’amore, che porta frutto a suo tempo. Ci insegna l’arte di accompagnare con pazienza ciò che può crescere da solo, senza l’ansia dei risultati; ci rende liberi di accogliere l’altro nel momento presente, valorizzando le sue potenzialità nel rispetto dei suoi tempi.

«[…] Un mese prima del matrimonio, nostro figlio ci telefona allarmato per dirci che la sua ragazza ha ripreso a fare uso di droga. Chiede consiglio su cosa fare. Non è facile rispondere. Potremmo approfittare della situazione per convincerlo a lasciarla, ma non ci sembra la strada giusta. Così gli suggeriamo di guardare bene nel suo cuore […] Segue un lungo silenzio, poi: “Credo che posso amare un po’ di più”. Dopo il matrimonio riescono a trovare un ottimo centro di recupero con supporto ambulatoriale esterno. Trascorrono 14 lunghi mesi, nei quali lei riesce a mantenere l’impegno “niente più droghe”. È una strada lunga per tutti, ma l’amore evangelico che cerchiamo di avere tra noi due – anche tra le lacrime – ci dà la forza di amare nostro figlio in questa delicata situazione. Un amore che forse aiuta anche lui a capire come amare sua moglie»(3).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita

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1 C. Lubich Parola di Vita agosto 1983, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 268.
2 C. Lubich Parola di Vita ottobre 1979, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 152
3 S. Pellegrini, G. Salerno, M. Caporale (a cura di), Famiglie in azione. Un mosaico di vita, Città Nuova, Roma 2022, p. 74.




Maggio 2024

«Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4,8).

La prima lettera di Giovanni si rivolge ai cristiani di una comunità dell’Asia Minore per incoraggiarli a ripristinare la comunione tra loro, poiché sono divisi da dottrine diverse.

L’autore li esorta a tenere presente ciò che è stato proclamato “fin dal principio” della predicazione cristiana e ripete ciò che i primi discepoli hanno visto, udito e toccato con mano nella convivenza con il Signore, affinché anche questa comunità possa essere in comunione con loro e, quindi, anche con Gesù e con il Padre (1).

«Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore».

Per ricordare l’essenza della rivelazione ricevuta, l’autore sottolinea che, in Gesù, Dio ci ha amato per primo, assumendo fino in fondo l’esistenza umana con tutti i suoi limiti e le sue debolezze.

Sulla croce, Gesù ha condiviso e sperimentato sulla sua pelle la nostra separazione dal Padre. Dando tutto sé stesso l’ha risanata con un amore senza limiti né condizioni. Ci ha dimostrato cos’è l’amore che ci aveva insegnato con le parole e con la vita.

Dall’esempio di Gesù si comprende che amare davvero implica coraggio, fatica e il rischio di dover affrontare avversità e sofferenze. Ma chi ama così partecipa alla vita di Dio e sperimenta la Sua libertà e la gioia di chi si dona.

Amando come Gesù ci ha amati, ci liberiamo dall’egoismo che chiude le porte alla comunione con i fratelli e con Dio e possiamo sperimentarla.

«Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore».

Conoscere Dio, colui che ci ha creati e che conosce noi e la verità più profonda di tutte le cose, è da sempre un anelito, magari inconscio, del cuore umano.

Se Lui è amore, amando come Lui possiamo intravedere qualcosa di questa verità. Possiamo crescere nella conoscenza di Dio perché viviamo essenzialmente la Sua vita e camminiamo alla Sua luce.

E ciò si compie pienamente quando l’amore è reciproco. Se ci amiamo l’un l’altro, infatti, «Dio rimane in noi» (2). Avviene un po’ come quando i due poli elettrici si toccano e la luce si accende, illuminando quanto ci circonda.

«Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore».

Testimoniare che Dio è amore, afferma Chiara Lubich, è «la grande rivoluzione che siamo chiamati ad offrire oggi al mondo moderno, in estrema tensione», così «come i primi cristiani la presentavano al mondo pagano di allora» (3).

Come farlo? Come vivere questo amore che viene da Dio? Imparando da Suo Figlio a metterlo in pratica, in particolare «[…] nel servizio ai fratelli, specie quelli che ci stanno accanto, cominciando dalle piccole cose, dai servizi più umili. Ci sforzeremo, ad imitazione di Gesù, di amarli per primi, nel distacco da noi stessi ed abbracciando tutte le croci, piccole o grandi, che tutto questo può comportare. In tale modo non tarderemo ad arrivare anche noi a quella esperienza di Dio, a quella comunione con Lui, a quella pienezza di luce, di pace e di gioia interiore, a cui vuole portarci Gesù» (4).

«Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore».

Santa visita spesso una residenza per anziani, un ambiente cattolico. «Un giorno, con Roberta, incontra Aldo, un uomo alto, molto colto, ricco. Aldo guarda le due giovani con sguardo cupo: “Ma perché venite qui? Che volete da noi? Lasciateci morire in pace!” Santa non si perde d’animo e gli dice: “Siamo qui per lei, per vivere qualche ora insieme, conoscerci, diventare amici”. […] Ritornano altre volte. Roberta racconta: “Quell’uomo era particolarmente chiuso, molto abbattuto. Non credeva in Dio. Santa è stata l’unica che è riuscita a entrare nel suo cuore, con tanta delicatezza, ascoltandolo per ore”». Pregava per lui, e una volta gli ha regalato un rosario, che lui ha accettato. «Santa viene poi a sapere che Aldo è morto nominandola. Il dolore per la sua morte è attenuato dal fatto che è morto serenamente, tenendo fra le mani il rosario che un giorno gli aveva regalato» (5).

A cura di Silvano Malini e del team della Parola di Vita

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1 Cf. 1 Gv 1,1-3.
2 Cf. 1 Gv 4,12.
3 C. Lubich. Conversazioni, a cura di M. Vandeleene (Opere di Chiara Lubich 8/1); Città Nuova, Roma 2019, p. 142.
4 C. Lubich, Parola di Vita di maggio 1991, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5),
Città Nuova, Roma 2017, p. 477.
5 P. Lubrano, Un volo sempre più alto. La vita di Santa Scorese, Città Nuova, Roma 2003, pp. 83-84,107.




Aprile 2024

«Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore» (At 4,33).

Questa parola, che cade nel tempo di Pasqua, ci invita, con la pienezza della libertà di chi ha ricevuto il messaggio evangelico, a essere anche noi testimoni dell’evento che ha segnato la storia: Gesù è risorto!

Per comprendere fino in fondo il significato di questo versetto tratto dagli Atti degli Apostoli è bene citare la frase che lo precede: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune»(1).

«Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore».

Nel testo viene presentata la prima comunità cristiana animata dalla forza potente dello Spirito, caratterizzata dalla comunione che la spinge a proclamare a tutti il Vangelo, la buona novella, cioè che Cristo è risorto.

Sono le stesse persone che prima della Pentecoste erano spaventate e sgomente davanti agli ultimi avvenimenti accaduti e adesso escono allo scoperto, pronte a dare testimonianza fino al martirio grazie alla forza dello Spirito che ha spazzato via paure e timori.

Essi erano un cuor solo e un’anima sola, praticavano l’amore reciproco fino a mettere in comune i beni: era questa la realtà che andava coinvolgendo un numero sempre più grande di persone.

Donne e uomini al seguito di Gesù avevano ascoltato le sue parole, avevano vissuto con Lui nel servizio e nell’amore riservato agli ultimi, agli ammalati, avevano visto con i loro occhi i fatti prodigiosi operati da Gesù, la loro vita era cambiata perché chiamati a vivere una nuova legge, essi erano stati i primi testimoni della presenza viva di Dio in mezzo agli uomini.

Ma per noi, seguaci di Gesù oggi, che significa dare testimonianza?

«Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore».

Il modo più efficace di testimoniare il Risorto è mostrare che Egli è vivo e abita in mezzo a noi. «Se vivremo la sua Parola, […] tenendo acceso in cuore l’amore verso il prossimo, se ci sforzeremo in modo speciale di conservare sempre l’amore scambievole fra di noi, allora il Risorto vivrà in noi, vivrà in mezzo a noi e irradierà intorno la sua luce e la sua grazia, trasformando gli ambienti con frutti incalcolabili. E sarà lui, mediante il suo Spirito, a guidare i nostri passi e le nostre attività; sarà lui a disporre le circostanze ed a fornirci le occasioni per portare la sua vita alle persone bisognose di lui»(2).

«Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore».

Scrive Margaret Karram (3): «“Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” (4) è la straordinaria consegna che 2000 anni fa gli apostoli hanno accolto direttamente da Gesù e che ha cambiato il corso della storia. Oggi Gesù rivolge anche a noi lo stesso invito: ci offre la possibilità di portarlo al mondo con tutta la creatività, le capacità e la libertà che Lui stesso ci ha donato» (5).

È un annuncio «che non finisce con la sua morte, anzi! Prende nuova forza dopo la Risurrezione e la Pentecoste, dove i discepoli sono diventati testimoni coraggiosi del Vangelo. E il loro mandato, poi, è arrivato fino a noi oggi. Attraverso di me, attraverso ciascuno di noi, Dio vuole continuare a raccontare la Sua storia d’amore a coloro con cui condividiamo brevi o lunghi tratti di vita» (6).

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1 At 4,32.
2 C. Lubich, Parola di Vita di gennaio 1986, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 347.
3 Presidente del Movimento dei Focolari.
4 Mc 16,15.
5 Margaret Karram, Chiamati e inviati, Rocca di Papa, 15 settembre 2023.
6 Ibid.




Marzo 2024

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo» (Sal 51[50],12).

La frase della Scrittura che ci viene proposta in questo tempo quaresimale fa parte del Salmo 51, laddove, al versetto 12, troviamo la struggente ed umile invocazione: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”. Il testo che la contiene è noto col nome di “Miserere”.

In esso, lo sguardo dell’autore inizia con l’esplorare i nascondigli dell’anima umana per cogliervi le fibre più profonde, quelle della nostra completa inadeguatezza nei confronti di Dio e, al contempo, dell’insaziabile anelito alla piena comunione con Colui dal quale procede ogni grazia e misericordia.

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Il salmo prende spunto da un episodio ben noto della vita di Davide. Egli, chiamato da Dio a prendersi cura del popolo di Israele e a guidarlo sui cammini dell’obbedienza all’Alleanza, trasgredisce la propria missione: dopo aver commesso adulterio con Betsabea ne fa uccidere in battaglia il marito, Uria l’Ittita, ufficiale del suo esercito. Il profeta Natan gli svela la gravità della sua colpa e lo aiuta a riconoscerla. È il momento della confessione del proprio peccato e della riconciliazione con Dio.

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Il salmista mette sulla bocca del re invocazioni molto forti ma che sgorgano dal suo profondo pentimento e dalla totale fiducia nel perdono divino: “cancella”, “lavami”, “purificami”. In particolare, nel versetto che ci interessa, usa il verbo “crea” a indicare che la completa liberazione dalle fragilità dell’uomo è possibile unicamente a Dio. È la consapevolezza che solo lui può farci creature nuove dal “cuore puro”, ricolmandoci del suo spirito vivificante, donandoci la vera gioia e trasformando radicalmente il nostro rapporto con Dio (lo “spirito saldo”) e con gli altri esseri viventi, con la natura e il cosmo.

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Come mettere in pratica questa parola di vita? Il primo passo sarà quello di riconoscerci peccatori e bisognosi del perdono di Dio, in un atteggiamento di illimitata fiducia nei suoi confronti. Può accadere che i nostri ripetuti errori ci scoraggino, ci chiudano in noi stessi. Occorre allora lasciare socchiusa, almeno un po’, la porta del nostro cuore.

Scrive Chiara Lubich nei primi anni ‘40 a qualcuno che si sentiva incapace di andare oltre le proprie miserie: «Occorre levarsi dall’anima ogni altro pensiero. E credere che Gesù è attirato a noi dall’esposizione umile e confidente ed amorosa dei nostri peccati. Noi, per noi, null’altro abbiamo e facciamo che miserie. Lui, per Lui, a riguardo nostro, non ha che una sola qualità: la Misericordia. L’anima nostra si può unire a Lui soltanto offrendogli in dono, come unico dono, non le proprie virtù ma i propri peccati! […] se Gesù è venuto sulla terra, se s’è fatto uomo, se qualcosa brama […] è soltanto: Far da Salvatore. Far da Medico! Null’altro desidera»(1).

«Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo».

Poi, una volta liberati e perdonati, e tenendo presente l’aiuto dei fratelli perché la forza del cristiano viene dalla comunità, mettiamoci ad amare concretamente il prossimo chiunque esso sia. «Quello che ci è chiesto è quell’amore vicendevole, di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli; quell’amore che tutto copre, tutto perdona, tipico del cristiano»(2).

Infine, dice Papa Francesco: «Il perdono di Dio […] è il segno più grande della sua misericordia. Un dono che ogni […] perdonato è chiamato a condividere con ogni fratello e sorella che incontra. Tutti coloro che il Signore ci ha posto accanto, i familiari, gli amici, i colleghi, i parrocchiani… tutti sono, come noi, bisognosi della misericordia di Dio. È bello essere perdonato, ma anche tu, se vuoi essere perdonato, perdona a tua volta. Perdona! […] per essere testimoni del suo perdono, che purifica il cuore e trasforma la vita»(3).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

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1 C. Lubich, Lettere 1943-1960, a Cura di F. Gillet, (Opere di Chiara Lubich 4/1), Città Nuova, Roma 2022; p. 350.
2 C. Lubich, Parola di Vita maggio 2002, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5),</em
Città Nuova, Roma 2017, pp. 658-659.
3 FRANCESCO, Udienza Generale, La misericordia cancella il peccato, 30 marzo 2016.




Febbraio 2024

«E tutto ciò che fate, fatelo con amore» (1Cor 16,14)1.

Questo mese, come lampada per i nostri passi, (2) ci lasciamo illuminare dalla parola e dall’esperienza dell’apostolo Paolo. Egli annuncia anche a noi, come ai cristiani di Corinto, un messaggio forte: il cuore del Vangelo è la carità, l’agape, l’amore disinteressato tra fratelli.

La nostra Parola di vita fa parte della conclusione di questa lettera, in cui la carità è abbondantemente ricordata e spiegata in tutte le sue sfumature: è paziente, benevola, ama la verità, non cerca il proprio interesse (3) … L’amore reciproco vissuto così nella comunità cristiana, è balsamo per le divisioni che sempre la minacciano e segno di speranza per tutta l’umanità.

«E tutto ciò che fate, fatelo con amore».

Colpisce che Paolo – nel testo greco – esorti ad agire “essendo nell’amore”, come a indicarci una condizione stabile, un dimorare in Dio, che è Amore. Come potremmo infatti accoglierci reciprocamente ed accogliere ogni persona con questo atteggiamento, se non riconoscendo di essere noi amati da Dio per primi, anche nelle nostre fragilità?

È questa coscienza rinnovata che ci permette di aprirci senza paura agli altri, per comprenderne i bisogni e metterci loro accanto, condividendo risorse materiali e spirituali. Guardiamo come ha fatto Gesù; è lui il nostro modello.

Egli ha sempre donato per primo: “[…] la salute agli ammalati, il perdono ai peccatori, la vita a tutti noi. All’istinto egoista di accaparrare oppone la generosità; all’accentramento sui propri bisogni, l’attenzione all’altro; alla cultura del possesso quella del dare. Non conta se possiamo dare molto o poco. L’importante è il come doniamo, quanto amore mettiamo anche in un piccolo gesto di attenzione verso l’altro. […] È essenziale l’amore, perché sa accostare il prossimo anche solo con un atteggiamento di ascolto, di servizio, di disponibilità. Quanto importante […] è cercare di essere l’amore accanto a ciascuno! Troveremo la via diritta per entrare nel suo cuore e sollevarlo” (4).

«E tutto ciò che fate, fatelo con amore».

Questa Parola ci insegna ad accostarci agli altri con rispetto, senza falsità, con creatività, dando spazio alle loro migliori aspirazioni, perché ognuno porti il proprio contributo al bene comune.

Ci aiuta a valorizzare ogni occasione concreta della nostra vita quotidiana: “[…] dai lavori di casa o dei campi e dell’officina, al disbrigo delle pratiche d’ufficio, ai compiti di scuola, come alle responsabilità in campo civile, politico e religioso. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso” (5). Potremmo immaginare un mosaico di Vangelo vissuto nella semplicità.

Due genitori scrivono: “Quando una vicina, angosciata, ci ha detto che suo figlio era in prigione, abbiamo accettato di andare a fargli visita. Abbiamo digiunato il giorno prima di andare, sperando di avere la grazia di dirgli la cosa giusta. Poi abbiamo pagato la cauzione per farlo rilasciare” (6).

Un gruppo di giovani di Buea (Camerun sud-occidentale) ha organizzato una raccolta di beni e di fondi per aiutare gli sfollati interni a causa della guerra in corso (7). Hanno fatto visita a un uomo che ha perso un braccio durante la fuga. Convivere con questa disabilità è diventato per lui una grande sfida, perché le sue abitudini sono cambiate drasticamente. “Ci ha detto che la nostra visita gli ha donato speranza, gioia e fiducia. Ha sentito l’amore di Dio attraverso di noi”, ha raccontato Regina. Aggiunge Marita: “Dopo quest’esperienza, sono davvero convinta che nessun dono sia troppo piccolo se fatto con amore… Non c’è bisogno d’altro: è l’amore che muove il mondo. Sperimentiamolo!”

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita

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1 Per questo mese, la Parola di Vita che proponiamo è la stessa che un gruppo di cristiani di varie Chiese della Germania, ha scelto di vivere lungo tutto l’anno.
2 Cf. Sal 119 [118], 105.
3 Cf. cap. 13
4 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 791-792.
5 Ibid. p. 792.
6 S. Pellegrini, G. Salerno e M. Caporale, Famiglie in azione. Un mosaico di vita, Città Nuova 2022, pp.70-71.
7 testo adattato dal sito https://www.unitedworldproject.org/workshop/camerun-condividere-con-gli-sfollati/.




Gennaio 2024

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso» (Lc 10,27).

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (1) offre quest’anno come spunto di riflessione la frase sopracitata che trova la sua origine nell’Antico Testamento (2). Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù viene fermato da un dottore della legge che gli chiede: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?(3).

Si apre così un dialogo e Gesù risponde con una contro-domanda: “Che cosa sta scritto nella Legge?”(4), facendo suscitare la risposta all’interlocutore stesso: l’amore per Dio e l’amore per il prossimo nel loro insieme sono considerati la sintesi della Legge e dei Profeti.

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso».

“E chi è il mio prossimo?”, continua il dottore della legge. Il Maestro risponde raccontando la parabola del buon samaritano. Egli non elenca le varie tipologie di persone che possono rappresentare il prossimo ma descrive l’atteggiamento di profonda compassione che deve animare qualunque nostra azione. Siamo noi stessi che dobbiamo farci “prossimi” degli altri.

La domanda da farci è: “E io, di chi sono prossimo?”. Proprio come ha fatto il samaritano, occorre prenderci cura dei fratelli dei quali conosciamo le necessità, lasciarci coinvolgere fino in fondo nelle situazioni che si presentano senza alcun timore, avere un amore che si preoccupa di aiutare, sostenere, incoraggiare tutti.

Occorre vedere nell’altro un altro sé e fare all’altro quello che si farebbe a sé stessi. È la cosiddetta “regola d’oro” che ritroviamo in tutte le religioni. Gandhi la spiega in modo efficace: “Tu e io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi io stesso”(5).

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso».

“Se noi rimaniamo indifferenti o rassegnati di fronte alle necessità del nostro prossimo, sia sul piano dei beni materiali come dei beni spirituali, non possiamo dire di amare il prossimo come noi stessi. Non possiamo dire di amarlo come lo ha amato Gesù. In una comunità, la quale voglia ispirarsi all’amore che ci ha insegnato Gesù, non può esserci posto per le disuguaglianze, i dislivelli, le emarginazioni, le trascuratezze. […] Fintanto che noi vediamo nel nostro prossimo l’estraneo, colui che disturba la nostra quiete, che scompiglia i nostri progetti, non potremo dire di amare Dio con tutto il nostro cuore”(6).

«Amerai il Signore Dio tuo… e il tuo prossimo come te stesso».

La vita è quello che ti succede nel momento presente. Accorgerci di chi ti sta accanto, saper ascoltare l’altro può aprire squarci interessanti e mettere in moto iniziative non previste. Così è successo a Victoria:

“In chiesa mi ha colpito la bellissima voce di una donna africana seduta accanto a me. Mi sono congratulata, incoraggiandola a unirsi al coro della parrocchia. Ci fermiamo a parlare. È una religiosa della Guinea Equatoriale di passaggio a Madrid. Nel suo istituto accolgono neonati, bambini e bambine abbandonati, che accompagnano fino all’età adulta attraverso gli studi universitari o insegnando un mestiere. Il laboratorio di sartoria è ben avviato ma le macchine da cucire non sono sufficienti. Mi offro di aiutarla a trovare altre macchine, fidandomi di Gesù, sicura che ci ascoltava e mi spingeva ad amare senza far calcoli. Uno dei miei amici conosce un artigiano, felice di partecipare a questa catena d’amore. Provvede a riparare otto macchine e ne trova anche una per stirare. Una coppia di amici si offre di portarle fino a Madrid, cambiando destinazione ai loro due giorni di vacanza e percorrendo quasi 1000 chilometri. Così, le “macchine della speranza”, attraverso un lungo viaggio via terra e via mare, arrivano fino a Malabo. Dalla Guinea non riescono a crederci! I loro messaggi dicono solo gratitudine!”.

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1 Essa si celebra in tutto l’emisfero nord dal 18 al 25 gennaio e nell’emisfero sud nella settimana di Pentecoste. I testi della preghiera di quest’anno sono stati preparati da un team ecumenico del Burkina Faso.
2 Cf. Dt 6,4-5 e Lv 19,18.
3 Lc 10,25.
4 Lc 10,26.
5 C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p. 24.
6 C. Lubich, Parola di Vita di novembre 1985, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 340-341.




Dicembre 2023

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1Ts 5,16-18).

Paolo scrive ai Tessalonicesi quando erano ancora vivi molti dei contemporanei di Gesù che lo avevano visto e ascoltato, testimoni della tragedia della sua morte e dello stupore della sua risurrezione e poi della sua ascensione. Riconoscevano l’orma lasciata da Gesù e si aspettavano il suo imminente ritorno. Paolo amava la comunità di Tessalonica, esemplare per la vita, la testimonianza e i frutti e scrive loro questa lettera, scongiurandoli che venga letta a tutti (5,27). In essa annota delle raccomandazioni per mantenersi «imitatori nostri e del Signore» (1,6) e che riassume così:

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi»

Il filo conduttore di queste pressanti esortazioni non è solo il che cosa Dio si aspetta da noi, ma il quando: ininterrottamente, sempre, costantemente. Si può, però, comandare la gioia? Che la vita ci assalga con problemi e preoccupazioni, con sofferenze e angosce, che la realtà sociale si mostri arida e inospitale è esperienza di tutti. Eppure per Paolo c’è una ragione che potrebbe rendere possibile sempre “quella letizia” a cui allude. Egli parla ai cristiani e raccomanda loro di prendere la vita cristiana sul serio perché Gesù possa vivere in loro con quella pienezza promessa dopo la sua risurrezione. A volte possiamo farne l’esperienza: Egli vive in chi ama e chiunque può addentrarsi nella via dell’amore con il distacco da sé, l’amore gratuito verso gli altri, accogliendo il sostegno degli amici, mantenendo viva la fiducia che «l’amore vince tutto» (1).

