Guerra e pace e perdono

Joseph Konah
Condividi

La storia di Joseph, per cinque anni bambino-soldato in Sierra Leone. Oggi studente universitario con il sogno di insegnare

L’economia muove il mondo, causa le guerre. Le ferite si sanano solo con il perdono. È una storia di ieri, ma sembra una storia che parla di oggi. Accade anche in Sierra Leone. Nel 1991 i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario innescano un conflitto contro il governo che provoca migliaia di morti, milioni di profughi e terribili abusi. Tra le cause, il controllo dei bacini di diamantiferi nel Sud-Est del Paese, l’intromissione di Paesi limitrofi interessati allo sfruttamento dell’immenso potenziale di ricchezza della regione, la corruzione e il basso livello di istruzione. Solo nel 2002 la guerra sarà dichiarata ufficialmente conclusa.

Nel 1993 Joseph Konah ha solo cinque anni. E, benché così piccolo, vivrà tutte le conseguenze della guerra. Un gruppo di ribelli entra nel suo villaggio, fa irruzione in casa sua e lo rapisce per arruolarlo nel loro esercito come bambino-soldato. Questo il suo racconto.

Per cinque anni bambino-soldato

«Quel giorno – ricorda – ero insieme a tanti altri bambini come me; siamo partiti e abbiamo camminato tutta la notte per raggiungere la loro base. Durante questo viaggio uno dei bambini era stanco e chiese di riposare, uno dei ribelli l’ha guardato e gli ha detto: “Ok, tu resti qua a riposare e noi andiamo” e senza esitare gli ha sparato. Siamo passati dall’essere bambini che avevano paura degli spari ad essere quelli che sparavano. Avevo solo sei anni quando sono stato catturato e imparai a vivere con i ribelli che saccheggiavano e bruciavano villaggi, assassinavano e tagliavano le mani ad adulti e bambini perché nel mio Paese per votare dobbiamo usare l’impronta digitale e volevano togliere la possibilità di votare.

Il mio capo aveva perso un figlio in guerra e aveva scelto me per sostituirlo. Ero a suo diretto servizio. Queste erano le persone con cui sono dovuto restare per cinque anni. Ho vissuto guardando i miei amici che venivano drogati e obbligati a compiere atrocità.

La svolta: l’incontro con la madre

Durante i nostri spostamenti, le donne dei villaggi vicini erano obbligate a portarci del cibo. Un giorno tra quelle donne ho riconosciuto mia mamma, che per anni ho creduto morta.  In quel momento le ho detto, usando il nostro dialetto che nessuno capiva, di non gioire e di essere indifferente e lei, nonostante la gioia di avermi ritrovato, è riuscita a far finta di nulla e mi ha dato appuntamento nella foresta vicina per la stessa sera. Quella sera dissi al mio capo che volevo andare a camminare e lui mi diede il permesso. Raggiunsi la mia mamma e insieme tornammo in città a cercare l’esercito del governo che ci ha aiutati fino alla fine della guerra nel 2002.

Il perdono

Nonostante la guerra fosse finita, il rancore e il desiderio di vendetta nei confronti dei ribelli continuava e questo non ci permetteva di raggiungere una vera pace. Un giorno il presidente della Sierra Leone ha preso una bambina alla quale avevano tagliato le mani e le chiese: “Se tu vedessi le persone che ti hanno tagliato le mani, cosa faresti?”. La bambina rispose: “Io devo perdonare i ribelli perché se noi non perdoniamo, la guerra non finirà mai”.

Queste parole vennero diffuse ovunque e grazie a queste parole nel nostro Paese è finita la guerra.

Io, avendo vissuto da bambino queste cose, non riuscivo a capire come andare avanti Ho iniziato ad andare a scuola e ho conosciuto dei missionari saveriani che mi hanno parlato di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari. Ho provato a vivere come loro le frasi del Vangelo, cercando di fare degli atti d’amore agli altri, e mi sono sentito cambiare dentro. Ho maturato l’idea che l’insegnamento è la strada giusta per me, per poter aiutare altri bambini a vivere una vita diversa dalla mia.

Oggi studente universitario

Attualmente studio all’università Sophia di Loppiano, vicino a Firenze, dove ho avuto la possibilità di vivere con persone provenienti da varie parti del mondo. In mezzo a tante culture, ho cercato di accogliere le diversità e amare con tutto il cuore. Ho capito che c’è un altro modo di vivere, senza paura, perché ho un’ideale forte dentro di me che ogni giorno cerco di portare alla luce.

Contemporaneamente, sto lavorando con una onlus, Azione per un mondo unito nel settore dell’educazione alla cittadinanza globale e seguo dei progetti nelle scuole in Sierra Leone, per dare istruzione ai bambini e giovani, perché abbiamo gli strumenti per costruire la pace.

In futuro, dopo gli studi, con queste esperienze, vorrei tornare e lavorare con il mio popolo, soprattutto con i bambini e giovani per formarli come io sono stato formato, per vivere per il mondo unito. E ho capito che nella vita non ti devi mai fermare. Quando mi accade qualcosa la prendo come un’opportunità per andare avanti, per poter fare qualcosa di utile per me e per il mondo».

A cura di Aurelio Molè

image_pdfimage_print
Condividi

Nessun commento

LASCIA UN COMMENTO