Fiera Primavera – Savignano sul Rubicone

http://www.cesenatoday.it/cronaca/fiera-primavera-savignano-inaugurazione-murales-10-aprile-2016.html




Papa Francesco in Mariapoli a Roma




La Preghiera di Papa Francesco in Mariapoli




Trentinocorrierealpi – Trento città della pace

Trento città della pace




Corso di formazione per educatori nei Seminari

Ecco la locandina: Corso formatori nei seminari




Parte del problema o della soluzione?

Punti di vista – n° 3

«Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico», aveva detto papa Francesco nel discorso di apertura del convegno di Firenze nello scorso novembre, rivolgendosi in particolare ai giovani.

Un invito che non può essere lasciato cadere nel vuoto da chi si dice cristiano: giovani e meno giovani, ragazzi, anziani. Di fronte a mancanza di lavoro, corruzione e illegalità diffusa, emergenza educativa, disgregazione familiare, frammentazione sociale, divario economico e culturale non è più possibile rimanere inermi, come se tutto questo non toccasse la nostra esistenza. Scendere in strada è scomodo, vuol dire togliersi le pantofole rassicuranti delle nostre abitudini e infilare invece gli scarponi adatti ai sentieri impervi del nuovo. Vuol dire mescolarsi tra la folla e farsi prossimo per ogni persona che s’incrocia sul cammino, condividere le gioie, lenire le sofferenze, mettersi in gioco, chiedersi se si vuole essere parte del problema o della soluzione chiedendosi: «Io, noi, cosa possiamo fare?».

Rosalba Poli e Andrea Goller

da Città Nuova n.3/2016 Editoriale n.3




Etichette? No, grazie

Punti di vista – n° 2

Il tentativo, diremmo quasi la tentazione, di “etichettare” c’è sempre: c’è chi è bianco e chi nero, chi è cristiano e chi musulmano, chi di destra e chi di sinistra, chi laico e chi cattolico. E potremmo continuare. Di per sé non è un errore chiamare le cose con il loro nome, tutt’altro. Ma non di rado succede che dare un’etichetta equivale a separare, isolare, contrapporre, facendo ricorso alla “politica” dell’o/o: o da una parte o dall’altra.

Non siamo esenti nel nostro quotidiano da questa tentazione. Ci piace però pensare a tutti coloro che, singolarmente o come gruppi, comunità, associazioni sono impegnati nella “politica” dell’e/e. Non per sincretismo, per scendere a compromessi, o fare facili concessioni. Tutt’altro. Perché sanno e credono che la vera identità si rafforza nel dialogo costante con chi è diverso da noi. Ad esempio, al tentativo di etichettare i focolarini come quelli che vogliono costruire il partito cattolico rispondiamo con rapporti di collaborazione con i diversi schieramenti politici; e alla contrapposizione cristiani/musulmani offriamo una testimonianza di impegno comune per la pace.

Rosalba Poli e Andrea Goller

da Città Nuova 2/2016 Editoriale n.2




La pace ci interpella

Punti di vista – n°1

In questo periodo in cui spirano venti di guerra, innumerevoli sono state, in tutta Italia, le iniziative a sostegno della pace alle quali abbiamo partecipato o che abbiamo promosso come Movimento dei Focolari. Ci sentiamo interpellati in prima persona: ciò sta facendo emergere proposte di impegno, nate da una consultazione tra vari soggetti della società civile ed ecclesiale che vorrebbero convogliare in progetti continuativi e incisivi il vivere per la pace e l’unità. Fra i “lavori in corso”: momenti di testimonianze e invocazione alla pace insieme ad altri movimenti ecclesiali e con fratelli musulmani ed ebrei; appuntamenti di carattere locale e un evento centrale nazionale a Roma, il 13 dicembre, con personalità e leader islamici e cristiani. Ma anche la messa in atto di una proposta per le scuole in collaborazione con alcuni parlamentari ai quali chiediamo di farsi portavoce presso il ministero della Pubblica istruzione della necessità di promuovere percorsi di educazione alla pace, al dialogo e all’accoglienze nelle scuole. Senza dimenticare l’impegno quotidiano con chi ci sta accanto…