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

Dialogare tra fedeli di differenti religioni e persone di diverse convinzioni, porta a comprendere ancor più in profondità che pregare è un’azione profondamente umana; la preghiera costruisce la persona, la eleva. E come pregare ininterrottamente? «…non basta – scrive il teologo ortodosso Evdokimov – avere la preghiera, delle regole, delle abitudini; occorre diventare preghiera, essere preghiera incarnata, fare della propria vita una liturgia, pregare con le cose più quotidiane» (2).

E Chiara Lubich sottolinea che «si può amare (Dio) come figli, col cuore riempito dallo Spirito Santo di amore e di confidenza nel proprio Padre: quella confidenza che porta a parlare spesso con Lui, a dirgli tutte le nostre cose, i nostri propositi, i nostri progetti» (3).

C’è poi un modo accessibile a tutti per pregare sempre: fermarsi davanti ad ogni azione e mettere a fuoco l’intenzione con un “Per Te”. È una pratica semplice che trasforma dal di dentro le nostre attività e la nostra intera vita in una preghiera costante.

«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

In ogni cosa rendete grazie. È l’atteggiamento che sgorga libero e sincero dall’amore riconoscente verso Colui che, silenziosamente, sostiene e accompagna i singoli, i popoli, la storia, il cosmo. Con la gratitudine verso gli altri che camminano con noi e che ci rende consapevoli di non essere autosufficienti. Gioire, pregare e rendere grazie, tre azioni che ci avvicinano ad essere come Dio ci vede e ci vuole e che arricchiscono la nostra relazione con Lui. Nella fiducia che «il Dio della pace ci santifichi interamente» (4).

Ci prepareremo così a vivere più profondamente la gioia del Natale per fare migliore il mondo, per diventare tessitori di pace dentro noi stessi, nelle case, nei luoghi di lavoro, in mezzo alle piazze. Niente oggi è più necessario e urgente.

A cura di Victoria Gómez e del team della Parola di Vita

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1 P. Vergilius Maro/Virgilio/Virgil, Ecloga X.69; per un rendimento musicale si può vedere Gen Rosso, https://music.apple.com/es/album/lamore-vince-tutto-single/1595294067
2 P. Evdokimov, La preghiera di Gesù in La novità dello Spirito, Ed. Ancora, Milano 1997
3 C. Lubich, Conversazioni, Città Nuova, Roma 2019, p. 552.
4 1 Ts 5,23.




Novembre 2023

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre» (1Ts 5,5).

La luce ha da sempre simboleggiato la vita. Ogni giorno aspettiamo l’alba quale messaggera di un nuovo inizio. Il tema della luce è stato presente nelle storie dei popoli e nelle antiche religioni. La tradizione ebraica celebra la festa delle luci, Hanukkah, che ricorda la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme e la liberazione dai culti pagani. I musulmani accendono le candele nel giorno della nascita del profeta, Mawlid in arabo o Mevlid Kandili in turco.

La festa di Diwali, il cui nome significa serie di luci, originariamente una festa indù, viene celebrata anche da diverse religioni indiane per celebrare la vittoria del bene sul male. Per i cristiani Gesù Cristo è la luce che illumina le tenebre del mondo. Essa, dunque, è una realtà carica di un forte simbolismo, rappresenta una presenza del divino, un dono per l’umanità e per la terra.

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

Ma quali sono le caratteristiche dei figli del giorno? Una di esse è il “non appartenere alla notte, né alle tenebre”. La rinuncia al sonno, all’apatia sta nella decisione di rimanere a vegliare. È una scelta d’amore quella di abitare e di vivere pienamente il tempo.

L’invito pressante dell’apostolo rivolto alla comunità di Tessalonica è dunque quello di vigilare insieme, rinunciando ad ogni tipo di torpore e di indifferenza. In un tempo in cui l’umanità è particolarmente bisognosa di luce, coloro che non appartengono alla notte hanno il compito di illuminare le relazioni tra le persone, in un donarsi continuo per rendere visibile la presenza del Risorto con fede, amore e speranza, come scrive Paolo (cf. 1 Ts 5,8).

E ancora: occorre coltivare un rapporto più stretto e più vero con Dio, scavando nel nostro cuore, trovando momenti di dialogo attraverso la preghiera, mettendo in pratica la Sua parola che fa risplendere proprio questa luce.

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

A volte possiamo anche abituarci a vivere nell’oscurità del nostro cuore o accontentarci delle tante luci artificiali, delle varie promesse di felicità del mondo ma Dio ci chiama sempre a far splendere la Sua luce dentro di noi e a saper guardare le persone e gli avvenimenti con attenzione per cogliervi ricami luminosi.

Lo sforzo è quello di compiere continuamente una scelta che ci fa rinascere, la scelta di passare dall’oscurità alla luce. «Il cristiano non può sfuggire il mondo, nascondersi o considerare la religione un affare privato», scrive Chiara Lubich. «Egli vive nel mondo perché ha una responsabilità, una missione di fronte a tutti gli uomini: essere la luce che illumina. Anche tu hai questo compito, e se così non farai la tua inutilità è come quella del sale che ha perso il suo sapore o come quella della luce che è divenuta ombra (1). […] Il compito del cristiano è dunque lasciar trasparire questa luce che lo abita, essere il “segno” di questa presenza di Dio fra gli uomini»(2).

«Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre».

Dio è luce e può essere trovato da coloro che lo cercano con cuore sincero. Qualsiasi cosa accada non saremo mai separati dal Suo amore perché siamo Suoi figli. Se siamo sicuri di questo non resteremo sorpresi né schiacciati dagli avvenimenti che ci potranno sconvolgere.

Il terremoto di quest’anno in Turchia e Siria, che ha provocato più di 50 mila vittime, ha stravolto la vita di milioni di persone. Coloro che sono sopravvissuti alla catastrofe, intere comunità del luogo e di altri paesi hanno rappresentato dei punti di luce che si sono adoperati per portare aiuti immediati e dare sollievo a quanti hanno perso affetti, case, tutto.

Le tenebre non potranno mai sopraffare quanti scelgono di vivere nella luce e per generare luce. Questo per noi cristiani significa una vita con Cristo in mezzo a noi, presenza che rende possibile aprire squarci di vita, che ridona speranza, che continua a farci abitare nell’amore di Dio.

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1 Cf. Mt 5,13-16.
2 C. Lubich, Parola di Vita agosto 1979, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 145-146.




Ottobre 2023

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21).

Gesù è entrato in Gerusalemme, acclamato dal popolo come “Figlio di Davide”, un titolo regale che il vangelo di Matteo attribuisce al Cristo, venuto a proclamare imminente l’avvento del Regno di Dio.

In questo contesto, si svolge un singolare dialogo tra Gesù e un gruppo di persone che lo interrogano. Alcuni sono erodiani, altri sono farisei, due gruppi di opinione diversa rispetto al potere dell’imperatore romano: gli chiedono se giudica lecito o no pagare le tasse all’imperatore, per costringerlo a schierarsi pro o contro Cesare e avere comunque di che accusarlo.

Ma Gesù risponde con un’altra domanda, riguardo quale sia l’effigie impressa sulla moneta corrente. Poiché l’effigie è quella dell’imperatore, risponde:

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Ma cosa è dovuto a Cesare e cosa a Dio?

Gesù richiama al primato di Dio: infatti, come sulla moneta romana è impressa l’immagine dell’imperatore, così in ogni persona umana è impressa l’immagine di Dio.

La stessa tradizione rabbinica afferma che ogni uomo è creato a immagine di Dio (1), usando l’esempio dell’immagine impressa sulle monete: “Quando un uomo conia delle monete con lo stesso suo stampo, sono tutte simili, ma il re dei re, il Santo che sia benedetto, ha coniato ogni uomo con lo stesso suo stampo del primo uomo, e nessuno è uguale al suo compagno”(2).

A Dio solo, dunque, possiamo dare tutti noi stessi, a Lui solo apparteniamo ed in Lui troviamo libertà e dignità. Nessun potere umano può pretendere la stessa fedeltà.

Se c’è qualcuno che conosce Dio e può aiutarci a dare a Lui il giusto posto, questo è ancora Gesù. Per lui: «[…] amare ha significato compiere la volontà del Padre, mettendo a disposizione la mente, il cuore, le energie, la vita stessa: si è dato tutto al progetto che il Padre aveva su di Lui. Il Vangelo ce lo mostra sempre e totalmente rivolto verso il Padre […]. Anche a noi chiede lo stesso: amare significa fare la volontà dell’Amato, senza mezze misure, con tutto il nostro essere. […] Ci è chiesta, in questo, la più grande radicalità, perché a Dio non si può dare meno di tutto: tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente» (3).

“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.

Quante volte ci troviamo di fronte a dilemmi, scelte difficili che rischiano di farci scivolare nella tentazione di facili scappatoie. Anche Gesù è messo alla prova di fronte a due soluzioni ideologiche, ma per lui è chiaro: la priorità è la venuta del regno di Dio, con il primato dell’amore. Lasciamoci interrogare da questa Parola: il nostro cuore è conquistato dalla notorietà, dalla carriera fulminante; ammira le persone di successo, i vari influencers? Diamo forse alle cose il posto che spetta a Dio?

Con la sua risposta, Gesù propone un salto di qualità, invitandoci ad un discernimento serio e approfondito sulla nostra scala di valori. Nel profondo della coscienza possiamo ascoltare una voce, talvolta sottile e forse sovrastata da altre voci. Ma possiamo riconoscerla: è quella che ci spinge ad essere cercatori instancabili di vie di fraternità e ci incoraggia sempre a rinnovare questa scelta, anche a costo di andare controcorrente.

È un esercizio fondamentale per costruire le basi di un autentico dialogo con gli altri, per trovare insieme risposte adeguate alla complessità della vita. Ciò non significa sottrarsi alla responsabilità personale nei confronti della società, ma piuttosto offrirsi ad un servizio disinteressato al bene comune.

Durante la prigionia che lo porterà all’esecuzione per la sua resistenza civile al nazismo, Dietrich Bonhoeffer scrive alla fidanzata: «Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra, malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura. Il nostro matrimonio deve essere un sì alla terra di Dio, deve rafforzare in noi il coraggio di operare e di creare qualcosa sulla terra. Temo che i cristiani che osano stare sulla terra con un piede solo, staranno con un piede solo anche in cielo» (4).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita

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1 Cf. Gen 1,26.
2 Mishnà Sanhedrin 4,5.
3 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 2002, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 669-6704

4 Dietrich Bonhoeffer, Maria von Wedemeyer, Lettere alla fidanzata, Cella 92, Queriniana, Brescia 1992, 48.




Settembre 2023

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre” (Sal 145 [144],2).

La parola della Scrittura che ci viene proposta in questo mese per aiutarci nel nostro cammino è una preghiera. È un versetto tratto dal Salmo 145. I Salmi sono composizioni nelle quali si rispecchia l’esperienza religiosa individuale e collettiva del popolo di Israele nel suo percorso storico e nelle varie vicissitudini della sua esistenza. La preghiera fatta poesia sale al Signore come lamento, supplica, ringraziamento e lode. In questo respiro c’è tutta la varietà di sentimenti e atteggiamenti con cui l’uomo esprime la sua vita e il suo rapporto con il Dio vivente.

Il tema di fondo del salmo 145 è la regalità di Dio. Il salmista, sulla base dalla sua esperienza personale, esalta la grandezza di Dio: “Grande è il Signore e degno di ogni lode” (v. 3); magnifica la sua bontà e l’universalità del suo amore: “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (v. 9); riconosce la sua fedeltà: “Fedele è il Signore in tutte le sue parole” (v. 13b), e arriva a coinvolgere ogni essere vivente in un canto cosmico: “Benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre” (v. 21).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

L’uomo moderno, tuttavia, si sente a volte smarrito con l’impressione di essere abbandonato a sé stesso. Teme che le vicende delle sue giornate siano dominate dal caso, in un succedersi di eventi privi di significato e di traguardo.

