Il campanello della scuola

Oltre la separazione tra vita spirituale e vita lavorativa.

Esperienza di Stefano Pilia tratta dalla rivista Ekklesia 2022/3

L’autore, insegnante e padre di famiglia, si riferisce alla meditazione di Chiara Lubich che apre questo numero:L’attrattiva del tempo moderno. Sin da ragazzo ha visto nelle parole dei primi versi – «penetrare nella più alta contemplazione e rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo» – un orizzonte di spiritualità affascinante: vivere profondamente la spiritualità evangelica e avere come prospettiva la quotidianità, l’ordinarietà della vita.

 Quando a soli 22 anni ebbi il primo incarico di insegnamento della religione in una scuola media, ricordo che, in un consiglio di classe, affrontammo il caso di alcuni ragazzi problematici e delle loro famiglie (altrettanto problematiche): rientrando a casa ebbi la netta – gioiosa – sensazione che il servizio educativo fosse un veicolo potente per entrare in relazione con i colleghi, i ragazzi, genitori. Un modo per far passare uno stile di relazioni fondato sull’accoglienza, l’ascolto, la prossimità, l’accompagnamento. Un modo per condividere le piaghe e le difficoltà sociali dei ragazzi e delle famiglie. Quella gioia era data dalla percezione, luminosa, che ciò che stavamo facendo per il bene di quei ragazzi, quelle ore passate a cercare soluzioni, mi unisse anche profondamente a Dio dispiegando con chiarezza il mio dover essere.

[…]

Nel secondo capoverso di questo testo, la Lubich parla di un perdersi nella folla, per informarla del divino usando una metafora efficacissima: come s’inzuppa un frusto di pane nel vino. Ho sempre intravisto in queste parole e in quelle che seguono: fatti partecipi dei disegni di Dio sull’umanità, segnare sulla folla ricami di luce e, nel contempo, dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie, una sorta di “metodo” – nuovo – di evangelizzazione; metodo che segue propriamente la condizione del laico cristiano e spiega meglio la sua indole secolare.

Lo spiego con le parole di un documento-sintesi per la teologia del laicato, la Christifideles laici di Giovanni Paolo II, scritta nel 1988: ai laici viene affidata una vocazione intramondana, perché chiamati dall’interno, a modo di fermento, alla santificazione del mondo. Un “luogo” non visto come dato esteriore e ambientale – continua il documento – bensì una realtà destinata a trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato perché è nella realtà mondana che Dio rivolge loro la sua chiamata (n.15).

Una via di ascesi laicale

Chiara Lubich ha scritto questo testo nel 1958, prima del Concilio e ben prima degli approfondimenti che a livello magisteriale hanno seguito le intuizioni conciliari sulla teologia del laicato, prova che lo Spirito Santo era all’opera – in virtù di quell’ufficio profetico ricevuto nel battesimo, ma ancor più per un dono carismatico che nella Lubich Dio offriva alla sua Chiesa e al mondo.

Questa comprensione del laicato della Lubich mi porta alla memoria un altro episodio che è stato davvero decisivo per la mia vita personale. Il 25 febbraio del 1989, non avevo ancora 28 anni, in un convegno a Castel Gandolfo, Chiara rispose a una mia domanda proprio sul rapporto fra impegno lavorativo e vita spirituale: fu una pioggia di luce! Facendomi notare che la distinzione netta fra vita spirituale e lavorativa, in sé già evidenziava una separazione fra i due piani che sicuramente andava (da me) armonizzata, delineò quella che, personalmente, ho sempre definito una “via di ascesi laicale del quotidiano”.

Tra l’altro mi disse: Voi non dovete, per farvi santi, obbedire al campanello della superiora o del superiore che chiama alla preghiera. Voi dovete obbedire alla sirena della fabbrica, al campanello della scuola: quello è il vostro campanello. E precisò: La campanella del superiore cappuccino dice la volontà di Dio per il frate di andare a pregare; la sirena dice la volontà di Dio per quell’operaio: di andare a lavorare. Ma è volontà di Dio. Del resto, Gesù per trent’anni ha lavorato, non predicato. […] Quindi dovete vedere il vostro lavoro tutto nuovo. Sarà pesante, lo capisco, sia come lavoro, sia come rapporti. Ma è lì che vi santificate, […]: quello è il vostro crocifisso missionario con il quale voi vi santificate: la penna per il professore, lo scalpello per lo scultore. Quindi buttarvi dentro senza nessun dubbio.

Un rovesciamento di paradigma

Spesso, nella storia della Chiesa, nello sforzo di aiutare i fedeli a incarnare la spiritualità evangelica, i Padri hanno avuto come paradigma proprio l’ascesi della vita monacale e della vita religiosa di coloro che, per scelta, si erano consacrati a Dio: i laici sembravano dover come “adattare” (almeno il più possibile) quelle modalità ascetiche, comunitarie e personali, alla vita di famiglia o alla vita nel mondo.

