Don Annibale Ferrari: zio Bibbo!

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Il 5 marzo di 28 anni fa nella cittadella di Loppiano don Annibale, per tutti noi nipoti zio Bibbo, all’età di 76 anni, si è addormentato per sempre con un dolcissimo e lieve passaggio all’altra vita.

Se n’è andato così come è vissuto, nella semplicità della sua camera, circondato da quelle poche cose, che gli permettevano di vivere nel suo quotidiano la bellezza e l’essenzialità del Vangelo.

Grande commozione e motivo di profonda riflessione è stato per noi nipoti entrare in quella stanza e constatare come avesse messo in pratica la sua “promessa di povertà”. Gli oggetti presenti si potevano contare sulle dita di una mano: la macchina da scrivere modello anni 50, un cappotto, un colbacco, tre camice, due vestiti, due golf invernali ed estivi. E poi, invece, tanti libri che, insegnante e uomo coltissimo, non abbandonava mai. Conosceva, per esempio, a memoria le tre cantiche della Divina Commedia.

Da alcuni anni, per via della salute precaria, viveva nella casa parrocchiale di Incisa Valdarno, dove era parroco e svolgeva un’attività pastorale che gli consentiva di trascorrere una vita più tranquilla rispetto a quella in cui per tanti anni aveva profuso con tanto impegno tutte le sue energie, prima a Fontem in Africa e poi in tante città d’Europa.

Nel ’56 l’incontro con Chiara Lubich e la spiritualità del Movimento dei Focolari l’aveva folgorato e aveva dato, come lui stesso spesso raccontava, “una nuova dignità al suo essere sacerdote”.

Infatti, quando Tommaso Sorgi lo invitò ad andare in Mariapoli nel trentino, lui era già un sacerdote affermato nella città di Teramo, un vulcano pieno di idee con tante aspirazioni umane e personali.

Nei primi anni di sacerdozio, a volte, il parrocchiano rappresentava per lui una sorta di ostacolo che gli impediva di portare avanti tutti i suoi progetti “terreni”. In seguito con sapiente e accattivante ironia era solito raccontare di questo periodo simpatici aneddoti sulla “perfida cameriera”, sul “sacrestano pesante e mostruoso da vedere”, sul “vicino di casa logorroico”, sul “parrocchiano petulante”. Tutti personaggi che nel tempo don Annibale ha amato con grande cuore e generosità.

Don Annibale: matrimonio dei nipoti Concetta e Tito

Appena conosciuto il Movimento, vi aderisce totalmente. Si libera di tutto ciò che avrebbe potuto ostacolare la sua nuova vita, anche da un punto di vista materiale. Vende i suoi beni e con il ricavato partecipa anche alla realizzazione del centro Mariapoli di Castel Gandolfo, incontrando qualche iniziale incomprensione in famiglia. Ma poco a poco, col tempo, siamo diventati tutti orgogliosi e fieri di lui e delle sue scelte.

Frequenta poi a Londra una scuola dove torna a studiare per imparare l’inglese e prepararsi a partire per il Camerun dove arriva a Fontem nel 1967, mandato da Chiara Lubich per dare il suo specifico contributo a servizio del popolo Bangua che viveva grandi difficoltà di sopravvivenza. Si tratta di una tappa molto importante del suo percorso, una scelta radicale. Lì resta però pochi anni, perché duramente provato da una malattia tropicale dalla quale esce miracolosamente indenne, ma che fiacca la sua forte fibra.

I racconti di quegli anni, efficacemente animati anche con l’aiuto di un filmino, rappresentavano per noi nipoti occasione di stringerci attorno a lui e ammirare con una sorta di “santa invidia” la natura selvaggia che ci mostrava, piena di verde e di colori, rigogliosa ed incontaminata.

Tornato in Italia, per ben 19 anni, gira le parrocchie d’Europa alla ricerca di fondi da inviare a Fontem per il completamento delle indispensabili strutture progettate facendo forza sull’oratoria e sull’esperienza di cui era ben provvisto. Non era un semplice questuante ma un vero missionario accolto dovunque come un autentico “fidei donum”.

Superati abbondantemente i settant’anni, nonostante la sua salute sempre più compromessa, è riuscito a portare avanti il suo impegno pastorale, in particolare con le giovani coppie, e tanti progetti importanti come il restauro delle chiese di Loppiano e di S. Vito. Fino alla fine don Annibale ha messo a frutto i suoi talenti con tutte le sue forze.

Ma è bello anche ricordare come non sia mai mancato a tutti gli appuntamenti importanti della nostra famiglia a Giulianova e a Roseto. L’ultima volta ci eravamo visti in occasione del battesimo della mia quinta bambina. Portava sempre tavolette di cioccolata e regali a tutti. Ricordo che riusciva ad avvicinare tante persone e a relazionarsi con grande facilità. Era come una calamita con quanti veniva in contatto: tutto il nostro vicinato, i suoi amici di infanzia, gente che non frequentava la chiesa… Alcuni si confessavano solo con lui e, anche in famiglia, la sua presenza era sempre motivo per rinsaldare l’unità tra tutti.

In occasione di quel battesimo, d’accordo con Lui, invitai a casa mia un gruppo di amici di Roseto (Roseto degli Abruzzi). Fu un momento bello e appassionante perché la sua testimonianza era e risulta ancora una storia avvincente. Aveva un modo tutto suo di raccontare che incantava e divertiva allo stesso tempo l’auditorio di ogni età, una vera “arte del dire” fatta di parole semplici ed essenziali, intercalate da frequenti “È vero… fratelli cari”. Erano frammenti di vita illuminata da un grande Ideale, un’autentica testimonianza di Vangelo vissuto.

Il suo cuore di “fanciullo”, il fisico da “pacioccone”, il carattere gioviale e bonario, la gioia contagiosa che non mancava mai, anche nei momenti per lui più difficili, riuscivano a mettere tutti di buon umore.

E fino alla fine è stato così: l’espressione da eterno fanciullo sul volto, illuminato dal suo cordiale sorriso … a dimostrazione di un passaggio sereno, pervaso di pace, proprio come quello riservato ai giusti.

Concetta Ferrari

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1 commento

  1. Ho conosciuto don Annibale a Teramo, negli anni della mia prima giovinezza, ( lasciai l’Abruzzo a venti anni per Pisa), e pur frequentandolo senza continuità, essendo di altra parrocchia, mi accorsi,oltre che della sua bontà, di una cultura spirituale che allora non era tanto comune tra i sacerdoti del luogo ( p.C.Marmion, p. Tanquerayed altri erano a lui familiari). Seppi poi che aveva insegnato latino e greco al liceo teramano e che aveva aderito al movimento dei focolari abbandonando l’insegnamento. Ignoravo che avesse fatto il missionario in Africa compromettendo la sua salute. Posso però dire che già nel tempo in cui ebbi rapporti con lui, si poteva presagire una vita radicalmente dedicata a Cristo. Quel che un po’ mi amareggia è constatare che anche gli ambienti che hanno avuto la fortuna di ricevere esempi così luminosi di santità, sembrano oggi indifferenti alla parola di N.S. ,ma poi penso che la santità porta sempre frutto e che essa assicura la salvezza di tante anime per oggi e per il futuro

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