Questo salmo è portatore di un rassicurante annuncio di speranza: «Dio è creatore del cielo e della terra, è custode fedele del patto che lo lega al suo popolo, è Colui che fa giustizia nei confronti degli oppressi, dona il pane che sostiene gli affamati e libera i prigionieri. È Lui ad aprire gli occhi ai ciechi, a rialzare chi è caduto, ad amare i giusti, a proteggere lo straniero, a sostenere l’orfano e la vedova» […] (1).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

Questa parola ci invita innanzitutto a curare il nostro rapporto personale con Dio accogliendo, senza riserve, il suo amore e la sua misericordia e mettendoci davanti al mistero in ascolto della sua voce. In questo consiste il fondamento di ogni preghiera. Ma poiché questo amore non è mai disgiunto da quello per il prossimo, quando imitiamo Dio Padre nell’amare concretamente ogni fratello e sorella, in particolare gli ultimi, gli scartati, i più soli, giungiamo a percepire nel quotidiano la sua presenza nella nostra vita. Chiara Lubich, invitata a donare il suo vissuto cristiano ad un’assemblea di buddisti, lo riassumeva così: «… il cuore della mia esperienza è tutto qui: più si ama l’uomo, più si trova Dio. Più si trova Dio, più si ama l’uomo» (2).

“Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre”.

Ma c’è un’altra via per trovarlo. Negli ultimi decenni l’umanità ha acquisito nuova consapevolezza del problema ecologico. Motore di questo cambio sono, in particolare, i giovani che propongono uno stile di vita più sobrio con un ripensamento dei modelli di sviluppo, un impegno per il diritto di tutti gli abitanti del pianeta ad avere acqua, cibo, aria pulita, e una ricerca di fonti di energia alternative. In questo modo l’essere umano può non solo recuperare il rapporto con la natura ma anche lodare Dio avendo scoperto con stupore la sua tenerezza verso tutta la creazione.

È l’esperienza di Venant M. che, da bambino, nel suo Burundi natale si svegliava all’albeggiare con il canto degli uccelli e percorreva, nella foresta, decine di chilometri per andare a scuola; si sentiva in piena sintonia con gli alberi, gli animali, i ruscelli, le colline e con i propri compagni. Avvertiva la natura vicina anzi, si sentiva parte viva di un ecosistema in cui creature e Creatore erano in totale armonia. Questa consapevolezza diventava lode, non di un momento, ma proprio di tutta la giornata.

Qualcuno potrebbe chiedersi: e nelle nostre città? «Nelle nostre metropoli di cemento, costruite dalla mano dell’uomo tra il frastuono del mondo, raramente la natura si è salvata. Eppure, se vogliamo, basta uno squarcio di cielo azzurro scorto fra le cime dei grattacieli, per ricordarci Dio; basta un raggio di sole, che non manca di penetrare nemmeno fra le sbarre d’una prigione; basta un fiore, un prato, il volto di un bambino…» (3).

A cura di Augusto Parody Reyes e del team della Parola di Vita

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1 Giovanni Paolo II. Udienza Generale, 2 luglio 2003, commento al Salmo 145.
2 M. Vandeleene, Io, il fratello, Dio nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova, Roma 1999, p. 252

3 C. Lubich, Conversazioni, in collegamento telefonico, a cura di Michel Vandeleene (Opere di Chiara Lubich 8.1; Città Nuova, Roma 2019) p. 340.




Agosto 2023

“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri” (Mt 15,28). (1)

Gesù si dirige verso la regione di Tiro e Sidone, in terra straniera. Pare che cercasse con i suoi un po’ di riposo finalmente, e forse anche solitudine, silenzio, preghiera, rifugio. All’improvviso giungono loro le grida di una donna, che, come altri personaggi nei vangeli, non ha nome. La sua presenza disturba e dà fastidio ai discepoli, che «implorano» Gesù di esaudirla per liberarsene: «ci viene dietro gridando».

La donna non si blocca per il fatto di non essere israelita, né di essere donna, né perché il Maestro la ignori. È una madre, disperata per la figlia «molto tormentata da un demonio». Avvicina Gesù con la tenacia di volere un incontro personale con lui, e riesce a «prostrarsi dinanzi» al Maestro mentre insiste nella sua richiesta di aiuto. Gesù le rivolge parole di una durezza inaudita: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini».

“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”.

La donna accetta il diniego; comprende che il suo mondo non fa parte della missione primaria di Gesù; assume che il suo Dio non è una macchina distributrice di grazie, ma un padre che chiede un rapporto secondo verità che passa dal riconoscere anche la propria personale povertà. Questa donna, consapevole di ciò, guarda Gesù negli occhi: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Mette Gesù – per così dire – con le spalle al muro, e lui si lascia commuovere dall’umiltà di chi si accontenta delle briciole. Persino le sue grida sembrano esprimere una fede e lo chiama «Signore, Figlio di David!».

“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”.

La sua grande fede viene scolpita nei vangeli da alcuni verbi: la donna esce e va verso Gesù; grida; piange; domanda pietà; lo riconosce Signore e gli si prostra innanzi; mantiene intatta la tenacia e la certezza che per il Signore l’impossibile è possibile; risponde alla durezza di Gesù con una logica impeccabile. Amore materno e fiducia sono i suoi punti di forza. «E da quell’istante sua figlia fu guarita».

Questa Parola è la fotografia della fede viva e operativa in una persona. E, al contempo, mostra il travaglio ed il cammino della prima comunità cristiana, a cui Matteo si rivolge, nell’aprirsi al mondo non ebraico, che è alla ricerca e ospita grande fede.

“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”.

Come per la donna sirofenicia «anche la nostra fede può essere messa in crisi da una difficoltà improvvisa, da un evento imprevisto che viene a sconvolgere i nostri progetti, da una grave malattia, dal prolungarsi di una situazione molto dolorosa» (2), e potremo aggiungere dalla non pace nel mondo, dalle ingiustizie strutturali, dal pianeta gravemente malato, da conflitti familiari e sociali…

E una delle nostre debolezze potrebbe essere la mancanza di perseveranza e di piena fiducia. «Dio permette che la nostra fede attraversi situazioni difficili e, a volte, assurde. Egli vuole purificarla, vuole vedere se noi sappiamo veramente abbandonarci in Lui, credendo che il suo amore è molto più grande dei nostri progetti, desideri o attese» (3).

È successo a Saliba. Anche lui pareva costretto ad abbandonare la sua città, Homs (Siria), e i suoi anziani genitori. Il negozio del padre, vetraio, era rimasto distrutto durante la guerra in una città sventrata. Come altri giovani, Saliba pensava di doversi costruire nuove opportunità altrove, ma non si è arreso. Con i suoi 22 anni e la caparbietà di chi non rinuncia a dare il proprio contributo al suo popolo ferito, ha colto l’occasione che gli è stata offerta dal progetto RestarT (4) per aprire il suo minimarket, dove i suoi concittadini troveranno formaggi, yogurt e burro realizzati artigianalmente dalla mamma, oltre a legumi, oli, spezie, caffè. Conta già su un frigorifero e un generatore di corrente. Con a suo fianco l’anziano padre, nei giorni in cui il minimarket sarà chiuso, distribuirà cestini di cibo tra famiglie senza risorse (5).

A cura di Victoria Gómez e del team della Parola di Vita

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1 Dal 1° al 6 di agosto 2023 si svolgerà a Lisbona la XXXVII Giornata Mondiale della Gioventù. Il tema evangelico scelto per l’incontro è: “Maria si alzò e andò in fretta” (Lc 1,39). Nel suo Messaggio di invito ai giovani, papa Francesco spiega: «La Madre del Signore è modello dei giovani in movimento, non immobili davanti allo specchio a contemplare la propria immagine o ‘intrappolati’ nelle reti. Lei è tutta proiettata verso l’esterno». E augura che la GMG sia un momento per ritrovare insieme «la gioia dell’abbraccio fraterno tra i popoli e tra le generazioni, l’abbraccio della riconciliazione e della pace, l’abbraccio di una nuova fraternità missionaria».

2 Cf. C. Lubich, Parola di Vita di giugno 1994, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 550.
3 Ibid.
4 https://www.amu-it.eu/progetti-int/restart-ripartire-per-restare/



Luglio 2023

“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,42).

L’evangelista Matteo è uno scriba cristiano molto istruito; conosce a fondo le promesse del Dio di Israele e per lui le parole e le azioni di Gesù ne sono il compimento. Per questo, nel suo vangelo ne presenta l’insegnamento in forma di cinque grandi discorsi, come nuovo Mosè.

Questa Parola di vita conclude il “discorso missionario”, che inizia con l’elezione dei dodici apostoli e indica le esigenze della predicazione: le incomprensioni e le persecuzioni che incontreranno richiedono una testimonianza credibile, anche attraverso scelte radicali.

Ma c’è di più: Gesù rivela che l’invio dei discepoli ha la sua radice nella missione che egli stesso ha ricevuto dal Padre. Una convinzione già viva nell’Antico Testamento: nel messaggero di Dio è Dio stesso che si fa presente, che si impegna. È dunque l’amore stesso di Dio che, attraverso la testimonianza di Gesù e di coloro che Gesù invia, raggiunge a cascata ogni persona.

“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

Oltre alla missione specifica di alcuni: gli apostoli, i pastori, i profeti … Gesù annuncia che ogni cristiano può essere suo discepolo, allo stesso tempo destinatario e portatore della missione. E come discepoli, tutti noi, anche se “piccoli”, apparentemente privi di qualità o titoli speciali, siamo abilitati a testimoniare la vicinanza di Dio. È l’intera comunità cristiana ad essere inviata all’umanità dal Padre di tutti.

Tutti abbiamo ricevuto attenzione, cura, perdono, fiducia da Dio attraverso i fratelli; tutti possiamo dare qualcosa agli altri, per far sperimentare loro la tenerezza del Padre, come ha fatto Gesù durante la sua missione. È in questa radice, nel Padre, la garanzia che le cosiddette “piccole cose” possono cambiare il mondo. Fosse pure soltanto un bicchiere d’acqua fresca.

«Non conta se possiamo dare molto o poco. L’importante è il “come” doniamo, quanto amore mettiamo anche in un piccolo gesto di attenzione verso l’altro. A volte basta offrirgli un bicchiere d’acqua, un bicchiere d’acqua “fresca” […] gesto semplice e grande agli occhi di Dio se compiuto nel Suo nome, ossia per amore. […] La Parola di vita di questo mese potrà aiutarci a riscoprire il valore di ogni nostra azione: dai lavori di casa o dei campi e dell’officina, al disbrigo delle pratiche d’ufficio, ai compiti di scuola, come alle responsabilità in campo civile, politico e religioso. Tutto può trasformarsi in servizio attento e premuroso. L’amore ci darà occhi nuovi per intuire ciò di cui gli altri hanno bisogno e per venire loro incontro con creatività e generosità. Il frutto? I doni circoleranno, perché l’amore chiama amore. La gioia si moltiplicherà perché “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (1)»(2).

“Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”.

Ciò che Gesù ci chiede è molto esigente: non arrestare il flusso dell’amore di Dio. Ci chiede di raggiungere ogni uomo e ogni donna, con il cuore aperto e il servizio concreto, superando le nostre categorie ed i nostri giudizi.

Egli vuole la nostra collaborazione attiva, creativa e responsabile per il bene comune, a partire dalle piccole cose di ogni giorno, ma allo stesso tempo non mancherà di ricompensarci: sarà sempre al nostro fianco, per prendersi cura di noi e accompagnarci nella missione.

“[…] Ho lasciato il mio lavoro nelle Filippine e sono andato in Australia per stare con la mia famiglia […] ho trovato lavoro in un cantiere edile come addetto alle pulizie delle sale da pranzo, degli spogliatoi, degli uffici e della mensa utilizzati da più di 500 operai. Un lavoro completamente diverso da quello che avevo prima come ingegnere […] Per amore degli altri mi assicuro che le sale da pranzo siano sempre pulite ed ordinate. Tuttavia, ci sono persone che non si preoccupano della pulizia […]. Non ho perso la pazienza perché per me è un’opportunità per amare Gesù in ogni persona che incontro. Piano piano, queste persone hanno cominciato a pulire dopo aver pranzato e poi col tempo siamo diventati amici e ho cominciato a guadagnare fiducia e rispetto da parte loro, […] Ho fatto l’esperienza che l’amore è contagioso e tutto quello che è fatto per amore rimane” (3).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita

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1 At 20,35.
2 C. Lubich Parola di Vita ottobre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 792-793.
3 A cura di S. Pellegrini, G. Salerno, M. Caporali, Famiglie in azione – Un mosaico di vita, Città Nuova 2022, p. 55.