Nelle parole che ho appena riportato e che mi riguardano personalmente, noto un rovesciamento di paradigma. Chiara ha sottolineato una via alla santità che è intrinsecamente legata alla vocazione laicale. Una via originale, scandita dai tempi della quotidianità, che usa metodi e strumenti propri, altrettanto efficaci per un’ascesi personale, coniugale, del mondo del lavoro, tipiche di una vocazione intramondana. Per un dono speciale di Dio, Chiara ha come sdoganato la via alla santità: non strappandola ai conventi e alla vita religiosa che rimangono sempre un punto di riferimento per i diversi carismi che Dio distribuisce alla sua Chiesa e al mondo, ma mostrando che è prima di tutto l’adesione a Dio che può trasformare la persona dal di dentro e, per la fedeltà alla chiamata di ciascuno, trasformare la storia umana.

Personale risposta a Dio,
con gli strumenti del quotidiano

Posso dire che guardare sé stessi, la propria realtà familiare e lavorativa, con la prospettiva di cui ho appena parlato, ha dato un significato completamente diverso alla mia vita individuale, coniugale, relazionale, professionale. Non so se, come dice la meditazione, ho mai segnato sulla folla – quella della mia quotidianità – ricami di luce, ma confermo che questo rimane il mio profondo desiderio, la mia risposta personale a Dio, con gli strumenti del mio quotidiano: la penna, i libri, la cultura, lo studio, le relazioni umane e professionali. Sicuro che, come dice Chiara: l’attrattiva del nostro, come di tutti i tempi, è ciò che di più umano e di più divino si possa pensare: Gesù e Maria, il Verbo di Dio, figlio d’un falegname, la Sede della Sapienza

Leggi l’articolo completo sul nuovo numero di Ekklesia sulla generatività.

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La santità della porta accanto

 Maria do Sameiro Freitas

Uno dei documenti più espressivi del pensiero di papa Francesco è l’esortazione apostolica del 2018 Gaudete et exsultateche propone la santità come dono di Dio a ogni persona nella sua vita di tutti i giorni: la santità della porta accanto, appunto!

Il presente numero di Ekklesía non si propone di presentare o studiare il documento già abbondantemente approfondito in altra sede, ma si pone nel solco delle prospettive ivi tracciate, prendendo in considerazione due filoni del pensiero sulla santità venute in rilievo con il Vaticano II: rovesciare la mentalità che ci sia solo un’élite di persone chiamate alla perfezione – difronte ad una massa che non lo è – ed esplorare la dimensione quotidiana e comunitaria della santità, come presupposti della riuscita dell’attuale processo sinodale mondiale.

  • Si parte da una riflessione del biblista Gérard Rossé, che rilegge alcune pagine delle Scritture sulla chiamata alla perfezione (in particolare quella del giovane ricco secondo Mt 19, 16-22) proponendone una rilettura in sintonia con tutto il contesto del Primo e del Nuovo Testamento.
  • Theo Jansen ofm capp e Carlos G. Andrade cmf ci offrono un succinto excursus storico, cercando di capire l’evoluzione del concetto di santità lungo la storia della Chiesa fino al Vaticano II e ai nostri tempi.
  • Un pioniere della santità per tutti è Igino Giordani, prolifico scrittore che ha tanto studiato i Padri della Chiesa e che già prima del Vaticano II si è fatto promotore di una santità di popolo. Ce ne parla Elena Merli.
  • Jens-Martin Kruse – pastore e teologo luterano che ci ha ormai abituati alle sue riflessioni molto concrete – riflette sulle sfide e opportunità della sequela di Gesù nel mondo di oggi.
  • L’esperienza di Domenico Mangano, servo di Dio, raccontata da Fabio Ciardi omi, ci apre a una santità nella vita pubblica, impegnata in politica, mentre Stefan Pilia ci narra come anche il campanello di una scuola possa essere tra gli strumenti di una santità laicale.
  • L’intervista al João Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per la vita consacrata, ci mostra come la Chiesa sia attenta ai segni dei tempi e cerchi di aprire il suo pensiero per rispondere alla realtà che trova lungo i tempi.
  • In un periodo in cui l’Europa è alle prese con una nuova crisi causata dall’arrivo di rifugiati, nella sezione Buone pratiche abbiamo due testimonianze forti di accoglienza: in Olanda, a rifugiati ucraini, da parte di qualcuno che ha vissuto gran parte dalla sua vita in Russia; a minori non accompagnati da parte di famiglie italiane; la terza esperienza ci racconta la vivacità di una parrocchia in Brasile, frutto dell’interazione tra adulti e giovani che lavorano e costruiscono insieme progetti e iniziative.
  • Nella sezione Testimoni presentiamo la figura di san Francesco di Sales, che già 400 anni fa propugnava una santità del quotidiano e quella di Valeria (Vale) Ronchetti a 10 anni dalla sua morte. Molto espressiva la testimonianza del futuro cardinale Lazzaro You Heung-sik, prefetto del Dicastero per il clero, in un’intervista su “Il sacerdote oggi: uomo del Vangelo e del dialogo”.
  • Una novità che ha inizio con questo numero è la sezione dedicata al Percorso sinodale in cui tutta la Chiesa cattolica è impegnata dal 10 ottobre 2021. Si presentano alcune esperienze di sinodalità e in particolare Teo & Kery, due personaggi in fumetti creati da Agostino Spolti per accompagnare i più giovani nel Percorso sinodale.