Rosalba Poli e Andrea Goller

da Città Nuova n.1/2016 Editoriale n.1




I cento passi

Punti di vista – n.4

«Se due persone per incontrarsi hanno bisogno di fare cento passi, non importa quanti ne fai tu e quanti ne fa l’altro, l’importante è arrivare al risultato». Questo concetto espresso da Enzo Fondi, uno dei pionieri del Movimento dei Focolari, non di rado ispira il nostro agire.

In un’Italia che, nonostante i travagli, cerca di uscire da una crisi che, ce ne rendiamo sempre più conto, non è solo né anzitutto economica, ma è crisi di relazioni interpersonali; in un Paese dove i localismi tendono ad avere il sopravvento sulla dimensione nazionale e dove il peso della tradizione potrebbe ostacolare la necessaria innovazione, più e più volte facciamo l’esperienza che la cultura dell’incontro, così fortemente sostenuta da papa Francesco, risulta la carta vincente.

Per incontrarsi occorre muoversi, programmare, scomodarsi. Occorre spostarsi, ovvero “spostare sé” e questo non è solo un atto fisico. È un impegno al quale sarebbe facile sottrarsi con mille giustificazioni. Dei cento passi vorremmo farne normalmente al massimo 50. Ma quanti ne ha fatti Gesù per farsi uno di noi e venirci incontro?

Rosalba Poli e Andrea Goller

da Città Nuova n.4/2016 Editoriale n.4




Fiducia nelle minoranze creative

Punti di vista – n.5

Il 16 maggio saranno due mesi che giovani dei Focolari hanno presentato in Parlamento un documento con precise domande sul commercio (non) legalizzato di armi. Nel frattempo un gruppettodi questi giovani ha partecipato a un laboratorio parlamentare di approfondimento sull’appello per la pace, il disarmo e la riconversione industriale con alcuni parlamentari, a giugno; queste sono iniziative encomiabili e risposte concrete sarebbero auspicabili. C’è anche un’altra sorta di guerra: quella delle mafie alla convivenza civile. Un fenomeno deliquenziale che ha fatto emergere veri e propri martiri; le mafie ostentano pure il potere di apparire impunemente in televisione. Non ci spaventano queste frange di “deboli”, vittime a loro volta dell’inganno del potere, delle armi e dei soldi. Abbiamo invece fiducia nelle minoranze creative, fedeli alla logica della concretezza e della vita, che alimentano il risanamento del tessuto sociale. Papa Francesco è un segno formidabile di questo processo di speranza irreversibile.

Rosalba Poli e Andrea Goller

da Città Nuova n. 5/2016 Editoriale n.5




Le mostre di Michel Pochet

Diverse mostre in Italia, in questi ultimi mesi, dell’artista belga Michel Pochet.

Video dal Collegamento CH del 5 dicembre 2015:

collegamentoch/2015/12/05/con-gli-occhi-della-misericordia/




Mariapoli Falcade

Le comunità del Movimento dei focolari della Lombardia e della Liguria organizzano questa Mariapoli vacanze in Trentino Alto Adige.

Vedi locandina: Mariapoli vacanze Falcade

Sito web:https://vacanzainsieme.wordpress.com/

Località: FALCADE (BL)

2 – 9 LUGLIO

Contatto: Famiglia Matarazzo 0289500774 (Milano) Famiglia Tommasini 0321956821 (Novara)

9 – 16 LUGLIO

contatto: Famiglia Giorgini 0302180728 (Brescia)

9 – 16 LUGLIO

Contatto: Focolare maschile 0103761731 (Genova) Focolare femminile 0108687080 (Genova)




Luglio 2016

Luglio 2016

“Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo” (Ef 4, 32).