Giugno 2023

“Siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi” (2Cor 13,11).

L’apostolo Paolo ha seguito con amore lo sviluppo della comunità cristiana nella città di Corinto; l’ha visitata e sostenuta in momenti difficili.

Ad un certo punto però, con questa lettera, deve difendere se stesso da accuse di altri predicatori, per i quali lo stile di Paolo era discutibile: non si faceva retribuire per il suo lavoro missionario, non parlava secondo i canoni dell’eloquenza, non si presentava con lettere di raccomandazione a sostegno della sua autorità, proclamava di comprendere e vivere la propria debolezza alla luce dell’esempio di Gesù.

Eppure, nel concludere la lettera, Paolo consegna ai Corinti un appello pieno di fiducia e di speranza:

“Siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi”.

La prima caratteristica che balza agli occhi è che le sue esortazioni sono rivolte alla comunità nel suo insieme, come luogo in cui si può sperimentare la presenza di Dio. Tutte le fragilità umane che rendono difficile la comprensione reciproca, la comunicazione leale e sincera, la concordia rispettosa delle diversità di esperienze e di pensiero, possono essere sanate dalla presenza del Dio della pace.

Paolo suggerisce alcuni comportamenti concreti e coerenti alle esigenze dal vangelo: tendere alla realizzazione del progetto di Dio su ciascuno e su tutti, come fratelli e sorelle; rimettere in circolo lo stesso amore consolante di Dio che abbiamo ricevuto; prendersi cura gli uni degli altri, condividendo le aspirazioni più profonde; accogliersi a vicenda, offrendo e ricevendo misericordia e perdono; alimentare la fiducia e l’ascolto.

Sono scelte affidate alla nostra libertà, che talvolta richiedono il coraggio di essere “segno di contraddizione” nei confronti della mentalità corrente.

Per questo, l’apostolo raccomanda anche di incoraggiarsi a vicenda in questo impegno. Ciò che vale per lui è custodire e testimoniare nella gioia il valore inestimabile dell’unità e della pace, nella carità e nella verità. Tutto, sempre, fondato sulla roccia dell’amore incondizionato di Dio che accompagna il suo popolo.

“Siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi”.

Per vivere questa Parola di vita, guardiamo anche noi, come Paolo, all’esempio e ai sentimenti di Gesù, venuto a portarci una pace tutta sua (1). Essa infatti «[…] non è soltanto assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. […]: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale della persona, è libertà, è fraternità nell’amore fra tutti i popoli. […] E cosa ha fatto Gesù per donarci la “sua” pace? Ha pagato di persona. […] Si è messo in mezzo ai contendenti, si è fatto carico degli odi e delle separazioni, ha abbattuto i muri che separavano i popoli (2). […]

Anche a noi la costruzione della pace richiede un amore forte, capace di amare perfino chi non contraccambia, capace di perdonare, di superare la categoria del nemico, di amare la patria altrui come la propria. […] Essa ancora esige da noi cuore e occhi nuovi per amare e vedere in tutti altrettanti candidati alla fratellanza universale. […] “Il male nasce dal cuore dell’uomo”, scriveva Igino Giordani, e “per rimuovere il pericolo della guerra occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egoismo dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza(3).»(4).

Bonita Park è un quartiere di Hartswater, cittadina agricola in Sudafrica. Come nel resto del Paese, persistono gli effetti ereditati dal regime dell’Apartheid, soprattutto in ambito educativo: le competenze scolastiche dei giovani appartenenti ai gruppi neri e meticci sono assai inferiori a quelle degli altri gruppi etnici, con il conseguente rischio di emarginazione sociale.

Il progetto “The Bridge” nasce per creare una mediazione tra i diversi gruppi etnici del quartiere colmando le distanze e le differenze culturali, con la creazione di un programma di dopo scuola e un piccolo spazio in comune: un luogo d’incontro tra culture diverse, per bambini e ragazzi. La comunità dimostra una grande voglia di lavorare insieme: Carlo ha offerto il suo vecchio camioncino per andare a prendere il legname con cui sono stati fabbricati i banchi e il preside della scuola elementare più vicina scaffali, quaderni e libri, mentre la Chiesa Riformata Olandese ha donato cinquanta sedie. Ognuno ha fatto la sua parte per rendere ogni giorno più saldo questo ponte tra culture ed etnie (5).

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita
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1 Cf. Gv 14, 27
2 Cf. Ef 2, 14-18.
3 L’inutilità della guerra, Roma 2003, 2a edizione, p. 111.
4 C. Lubich, Parola di Vita gennaio 2004, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 709-710.




Maggio 2023

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10).

La parola di vita di questo mese è tratta dalla ricchissima lettera di Paolo apostolo ai Romani. Egli presenta la vita cristiana come una realtà dove sovrabbonda l’amore, un amore gratuito e sconfinato che Dio ha riversato nei nostri cuori e che noi doniamo a nostra volta agli altri. Per rendere più efficace il suo significato egli inserisce due concetti in un’unica parola, “philostorgos”, che racchiude due caratteristiche particolari dell’amore che contraddistinguono la comunità cristiana: l’amore tra amici e quello familiare.

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.

Soffermiamoci in particolare sull’aspetto della fraternità e della reciprocità. Come scrive Paolo, gli appartenenti della comunità cristiana si amano perché sono membra gli uni degli altri (12,5), sono fratelli che hanno come unico debito l’amore (13,8), si rallegrano con chi è nella gioia e piangono con chi è nel pianto (12,15), non giudicano e non sono causa di scandalo (14,13).

La nostra esistenza è strettamente legata a quella degli altri e la comunità è la testimonianza viva della legge dell’amore che Gesù ha portato sulla terra. È un amore esigente che arriva fino al punto di dare la vita gli uni per gli altri. È un amore concreto, colorato da mille espressioni, che vuole il bene dell’altro, la sua felicità. Esso fa sì che i fratelli raggiungano la loro piena realizzazione, che facciano a gara nell’apprezzare ciascuno le qualità dell’altro. È un amore che guarda alle necessità di ognuno, che fa di tutto per non lasciare indietro nessuno, che ci rende responsabili e attivi nell’ambito della vita sociale, culturale, nell’impegno politico.

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.

«Guardando alle comunità del primo secolo vediamo che l’amore cristiano, che si estendeva indistintamente a tutti, aveva un nome, veniva chiamato filadelfia, che significa amore fraterno. Nella letteratura profana dell’epoca questo termine era adoperato per indicare l’amore tra fratelli di sangue. Non veniva mai usato per indicare i membri di una stessa società. Solo il Nuovo Testamento faceva eccezione» (1). Molti sono i giovani che hanno l’esigenza di avere «un rapporto più profondo, più sentito, più vero. E l’amore reciproco dei primi cristiani aveva tutte le caratteristiche dell’amore fraterno, per esempio quello della forza e dell’affetto» (2).

“Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.

Un tratto che contraddistingue gli appartenenti a queste comunità che vivono l’amore reciproco è che essi non si chiudono in loro stessi, ma sono pronti ad affrontare le sfide reali che si presentano all’interno del contesto nel quale si trovano ad operare.

J.K., serbo, di nazionalità ungherese, padre di tre figli può permettersi finalmente di acquistare un’abitazione ma a causa di un incidente non ha le risorse economiche e fisiche per ristrutturarla da solo. Così la comunità dei Focolari si mette in moto, concretizzando il progetto #daretocare (3) proposto dai Giovani per un Mondo Unito.

Egli racconta con entusiasmo la gara di solidarietà che è scattata nel sostenerlo concretamente: «Sono venuti in tanti ad aiutarmi, in tre giorni abbiamo potuto rifare il tetto e sostituire i soffitti in terra e paglia con quelli in cartongesso». Ai lavori di ristrutturazione hanno contribuito economicamente anche alcune persone della Repubblica Ceca. Un gesto che ha reso visibile la comunità allargata, andando anche al di là delle distanze (4).

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1 C. Lubich, Colloqui con i gen, Città Nuova, Roma 1999, p. 58
2 Ibid.

3 Osare prendersi cura.
4 Tratto e riadattato dall’articolo “Serbia: costruire una casa, per essere casa”, www.unitedworldproject.org

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Aprile 2023

«Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,2).

Erano appena nate le prime comunità cristiane e già sorgevano dei contrasti dovuti a false interpretazioni del messaggio evangelico. Paolo, che si trovava in prigione, viene a conoscenza di questi problemi a Colosse e così scrive a questa comunità.

Si può comprendere meglio la Parola di Vita di questo mese se viene letta all’interno del brano in cui si trova: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!» (1).

Per superare questi contrasti, Paolo invita a rivolgere il nostro pensiero, tutto il nostro essere a Cristo che è risorto. Infatti nel battesimo, siamo anche noi morti e risorti in Cristo. Possiamo vivere “nel già e non ancora” questa vita nuova.

«Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra».

Ovviamente questa possibilità non è ottenuta una volta per sempre, ma va continuamente ricercata in un cammino impegnativo che dura l’intera esistenza. Significa puntare verso l’alto la nostra vita. Cristo ha portato infatti sulla terra la vita del cielo e la sua Pasqua è l’inizio della nuova creazione, di una umanità nuova. Sarebbe questa la logica conseguenza di chi sceglie di vivere il Vangelo: una scelta che cambia totalmente la nostra mentalità, rovescia l’ordine, le finalità che il mondo ci propone, ci libera dai condizionamenti facendoci sperimentare un mutamento radicale. In fondo Paolo non svaluta le “cose della terra” perché, da quando il cielo ha toccato la terra con l’Incarnazione del Figlio di Dio, tutto è stato rinnovato (2).

«Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra».

«Che cosa sono le “cose di lassù”?», scrive Chiara Lubich. «Quei valori che Gesù ha portato sulla terra e per i quali si distinguono i suoi seguaci. Sono l’amore, la concordia, la pace, il perdono, la correttezza, la purezza, l’onestà, la giustizia, ecc. Sono tutte quelle virtù e ricchezze che offre il Vangelo. Con esse e per esse i cristiani si mantengono nella loro realtà di risorti con Cristo. […] E come si fa a tenere il cuore ancorato al cielo, vivendo in mezzo al mondo? Lasciandoci guidare dai pensieri e dai sentimenti di Gesù il cui sguardo interiore era sempre rivolto al Padre e la cui vita rifletteva in ogni istante la legge del Cielo che è legge d’amore» (3).

«Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra».

La presenza dei cristiani nel mondo si apre coraggiosamente alla vita nuova della Pasqua. Sono donne e uomini nuovi che non sono del mondo (4) ma che vivono nel mondo con tutte le difficoltà presenti. Così si diceva dei primi cristiani: «Dimorano sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. […] Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani» (5).

La scelta coraggiosa e tutta evangelica di un operaio che decide di aiutare un suo collega appena licenziato, provoca a cascata una catena di gesti di fraternità mossi dalla sua testimonianza. «In fabbrica hanno distribuito delle lettere di licenziamento una delle quali indirizzata a Giorgio. Conoscendo le sue precarie condizioni economiche lo invito a tornare con me nell’ufficio del personale: “Io sto meglio di lui – dichiaro –, mia moglie ha un lavoro. Licenziate piuttosto me”. Il capo promette di riesaminare il caso. Quando usciamo, Giorgio mi abbraccia commosso. Il fatto naturalmente passa di bocca in bocca e altri due operai, pressappoco nelle stesse mie condizioni, si offrono al posto di altri due licenziati. La direzione è costretta a un ripensamento sui metodi di scelta dei licenziamenti. Essendo venuto a conoscenza del fatto, il parroco lo racconta durante l’omelia della domenica, senza fare nomi. Il giorno dopo mi fa sapere che due studentesse sono andate a portargli tutti i loro risparmi per gli operai in difficoltà, dichiarando: “Anche noi vogliamo imitare il gesto di quell’operaio”» (B. S. – Brasile) (6).

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di Vita

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1 Col 3,1-3.
2 Cf. 2Cor 5,17: “Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove”.
3 C. Lubich, Parola di Vita aprile 2001, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) pp. 640-641.
4 Cf. Gv 15,18-21.
5 A Diogneto 5,5-6,1, in I Padri Apostolici, a cura di A. Quacquarelli, Città Nuova, Roma 20012, pp. 356-357. 6 Esperienza tratta dal sito www.focolare.org.

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Marzo 2023

“Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5,8-9).

Paolo scrive alla comunità di Efeso, una città grande e imponente, dove aveva vissuto, battezzando ed evangelizzando. Probabilmente si trova a Roma, in prigione, nell’anno 62 circa. È in una situazione di sofferenza, eppure scrive a questi cristiani, non tanto per risolvere problemi della comunità, ma per annunciare loro la bellezza del disegno di Dio sulla Chiesa nascente.

Ricorda agli efesini che, per il dono del Battesimo e della fede, sono passati da “essere tenebra” ad “essere luce” e li incoraggia a comportarsi in modo coerente. Per Paolo, si tratta di percorrere un cammino, una continua crescita nella conoscenza di Dio e della sua volontà di amore, un ricominciare giorno per giorno.

Desidera quindi esortarli a vivere nel loro quotidiano secondo la chiamata che hanno ricevuto: essere “imitatori del Padre” (1) come “figli carissimi”: santi, misericordiosi.

“Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”.

Anche noi, cristiani del ventunesimo secolo siamo chiamati ad “essere luce”, ma possiamo sentirci inadeguati, condizionati dai nostri limiti o travolti dalle circostanze esterne. Come camminare con speranza, nonostante le tenebre e le incertezze che a volte sembrano dominarci? Paolo continua a incoraggiarci: è la Parola di Dio vissuta che ci illumina e ci rende capaci di “risplendere come astri” (2) in questa umanità smarrita.

“Come altro Cristo, ogni uomo e ogni donna può portare un contributo […] in tutti i campi dell’attività umana: nella scienza, nell’arte, nella politica. […] Se accogliamo la sua Parola ci sintonizziamo sempre più sui suoi pensieri, sui suoi sentimenti, sui suoi insegnamenti. Essa illumina ogni nostra attività, raddrizza e corregge ogni espressione della nostra vita. […] Il nostro “uomo vecchio” è sempre pronto a ritirarsi nel privato, a coltivare i piccoli interessi personali, a dimenticarsi delle persone che ci passano accanto, a rimanere indifferente davanti al bene pubblico, alle esigenze dell’umanità che ci circonda. Riaccendiamo dunque nel nostro cuore la fiamma dell’amore e avremo occhi nuovi per guardarci attorno” (3).

“Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”.

La luce del Vangelo, vissuto da singoli e comunità, porta speranza e rafforza legami sociali, anche quando calamità come il Covid causano dolore e aggravano le povertà.

Nelle Filippine, come racconta Jun, nel pieno della pandemia, una comunità è stata devastata dal fuoco e molte famiglie hanno perso tutto: “Anche se siamo poveri, mia moglie Flor ed io avevamo il forte desiderio di aiutare. Ho condiviso questa situazione con il gruppo di motociclisti di cui faccio parte, anche se sapevo che stavano soffrendo come noi. Questo non ha impedito ai miei amici di darsi da fare; abbiamo raccolto lattine di sardine, spaghetti, riso e altro cibo che abbiamo donato alle vittime degli incendi. Spesso, mia moglie ed io ci sentiamo scoraggiati al pensiero di cosa ci riserva il futuro, ma ci ricordiamo sempre della frase del Vangelo che dice: “Chi vuol salvare la sua vita la perderà, ma chi la perde per causa mia e del vangelo la troverà”. (4) Anche se non siamo ricchi, crediamo di aver sempre qualcosa da condividere per amore di Gesù nell’altro ed è questo amore che ci spinge a continuare a dare sinceramente e ad avere fiducia nell’amore di Dio”.

Si tratta quindi di lasciarsi illuminare nel profondo del cuore. I buoni frutti di questo cammino – bontà, giustizia e verità – sono graditi agli occhi del Signore e diventano testimonianza della vita buona del Vangelo, più di qualsiasi discorso.

E non dimentichiamo il sostegno che riceviamo da tutti quelli con cui condividiamo questo Santo Viaggio della vita. Il bene che riceviamo, il perdono reciproco che sperimentiamo, la condivisione di beni materiali e spirituali che possiamo vivere: tutti aiuti preziosi, che ci aprono alla speranza e ci rendono testimoni. Gesù ha promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del tempo” (5).

Egli, il Risorto, sorgente della nostra vita cristiana, è sempre con noi nella preghiera comune e nell’amore reciproco, a riscaldare il nostro cuore ed illuminare la nostra mente.

A cura di Letizia Magri e del team della Parola di vita

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1 Cf. Ef 5,1.
2 Cf. Fil 2,15.
3 Cf. C. Lubich, Parola di Vita settembre 2005, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 760.
4 Cf. Mc 8,35.
5 Cf. Mt 28,20.

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Febbraio 2023

«Tu sei il Dio che mi vede» (cf Gen 16,13).

Il versetto della Parola di vita di questo mese è tratto dal libro della Genesi. Le parole sono pronunciate da Agar, la schiava di Sara data in moglie ad Abramo, perché lei non poteva avere figli e assicurare una discendenza. Quando Agar aveva scoperto di essere incinta, si era sentita superiore alla sua padrona. I maltrattamenti ricevuti da parte di Sara l’avevano poi costretta a fuggire nel deserto. E proprio lì avviene un incontro unico tra Dio e la donna, che riceve una promessa di discendenza simile a quella fatta da Dio ad Abramo. Il figlio che nascerà sarà chiamato Ismaele, che significa “Dio ha ascoltato”, perché ha raccolto l’angoscia di Agar e le ha donato una stirpe.

«Tu sei il Dio che mi vede».

La reazione di Agar riflette l’idea comune nel mondo antico, che gli esseri umani non possono sostenere un incontro troppo ravvicinato con il divino. Agar rimane sorpresa e grata di essere sopravvissuta a ciò. Lei sperimenta l’amore di Dio proprio nel deserto, il luogo privilegiato dove si può fare l’esperienza di un incontro personale con Lui. Agar sente la Sua presenza e si sente amata da un Dio che l’ha “vista” in questa sua situazione dolorosa, un Dio che si preoccupa e che circonda d’amore le sue creature. «Non è un Dio assente, lontano, indifferente alle sorti dell’umanità, come alle sorti di ciascuno di noi. Tante volte lo sperimentiamo. Egli è qui con me, è sempre con me, sa tutto di me e condivide ogni mio pensiero, ogni gioia, ogni desiderio, porta assieme a me ogni preoccupazione, ogni prova della mia vita» (1).

«Tu sei il Dio che mi vede».

Questa Parola di Vita ravviva una certezza e ci dà conforto: non siamo mai soli nel nostro cammino, Dio c’è e ci ama. A volte, come Agar, ci sentiamo “stranieri” su questa terra, o cerchiamo delle vie per fuggire da situazioni pesanti e dolorose. Ma dobbiamo essere certi della presenza di Dio e del nostro rapporto con Lui che ci rende liberi, ci rassicura e ci permette sempre di ricominciare.

Questa è stata l’esperienza di P. che ha vissuto da sola il periodo della pandemia. Racconta: «Dall’inizio della chiusura totale nel nostro Paese di ogni attività sono da sola in casa. Non ho fisicamente accanto qualcuno con cui poter condividere questa esperienza e cerco di occupare la giornata come posso. Col passare dei giorni però mi scoraggio sempre di più. La sera faccio molta fatica ad addormentarmi. Mi sembra di non poter uscire più da questo incubo. Sento forte però che devo completamente affidarmi a Dio e credere nel suo amore. Non ho dubbi sulla Sua presenza che mi accompagna e mi conforta in questi mesi di solitudine. Da piccoli segnali che mi arrivano dai fratelli comprendo che non sono da sola. Come quella volta che festeggiando il compleanno on line di un’amica, mi arriva subito dopo una fetta di torta da parte della mia vicina di casa».

«Tu sei il Dio che mi vede».

Custoditi allora dalla presenza di Dio, possiamo essere anche noi messaggeri del Suo amore. Siamo infatti chiamati a vedere le necessità degli altri, a soccorrere i nostri fratelli nei loro deserti, a condividere le loro gioie e i loro dolori. Lo sforzo è quello di mantenere gli occhi aperti sull’umanità nella quale siamo anche noi immersi.

Possiamo fermarci e farci vicini a quanti sono alla ricerca di un senso e di una risposta ai tanti perché della vita: amici, familiari, conoscenti, vicini di casa, colleghi di lavoro, persone in difficoltà economiche e magari socialmente emarginate.

Possiamo ricordarci e condividere quei momenti preziosi dove abbiamo incontrato l’amore di Dio e abbiamo riscoperto il senso della nostra vita. Possiamo affrontare insieme le difficoltà e scoprire nei deserti che attraversiamo la presenza di Dio nella nostra storia, che ci aiuta a continuare con fiducia il cammino.

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di vita

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1 C. Lubich, Parola di Vita luglio 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 785

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Gennaio 2023

«Imparate a fare il bene, cercate la giustizia» (Is 1,17).

La parola di vita del mese di gennaio è tratta dal primo capitolo del profeta Isaia. Questa frase è stata scelta per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si celebra in tutto l’emisfero nord dal 18 al 25 gennaio. I testi sono stati preparati da un gruppo di cristiani del Minnesota, negli Stati Uniti (1). Il tema della giustizia è un argomento scottante. Le diseguaglianze, le violenze e i pregiudizi crescono sul terreno di una società che fa fatica nel testimoniare una cultura di pace e di unità.

E i tempi di Isaia non erano molto diversi dai nostri. Le guerre, le ribellioni, la ricerca della ricchezza, del potere, l’idolatria, l’emarginazione dei poveri avevano fatto smarrire la strada al popolo di Israele. Il profeta richiama con parole molto dure la sua gente a un cammino di conversione, indicando la strada per ritornare all’originario spirito dell’alleanza fatta da Dio con Abramo.

«Imparate a fare il bene, cercate la giustizia».

Cosa significa imparare a fare il bene? Occorre metterci nella disposizione di imparare. Richiede uno sforzo da parte nostra. Nel cammino di tutti i giorni abbiamo sempre qualcosa da comprendere, da migliorare, possiamo ricominciare se abbiamo sbagliato.

Cosa significa cercare la giustizia? Essa è come un tesoro che va cercato, desiderato, è la meta del nostro agire. Praticare la giustizia aiuta a imparare a fare il bene. È saper cogliere la volontà di Dio, che è il nostro bene.

Isaia offre degli esempi concreti. Le persone che Dio maggiormente preferisce, perché sono le più indifese, sono gli oppressi, gli orfani e le vedove. Dio invita il suo popolo a prendersi concretamente cura degli altri, soprattutto di chi non è in grado di far valere i propri diritti. Le pratiche religiose, i riti, i sacrifici, le preghiere non sono a Lui graditi se ad essi non corrisponde la ricerca e la pratica del bene e della giustizia.

«Imparate a fare il bene, cercate la giustizia».

Questa parola di vita ci spinge ad aiutare gli altri, ad avere uno sguardo attento, soccorrendo concretamente chi è nel bisogno. Il nostro cammino di conversione richiede di aprire il cuore, la mente, le braccia soprattutto verso coloro che soffrono.