Non c’è cosa più bella che sentirsi dire: “Ti voglio bene”. Quando qualcuno ci vuol bene non ci sentiamo soli, camminiamo sicuri, possiamo affrontare anche difficoltà e situazioni critiche. Se poi il volersi bene diventa reciproco la speranza e la fiducia si rafforzano, ci sentiamo protetti. Tutti sappiamo che i bambini, per crescere bene, hanno bisogno di essere circondati da un ambiente pieno d’amore, di qualcuno che voglia loro bene. Ma ciò è vero in ogni età. Per questo la Parola di vita ci invita ad essere “benevoli” gli uni verso gli altri, ossia a volerci bene e ci dà come modello Dio stesso.

Proprio il suo esempio ci ricorda che volersi bene non è un mero sentimento; è un concretissimo ed esigente “volere il bene dell’altro”. In Gesù egli si è reso vicino agli ammalati e ai poveri, ha provato compassione per le folle, ha usato misericordia verso i peccatori, ha perdonato quelli che lo avevano crocifisso.

Anche per noi volere il bene dell’altro significa ascoltarlo, mostrargli una attenzione sincera, condividerne le gioie e le prove, prendersi cura di lui, accompagnarlo nel suo cammino. L’altro non è mai un estraneo, ma un fratello, una sorella che mi appartiene, di cui voglio mettermi a servizio. Tutto il contrario di quanto accade quando si percepisce l’altro come un rivale, un concorrente, un nemico, fino a volere il suo male, fino a schiacciarlo, addirittura a eliminarlo, come purtroppo ci raccontano le cronache di ogni giorno. Pur non arrivando a tanto non capita anche a noi di accumulare rancori, diffidenze, ostilità o semplicemente indifferenza o disinteresse verso persone che ci hanno fatto del male o antipatiche o che non appartengono alla nostra cerchia sociale?

Volere il bene gli uni degli gli altri, ci insegna la Parola di vita, significa prendere la strada della misericordia, pronti a perdonarci ogni volta che sbagliamo. Chiara Lubich racconta, al riguardo, che agli inizi dell’esperienza della sua nuova comunità cristiana, per attuare il comando di Gesù, aveva fatto un patto di amore reciproco con le prime compagne. Eppure, nonostante questo, «specie in un primo tempo non era sempre facile per un gruppo di ragazze vivere la radicalità dell’amore. Eravamo persone come le altre, anche se sostenute da un dono speciale di Dio, e anche fra noi, sui nostri rapporti, poteva posarsi della polvere, e l’unità poteva illanguidire. Ciò accadeva, ad esempio, quando ci si accorgeva dei difetti, delle imperfezioni degli altri e li si giudicava, per cui la corrente d’amore scambievole si raffreddava.

Per reagire a questa situazione abbiamo pensato un giorno di stringere fra di noi un patto che abbiamo chiamato “patto di misericordia”. Si decise di vedere ogni mattina il prossimo che incontravamo – in focolare, a scuola, al lavoro, ecc. –, di vederlo nuovo, nuovissimo, non ricordandoci affatto dei suoi nei, dei suoi difetti, ma tutto coprendo con l’amore. Era avvicinare tutti con questa amnistia completa del nostro cuore, con questo perdono universale. Era un impegno forte, preso da tutte noi insieme, che aiutava ad essere sempre primi nell’amare a imitazione di Dio misericordioso, il quale perdona e dimentica»[1].

Un patto di misericordia! Non potrebbe essere questo un modo per crescere nella benevolenza?

Fabio Ciardi

[1] L’amore al prossimo, Conversazione con gli amici musulmani, Castel Gandolfo, 1 novembre 2002.

Video Parola di Vita luglio 2016




Giugno 2016

Giugno 2016

«Siate in pace gli uni con gli altri» (Mc 9, 50)

Come cade bene, in mezzo ai conflitti che feriscono l’umanità in tante parti del mondo, l’invito di Gesù alla pace. Tiene viva la speranza, sapendo che è Lui la pace e ha promesso di darci la sua pace.

Il Vangelo di Marco riporta questa parola di Gesù al termine di una serie di detti rivolti ai discepoli, riuniti in casa a Cafarnao, nei quali spiega come avrebbe dovuto vivere la sua comunità. La conclusione è chiara: tutto deve condurre alla pace, nella quale è racchiuso ogni bene.

Una pace che siamo chiamati a sperimentare nella vita quotidiana: in famiglia, al lavoro, con chi pensa diversamente in politica. Una pace che non ha paura di affrontare le opinioni discordanti, di cui occorre parlare apertamente, se vogliamo un’unità sempre più vera e profonda. Una pace che, nello stesso tempo, domanda di essere attenti a che il rapporto d’amore non venga mai meno, perché l’altro vale più delle diversità che possono esserci tra noi.

«Dovunque arriva l’unità e l’amore reciproco – affermava Chiara Lubich –, arriva la pace, anzi, la pace vera. Perché dove c’è l’amore reciproco, c’è una certa presenza di Gesù in mezzo a noi, e lui è proprio la pace, la pace per eccellenza»[1].

Il suo ideale di unità era nato durante la Seconda Guerra mondiale e subito apparve come l’antidoto a odi e  lacerazioni. Da allora, davanti a ogni nuovo conflitto, Chiara ha continuato a proporre con tenacia la logica evangelica dell’amore. Quando, ad esempio, esplose la guerra in Iraq nel 1990, espresse l’amara sorpresa di sentire «parole che pensavamo sepolte, come: “il nemico”, “i nemici”, “cominciano le ostilità”, e poi i bollettini di guerra, i prigionieri, le sconfitte (…). Ci siamo resi conto con sgomento che veniva ferito nel cuore il principio fondamentale del cristianesimo, il “comando” per eccellenza di Gesù, quello “nuovo”. (…) Invece di amarsi a vicenda, invece di essere pronti a morire l’uno per l’altro», ecco l’umanità di nuovo «nel baratro dell’odio»: disprezzo, torture, uccisioni[2]. Come uscirne? si domandava. «Dobbiamo tessere, dove è possibile, rapporti nuovi, o un approfondimento di quelli già esistenti, fra noi cristiani ed i fedeli delle religioni monoteiste: i Musulmani e gli Ebrei»[3], ossia tra quanti allora erano in conflitto.

Lo stesso vale davanti a ogni tipo di conflitto: tessere tra persone e popoli rapporti di ascolto, di aiuto reciproco, di amore, direbbe ancora Chiara, fino ad “essere pronti a morire l’uno per l’altro”. Occorre spostare le proprie ragioni per capire quelle dell’altro, pur sapendo che non sempre arriveremo a comprenderlo fino in fondo. Anche l’altro probabilmente fa lo stesso con me e neppure lui, forse, a volte capisce me e le mie ragioni. Vogliamo tuttavia rimanere aperti all’altro, pur nella diversità e nell’incomprensione, salvando prima di tutto la relazione con lui.

Il Vangelo lo pone come un imperativo: “Siate in pace”, segno che richiede un impegno serio ed esigente. È una delle più essenziali espressioni dell’amore e della misericordia che siamo chiamati ad avere gli uni verso gli altri.

Fabio Ciardi

[1] Alla TV Bavarese, 16 settembre 1988.

[2] 28 febbraio 1991, cf. Santi insieme, Città Nuova, Roma 1994, p. 63-64.

[3] Ibid., p. 68.