«Il desiderio e la ricerca della giustizia sono da sempre inscritti nella coscienza dell’uomo, glieli ha messi in cuore Dio stesso. Ma nonostante le conquiste e i progressi compiuti lungo la storia, quanto è ancora lontana la piena realizzazione del progetto di Dio! Le guerre che anche oggi si combattono, così come il terrorismo e i conflitti etnici, sono il segno delle disuguaglianze sociali e economiche, delle ingiustizie, degli odi. […] Senza amore, rispetto per la persona, attenzione alle sue esigenze, i rapporti personali possono essere corretti, ma possono anche diventare burocratici, incapaci di dare risposte risolutive alle esigenze umane. Senza l’amore non ci sarà mai giustizia vera, condivisione di beni tra ricchi e poveri, attenzione alla singolarità di ogni uomo e donna e alla concreta situazione in cui essi si trovano» (2).

«Imparate a fare il bene, cercate la giustizia».

Vivere per il mondo unito è farsi carico delle ferite dell’umanità attraverso piccoli gesti che possono aiutare a costruire la famiglia umana.

Un giorno, J. dell’Argentina incontra casualmente il preside dell’istituto dove aveva insegnato e che con un pretesto lo aveva licenziato. Quando il preside lo riconosce, cerca di evitarlo, ma J. gli va incontro. Gli chiede sue notizie e il preside gli racconta le difficoltà di quell’ultimo periodo, che vive in un’altra città ed è in cerca di lavoro. J. si offre di aiutarlo e il giorno dopo diffonde tra i suoi conoscenti la notizia che sta cercando un lavoro per una persona. La risposta non tarda. Quando il preside riceve la notizia dell’offerta di un nuovo lavoro quasi non riesce a crederci! L’accetta, profondamente grato e commosso del fatto che proprio chi aveva un giorno licenziato si fosse interessato concretamente a lui. J. riceve poi il “centuplo” perché́ proprio in quel momento gli offrono due lavori che aveva sempre desiderato sin da quando aveva incominciato l’università. Anche lui stupito e toccato da questo amore concreto di Dio (3).

A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di vita

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1 A Minneapolis, città del Minnesota, nel 2020, è stato ucciso George Floyd. Da questo omicidio è partito un movimento per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale.
2 C. Lubich, Parola di Vita novembre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017) p. 795.
3 Tratto e riadattato da “Il Vangelo del giorno”, Città Nuova, anno VIII, n. 1, gennaio-febbraio 2022.

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Dicembre 2022

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna» (Is 26,4).

La Parola di vita che vogliamo vivere questo mese è tratta dal Libro del profeta Isaia, un testo ampio e ricco, molto caro anche alla tradizione cristiana. Esso, infatti, contiene pagine molto amate, come l’annuncio dell’Emmanuele, “il Dio con noi” (1) o anche la figura del Servo sofferente (2), che fa da sfondo ai racconti della passione e morte di Gesù.

Questo versetto è parte di un canto di ringraziamento che il profeta mette sulla bocca del popolo di Israele quando, superata la terribile prova dell’esilio, farà finalmente ritorno a Gerusalemme. Le sue parole aprono i cuori alla speranza, perché la presenza di Dio accanto ad Israele è fedele, incrollabile come la roccia; Egli stesso sosterrà ogni sforzo del popolo nella ricostruzione civile, politica e religiosa.

Mentre la città che si crede “eccelsa” verrà rasa al suolo (3), perché non costruita secondo il progetto d’amore di Dio, quella costruita sulla roccia della Sua vicinanza godrà di pace e prosperità.

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna».

Quanto è attuale questo bisogno di stabilità e di pace! Anche noi, personalmente e collettivamente, stiamo attraversando momenti oscuri della storia, che minacciano di schiacciarci sotto il peso dell’incertezza e della paura per il futuro.

Come fare per superare la tentazione di lasciarci abbattere dalle difficoltà del presente, rinchiuderci in noi stessi e coltivare sentimenti di sospetto e sfiducia verso gli altri?

Come cristiani, la risposta è certamente “ricostruire” con coraggio prima di tutto il rapporto fiducioso con Dio, che in Gesù si è fatto nostro prossimo sulle strade della vita, anche quelle più buie, strette, tortuose e ripide.

Ma questa fede non significa restare in un’attesa passiva. Anzi, richiede di darci da fare, per essere protagonisti creativi e responsabili nel costruire una “città nuova”, fondata sul comandamento dell’amore reciproco. Una città con le porte aperte, accogliente verso tutti, soprattutto “i poveri e gli oppressi” (4), da sempre i prediletti del Signore.

E su questo cammino siamo certi di trovare come compagni tanti uomini e donne che coltivano nel proprio cuore i valori universali della solidarietà e della dignità di ogni persona, nel rispetto del creato, nostra “casa comune”.

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna».

Nel villaggio spagnolo di Aljucer, una intera comunità è impegnata a costruire rapporti di fraternità attraverso forme di partecipazione aperta ed inclusiva.

Raccontano: “Nell’estate del 2008 abbiamo dato vita ad una associazione culturale, con l’obiettivo di svolgere attività di vario genere, sia di nostra iniziativa che in collaborazione con altre associazioni del territorio, per promuovere spazi di dialogo e progetti umanitari internazionali. Ad esempio, fin dal primo anno, abbiamo promosso una cena di solidarietà per il progetto Fraternity with Africa, per finanziare borse di studio per giovani africani impegnati a lavorare nel loro paese per almeno cinque anni. Sono cene che riuniscono circa duecento persone, per le quali collaborano negozianti e associazioni. Siamo molto felici di lavorare da anni anche con un’altra associazione. Insieme organizziamo un evento annuale, aperto a personaggi del mondo della cultura, musica, pittura e letteratura, ma anche ad esponenti del mondo della politica, dell’economia e della medicina. È l’occasione per tutti loro di condividere esperienze di vita e le motivazioni più profonde delle loro scelte(5).

«Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna».

Siamo in attesa del Natale. Prepariamoci ad esso, accogliendo da subito Gesù nella sua Parola.

È la roccia su cui costruire anche la città degli uomini: «Incarniamola, facciamola nostra, sperimentiamo quale potenza di vita sprigiona, se vissuta, in noi e attorno a noi. Innamoriamoci del Vangelo fino al punto da lasciarci trasformare in esso e traboccarlo sugli altri. […] Non saremo più noi a vivere, Cristo si formerà in noi. Toccheremo con mano la libertà da noi stessi, dai nostri limiti, dalle nostre schiavitù, non solo, ma vedremo esplodere la rivoluzione d’amore che Gesù, libero di vivere in noi, provocherà nel tessuto sociale in cui siamo immersi» (6).

Letizia Magri

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1 Cf.Is7,14 e Mt1,23.

  1. Cf. Is 52,13-53,12.
  2. Cf. Is 26,5.
  3. Cf. Is 26,6.
  4. Esperienza tratta dal sito www.focolare.org.
  5. C. Lubich, Parola di Vita settembre 2006, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017), p.790.

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Nuova Parola di Vita adolescenti 2022

 




Novembre 2022

“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7 ).

Nel vangelo di Matteo il discorso della montagna si colloca dopo l’inizio della vita pubblica di Gesù. La montagna viene vista come simbolo di un nuovo monte Sinai sul quale Cristo, nuovo Mosè, offre la sua “legge”. Nel capitolo precedente si parla di grandi folle che cominciarono a seguire Gesù e alle quali Egli indirizzava i suoi insegnamenti. Questo discorso viene invece donato da Gesù ai discepoli, alla comunità nascente, a quelli che poi saranno chiamati cristiani. Egli introduce il “regno dei cieli” che è il nucleo centrale della predicazione di Gesù (1), di cui le beatitudini rappresentano il manifesto programmatico, il messaggio della salvezza, la «sintesi di tutta la Buona Novella che è la rivelazione dell’amore salvifico di Dio»(2).

“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.

Cos’è la misericordia? Chi sono i misericordiosi? La frase viene introdotta dalla parola “beato/i”(3), che significa felice, fortunato e assume anche il significato di essere benedetto da Dio. Nel testo, tra le nove beatitudini, questa si trova al posto centrale. Esse non vogliono rappresentare dei comportamenti che vengono premiati, ma sono vere e proprie opportunità per diventare un po’ più simili a Dio. In particolare, i misericordiosi sono coloro che hanno il cuore ricolmo d’amore per Lui e per i fratelli, amore concreto che si china verso gli ultimi, i dimenticati, i poveri, verso chi ha bisogno di questo amore disinteressato: Misericordia, infatti, è uno degli attributi di Dio (4); Gesù stesso è misericordia.

“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.

Le beatitudini trasformano e rivoluzionano i più comuni principi del nostro pensare. Esse non sono soltanto parole consolatorie, ma hanno il potere di cambiare il cuore, hanno la potenza di creare una nuova umanità, rendono efficace l’annuncio della Parola. Occorre vivere la beatitudine della misericordia anche con se stessi, riconoscersi bisognosi di quell’amore straordinario, sovrabbondante e immenso che Dio ha per ciascuno di noi.

La parola misericordia (5) deriva dall’ebraico rehem, “grembo” ed evoca una misericordia divina senza limiti, come la compassione di una madre per il suo bambino. È «un amore che non misura, abbondante, universale, concreto. Un amore che tende a suscitare la reciprocità, che è il fine ultimo della misericordia. […] E allora, se abbiamo ricevuto qualsiasi offesa, qualsiasi ingiustizia, perdoniamo e saremo perdonati. Siamo i primi a usare pietà, compassione! Anche se sembra difficile e ardito, chiediamoci, di fronte a ogni prossimo: come si comporterebbe sua madre con lui? È un pensiero che ci aiuta a capire e a vivere secondo il cuore di Dio» (6).

“Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.

«Dopo due anni di matrimonio, nostra figlia e suo marito hanno deciso di separarsi. L’abbiamo accolta di nuovo nella nostra casa e nei momenti di tensione abbiamo cercato di volerle bene avendo pazienza, con il perdono e la comprensione nel cuore, conservando un rapporto di apertura nei suoi confronti e con suo marito, soprattutto cercando di non avere giudizi. Dopo tre mesi di ascolto, di aiuto discreto e di tante preghiere, essi sono tornati insieme con nuova consapevolezza, fiducia e speranza» (7).

Essere misericordiosi, infatti, è più di perdonare. È avere un cuore grande, non vedere l’ora di cancellare tutto, di bruciare completamente tutto ciò che può ostacolare il nostro rapporto con gli altri. L’invito di Gesù a essere misericordiosi è offrire una via per riavvicinarci al disegno originario, perché possiamo diventare quello per cui siamo stati creati: essere ad immagine e somiglianza di Dio.

Letizia Magri

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1 Vedi Mt 4:23 e 5:19, 20.
2 C. Lubich, Parola di Vita novembre 2000, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017), p. 633.
3 In greco makarios/i che viene usato sia per descrivere una condizione di fortuna, di felicità degli esseri umani che per indicare la condizione privilegiata degli dèi rispetto a quella degli esseri umani.
4 In ebraico hesed, cioè amore disinteressato e accogliente, pronto a perdonare.
5 Rahamim in ebraico.
6 Cit., C. Lubich, Parola di Vita novembre 2000, pp. 633-634.
7 Esperienza tratta dal sito www.focolare.org

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Ottobre 2022

“Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza” (2Tm 1,7).

La lettera, da cui è tratta questa Parola di vita, è considerata una sorta di testamento spirituale Paolo. L’apostolo si trova a Roma, in carcere, in attesa di essere condannato e scrive a Timoteo, giovane discepolo e collaboratore, responsabile della complessa comunità di Efeso. Lo scritto contiene raccomandazioni, consigli rivolti a Timoteo, ma esso è diretto a ogni membro della comunità cristiana di ieri e di oggi. Paolo è in catene a causa della predicazione del Vangelo e vuole incoraggiare il discepolo, piuttosto impaurito di fronte alle persecuzioni ed esitante per le difficoltà che comporta il suo ministero, ad affrontare le prove, per essere una guida sicura per la comunità. Non è nella natura di Paolo e di
Timoteo soffrire a causa del Vangelo, ma questa testimonianza è possibile perché poggiata sulla forza di Dio.

“Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”.

Paolo vuole testimoniare il Vangelo. Appare chiaro che non sono i talenti, le capacità o i limiti personali a garantire o a frenare il ministero della Parola, ma sono i doni dello Spirito, la forza, la carità e la prudenza che garantiscono la potenza della testimonianza. La carità, posta tra la forza e la prudenza, sembra svolgere un ruolo di discernimento; con la prudenza si esprime l’essere saggi e pronti davanti ad ogni situazione. Timoteo, come il discepolo di ogni tempo, può annunciare il Vangelo con forza, carità e prudenza, fino a soffrire per il Vangelo.

“Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”.

Anche noi abbiamo sperimentato la tentazione di scoraggiarci nel vivere e testimoniare la parola di Dio, di non sapere come affrontare determinate situazioni.

Chiara Lubich ci aiuta a comprendere da dove trarre la forza in questi momenti: «Dobbiamo fare appello alla presenza di Gesù dentro di noi. L’atteggiamento da tenere non sarà quindi quello di bloccarci, rimanendo passivamente rassegnati, ma quello di buttarci fuori, di farci uno con ciò che è richiesto dalla volontà di Dio, di affrontare i doveri a cui la nostra vocazione ci chiama, puntando sulla grazia di Gesù che è in noi. Buttarci fuori dunque. Sarà Gesù stesso a sviluppare sempre di più in noi quelle virtù di cui abbiamo bisogno per testimoniarlo in quel campo di attività che ci è stato affidato» (1).

“Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”.

Forza, carità e prudenza, tre virtù dello Spirito che si ottengono con la preghiera e con l’esercizio della fede.

Padre Justin Nari, della Repubblica Centrafricana, si è visto minacciare di morte assieme ai suoi confratelli e a mille musulmani che cercavano scampo dalle rappresaglie della guerra rifugiandosi in chiesa. Più volte i capi delle milizie che li assediavano gli avevano chiesto di arrendersi ma lui aveva continuato a dialogare costantemente con loro per evitare una strage. Un giorno si sono presentati con quaranta litri di benzina e hanno minacciato di bruciarli vivi se non avesse consegnato loro i musulmani.

«Con i miei confratelli ho celebrato l’ultima messa – racconta Padre Justin – e lì mi sono ricordato di Chiara Lubich. “Cosa avrebbe fatto lei al mio posto? Sarebbe rimasta e avrebbe dato la vita. E così abbiamo deciso di fare noi”. Terminata la messa arriva una telefonata inattesa: l’esercito dell’Unione Africana era di passaggio nella regione, in una città vicina. Padre Justin è corso ad incontrarli e insieme sono tornati alla parrocchia: mancavano tredici minuti alla scadenza dell’ultimatum, tredici minuti che hanno salvato la vita di tutti senza spargimento di sangue»(2).

Letizia Magri

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1 C. Lubich, Parola di Vita ottobre 1986, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017), p. 373.
2 Unità è il nome della pace: La strategia di Chiara Lubich, a cura di Maddalena Maltese, Città Nuova, Roma 2020, pp.29-30.

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Settembre 2022

“Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero!” (1Cor 9,19).

La Parola di vita di questo mese è tratta dalla Prima lettera di Paolo ai cristiani di Corinto. Egli si trova ad Efeso e attraverso queste sue parole cerca di fornire una serie di risposte ai problemi sorti nella comunità greca di Corinto, città cosmopolita e grande centro commerciale, famosa per il tempio di Afrodite ma anche per la proverbiale corruzione.

I destinatari della lettera si erano convertiti qualche anno prima dal paganesimo alla fede cristiana grazie alla predicazione dell’apostolo. Una delle controversie che divideva la comunità riguardava il fatto di potersi cibare delle carni dei riti pagani sacrificate agli idoli. Sottolineando la libertà che abbiamo in Cristo, Paolo introduce un’ampia analisi su come comportarsi dinnanzi ad alcune scelte e in particolare si sofferma sul concetto di libertà.

“Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero!”

Poiché i cristiani sanno che «non esiste al mondo alcun idolo e che non c’è alcun dio, se non uno solo» (8,4), ecco che diventa indifferente il mangiare o meno le carni sacrificate agli idoli. Ma il problema sorge quando un cristiano si trova alla presenza di chi non possiede ancora questa consapevolezza, questa conoscenza della fede e col suo atteggiamento può pertanto scandalizzare una coscienza debole.

Quando sono in gioco la conoscenza e l’amore, per Paolo non vi sono dubbi: il discepolo deve scegliere l’amore anche rinunciando alla propria libertà così come ha fatto Cristo che si è liberamente fatto servo per amore.

L’attenzione al fratello debole, verso chi ha una coscienza fragile e poca conoscenza delle cose è fondamentale. Lo scopo è “guadagnare”, nel significato di fare arrivare al maggior numero di persone la vita buona-bella del Vangelo.

“Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero!”

Come scrive Chiara Lubich: «Se si è incorporati in Cristo, se si è Lui, avere divisioni, pensieri contrastanti, è dividere Cristo. […] Se, […] tra i primi cristiani ci fosse stato il pericolo di rompere la concordia, veniva consigliato di cedere le proprie idee purché la carità fosse mantenuta. […] Così avviene anche oggi: pur essendo, a volte, convinti che un dato modo di pensare è il migliore, il Signore ci suggerisce, pur di salvare la carità con tutti, che è meglio a volte cedere le proprie idee, è meglio il meno perfetto in accordo con gli altri, che il più perfetto in disaccordo. E questo piegarsi piuttosto che rompere è una delle caratteristiche, forse dolorose, ma anche più efficaci e benedette da Dio, che mantiene l’unità secondo il più autentico pensiero di Cristo, e di conseguenza ne sa apprezzare il valore» (1).

“Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero!”

L’esperienza del Cardinale vietnamita Franҫois van Thuân, che trascorse tredici anni in prigione di cui nove in isolamento totale, testimonia che quando l’amore è vero e disinteressato suscita in risposta ancora amore. Durante la carcerazione egli venne affidato a cinque guardie ma i capi avevano deciso di sostituirle ogni due settimane con un altro gruppo perché esse venivano “contaminate” dal vescovo. Decisero alla fine di lasciare sempre le stesse altrimenti lui avrebbe “contaminato” tutti i poliziotti del carcere. Così lui stesso racconta: «All’inizio le guardie non parlavano con me. Rispondevano solo sì e no. […] Una notte mi è venuto un pensiero: “Francesco, tu sei ancora molto ricco, hai l’amore di Gesù nel tuo cuore; amali come Gesù ti ha amato”. L’indomani ho cominciato a voler loro ancora più bene, ad amare Gesù in loro, sorridendo, scambiando con loro parole gentili. […] Pian piano siamo diventati amici» (2). In prigione realizzerà con l’aiuto dei suoi carcerieri la croce pettorale che porterà fino alla morte, simbolo dell’amicizia nata con loro: dei pezzetti di legno e una catenella di ferro.

Letizia Magri

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1 C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, pp. 120-121.
2 F.X. Nguyễn Văn Thuận, Testimoni della speranza, Città Nuova, Roma 2000, pp. 98. Nato nel 1928 da una famiglia cattolica, muore a Roma nel 2002. Il 15 agosto 1975, poco dopo essere stato nominato da papa Paolo VI arcivescovo coadiutore di Saigon, venne arrestato dalle autorità vietnamite. Iniziò così il suo travagliato percorso, durato tredici anni, tra domicili coatti, celle d’isolamento, campi di prigionia e torture di ogni sorta, costantemente illuminato da un’incrollabile speranza.

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Agosto 2022

«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18, 21).

Il capitolo 18 del vangelo di Matteo è un testo ricchissimo, nel quale Gesù dà istruzioni ai discepoli su come vivere i rapporti all’interno della comunità appena nata. La domanda che pone Pietro riprende le parole che Gesù aveva pronunciato poco prima: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te…» (1). Gesù sta parlando e, poco dopo, Pietro lo interrompe, come se si rendesse conto di non aver capito bene quello che il suo Maestro aveva appena detto. E gli pone una delle domande più rilevanti riguardo al cammino che deve percorrere un suo discepolo. Quante volte occorre perdonare?

«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».

Interrogarsi fa parte del cammino di fede. Chi crede non ha tutte le risposte, ma resta fedele nonostante le domande. L’interrogativo di Pietro non riguarda il peccato contro Dio, ma piuttosto cosa fare quando un fratello commette colpe contro un altro fratello. Pietro pensa di essere un bravo discepolo che può arrivare a perdonare fino a sette volte (2). Non si aspetta la risposta immediata di Gesù che spiazza le sue sicurezze: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt v. 22). I discepoli conoscevano bene le parole di Lamec, il sanguinario figlio di Caino, che canta la ripetizione della vendetta fino a settanta volte sette (3). Gesù, alludendo proprio a questa affermazione, contrappone alla vendetta illimitata il perdono infinito.

«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».

Non si tratta di perdonare una persona che offende continuamente, piuttosto di perdonare ripetutamente nel nostro cuore. Il perdono vero, quello che fa sentire liberi, di solito avviene per gradi. Non è un sentimento, non è dimenticare: è la scelta che il credente dovrebbe compiere, non solo quando l’offesa viene ripetuta, ma anche ogni volta che ritorna in mente. Per questo occorre perdonare settanta volte sette.

Scrive Chiara Lubich: «Gesù […] aveva di mira, dunque, soprattutto i rapporti fra cristiani, fra membri della stessa comunità. È dunque prima di tutto con gli altri tuoi fratelli nella fede che devi comportarti così: in famiglia, sul lavoro, a scuola o, se vi fai parte, nella tua comunità. Lo sai come spesso si vuole compensare con un atto, con una parola corrispondente, l’offesa subita. Sai come per diversità di carattere, o per nervosismo, o per altre cause, le mancanze di amore sono frequenti fra persone che vivono insieme. Ebbene ricordati che solo un atteggiamento di perdono, sempre rinnovato, può mantenere la pace e l’unità tra fratelli. Avrai sempre la tendenza a pensare ai difetti dei tuoi fratelli, a ricordarti del loro passato, a volerli diversi da come sono… Occorre che tu faccia l’abitudine di vederli con occhio nuovo e nuovi loro stessi, accettandoli sempre e subito e fino in fondo, anche se non si pentono» (4).

«Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».

Tutti noi facciamo parte di una comunità di ”perdonati”, perché il perdono è un dono di Dio, del quale abbiamo sempre bisogno. Dovremmo sempre essere meravigliati dell’immensità della misericordia che riceviamo dal Padre, che ci perdona se anche noi perdoniamo i fratelli (5). Ci sono situazioni in cui non è facile perdonare, vicende che derivano da condizioni politiche, sociali, economiche in cui il perdono può assumere una dimensione comunitaria. Molti sono gli esempi di donne e uomini che sono riusciti a perdonare anche nei contesti più duri, aiutati dalla comunità che li ha sostenuti.

Osvaldo è colombiano. È stato minacciato di morte e ha visto uccidere suo fratello. Oggi è a capo di un’associazione contadina, dove si occupa del recupero di persone che erano state direttamente coinvolte nel conflitto armato del suo paese.

«Sarebbe stato facile rispondere alla vendetta con altra violenza ma ho detto di no», spiega Osvaldo: «Imparare l’arte del perdono è molto, molto difficile, ma le armi o la guerra non sono mai un’opzione per trasformare la vita. La strada della trasformazione è un’altra, è poter toccare l’anima umana dell’altro e per fare questo non hai bisogno della superbia e di nessun potere: è necessaria l’umiltà che è la virtù più difficile da costruire» (6).

Letizia Magri

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  1.  Mt 18, 15.
  2.  Il numero sette indica la totalità, la completezza:Egitto vi sono sette anni di abbondanza e sette(Gen 41, 29-30).
  3. «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette». (Gen 4,24).
  4.  C. Lubich, Parola di Vita ottobre 1981, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi (Opere di Chiara Lubich 5; Città Nuova, Roma 2017), p. 219.
  5.  Unità è il nome della pace: La strategia di Chiara Lubich, a cura di Maddalena Maltese, Città Nuova,Roma, 2020, p.37.
  6. Cf. preghiera del Padre Nostro, Mt 6,9-13.

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