Guarda il video:

https://youtu.be/s_OeidF5YqA




Maggio 2016

Maggio 2016

«Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il “Dio con loro”» (Ap 21, 3)

È sempre stato il desiderio di Dio: abitare con noi, suo popolo. Già le prime pagine della Bibbia ce lo mostrano nell’atto di scendere dal cielo, passeggiare in giardino e conversare con Adamo ed Eva. Non ci ha creati per questo? Che cosa desidera l’amante se non stare con la persona amata? Il libro dell’Apocalisse, che scruta il progetto di Dio sulla storia, ci dà la certezza che il desiderio di Dio si attuerà in pienezza.

Egli ha già iniziato ad abitare in mezzo a noi da quando è venuto Gesù, l’Emmanuele, il “Dio con noi”. Ed ora che Gesù è risorto la sua presenza non è più limitata a un luogo o a un tempo, si è dilatata sul mondo intero. Con Gesù è iniziata la costruzione una nuova comunità umana originalissima, un popolo composto da molti popoli. Dio non vuole abitare soltanto nella mia anima, nella mia famiglia, nel mio popolo, ma tra tutti i popoli chiamati a formare un popolo solo. D’altra parte l’attuale mobilità umana sta cambiando il concetto stesso di popolo. In molte nazioni il popolo è composto ormai da molti popoli.

Siamo così diversi per colore della pelle, cultura, religione. Ci guardiamo spesso con diffidenza, sospetto, paura. Ci facciamo guerra gli uni gli altri. Eppure Dio è Padre di tutti, ci ama tutti ed ognuno. Non vuole abitare con un popolo – “il nostro, naturalmente”, ci verrebbe da pensare – e lasciare da soli gli altri popoli. Per lui siamo tutti figli e figlie suoi, un’unica famiglia.

Esercitiamoci dunque, guidati dalla parola di vita di questo mese, ad apprezzare la diversità, a rispettare l’altro, a guardarlo come una persona che mi appartiene: io sono l’altro, l’altro è me; l’altro vive in me, io vivo nell’altro. Cominciando dalle persone con le quali vivo ogni giorno. In questo modo possiamo fare spazio alla presenza di Dio tra noi. Sarà lui a comporre l’unità, a salvaguardare l’identità di ogni popolo, a creare una nuova socialità.

Lo aveva intuito Chiara Lubich già nel 1959, in una pagina di estrema attualità e di incredibile profezia: «Se un giorno gli uomini, ma non come singoli bensì come popoli […] sapranno posporre loro stessi, l’idea che essi hanno della loro patria, […] e questo lo faranno per quell’amore reciproco fra gli Stati, che Dio domanda, come domanda l’amore reciproco tra i fratelli, quel giorno sarà l’inizio di una nuova era, perché quel giorno […] sarà vivo e presente Gesù fra i popoli […].

Sono questi i tempi […] in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio confine e guardare al di là; è arrivato il momento in cui la patria altrui va amata come la propria, in cui il nostro occhio ha da acquistare una nuova purezza. Non basta il distacco da noi stessi per essere cristiani. Oggi i tempi domandano al seguace di Cristo qualcosa di più: una coscienza sociale del cristianesimo […].

[…] noi speriamo che il Signore abbia pietà di questo mondo diviso e sbandato, di questi popoli rinchiusi nel proprio guscio, a contemplare la propria bellezza – per loro unica – limitata ed insoddisfacente, a tenersi coi denti stretti i propri tesori – anche quei beni che potrebbero servire ad altri popoli presso i quali si muore di fame –, e faccia crollare le barriere e correre con flusso ininterrotto la carità tra terra e terra, torrente di beni spirituali e materiali.

Speriamo che il Signore componga un ordine nuovo nel mondo, Egli, il solo capace di fare dell’umanità una famiglia e di coltivare quelle distinzioni fra i popoli, perché nello splendore di ciascuno, messo a servizio dell’altro, riluca l’unica luce di vita che, abbellendo la patria terrena, fa di essa un’anticamera della Patria eterna.»[1]

 

[1] Maria, vincolo di unità tra i popoli, in La dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006, pp. 327-329.




Mariapoli in Sardegna